BAYONETTA ORIGINS
una fiaba
a metà
Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon è spuntato letteralmente dal nulla, inatteso ed estemporaneo come soltanto le migliori sorprese riescono ad essere. Nessuno del resto si sarebbe aspettato un ritorno sulle scene della fattucchiera simbolo di PlatinumGames a così breve distanza dalla pubblicazione del terzo capitolo (a proposito, se volete saperne di più eccovi la recensione di Bayonetta 3), a maggior ragione con simili modalità espressive. E invece, durante i The Game Awards dello scorso dicembre, abbiamo assistito al proverbiale fulmine a ciel sereno: dopo essersi fatta colpevolmente attendere più del previsto – a causa di uno sviluppo alquanto travagliato dell'ultimo episodio – la sexy incantatrice nata sotto etichetta SEGA ha calato un estemporaneo bis, con uno spin off annunciato e pronto a debuttare sugli schermi nell'arco di appena tre mesi.
Prima di cominciare a trattare di Bayonetta Origins occorre però sgomberare subito il campo da un equivoco che pare sempre serpeggiare in maniera un po' implicita: a prescindere dalla natura di progetto parallelo a cui hanno lavorato tantissimi giovani designer (basti citare che il fatto che il Game Director, Abebe Tinari, abbia appena trentadue anni e sia al suo esordio assoluto in un ruolo così prestigioso...), Cereza and the Lost Demon non è affatto una produzione di poco conto, o peggio un sovrapprezzato “giochino” povero di contenuti nato con in mente in primis il Nintendo eShop. Certo, la peculiare estetica da libro per bambini forse non aiuta a scrollarsi di dosso questa erronea impressione, eppure bastano giusto le prime battute di un'avventura della durata di una dozzina di ore per rendersi conto di quanto questo prequel non sia in realtà necessariamente un esperimento in tono minore, quanto piuttosto una digressione anche coraggiosa verso territori ad oggi inesplorati dal franchise.
Fatta questa premessa credo sia impossibile non soffermarsi proprio sull'aspetto di Bayonetta Origins che, volenti o nolenti, è almeno all'inizio destinato a calamitare le attenzioni di chiunque: il già citato look fiabesco a base di colori intensi e design fortemente stilizzati, con un insolito rendering che enfatizza l'anima volutamente figurativa di un'opera tanto espressiva quanto lontanissima dal materiale di origine. L'ultima creatura di PlatinumGames si presenta infatti come un vero e proprio libro illustrato che, pagina dopo pagina, disvela un toccante (ma a volte un po' banale) racconto di formazione, con tanto di immancabile narratrice dall'intonazione deliziosamente British e piacevoli intermezzi acquarellati. È innegabile che il risultato lasci il segno, risultando un gioco fortemente riconoscibile e con una personalità tutta sua, anche se ci sono diverse considerazioni più approfondite da fare.
La prima è che il principale pregio delle vicissitudini di questa strega ante litteram finisce per essere anche un suo paradossale limite, dal momento che la direzione artistica sembra via via perdere quella poderosa incisività iniziale, amalgamandosi su se stessa nel corso dell'avventura fino a risultare addirittura abbastanza monocorde. Insomma, un effetto sorpresa incapace di alimentarsi a dovere, peraltro poco sostenuto sia da una narrazione dai ritmi soporiferi che dall'incapacità di creare percepibili variazioni sul tema perché gli scenari finiscono per assomigliarsi a livello di suggestioni, di texture e di mood. La seconda è che i punti di contatto con Bayonetta e con tutto ciò che nel tempo abbiamo istintivamente imparato ad affiancare all'IP partorita dalla fervida immaginazione di Hideki Kamiya appaiono davvero debolissimi. Inutile girarci troppo attorno: dal discutibile design dei nemici allo stile delle ambientazioni, Cereza and the Lost Demons sembra un parente molto più stretto di Alice nel Paese delle Meraviglie che non della saga a marchio SEGA, e l'impressione generale è quella di un opera a cui sia stato affibbiato il nome di un franchise di culto più per esigenze e opportunità di marketing per lo studio che non per una concreta appartenenza al bizzarro universo di Gomorrah e Rodin.
