LIKE A DRAGON

ISHIN!

La triste ballata del revolver e della katana

8 Luglio 1853. Quattro imbarcazioni americane comandate dal commodoro Matthew Perry forzano l’embargo giapponese e attraccano nel porto di Uraga, nella baia di Tokyo. Sono la Mississipi, la Plymouth, la Saratoga e la Susquehanna o, come le chiamano i giapponesi terrorizzati dalla loro imponenza, le Kuro Fune (letteralmente Navi Nere, per via del colore delle fiancate ingrassate con la pece), e la loro presenza in Giappone ha gettato il paese nel caos più totale. Da tre secoli il Giappone è sotto il controllo del clan Tokugawa, che ha tolto il potere all’imperatore e governa una società fortemente gerarchizzata seguendo una politica ultra-isolazionista. Le Kuro Fune sono un affronto all’autorità del bakufu (altro nome dello shogunato) e portarono il popolo giapponese ad un inedito confronto con la cultura occidentale. Da un lato rappresentano l’arroganza del colonialismo americano, ma dall’altro scatenano una profonda rivoluzione culturale che vede nel governo dei Tokugawa un apparato statale iniquo e arretrato. Il paese si spacca in due fazioni, una tradizionalista a sostegno del bakufu dei Tokugawa e una che vorrebbe reinstaurare il potere dell’imperatore e spazzar via lo shogunato per mettere fine alla divisione in classi sociali, per promuovere l’uguaglianza e per aprirsi definitivamente agli scambi commerciali e culturali con l’estero.

Like a Dragon: Ishin! parte da quello che è uno degli eventi più importanti dell’intera cronistoria del Giappone (motivo per cui, probabilmente, Sega decise di non localizzare l’originale) per raccontare questo cambiamento dall’interno delle sue fazioni, e lo fa raccontando le gesta di due uomini chiave per le sorti del paese. 

Da un lato c’è Sakamoto Ryoma, samurai del dominio di Tosa e rappresentante del partito dei lealisti a supporto dell’imperatore in lotta per l’uguaglianza; dall’altro c’è Saito Hajime, capitano della milizia della Shinsengumi, una speciale forza di polizia istituita dal bakufu per mettere in ginocchio i lealisti. Ryoma si riunisce al fratello Takeshi Hanpeita, leader del partito lealista, dopo aver studiato l’arte della spada a Tokyo ma è costretto a scappare per mettersi sulle tracce del misterioso assassino del padre; Saito si unisce alla Shinsengumi e diventa capitano della terza compagnia, che guida in battaglia contro i nemici dei Tokugawa per tenere alto l’onore di Isami Kondo, fondatore della milizia e pensatore a favore del bakufu. C’è però un problema difficilissimo da aggirare e che costituisce l’ossatura su cui si fonda tutto l’intreccio narrativo di Like a Dragon: Ishin!

Sakamoto Ryoma e Saito Hajime sono la stessa persona.

Parlando dell’approccio di Ryu Ga Gotoku Studio alla creazione dei vari capitoli di Like a Dragon (serie conosciuta fino a poco fa in occidente come Yakuza), il direttore del team Masayoshi Yokoyama ha sottolineato che l’intento narrativo della serie non è mai stato quello di raccontare i clan mafiosi del Giappone. L’obiettivo di RGG Studio è quello di raccontare persone che si trovano spesso in situazioni di vita o di morte e di analizzarle per poterne raccontare le emozioni e i sentimenti. È una descrizione con cui mi trovo profondamente d’accordo ma che mi rendo conto sia difficile da veicolare quando, alla base, i Like a Dragon sono sempre stati videogiochi ambientati nel mondo della yakuza giapponese e, in generale, delle mafie dell’Asia. Nella mia retrospettiva su Yakuza, peraltro, ho parlato di come uno dei temi principali della serie è sempre stato il cambiamento, inteso sia come cambiamento personale dei suoi protagonisti sia come stravolgimento dei contesti culturali in cui si muovono.

