-

Recensione

CHAINED ECHOES

Quella volta che un tedesco si è innamorato del Giappone e ha reinventato i JRPG

Il 2022 è stato un anno strano per me. Ne ho già parlato brevemente nell’articolo dedicato ai giochi “piccoli” dell’anno, ma ci sono stati tanti titoli che ho snobbato inizialmente che si sono poi rivelati tra i videogiochi migliori della stagione. La storia si è ripetuta nuovamente a dicembre, quando di fronte alle prime immagini di Chained Echoes non ho sentito il bisogno di recuperare quello che in rete tante persone stavano incensando come uno dei migliori JRPG dell’epoca moderna. A mia discolpa posso dire che pensavo di essere di fronte all’ennesimo videogioco che, illuminato dall’essere incluso nell’abbonamento a Game Pass, stesse vivendo un insperato momento di gloria passeggera per un pubblico composto anche di neofiti non troppo avvezzi al genere. Inutile girarci attorno: mi sbagliavo, e di molto anche. Per fortuna ho rimediato, ed è arrivato il momento di raccontarvi Chained Echoes dalla prospettiva di chi il genere l’ha masticato a lungo prima di metterci le mani.

Lo Schiaffo

Chained Echoes inizia con uno schiaffo. I primissimi istanti di gioco sono costruiti per essere una riproposizione in scala 1:1 dell’intro di Chrono Trigger. Glenn, il protagonista, è nel letto e viene svegliato da sua madre che apre le finestre. È una bella giornata di sole e nella stanza c’è una pace quasi idilliaca identica a quella che hanno vissuto tutti quei giocatori che nel 1995 hanno indossato per la prima volta i panni di Crono. Giusto il tempo di godersi il piacere della calda luce che filtra dalle finestre spalancate e avvicinarsi per dare il buongiorno alla madre e CIAFF. Glenn viene riportato ad una realtà molto più dura dello schiaffo ricevuto in sogno. Ci si ritrova catapultati nella pancia di un’aeronave da guerra lanciata a tutta velocità verso quella che l’equipaggio continua a chiamare una missione suicida. La mossa di Mathias Linda, unico sviluppatore della maggior parte del gioco, è chiara e precisa: Chained Echoes non è un’opera citazionista per il puro gusto di esserlo, Chained Echoes ha una sua dignità, ha una storia da raccontare e un messaggio da veicolare che sono del tutto indipendenti dai grandi classici del passato.

Chained Echoes parla di guerra, di pace, di unità e del rapporto con le divinità che sembrano regolare il mondo. Non è la storia di Glenn, non solo almeno, è la storia di un gruppo eterogeneo di personaggi incastrati in un conflitto che dura da 150 anni e che sta martoriando la terra di Valandis. Glenn è solo l’origine di uno dei tanti incidenti che hanno costellato le infinite schermaglie tra i regni in battaglia. La missione della sua compagnia di mercenari è una e una soltanto: superare le linee nemiche per distruggere la pietra che con il suo potere alimenta le armi del nemico. Una volta distrutta, però, Glenn scopre con orrore che la pietra non è una fonte d’energia ma un’arma dal potere enorme, in grado di spazzare via intere regioni in un colpo solo. La sua esplosione e il conseguente clima di terrore che si insinuano nel continente portano ad un brevissimo periodo di pace osteggiato da tutte le pedine in campo. Mentre Glenn, scampato miracolosamente all’esplosione assieme all’amico di sempre Kylian, raccoglie con lui informazioni sul potere della pietra e sulle sue origini incrocia il suo cammino con quello di ser Victor, un famosissimo bardo autore delle opere più famose del continente, di Sienna, ladra gentile in fuga dal proprio passato, di Lenne, principessa fuggita dal proprio regno per conoscere il mondo, e di Robb, suo servitore che ha dedicato la vita a proteggerla. Ognuno ha storie e motivazioni differenti, ma si accorgono presto di avere obiettivi simili, e che unire le forze nonostante le profonde differenze tra di loro è l'unico modo per raggiungerli.

