THE BERLIN APARTMENT

Un secolo in una scatola

"Parigi è sempre Parigi; Berlino non è mai Berlino."

- Jack Mathieu Emile Lang

Camminare a Berlino vuole dire camminare in un museo a cielo aperto della storia del Novecento. Le serrande chiuse dei negozi all’inizio degli anni Trenta, segno della crisi economica che portò al potere Adolf Hitler; e poi i bordi taglienti dei vetri rotti durante la Notte dei Cristalli; il primo bombardamento degli inglesi, il 25 agosto 1940, e tanti altri vetri rotti; la battaglia finale per la capitale del Reich, persa contro l’Armata Rossa, e Adolf Hitler che si toglie la vita in un bunker sotto la Cancelleria; il mercato nero che dominava la città dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; la costruzione del Muro; le sbarre dei checkpoint che si sollevano alle 22.30 del 9 novembre 1989: il Muro è caduto; i due sindaci della città che si stringono la mano tre giorni dopo; il parlamento nazionale che torna a Berlino nel 1991. E proprio quell’anno lo storico Eric J. Hobsbawm fissa la fine del secolo breve, il Novecento, stretto tra l’inizio della Prima Guerra Mondiale e il crollo del regime comunista, un secolo denso di eventi, di violenza, di crisi e di crescita, di ineguaglianze, di cambiamenti, di sviluppo tecnologico, di trasformazioni profonde. Un secolo rappresentato da una città che è crocevia di un secolo: Berlino.

La capitale della Germania indossa la sua storia in bella vista e, negli ultimi anni, gli studi di sviluppo di videogiochi che hanno sede in città hanno iniziato a partecipare a una conversazione collettiva che riguarda la memoria di Berlino e, più in generale, il suo travagliato percorso attraverso il Secolo Breve. E spesso lo fanno raccogliendosi in collettivi formati da gruppi di dev indipendenti che condividono gli spazi di lavoro per risparmiare sulle spese e creare network vivaci, in cui è naturale e semplice lo scambio di idee e di professionalità. Il primo di questi collettivi berlinesi è stato Saftladen, che quest’anno compie dieci anni. Dalla fucina di Saftladen sono usciti progetti di rilievo: voglio ricordare Death Trash, attualmente ancora in accesso anticipato, creato da Crafting Legends, ma anche The Fermi Paradox, un videogioco narrativo di fantascienza che si articola nello spazio di migliaia di anni, a opera di Anomaly Games. Ci sono, poi, delle opere che affrontano direttamente il tema della storia tedesca. È il caso di Through the Darkest of Times, videogioco di strategia in cui vestiamo i panni del leader di un gruppo di resistenza al regime nazista nella Berlino del 1933, creato da Paintbucket Games, studio che quest’anno ha pubblicato l’eccellente The Darkest Files, basato sulla vita e sull’attività di Fritz Bauer e del suo gruppo di procuratori che assicurarono una giustizia, seppur tardiva, a tante fra le vittime dei crimini del nazismo.

The Berlin Apartment, quindi, si inserisce in un’ondata evidente: quella di una riflessione sui momenti più bui della storia del Novecento, attuata attraverso il medium del videogioco, che risulta essere un mezzo espressivo privilegiato per soffiare vita tra le pagine polverose dei libri e regalare nuovo corpo a storie vecchie soltanto in apparenza. Perché il nostro tempo tormentato non può di certo definire inattuale il secolo di Berlino, con le sue contraddizioni, le sue resistenze, i suoi arresti drammatici e le ripartenze spettacolari di una città che non è mai rimasta uguale a sé stessa. Il team di Blue Backpack sceglie il racconto interattivo per raccontare storie che spaziano dal 1933 al 1989, inventando soluzioni ludiche semplici, ma sempre nuove, per parlare di vita, di scelte, di speranze. Il gioco si dispiega in un museo a cielo chiuso, un’ambientazione unica, ma al tempo stesso mutevole nel corso dei decenni attraversati: un appartamento berlinese. 

