RECENSIONE

Un horror psicologico che parla di depressione, e mette le emozioni al centro del suo racconto... e del combattimento.

Il panorama degli horror realizzati con RPG Maker, partoriti da piccoli team indipendenti o addirittura da singole persone e dal sapore squisitamente giapponese, è vasto quanto bizzarro. Centinaia di avventure in grafica 2D il cui obiettivo è quello di spaventare il giocatore attraverso immagini disturbanti, ambienti claustrofobici, musiche dissonanti e narrative spesso incentrate sugli effetti nocivi delle malattie mentali. Si tratta di horror psicologici dunque, che sostituiscono gli zombie con le psicopatologie, e che si prendono la responsabilità di trattare di temi delicati e spesso banalizzati da tantissimi media. Nonostante l’utilizzo dell’RPG Maker Engine, tuttavia, pochissimi esponenti di questo genere sono effettivamente anche dei giochi di ruolo. La maggior parte dei titoli in questione, come il rinomato Yume-Nikki di Kikiyama, si limita a richiedere al giocatore di esplorare con attenzione luoghi inquietanti, conditi di nemici da evitare e oggetti specifici da raccogliere e che faranno avanzare il progresso di gioco. 

Altri, come IB di Kouri, aggiungono alla formula anche enigmi da risolvere e numerosi dialoghi da leggere, sui quali potersi scervellare per dare un significato agli eventi mostrati a schermo. Esperienze del genere sono quasi sempre prive di un combat system, e le interazioni principali con gli antagonisti di turno vengono delegate alle semplici collisioni che possono avvenire nell’overworld, generalmente da evitare: Omori, invece, sceglie di cogliere tutta l’eredità del filone horror di RPG Maker e portarla su tutt’altro livello di profondità, affiancando alle dinamiche descritte un’ossatura da gioco di ruolo fortemente ispirata alla serie di Earthbound. Dopo un lungo e travagliato sviluppo del titolo durato più di sei anni, apertosi con una campagna kickstarter che prevedeva originariamente un rilascio del titolo anche su Nintendo 3DS e PSVITA, il team di Omocat dà vita al dramma psicologico di Omori: un’avventura della durata di più di venti ore, nella quale si avrà la possibilità di esplorare i drammi che attanagliano la mente del suo omonimo protagonista.

Mondo vero o mondo finto?

 
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Il personaggio di Omori, in realtà, nasce nel lontano 2011 come protagonista del blog “omoriboy.com”: una valvola di sfogo dell’artista americana OMOCAT, che ha ritratto in bianco e nero questa sorta di hikikomori depresso in varie azioni della sua limitata quotidianità, dallo scarabocchiare sul proprio quaderno al navigare su internet, il tutto intervallato da riflessioni sul mondo esterno (“Non avrei grossi problemi a uscire fuori, se tutti non fossero così stupidi”).
Questi rapidi sketch non solo hanno originato il protagonista del videogioco, ma sono anche stati traslati nella prima mappa esplorabile del titolo: dopo aver iniziato la propria partita il giocatore si trova subito teletrasportato nel “White Space”, lo spazio bianco, un luogo nel quale il piccolo Omori sembra aver radunato tutto il necessario per sopravvivere. Si tratta della casa nella quale egli si trova “da quando ha memoria”, ed effettivamente è così anche oltre la quarta parete: il gatto, la lampadina nera, il portatile e la scatola di fazzoletti sono ancora lì, dove OMOCAT li aveva lasciati con l’ultimo sketch pubblicato a marzo del 2012. 
Fuori dal freddo White Space si trovano gli altri tre co-protagonisti del gioco, molto meno taciturni di Omori e per questo “a colori”: Hero, affascinante studente con una spiccata passione per la cucina, Aubrey, una bambina sensibile, gentile e premurosa, e Kel, una peste iperattiva. Il quartetto, affettuosamente inseparabile, si ritrova catapultato in un mondo dai colori vivaci e pieno di ossimori, dato che alterna creature fantastiche a normali esseri umani, oggetti fuori luogo quali specchi sospesi nel vuoto a tradizionali arredi dei parchi giochi per bambini; l’universo di gioco, insomma, è percepito subito come differente da quello reale, composto di stridenti contrari nati dall’unione del familiare con il surreale. In questo luogo magico i protagonisti interagiscono con altri due personaggi importanti per la storia, che nell’arco del suo primo quarto d’ora presenta già tutti i volti chiave del titolo: Mari, l’altruista sorella di Omori che prepara sempre deliziosi pic-nic per tutti, e Basil, migliore amico del protagonista con un debole per i fiori e per la fotografia. Un quadro perfetto di amici che si vogliono bene e che passano preziosi momenti insieme, immortalati dall’immancabile obiettivo di Basil che colleziona Polaroid nel suo album fotografico. Qualcosa, però, a un certo punto va storto, e il giocatore si troverà ex abrupto nella vera essenza dell’horror RPG.