La Rivoluzione

Quello che ho deciso di raccontarvi è solamente l’incipit del gioco, che si dipana in tre atti per un totale di una quarantina d’ore in un crescendo notevole di intrighi e colpi di scena che non starò a sviscerare per non rovinare sorprese a nessuno. Di una cosa, però, si può e si deve parlare, e mi riferisco all’eleganza con cui Mathias Linda si è approcciato alla costruzione del gameplay di Chained Echoes. Quella operata nel gioco è una piccola ma notevole rivoluzione al genere, perché Chained Echoes pianta sì le sue radici nei grandi classici dell’epoca a 16 bit, ma lo fa con l’intento di rendere moderno quel modo di intendere i JRPG. In Chained Echoes non ci sono scontri casuali, non esiste il grinding, non sono presenti punti di salvataggio fissi e non c’è traccia di quelle piccole frustrazioni a cui ci ha abituato il genere soprattutto nei suoi anni d’oro. Al contrario i nemici sono sempre visibili a schermo, fuggire da una battaglia è immediato e permette di riorganizzarsi in maniera tale da farsi trovare preparati allo scontro, i salvataggi sono automatici e in caso di game over è possibile ripetere lo scontro senza perdersi in lunghe sessioni di backtracking di sorta. In Chained Echoes, peraltro, non esistono i punti esperienza: la progressione dei personaggi è lineare e “scriptata”, perché dopo ogni bossfight si ottiene un oggetto che permette ad ogni personaggio di sbloccare una delle tante skill a sua disposizione per ampliare il repertorio di battaglia. Non vi basta? Beh sappiate che HP e TP si ricaricano autonomamente alla fine di ogni incontro, evitando quindi di dover impazzire dietro a cure a pagamento o riempirsi la borsa di oggetti.

Lo so, se siete veterani del genere starete sicuramente storcendo il naso, ma vi assicuro che il sistema adottato da Chained Echoes è pensato così bene nella sua profondità da funzionare alla perfezione. Non c’è mai stato un momento in cui ho sentito la mancanza di certe meccaniche, anzi a spingermi a proseguire è stata spesso la curiosità di capire come funzionasse e si evolvesse il sistema messo in piedi da Linda mano a mano che mi addentravo all’interno delle terre di Valandis. Il risultato è un meccanismo praticamente perfetto, puntuale e preciso nella sua congeniazione quasi come fosse un orologio svizzero.

A tutto questo si aggiunge poi un sistema di combattimento geniale che ruota attorno alla barra dell’Overdrive. In pratica una volta entrati in combattimento appare a schermo una barra divisa in tre sezioni, una gialla, una verde e una rossa. La sezione gialla è una sezione di stasi, ma ogni volta che si colpisce o si viene colpiti da un nemico l’indicatore si sposta verso destra, entrando prima nella porzione dell’Overdrive (quella verde), che aumenta l’output di danni di ogni membro del party, ne alza le difese e abbassa il costo in tech points di ogni abilità, e successivamente in quella dell’Overheat (rossa, in questo caso), che inverte la tendenza e diminuisce le difese di tutti. Utilizzando specifiche abilità una volta entrati in Overdrive è possibile spostare verso sinistra l’indicatore per evitare di andare in sovraccarico, rendendo così i combattimenti sempre differenti ed appaganti. Certo, questo rende gli scontri più lunghi rispetto a quanto si possa essere abituati, ma l’Overdrive system unito alla possibilità di switchare in corsa i membri attivi del party senza sprecare un turno trasformano ogni scontro di Chained Echoes in una danza forsennata appagante come poche altre cose al mondo. Sul serio: non mettevo le mani su un JRPG così divertente da giocare dai tempi di Persona 5 e Yakuza: Like a Dragon.