Il tutto è inserito in una cornice narrativa plausibile e molto interessante dal punto di vista ludico. Ci troviamo nel 2020, e l’operaio Malik è incaricato di ristrutturare un vecchio appartamento a Berlino. Porta con sé la figlia piccola, Dilara, di cui vestiamo i panni con visuale in prima persona. Esploriamo l’appartamento, e strappando la vecchia carta da parati troviamo un foglio di carta. Da questo e da altri oggetti rinvenuti nell’appartamento partono le storie dei precedenti inquilini dello stesso, cui di volta in volta passa il testimone di protagonista. The Berlin Apartment può essere completato in poco più di tre ore, ma spalanca la finestra a riflessioni e possibili approfondimenti di durata pressoché infinita. Non mi ero mai chiesta come si vivesse nella Berlino Est all’epoca del Muro; dopo aver giocato The Berlin Apartment, vorrei fare ricerca a riguardo, perché finestre simili forniscono una vista troppo interessante per rinunciare ad affacciarsi e guardare cosa c’è fuori. Una nota importante: il videogioco di Blue Backpack è munito di traduzione italiana. Il che è piuttosto raro per progetti di questa scala. Spero sinceramente che il pubblico nostrano voglia premiare questa iniziativa, anche perché la qualità generale della traduzione è più che buona, con giusto un paio di errori minori al momento della mia prova.

Sono rimasta meno impressionata dal sound design del titolo, che con un po’ d’attenzione in più avrebbe potuto risultare ancora più incisivo e memorabile. Blue Backpack dà il suo meglio dal punto di vista visivo, e questo è evidente anche guardando all’altro progetto in lavorazione nello studio: il metroidvania Constance, che pure arriverà a breve sul mercato. Va anche segnalato che The Berlin Apartment ha ottenuto il bollino verde su Steam Deck, anche se in questo caso ho preferito giocarlo su PC fisso. Per tutto il periodo della mia prova – avvenuta prima dell’uscita effettiva – il team ha continuato ad applicare aggiornamenti per limare vari bug che affliggevano il software. Nel mio caso, ho avuto esperienza di problematiche minori, che ho sempre risolto (al peggio) salvando e ricaricando la partita. 

Parlare del gameplay di The Berlin Apartment rischia di gettare una luce invadente sui colpi di scena ludici del titolo. Basti dire che nel primo episodio tutto è fondato sulla costruzione, e sul lancio, di aeroplanini di carta. In seguito, ci troveremo a fare un Tetris impossibile (e doloroso) che coinvolge l’inserimento di oggetti personali in una valigia. Ma come si fa a mettere una vita intera in una valigia? È possibile portarsela dietro, una vita? O qualcosa inevitabilmente resterà ad aleggiare nei luoghi che abbiamo abitato, come un fantasma ostinato? The Berlin Apartment parla delle chiavi che non vogliamo lasciare indietro, anche se non hanno più una porta da aprire. Parla dell’ultima pellicola di una vecchia macchina fotografica, ci guarda in faccia e ci chiede: che cosa fotograferai? The Berlin Apartment cerca di mettere un intero secolo in una scatola e la consegna con fiducia al giocatore. Di certo non colpirà chi cerca dal videogioco soltanto azione; risulterà indimenticabile, credo, più o meno per tutti gli altri. Il videogioco di Blue Backpack è testimonianza della vivacità della scena tedesca – che, non a caso, ha coltivato per anni la Games Convention di Lipsia prima, e la Gamescom di Colonia poi, dedicando sempre grande attenzione al mondo dei videogiochi indipendenti – e dell’importanza di guardare al nostro passato per costruire un futuro che, si spera, possa essere migliore. Ho riflettuto a lungo sul finale di The Berlin Apartment e sulle sue interpretazioni possibili. Ho concluso che l’ultimo gesto di Malik e Dilara è un passaggio di testimone silenzioso e fiducioso verso chi verrà dopo di noi. Perché, nonostante tutto, Berlino ha continuato a sperare. Rimboccandosi le maniche. Ed è un grande esempio per tutti noi.

Pubblicato il: 14/11/2025

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