Basil, per motivi totalmente avvolti nel mistero, sparisce nel nulla. La tranquillità dell’idilliaca routine dei protagonisti viene interrotta, e il trauma è così forte che persino la narrativa ne risente: il luogo finora descritto sparisce dai riflettori, e il giocatore viene catapultato nei panni di un secondo personaggio, Sunny, che vive un’esistenza profondamente diversa. Sunny è un ragazzino ordinario che abita nel mondo reale, ha amici proprio come Omori, ma attorno a lui non ci sono né mostri verdi né specchi magici. Omori è un gioco basato sui dualismi, e questo forse è il principale che caratterizza l’intera esperienza. Il gioco, dopo la prima ora, verrà costantemente vissuto alternando le proprie sessioni di gameplay tra un mondo di fantasia, nel quale vivono le bizzarrie più disparate, e uno reale, ma non per questo meno pericoloso. Qual è il segreto di questi due mondi, qual è la loro natura? Perché il giocatore ne può visitare solo uno per volta? Quali sono i parallelismi e quali le divergenze fra queste due prospettive?
Questi e tanti altri interrogativi, uniti alla volontà di trovare il piccolo Basil, muovono il giocatore affamato di risposte a compiere i primi passi in Omori: e per trovarle si è spinti ad affrontare un duplice viaggio in mondi antitetici, che verrà vissuto sia in prospettiva fisica che psicologica, fra le maglie dei pensieri disturbati di Omori e Sunny. Creature nere misteriose, chiamate “Qualcosa” e dotate di occhi giganti, infestano entrambe le dimensioni e rappresentano il primo vero punto in comune fra le due linee narrative altrimenti separate. Che cosa siano esattamente questi mostri, e quale sia i loro significato, è l’ennesimo di tanti segreti che i protagonisti avranno il compito di svelare. 

L’avventura di Omori, almeno in superficie, si presenta dunque in linea con altri Horror RPG figli di RPG Maker: il suo gameplay è caratterizzato da una forte componente esplorativa, con mappe molto diverse tra loro e dallo stile eterogeneo. Se nel “Mondo di fantasia” avremo la possibilità di visitare location come le segrete di un gigantesco castello medievale o una discarica nello spazio, in una bilanciata alternanza tra luoghi abitati ricolmi di NPC e zone che pullulano di nemici e pericoli, nel “Mondo reale” le cose cambiano, e si ridimensionano coerentemente assieme alla prospettiva del nostro avatar. “Faraway Town”, infatti, offre esattamente quanto ci si possa aspettare da un paesino in campagna, tra angusti negozi di giocattoli e le noiose case dei propri conoscenti. Il dualismo ritorna, nella forma di due esperienze antitetiche: l’ampio respiro che il giocatore trova nelle fasi esplorative del “Mondo di fantasia”, e che occupa orientativamente due terzi del titolo, viene strozzato di tanto in tanto quando da Omori si passa a Sunny, e alla sua vita tendenzialmente priva di sorprese e divertimento. 
Questa enorme divergenza di prospettiva, ovviamente, si riversa anche nella natura delle missioni primarie da affrontare nel corso del gameplay: Omori dovrà affrontare pericoli quali orsi inferociti, pirati spaziali e coccodrilli buttafuori, con un ritmo di gioco indubbiamente più incalzante, mentre le fasi che vedono Sunny come protagonista sono molto più sommesse, con mansioni apparentemente più noiose come incontrarsi con un amico, andare a fare compere, terminare i compiti che la mamma ci ha assegnato. 
Nonostante le due metà di questo gioco abbiano un sapore differente, però, la struttura del progresso di gioco è esattamente la stessa: le missioni principali, che permetteranno alla storia di avanzare e ai personaggi di vivere eventi chiave che faranno luce sui misteri delle creature nere, si affiancano con costanza a numerose missioni secondarie, tra raccolta di oggetti particolari, ritrovamento di specifici NPC, acquisto di materiali e completamento di specifici minigiochi, che sapranno ricompensare il giocatore con strumenti extra o informazioni aggiuntive sul mondo di gioco. E al netto di alcune sezioni a mio avviso inutilmente diluite, e alcune fetch-quest davvero poco ispirate, quest’alternanza tra momenti di gameplay di natura diversa funziona a meraviglia: nel “Mondo di Fantasia” le missioni principali sono densissime e fungono da base per le tante secondarie che vengono completate quasi in via incidentale, mentre nel mondo reale sono proprio le missioni secondarie a rappresentare il vero corpo dell’esperienza, controbilanciando la voluta monotonia delle blande mansioni di tutti i giorni.

