COCOON
Una fantasmagorica meraviglia aliena
Non è facile trovare un elemento di Cocoon davvero capace di emergere al di sopra di tutti gli altri, tanta e tale è l’eccellenza a trecentosessanta gradi dell’opera prima dei Danesi di Geometric Interactive – team di Copenhagen capitanato da quel Jeppe Carlsen già Lead Gameplay Designer di Limbo e Inside, fuoriuscito da Playdead con una sorte evidentemente più fortunata di quella toccata a Dino Patti e al suo discutibile Somerville (se ne è parlato ampiamente proprio nella recensione di Somerville). Certo, la tentazione sarebbe di focalizzarsi su un’idea poderosamente evocativa come quella di un grappolo di mondi racchiusi uno dentro all’altro, con un effetto ricorsivo che aveva lasciato a bocca aperta sin dal maestoso trailer di annuncio visto durante la conferenza Xbox del 2022. Un concept geniale che non solo riesce a distinguersi sempre e comunque nell’arco delle quattro/cinque ore necessarie a portare a termine l’avventura di un silente insettino antropomorfo, ma che con originalità e freschezza regge quasi interamente il gameplay con continue e brillanti variazioni sul tema.
Eppure, a ben vedere, Cocoon dimostra di essere un’opera strepitosamente rifinita in ciascuna delle sue componenti. Spesso in maniera quasi subliminale, con una poetica di sottrazione e di esaltazione del minimalismo che funziona così alla perfezione da non farsi nemmeno notare, come se in qualche modo il gioco riuscisse ad interfacciarsi direttamente con alcune aree del nostro cervello senza bisogno di spiegazioni o superflue sovrastrutture. Poco dunque importa che ci si riferisca a uno degli stimolanti enigmi ambientali o al fatto che tutto risulti così poderosamente autoesplicativo (al punto da non necessitare di una singola riga di testo o di qualsiasi indicazione riguardo agli elementi dello scenario con cui è possibile interagire): Carlsen e il resto dello studio sono stati in grado di dare forma a un manifesto di design a tutto tondo che meriterebbe lodi ed approfondimenti in egual misura, in un tripudio di ammalianti suggestioni audiovisive che ti capultano in uno sfuggente panorama alieno.
Non è dato sapere proprio nulla del contesto, e sono soddisfatto della scelta: si emerge da un bozzolo biomeccanico irrorato da una scarica di energia miracolosamente discesa dal cielo, una sorta di utero sintetico che genera una vita che è puro istinto, sul modello di quella degli animali. Come anticipato, non serve spiegare o aggiungere nulla: da lì in poi si esiste e basta, ed è sufficiente la consapevolezza del mondo attorno a te per guidarti e farti interagire con elementi figli di un’ingegneria meravigliosamente extraterrestre fatta di strane membrane, di tendini usati come leve e di interruttori attivabili prendendo il controllo di gasteropodi più o meno senzienti. L’esplorazione è rigorosamente lineare eppure piacevolissima anche grazie al ritmo ben cadenzato – si segnala giusto una timida apertura legata alla scoperta di antiche statue che fungono da collezionabili, in verità comunque mai troppo nascoste – ed è la risoluzione dei vari puzzle a permettere di attraversare gli stessi scenari secondo una progressione prestabilita.