Ecco, Like a Dragon: Ishin! è forse il punto d’incontro perfetto fra queste due differenti declinazioni tematiche della serie, e arriva in un momento topico per quella che è la sua evoluzione. Yokoyama si è infatti ritrovato alla guida di un team che sta attraversando un periodo che è contemporaneamente il migliore e quello più traballante della sua storia, che da un lato ha finalmente fatto breccia in occidente generando incassi non indifferenti per Sega ma che dall’altro deve fare i conti con l’abbandono di Toshiro Nagoshi, fondatore del team ed ex Chief Creative Officer di Sega, e di Daisuke Saito, storico director e produttore del team.

"Our studio's main objective is not to depict Japanese Yakuza,
it is to depict people who are in positions where they are more likely to experience life-or-death situations.
This enables us to explore fundamental human emotions and drama."

- Masayoshi Yokoyama (via Gamesradar)

Like a Dragon: Ishin! è il remake di quel Ryu Ga Goyoku: Ishin! mai uscito dai confini giapponesi e relegato allo status di esclusiva nipponica per una generazione intera. L’Ishin originale, peraltro, è uno dei capitoli più importanti per l’evoluzione della serie perché, nonostante sia a tutti gli effetti uno spin-off di ambientazione storica e non trovi posto nella continuity di Yakuza/Like a Dragon, fu il primo banco di prova per quelle che da Yakuza 0 in poi sarebbero diventate delle caratteristiche identitarie del franchise. Ishin, che in Giappone fu addirittura parte della line-up di lancio di PlayStation 4, introdusse per primo la possibilità di adottare diversi stili di combattimento in battaglia poi integrata all’interno di Yakuza 0 e dei due Kiwami. Fu un cambiamento solo all’apparenza di poco conto, ma trasformò per sempre il feeling della serie e, soprattutto, fece invecchiare in un istante tutti i vecchi titoli del franchise.

ll gioco è costruito secondo gli stessi principi di certi manga di Osamu Tezuka, che era solito riutilizzare i design dei suoi personaggi più famosi in opere differenti usandoli quasi come se fossero delle maschere teatrali a cui affidare nuove identità. Ryoma ha infatti il volto e la voce di Kiryu, Soji è una trasposizione feudale di Goro Majima (tant’è che viene chiamato “il cane pazzo di Mibu”) e tutti gli altri personaggi condividono le fattezze e i tratti caratteriali dei loro omologhi presi dalla serie principale.

Ishin parla di cambiamento e dello scontro ideologico di due correnti di pensiero inconciliabili tra loro, e lo fa sfruttando a fondo il tema del doppio come artificio narrativo ricorrente. Due sono le identità del protagonista, due le figure paterne che finisce per seguire nel corso della sua avventura, due gli ideali che abbraccia nel tempo esaltandone contemporaneamente pregi e difetti. L’obiettivo dichiarato è quello di dimostrare come il mondo, la vita e la storia non siano mai solamente o bianchi o neri, ma che ciò che conta è saper apprezzare le sfumature che  stanno nel mezzo. Purtroppo tutto questo passa per una scrittura che in certi passaggi si rivela leggermente imprecisa nel descrivere i cambiamenti che si attuano nella visione di Ryoma nei confronti dei due schieramenti di cui è parte. Alcune risoluzioni narrative sono infatti un po’ troppo frettolose e mi hanno lasciato un po’ interdetto, nonostante la messa in scena di alcuni di quei momenti sia a conti fatti elegantissima. Mi riferisco nello specifico nel rapporto che si viene a creare tra Ryoma e le alte sfere della Shinsengumi, descritta inizialmente come un covo di lupi famelici assetati di violenza e incapaci di immaginare un Giappone differente da quello in cui vivono, poi però inquadrata a suo modo come una forza rivoluzionaria intenzionata a cambiare lo scenario politico e sociale del paese. Mi mancano sicuramente degli strumenti culturali (non sono giapponese e non conosco così a fondo la storia dell’arcipelago) per potermi esprimere in maniera definitiva, ma ho avuto come l’impressione che Ishin alla fine non volesse scontentare nessuno e che portasse acqua al mulino di entrambe le fazioni per evitare di dover dare un giudizio netto sui lealisti o sui sostenitori del bakufu.