Una scelta controversa, in cui coesistono indistintamente dosi rilevanti di faccia tosta e paraculaggine, che si riverbera con ulteriore forza in termini di puro gameplay. Perché a livello ludico Origins prende le distanze dall'acclamata essenza stylish-action della saga, per abbracciare un'idea di avventura a base di enigmi ed esplorazione “a due vie” molto diversa da quel che ci si potrebbe aspettare dalla Strega di Umbra: un'anima paragonabilissima a quanto visto nel 2013 in Brothers: a Tale of Two Sons, il titolo di esordio di quel Josef Fares che avrebbe trovato la gloria nel tempo con It Takes Two.
Intendiamoci bene: questa discrepanza concettuale con la serie non sarebbe di per sé da condannare, e anzi al contrario potrebbe essere considerata uno spunto particolarmente degno di nota. Purtroppo però il condizionale è d'obbligo, in quanto le interessanti premesse iniziali rimangono tali
a fronte di un titolo che non riesce mai a innescarsi come dovrebbe, finendo per risultare poco appetibile sia per i fan storici che per un pubblico di nuovi arrivati. Il vero e indiscutibile fiore all'occhiello della produzione è senza dubbio rappresentato dall'eccellente level design: la foresta di Avalon si dimostra un intricato dedalo di aree squisitamente interconnesse tra loro, con ramificazioni che si estendono su più piani ed aree che si aprono mano a mano, una volta raccolti i quattro poteri elementali del demone Cheshire. L'effetto è un po' quello di una progressione in stile metroidvania, col backtracking sempre premiato da un collezionabile in precedenza inaccessibile, ma anche dello spaesamento e della successiva sensazione di familiarità ricorrente tipico dei Souls. In questo senso gli sforzi di PlatinumGames sono di finissima fattura, e Bayonetta Origins tiene gagliardamente botta dall'inizio alla fine.
Lo stesso non si può invece sostenere né per i puzzle né per il combattimento: se infatti sulle prime le componenti sembrano avere il tiro giusto, già nel medio periodo entrambe finiscono per sgonfiarsi a causa di una profondità limitata e soprattutto di una colpevole ripetitività. Un vero peccato, perché l'idea di un'azione duale e asimmetrica sarebbe di per sé parecchio intrigante sia in termini di controllo che di possibilità di gioco, con il Joy-Con sinistro adibito a Cereza e alle sue innate facoltà da incantatrice e quello destro preposto a governare l'infernale gattaccio Cheshire – ovvero la metà più violenta e fisica del duo. Nei duelli, la totale rinuncia a un sistema di votazioni e un basso livello di sfida generale rendono tuttavia gli scontri telefonati e poco entusiasmanti, specie durante la seconda metà dell'avventura: non bastano dunque le già citate quattro polarità elementali del demoniaco felino di pezza a dare la giusta dose di imprevedibilità alle arene che si trovano (purtroppo sempre desolantemente uguali a se stesse) nei cosiddetti Tír na nÓg, ovvero le zone ultraterrene pulsanti di luce bluastra che identificano le prove speciali disseminate qua e là. E a poco servono anche le timide aperture alla parte più puramente a enigmi o di destrezza, che a dispetto di qualche buona soluzione non trovano mai un compimento davvero soddisfacente a lungo andare.
In definitiva, Cereza and the Lost Demon può essere descritto come un excursus da prendere in considerazione magari a un prezzo ridotto, ma anche e forse soprattutto come una significativa occasione sprecata: un insieme di idee sulla carta niente male, che sfortunatamente finisce per affossarsi sotto il peso delle sue stesse ambizioni. In questo senso per assurdo forse la formula da prodotto “tradizionale” non solo non ha aiutato granché Bayonetta Origins, ma addirittura lo ha paradossalmente frenato: un gioco più breve e diretto - venduto a una cifra minore - sarebbe risultato decisamente più accattivante e più a fuoco. Senza compromettere in nessun modo il fascino figurativo di una fiaba dai toni delicati, e anzi trovando il giusto contraltare nei suoi ritmi blandi – che invece annacquano non poco un'esperienza così prolungata, affossandola ulteriormente. Il sortilegio di PlatinumGames stavolta è insomma molto meno ammaliante del previsto.
Provaci ancora, Cereza!
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