Ciò che rende brillante il viaggiare in entrambi i mondi però, e che rappresenta il fiore all’occhiello di Omori al di là di ogni contenuto principale o secondario, è il level design e world building di ogni mappa di gioco. Non solo ogni luogo è ricco di segmenti opzionali, capaci di ricompensare il giocatore attento con dialoghi esclusivi e oggetti rari, ma è anche costellato di elementi di sfondo ricchi di significato, che con la loro sola presenza saranno capaci di raccontare preziose informazioni sulla storia di Omori. Uno stesso oggetto che compare in due mappe molto diverse fra loro, due dettagli di sfondo che si assomigliano, la conformazione dei confini di una location che ricorda quelli già visti in un’altra occasione: ogni singola mappa è studiata dagli sviluppatori avendo in mente una visione d’insieme della sua geografia narrativa, e tesse silenziosamente una tela di idee e concetti collegati fra loro che diverrà chiaramente visibile ai giocatori più attenti. Più ci si addentra nel titolo, più ci si rende conto che se un pezzo della storia viene raccontato attraverso i dialoghi, un altro è saggiamente affidato agli elementi grafici e visivi, nell’ennesimo dualismo del titolo: osservando certi dettagli è possibile carpire sfumature della storia altrimenti taciute, e il tutto avviene in maniera naturale, senza la necessità di ipotesi astruse o voli pindarici.
Man mano che il gioco avanza, il segreto attorno ai “Mondi” di Omori si schiude in maniera progressiva e naturale, come una poesia che non ha bisogno di particolari interpretazioni per essere compresa. E al giocatore rimane la soddisfazione di poter legare in autonomia gli elementi di gioco fra loro, non sentendosi mai nella posizione di chi colma vuoti narrativi, ma solo di chi conclude un processo dolcemente guidato dagli stessi sviluppatori. Come ho ribadito poc’anzi, però, Omori non è Yume-Nikki: se si vogliono scoprire tutte le verità, non basterà essere accorti esploratori. Per tutta la durata del titolo, e in particolare nel “Mondo di Fantasia”, bisognerà lottare contro i tanti e variegati nemici che ostacolano l’avventura dei protagonisti. È arrivato il momento di dare un’occhiata al Combat System, altro grande perno del gioco. 

Potere alle emozioni! 