"Ah, Tosa... non manchi mai d'irritarmi"

 - Sakamoto Ryoma

C’è un altro esempio di dualismo su cui credo valga la pena soffermarsi ulteriormente. La duplice anima di Ishin si palesa infatti anche nello scontro, non solo ideologico, tra il passato e il presente del Giappone. L’elemento cardine di questa spaccatura sono, nello specifico, le armi con cui si scende in battaglia. Il Giappone non ha mai abbandonato del tutto la profonda ammirazione per la figura del samurai - tant’è che anche oggi la Yakuza moderna tenta di rifarsi all’immagine dei samurai dell’epoca feudale - e ha celebrato spesso e volentieri il combattimento tra due spadaccini con Katana e Wakizashi come l’unica forma di scontro onorevole tra quelli possibili. Gli americani che scesero dalle navi nere, però, portarono a Tokyo anche i loro revolver, scatenando nella patria del sol levante la curiosità per quelle armi e la corsa all’ammodernamento del proprio arsenale bellico. I samurai si dimostrano esplicitamente contrari alle armi da fuoco, giudicate strumenti da vigliacchi proprio in virtù del fatto che con un revolver è possibile uccidere l’avversario senza mai doversi misurare in una prova di forza e abilità. Eppure, per dirla come la direbbe Sergio Leone, quando un uomo con la katana incontra un uomo con la pistola, l’uomo con la katana è un uomo morto. La spada ricurva è il simbolo della grande tradizione giapponese, il revolver la rappresentazione dell’invasione straniera e della minaccia che questa pone nei confronti della cultura del paese.

Non è un caso, quindi, che Sakamoto Ryoma, uomo dei due mondi in perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione, combatta con la katana nella mano destra e il revolver nella sinistra. Usare la spada richiede pazienza e uno studio attento dei movimenti dell’avversario, ma offre grande stabilità e la possibilità di deviare i colpi nemici; affidarsi alla pistola pone in una posizione di vantaggio data dal poter colpire da una distanza ben maggiore di quella che può essere coperta con un semplice fendente, risultando però di fatto lo stile di combattimento più piatto e meno soddisfacente di tutti. Forse non è un caso neanche il fatto che lo stile di combattimento a cui mi sono affidato maggiormente sia proprio quello della Danza Folle, che prevede per l’appunto l’uso di entrambe le armi in un turbinio di fendenti e proiettili scaricati sul nemico all’interno di combo agili, rapide ed elegantissime. È uno stile che funziona benissimo soprattutto nelle situazioni con tanti nemici a schermo, tanto che in certi momenti più concitati (nello specifico durante l’assalto a un castello) ho avuto proprio l’impressione di essere all’interno di una vera e propria orgia di spade e coltelli.

Ishin è un buon remake e la sua esistenza colma finalmente una grande lacuna per il mercato occidentale, però va detto che la sua natura di spin-off è abbastanza percepibile anche in questa sua nuova veste. Ammetto che la chiara impressione che ho avuto è stata quella di essere di fronte ad un titolo che, nell’economia della serie, viene percepito dallo stesso RGG Studio come un prodotto di media fascia e non come il vero focus dell’offerta futura. È abbastanza naturale pensare che energie e denaro saranno investiti maggiormente su Like a Dragon 8, in arrivo nel 2024, e in parte anche su Like a Dragon Gaiden: The Man Who Erased His Name, che farà da ponte tra la saga di Kiryu e quella di Ichiban. Nonostante questo, però, Ishin mostra il fianco a qualche debolezza di troppo sulla pulizia del codice, che un po’ troppo spesso presenta qualche glitch, soprattutto per quanto riguarda gli NPC che abitano Kyoto che si incastrano tra di loro o si trovano intenti a correre contro muri e oggetti di scena. Nessuno ha mai richiesto ai Like a Dragon di essere capolavori della tecnica, beninteso, però in questo caso a risentirne è la credibilità dell’ambiente virtuale di Kyoto, che tra aree decisamente troppo vuote e problemini sparpagliati qua e là sfigura nel confronto con Kamurocho, Ijincho e buona parte degli ambienti storici della serie.