Lo Sguardo

Tra i motivi che mi hanno portato a snobbare Chained Echoes all’uscita ce n’è uno in particolare che ha avuto un peso maggiore su tutti gli altri: l’estetica che filtrava dagli screenshot rilasciati alla pubblicazione del gioco. La sua pixel art non è tra le migliori che si siano viste in epoca moderna e tradiva sin da subito un’estetica che richiamava da vicino quella dei progetti nati su RPG Maker. Nulla contro RPG Maker, sia chiaro (anche perché To The Moon è uscito da lì ed è uno dei videogiochi più importanti della mia vita), però l’esperienza mi ha insegnato a diffidare da tutti quei giochi di ruolo che sembravano poter essere pubblicati da Kemco. Il fatto che stiate leggendo questa recensione rappresenta di per sé un mio metaforico cospargermi il capo di cenere, però due parole sull’arte di Chained Echoes è il caso di spendercele. La pixel art di Chained Echoes continua a non convincermi. O meglio, trovo la pixel art del gioco decisamente piatta nella maggior parte delle situazioni, ma ci sono dei momenti (in particolare nelle fasi narrative) in cui ciò che viene mostrato a schermo è di una bellezza disarmante. Si passa, tanto per fare un esempio, dalla presentazione della città di Farnsport con le sue casette marroni piatte e senza ombre a momenti in cui l’esplosione del Grand Grimoire infiamma il cielo in una miriade di meravigliose sfumature di rosso come dopo lo scoppio di una bomba atomica. Non c’è troppo equilibrio, in questo senso, nella direzione artistica. Va detto però che più si procede più la qualità visiva si alza, quasi come a voler sottolineare il crescendo della storia e del gameplay. Il problema principale è la mancanza di profondità che finisce per annullare ogni tipo di gioco prospettico e appiattire tutto quanto. Come ho già detto è una questione che esula dalle sequenze prettamente narrative o da qualche scorcio infilato in giro per Valandis, ma quando si tratta di esplorare è tutto un'altro discorso.

Ci si fa l'occhio dopo qualche ora, però le dimensioni degli sprite "ambientali" sono così sproporzionate da suggerire la possibilità di potersi infilare tra due rocce o due cespugli per poi finire irrimediabilmente contro un muro invisibile. È un po'frustrante, anche perché è una problematica che si scontra con un videogioco che crede molto nelle potenzialità dell'esplorazione e offre spesso la possibilità di trovare sia oggetti che piccoli percorsi nascosti. Bella e adatta, ma non indimenticabile, anche la colonna sonora di Eddie Marianukroh, a cui manca secondo me il fattore “ossessione” di tante ost dei JRPG classici. Non mi è mai capitato di allontanarmi dal PC canticchiando uno dei temi del gioco, cosa che invece contraddistingue tanti giochi di ruolo che mi sono entrati nel cuore. Ancora oggi mi ritrovo a fischiettare Terra’s Theme da Final Fantasy VI, Dream of the Shore da Chrono Cross o Venus Lighthouse da Golden Sun, mentre con Chained Echoes non è mai successo. Non è sicuramente gentile mettere Marianukroh a confronto con mostri sacri come Uematsu e Mitsuda, questo è chiaro, ma la colonna sonora è forse il comparto che ho trovato più anonimo di tutta l’esperienza. Anche in questo caso è un peccato, perché si sposa male con l'atrimenti grandiosa gestione di ogni elemento dell'opera. Ci sarà sicuramente modo di rifarsi in futuro, questo è poco ma sicuro.

L'Amore

Non amo la definizione “lettera d’amore” applicata al videogioco. Non la amo perché credo appiattisca terribilmente l’opera in analisi e che sposti il focus sull’opera ispiratrice. Spesso peraltro è una definizione che tradisce una riverenza che si trasforma facilmente in plagio o, alternativamente, nella “cover di”. Sarebbe facilissimo liquidare Chained Echoes definendolo "una lettera d’amore ai JRPG a 16 bit", il problema è che non gli si farebbe giustizia. Chained Echoes è l’opera di una persona che è letteralmente ossessionata dai JRPG ma che dimostra di averli analizzati e capiti profondamente nei loro pregi e nei loro difetti. La pulizia delle sue meccaniche, la fluidità con cui progrediscono la narrazione e la crescita dei personaggi e, soprattutto, le implementazionid i quality of life del gioco non sarebbero state possibili altrimenti.

Questo chiaramente non vuol dire che Chained Echoes sia totalmente indipendente dalle sue ispirazioni. Da Chrono Trigger recupera il mood e la gestione degli incontri, da Suikoden II il modo di raccontare la guerra e la costruzione di un esercito, da Final Fantasy VI l’ispirazione steampunk e la coralità della narrazione del party, da Golden Sun l’atmosfera e la volontà di riempire l’esplorazione di piccoli puzzle mentre da Xenogears l’introduzione dei mech e del loro combat system esclusivo. Già, non ve l'avevo ancora detto, ma in Chained Echoes ci sono pure i robottoni, che oltre ad essere bellissimi trasformano radicalmente i combattimenti e l’esplorazione di ogni singola area. Il rischio di creare un minestrone insipido c’era, ma l’intelligenza di Linda la si può desumere proprio dal fatto che non ha preso in prestito sistemi diversi da videogiochi diversi ma si è lasciato ispirare nella creazione di un videogioco perfettamente in grado di reggersi sulle proprie gambe e, soprattutto, unico nel suo genere.