Con uno scheletro da Gioco di Ruolo classico, che prevede varie statistiche per ognuno dei quattro personaggi principali potenziabili attraverso due slot di equipaggiamento, gli scontri di Omori sono delegati a un sistema di combattimento a turni che ricorda molto quello visto nella serie di Earthbound. Il giocatore ha il controllo completo delle azioni di tutti e quattro i personaggi principali, che possono attaccare normalmente, difendersi per perdere meno Cuori dopo un attacco, o utilizzare una delle loro quattro “Abilità” assegnate, che consumano il “Succo”, il Mana di questo universo. Ogni personaggio, poi, comincia solitamente il combattimento in stato “Neutrale”, e ha la possibilità di provare varie Emozioni nel corso della lotta che varieranno le sue debolezze, resistenze e statistiche generali. Con un’abilità di Omori ad esempio, “Poema Triste”, è possibile rendere alleati o nemici “Tristi”, uno stato che rende il bersaglio più resistente ma anche più lento, debole agli avversari arrabbiati e superefficace su quelli Felici. Kel, invece, che è una vera peste, può tormentare nemici e alleati con “Infastidisci” per renderli arrabbiati, con più attacco e meno difesa, deboli ai nemici Felici ma superefficaci contro i Tristi.
Come avrete intuito, in un sistema che permette persino l’incremento di intensità di tali stati d’animo, le Emozioni sono uno strumento focale del combattimento, che apre la strada a innumerevoli combo capaci di stravolgere l’esito di una lotta. È possibile per esempio rendere tutto il party Triste per fronteggiare un nemico che dispensa tanti danni, se si è disposti a sacrificare la velocità; questa stessa emozione può essere invece inferta al nemico per rallentarlo, magari prima di far arrabbiare tutto il party e colpirlo infliggendo il doppio dei danni.

Omori non vuole però ragionare in un’unica e singola direzione. Oltre a essere un elemento di gameplay, le Emozioni sono anche un altro elemento narrativo che aiuta il giocatore a comprendere le sfumature caratteriali di protagonisti e antagonisti dell’opera. Le emozioni assunte dai vari personaggi e mostri, tutte accuratamente rappresentate visivamente, sono capaci di raccontarci di più sulla natura di chi abbiamo di fronte: un Boss che diviene autonomamente triste potrebbe esserlo per via di un evento passato che lo ha particolarmente scosso, lasciandoci percepire il suo sconforto non solo attraverso le parole, ma anche con un atteggiamento in battaglia più passivo, lento ed esposto alle sfuriate di rabbia dei protagonisti. Persino le interazioni fra specifici personaggi non sono casuali, ma meticolosamente programmate per potenziare la narrazione. Il giocatore si renderà presto conto che le combo di Emozioni più fruttifere sono quelle suggerite dalla storia, e dunque due protagonisti che battibeccano fra loro prima dello scontro, verosimilmente, dovranno farlo anche in combattimento, per innescarsi vicendevolmente e divenire più potenti. Combattere efficacemente in Omori significa anche usare le dinamiche fra i personaggi apprese con i dialoghi e gli eventi a schermo, in una encomiabile applicazione del concetto di “gioco di ruolo”.

Al sistema delle Emozioni poi, ben studiato quanto indubbiamente derivativo, se ne affianca un altro piuttosto originale. Nella parte bassa dello schermo, infatti, abbiamo una barra dell’energia, che si ricarica a ogni attacco subito per mano dei nemici o con specifiche Abilità dei personaggi: se un personaggio attacca normalmente, senza l’utilizzo di Abilità, può decidere di interagire con un altro membro del party e dare vita a una specifica azione denominata “Follow Up”. Dato che il party conta quattro unità, ogni personaggio possiede tre “Follow Up”, fortemente legati alla propria natura e dall’effetto che cambia a seconda dell’amico con il quale vengono imbastiti: Kel, che combatte tirando una palla da Basket, con il proprio Follow Up passa la palla a un membro del party a scelta, e la scelta compiuta dal giocatore sarà capace di dare vita all’ennesimo intreccio tra strategia e narrativa. Passando la palla ad Aubrey, lei reagirà colpendola con la propria arma, data la propria abilità di utilizzare le mazze, realizzando un danno ingente su un singolo bersaglio. Passandola a Hero, che è invece più furbo che brutale, il ragazzo compirà una strana schiacciata strategica, colpendo più target contemporaneamente; Omori infine, che non è molto bravo con la palla, non riuscirà a prenderla al volo, e questo lo renderà Triste. 
Mi preme sottolineare quanto un'azione con principale valenza strategica, come rendere Triste un personaggio, abbia ricevuto una piccola storia ricamata su misura dagli sviluppatori, anziché essere presentata al giocatore come semplice meccanica di gameplay. La cura insita in questo gioco è davvero un bene raro
Dal punto di vista della difficoltà, c’è da dire che il gioco non risulta né troppo semplice né particolarmente ostico, posizionandosi in quella via di mezzo tipica dei giochi spiccatamente narrativi: i tanti strumenti a disposizione del giocatore rendono possibile affrontare agilmente l’intera avventura, ma il titolo richiede comunque di utilizzare le proprie risorse con accortezza e strategia, o i nemici più ostici potrebbero divenire insormontabili. Nel postgame invece, qualora si decida di scoprire i finali più segreti dell’opera, un considerevole picco di difficoltà accoglierà i giocatori RPG più esperti e smaliziati. Chiudendo il discorso sulle battaglie, l’art style e le animazioni minimali della finestra di combattimento ricordano molto i disegni a mano libera e richiamano ancora una volta il concetto del mondo visto dagli occhi di un bambino: assieme alle sequenze animate, anch’esse realizzate nello stesso stile, le lotte sono tra gli elementi graficamente più soddisfacenti dell’opera, e capaci di compensare la realizzazione di un mondo che a mio avviso non appare mai al massimo delle possibilità per via di certi limiti dell’Engine di RPG Maker. 