Doverosa in questo senso una parentesi sugli enigmi, evidente fulcro di un’esperienza stimolante ma non studiata per mettere a prescindere in difficoltà il giocatore. Intendiamoci: capita eccome di rimanere bloccati e di scervellarsi per qualche minuto al cospetto di un passaggio meno scontato del resto, eppure Cocoon non vuole mai trasformarsi in una crudele sfida spacca-cervello in stile The Witness. Il merito è da attribuire anche alla strabiliante gestione degli spazi, con le varie aree che in qualche modo confinano in maniera estremamente naturale (ma mai banale!) l’utente proprio lì dove deve rimanere, per permettergli di arrivare a una soluzione che è sempre lì di fronte ai suoi occhi. Quasi sempre non è infatti una questione di destrezza, di incastri giusti o di riflessi fulminei: per andare avanti occorre guardarsi attorno, ricorrere al pensiero laterale, immaginare di poter fare una cosa esasperando un po’ le regole prestabilite e andando un filo fuori dagli schemi. Perché in Cocoon tutto è minuziosamente studiato e niente è davvero superfluo, se non gli elementi sfuocati sullo sfondo che testimoniano l’esistenza di un universo titanico che vive al di là di noi, una macchina perfetta in un contesto in cui meccanico e biologico si fondono in un tripudio di colori e riflessi misteriosi.
E insomma non è un caso che poi, una volta arrivati alla risoluzione del puzzle, il senso di soddisfazione ed appagamento sia poderoso. Spiega sull’argomento lo stesso Carlsen su Twitter: “quando ho smesso di chiedermi se un certo enigma fosse abbastanza difficile e ho iniziato a domandarmi se fosse abbastanza stimolante, allora Cocoon è diventato un gioco molto migliore. Alcuni puzzle sono cose da far scoppiare la testa, altri servono solo e soltanto a connetterti al mondo”. Un‘alternanza che esalta ed appaga in un crescendo che sul finale non si limita all’idea di innestare un mondo/biglia dentro a un altro mondo/biglia – sfruttando nel frattempo le peculiarità in stile power up di ciascuna dimensione – ma che al contrario eleva la ricorsività ad un paradosso vagamente escheriano.
In un viaggio in cui neppure esiste il concetto di game over, sul cammino si andranno anche ad incontrare alcuni boss: in quelle occasioni Cocoon si apre a meccaniche più tradizionali, con scontri alla Zelda all’insegna di un’azione gustosamente old school e con la giusta dose di trial & error. È probabilmente lì che emerge nel pieno della sua forza la strabiliante atmosfera aliena delinata da Geometric Interactive: le creature con cui si interagisce ricordano bizzarre degenerazioni di organismi terrestri a metà fra insetti e stelle marine, andando a completare un quadro mozzafiato fatto di scenari molto diversi tra loro, che con un’estetica lowpoly spaziano da aridi canyon a lividi recessi organici. Una commistione mozzafiato di infinitesimale e gigantesco, messa in scena con innegabile eleganza dal punto di vista della regia e del sapiente uso di effetti particellari che si accompagnano ad animazioni a dir poco eccellenti. Un autentico trionfo per gli occhi che viene portato a un livello ulteriore dal magistrale lavoro in termini di audio design, vista e considerata la centralità assoluta di una colonna sonora fatta di stranianti suggestioni sintetiche, di eco abissali e di riverberi di un universo evidentemente diverso dal nostro.
Insomma, gli oltre sei anni di lavoro investiti sul progetto si vedono proprio tutti: la cura riposta in ogni singolo elemento di Cocoon è non solo degna delle più grandi produzioni AAA ma addirittura maniacale, e non è affatto un caso che questo fugace scorcio su una dimensione extraterrestre (anzi su molteplici!) riesca a coinvolgere e ad arrivare così nel profondo, quasi imponendo di giungere alla conclusione entro pochissime sessioni ultra intense. Forse qualcuno potrebbe sentire la mancanza di una componente narrativa un filo più strutturata, a maggior ragione alla luce di un epilogo piuttosto criptico: in realtà credo che l’interesse del team fosse deliberatamente orientato su altro, in primis su un’anima puzzle che per originalità ed ispirazione lascia davvero il segno e differenzia questa folgorante opera prima da qualsiasi altro gioco. Perdersi un capolavoro del genere, peraltro disponibile pressoché ovunque e addirittura incluso nel catalogo Game Pass, sarebbe una colpa imperdonabile:
In un’epoca in cui tutto si appiattisce e si assomiglia indistintamente, lasciatevi cullare da un incantevole bozzolo.
FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128