Anzi, a dirla tutta, il più grande merito di Chained Echoes è stato quello di aver dimostrato che si può adottare un approccio realmente moderno ai classici del genere. Non so perché ma per tutta la durata del gioco ho immaginato Mathias Linda come uno di quei concorrenti di MasterChef che, chiamati a replicare il piatto di uno dei giudici, hanno l’intuizione e la sfacciataggine di sostituire un ingrediente della ricetta originale riuscendo a migliorarlo. Arrogante forse, ma a ragione. Ecco, per me il lavoro di Linda va visto esattamente in questo modo, proprio in virtù del perfetto equilibrio che è andato a creare tra rispetto della tradizione e coraggio di osare, e per questo non si può che esaltare il suo lavoro. Parliamo, dopotutto, non solo di uno dei migliori videogiochi del 2022, ma di un JRPG che dovrà fare scuola per tutti quelli che arriveranno dopo. Non male per un tedesco che ha lavorato per sei anni in quasi completa solitudine ad un videogioco che onorasse i suoi maestri giapponesi.

Per fortuna i JRPG sembrano essere stabilmente in ripresa. Le grandi aziende si stanno prodigando nel rendere accessibili titoli mai usciti dai confini nipponici come Front Mission, Live A Live e (chissà quando a questo punto) Dragon Quest III, e c’è chi sta creando nuove IP che sembrano essere destinate a durare come Octopath Traveller o Triangle Strategy. Il ruolo di traino del mercato ricoperto negli anni ‘80 e ‘90 è un miraggio e difficilmente si tornerà indietro da questo punto di vista, ma nel sottobosco dello sviluppo qualcosa si sta muovendo. Omori è stato un successo strepitoso, Crosscode e Cosmic Star Heroine hanno avuto una certa rilevanza e su questo 2023 si staglia l’ombra di quel Sea of Stars che più lo guardo e più vorrei addormentarmi per svegliarmi al day one. Quello che resta da capire, a questo punto, è che ruolo giocherà Mathias Linda in questo scenario. Le previsioni - e le aspettative - non possono che essere stellari, e per il momento va bene così.

Pubblicato il: 27/01/2023

Provato su: PC Windows

Abbonati al Patreon di FinalRound

Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori

12 commenti

Il gioco mi sembra fantastico, lo trovo solo un pò troppo difficile, ma forse non mi sto impegnando troppo nei combattimenti.

Non vedo l'ora che venga messo a capo di un team coi controfiocchi per creare il miglior JRPG della decade!

Proprio un bell'articolo che mi ha messo una certa curiosità, però mi serve prima sapere se c'è la localizzazione in italiano.

Credo sia il miglior JRPG degli ultimi 15 anni. Il sistema di combattimento è di una eleganza rara e la scrittura è strutturata in un modo che sinceramente stento a ricordare anche nei "mostri sacri" a cui si ispira - e dai quali si distacca in mod …Altro... Credo sia il miglior JRPG degli ultimi 15 anni. Il sistema di combattimento è di una eleganza rara e la scrittura è strutturata in un modo che sinceramente stento a ricordare anche nei "mostri sacri" a cui si ispira - e dai quali si distacca in modo autorevole. Apre tante linee narrative che poi collidono come un orologio. Concordo perfettamente con Andrea - col quale mi complimento per il bel pezzo e l'analisi davvero a fuoco - per la colonna sonora, che è poco più di un accompagnamento dignitoso e non partorisce mai nulla di particolarmente memorabile . Stento, francamente, a capire come una singola persona possa aver partorito una cosa del genere.

Questa recensione mi ha messo una genuina curiosità verso un genere che sto cercando di approfondire un po’ per volta. Andrea sembra davvero appassionato e non mi dispiacerebbe leggere una sua monografia in cui ci racconta ancora di più al riguar …Altro... Questa recensione mi ha messo una genuina curiosità verso un genere che sto cercando di approfondire un po’ per volta. Andrea sembra davvero appassionato e non mi dispiacerebbe leggere una sua monografia in cui ci racconta ancora di più al riguardo. Grazie!

info@finalround.it

Privacy Policy
Cookie Policy

FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128