Nothing is scary!

Finora abbiamo discusso della componente esplorativa di Omori, e persino di quella ruolistica fuori dai canoni dei titoli che lo hanno preceduto; un Horror RPG, però, è tale in primis se appunto è presente la componente del terrore, della paura. Durante la mia prima avventura su Omori, che è avvenuta in diretta assieme a migliaia di spettatori su Twitch, in molti si sono collegati rivolgendomi una domanda specifica: “Dov’è la parte horror?”... “Quando arriva il momento dove ci si spaventa?”. 
Contrariamente ad alcuni titoli horror presenti e passati, nei quali la tensione è costantemente presente dall’inizio alla fine dell’esperienza, il fattore orrorifico di Omori si attiva e disattiva bruscamente, a seguito di specifici eventi che causano una repentina variazione nell’umore generale dell’opera, che passa da un divertente e umoristico gioco di ruolo a un incubo bidimensionale. Le musiche cominciano a distorcersi e a riempirsi di toni binaurali, l’atmosfera si incupisce, la mappa di gioco assume i toni del blu e del rosso o del bianco e nero. Lo spazio si dilata, gli elementi 2D si fondono con fotografie del mondo reale, sfiorando la dimensione dell’Uncanny Valley e cercando come sempre di raccontarci una storia nella storia, i cui simbolismi diverranno chiari solo al termine del gioco. In un’atmosfera di grande tensione, raramente supportata da effettivi jumpscare, il gioco varia ritmo e fa vivere al giocatore momenti di sincera paura. Benché la scelta stilistica possa non incontrare il favore di tutti, dato che alcuni appassionati di horror potrebbero preferire un’impostazione tradizionale, credo che la scelta compiuta dal team di sviluppo sia azzeccata e coerente con gli estremi dell’opera. Soffermiamoci su cosa rappresentino questi attimi di terrore improvviso: come suggerisce sia il genere videoludico d’appartenenza che il disclaimer mostrato prima della schermata di titolo, Omori è un horror psicologico che tratta i temi della depressione e dell’ansia, degli attacchi di panico e delle paranoie.

Avendo sofferto di una forma d’ansia piuttosto importante in passato, posso dirvi con cognizione di causa che il team di OMOCAT è in grado di fotografare le crisi di panico con grande lucidità e sensibilità, poiché ne descrivono l’elemento che più spaventa chi ne soffre. Esse sono repentine, raramente avvisano quando stanno per arrivare, e sono capaci in pochi secondi di distruggere gli equilibri della propria quotidianità e del mondo che ci circonda, alterandone la percezione. 
Benché sia vero che le patologie mentali riducono costantemente la qualità delle nostre giornate, e anche in Omori i personaggi protagonisti provano un disagio di fondo sempre percepibile, tali fastidi vengono spesso seppelliti dai loro portatori: rumori nocivi che vengono messi in sottofondo, esattamente come fa il giocatore quando percepisce che c’è un problema in Sunny o in Omori, ma prosegue comunque con la propria serena e felice scorribanda ruolistica per il bene del proprio divertimento.
Almeno finché non arriva un evento, un’informazione specifica, un’immagine... un vero e proprio “trigger” psicologico che scardina questo equilibrio precario: la cosa attiva una crisi di panico, e fa lentamente cadere le nostre barriere, permettendo alle paure della mente di distorcere ogni elemento. In un certo senso è proprio perché l’elemento horror non è sempre presente che se ne percepisce davvero il peso e il significato: le fasi horror di Omori sono lo specchio della salute mentale di alcuni personaggi del titolo, mentre tutte le altre situazioni rappresentano lo sforzo fatto da quegli individui per non soccombere a queste paure, per non mostrarle e farle pesare sulle persone che hanno vicino. All’interno delle fasi horror, peraltro, il ritmo di gioco cambia talmente tanto che pure il combattimento si stravolge, coinvolgendo nella metamorfosi anche lo stile artistico: gli attacchi non vanno più a segno, il party è raramente formato da più di un personaggio, e le Abilità divengono pratiche di meditazione volte a calmare l’animo. 

I nemici pastellosi del Mondo di Fantasia divengono mostri deformi con sorrisi sguaiati, e l’unica emozione che è possibile provare, ovviamente, è la Paura: si tratta dei momenti più preziosi di Omori, quelli nei quali viene raccontata la sofferenza della mente attraverso la destrutturazione del gioco stesso. La precedente routine, fatta di strategie ordinate e azioni meccaniche, diviene ora un fiume in piena di ordini confusi, che il giocatore impartisce al proprio avatar nel tentativo di affrontare un nemico contro il quale nulla sembra funzionare. Una perfetta rappresentazione degli sforzi spesso vani che si cercano di compiere in autonomia per risolvere una patologia mentale.
Immagino che abbiate intuito il valore del racconto in Omori, ma è il momento di esplicitarlo: narrativamente parlando, l’opera è semplicemente superlativa, e capace di farci affezionare genuinamente ai suoi poliedrici personaggi. Protagonisti e co-protagonisti di Omori non si raccontano solamente attraverso corposi dialoghi, sempre scritti in maniera credibile ed esaustiva, ma anche e soprattutto con il gioco stesso: le ambientazioni parlano di loro, le emozioni durante il combattimento parlano di loro, le interazioni ambientali che possono avere con alcuni elementi del mondo li rappresentano.
I Follow-Up poi, come specificato precedentemente, aiutano a descrivere le interazioni fra i personaggi, e vi dirò di più: avanzando nel gioco e migliorando il rapporto con i propri compagni, anche gli effetti dei Follow-Up cambieranno, facendo evolvere coerentemente il risultato di determinate combo fra due personaggi. Non voglio rovinarvi la sorpresa, pertanto vi lascio solo un piccolo esempio: come detto in precedenza Kel può tirare la palla a Omori, che la mancherà divenendo Triste. Andando più avanti… le cose andranno diversamente, perché il loro rapporto si sarà rinsaldato.
Man mano che le ore di gioco avanzano i personaggi dell’opera si schiudono, e non si mostrano come caricature ma come soggetti complessi e credibili: e inevitabilmente si comincia a empatizzare con loro, a comprenderli o a biasimarli, ad ascoltarli e giudicarli, a trattarli come se fossero delle persone vere. Questi personaggi saranno bidimensionali nella forma, ma sono tridimensionali nel cuore, ed è un pregio che sempre meno videogiochi possono vantarsi di avere.

Nonostante alcuni momenti un po’ troppo diluiti, lenti, che ribattono su concetti ormai già chiari e assodati nella mente del giocatore, Omori ha un merito che pochi videogiochi possono dire di avere: l’armonia tra i vari strati creativi del prodotto è talmente elevata da creare un intreccio nel quale il giocatore si perde con piacere, incapace di distinguere dove inizi il game design e dove questo diventi impianto narrativo. 
Più ci si avvicina alla conclusione, più il team di Omocat prende gusto nel collegare le scoperte più succose alle azioni compiute direttamente dal giocatore, piuttosto che inserirle in dialoghi contenenti spiegazioni da assimilare passivamente: se dovessi spiegare in poche parole perché ho adorato questo titolo, vi direi che Omori è una delle poche opere che non si limita a infilare la sua storia in un gioco, ma la racconta attraverso il gioco. Attraverso gli elementi che più sono caratteristici del videogame, ovvero le meccaniche e l’interazione.
Quella di Omori sarà un’esperienza unica che, al netto di qualche difetto, vi rimarrà per sempre impressa nella mente, e che delinea nuovi standard qualitativi in merito a caratterizzazione dei personaggi e narrazione. È un’opera per certi versi anacronistica, realizzata con un Engine quasi in disuso, e ispirata ad un prodotto – Earthbound - purtroppo meno noto di quanto meriterebbe. Eppure, i sei anni di sviluppo di Omori hanno portato sul mercato un prodotto attualissimo, che di prepotenza si ritaglia un ruolo centrale nel panorama dei giochi di ruolo e degli horror, e insegna a produzioni ben più grandi come raccontare una storia efficace e toccante; una storia capace di accarezzare le nostre emozioni con la delicatezza di un arco che sfiora le corde di un violino.

Pubblicato il: 07/11/2022

Provato su: Nintendo Switch

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40 commenti

Adoro il sito e come lo avete impostato stile quotidiano.
Anche l'articolo bellissimo, mi ha fatto desiderare di recuperare le live con voi così da emozionarmi on vostra compagnia!

Messo in evidenza da RoundTwo

“Nonostante” l’abbia già vissuto e amato in live con Fra e Chiara, questa recensione mi ha riacceso la voglia di giocarmelo per conto mio. Le parole di Cydo mi hanno riportato alla mente le emozioni che questo titolo mi ha generato e la consap …Altro... “Nonostante” l’abbia già vissuto e amato in live con Fra e Chiara, questa recensione mi ha riacceso la voglia di giocarmelo per conto mio. Le parole di Cydo mi hanno riportato alla mente le emozioni che questo titolo mi ha generato e la consapevolezza che sarò in grado di godermelo di nuovo come se fosse la prima volta. Grazie Fra!

Seppur un aspetto secondario (ma forse nemmeno troppo) della recensione non posso non fare i complimenti per l'impaginazione: qua si settano standard davvero elevati!

bellissima recensione di un gioco ancora troppo poco conosciuto, hai raccontato benissimo i vari aspetti del mondo di Omori, un mondo che ho adorato, portandomi a fare molte run per scoprirne tutti segreti.

Omori è un gioco meraviglioso, in cui per me la parte più horror è appunto il conoscere sempre più a fondo i personaggi ed empatizzare con loro sempre di più. L'ansia che sale verso la fine quando sono o potrebbero essere in pericolo è molto al …Altro... Omori è un gioco meraviglioso, in cui per me la parte più horror è appunto il conoscere sempre più a fondo i personaggi ed empatizzare con loro sempre di più. L'ansia che sale verso la fine quando sono o potrebbero essere in pericolo è molto alta e pressante.
Una recensione magnifica e completa, non vedo l'ora dell'intervista a Omocat

Avevo sentito parlare del gioco ma lo avevo lasciato lì, nel "dimenticatoio". Dopo aver letto la recensione del Cydo non posso che giocarmelo!!!

Omori è un grande gioco e con questa recensione hai saputo rendergli onore, poi vabbè, io sono di parte perchè Omocat ha saputo rubarmi il cuore con questa opera, quindi mi fa sempre un grande piacere leggere i pareri altrui su di essa.
Tra l'alt …Altro...
Omori è un grande gioco e con questa recensione hai saputo rendergli onore, poi vabbè, io sono di parte perchè Omocat ha saputo rubarmi il cuore con questa opera, quindi mi fa sempre un grande piacere leggere i pareri altrui su di essa.
Tra l'altro questa è stata la prima recensione di FinalRound che ho letto, attirato appunto dal gioco trattato, però devo dire che si capisce fin da subito il mood che volete dare a questo sito e lo apprezzo molto, spero veramente che con questo progetto possiate ritagliarvi uno spazio in questa industria che tende sempre di più a omologarsi, ma in ogni caso, io credo in voi!

Quanto è stato bello quel periodo di live, quando lo ricordo mi viene subito da sorridere

punti no: la seconda route, vuole level cup che la 1 no. per il resto bene

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