In definitiva Like a Dragon: Ishin! è un’aggiunta più che gradita ad una serie che, tra spin-off e mainline, conta ormai quasi una ventina di capitoli (non tutti disponibili al di fuori del Giappone) e che mai come negli ultimi anni ha guadagnato consensi anche da questa parte del mondo. È bello vedere che Sega ha saputo cogliere - seppur in estremo ritardo - le richieste del pubblico e abbia iniziato a localizzare non solo in inglese ma anche in italiano opere che fino a pochi anni fa sarebbero state rinchiuse dietro barriere linguistiche. In questo senso ho apprezzato davvero tantissimo l’idea di aggiungere un glossario in game che potesse fornire traduzioni di termini giapponesi e qualche breve spiegazione sul contesto storico, peccato però che la quantità di termini inseriti al suo interno sia davvero esigua e siano stati ignorati parole e concetti molto complessi e generalmente sconosciuti al pubblico medio. Questa poca cura dei dettagli riassume, secondo me, perfettamente la natura di Ishin, che è sicuramente un'opera apprezzabilissima ma che in certi suoi aspetti soffre un po’ la superficialità con cui si è deciso di rimettere mano all’opera originale. Quindi grazie RGG Studio e grazie Sega di aver finalmente incluso anche noi gaijin in quello strano mondo che sono gli spin-off storici di Like a Dragon, però è un peccato che si sia sprecata l'occasione di poter ammodernare realmente un'opera che avrebbe meritato un lifting più aggressivo in certi suoi aspetti. Si poteva, forse, fare qualcosina in più.

Pubblicato il: 16/02/2023

Provato su: PlayStation 5

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16 commenti

Recensione meravigliosa; grazie !

Inconfondibile la penna del Sorichetti! Come racconta lui la saga di Like a Dragon non ho letto mai da nessun’altra parte

bell'articolo, mai giocato un titolo della serie. Ora ho supervoglia. Grazie!

Sorichetti ormai è socio di maggioranza ahah

Qua la qualità cresce ad ogni articolo. E il piacere di leggere un buon contenuto senza trovare quel maledetto numero in fondo con i beceri commenti che ne conseguono.

Piccola correzione nel paragrafo che parla del aggiunta dello style switching, Kiwami 2 non lo aveva e non sono menzionati Judgment e Lost Judgment che invece lo implementano. Per il resto ottima recensione, non vedo l'ora di mettere le mani su Ishin …Altro... Piccola correzione nel paragrafo che parla del aggiunta dello style switching, Kiwami 2 non lo aveva e non sono menzionati Judgment e Lost Judgment che invece lo implementano. Per il resto ottima recensione, non vedo l'ora di mettere le mani su Ishin.

Da grande fan della saga non vedevo l’ora di poter giocare uno degli spin off ambientai nel Giappone antico, sicuramente non sarà un gioco storico, ma più che in ogni capitolo della saga è la trama ad affascinarmi ed attrarmi curioso di vedere q …Altro... Da grande fan della saga non vedevo l’ora di poter giocare uno degli spin off ambientai nel Giappone antico, sicuramente non sarà un gioco storico, ma più che in ogni capitolo della saga è la trama ad affascinarmi ed attrarmi curioso di vedere questo scontro di culture

Madonna ragazzi ma che immagino avete scelto? Bellissime! Aspettavo con ansia la recensione su questo titolo. Grazie a gamepass ho provato questa saga partendo da Kiwami e me ne sono innamorato, tanto da riuscire a giocarmi 4-5-6-7 uno di fila all'al …Altro... Madonna ragazzi ma che immagino avete scelto? Bellissime! Aspettavo con ansia la recensione su questo titolo. Grazie a gamepass ho provato questa saga partendo da Kiwami e me ne sono innamorato, tanto da riuscire a giocarmi 4-5-6-7 uno di fila all'altro (cosa incredibile per me). ishin era il titolo che più aspettavo quest'anno.
Spiace leggere di alcuni difetti del titolo ma amen, lo giocherò comunque.
Complimenti per la rece e l'impaginazione però!

Vale la pena leggere queste recensioni anche solo per godersi l'impaginazione, questa di Isshin è forse la più bella che avete fatto fino ad ora.
Peccato che alla fine il gioco lo abbiano lasciato culturalmente così chiuso trattandolo come una s …Altro...
Vale la pena leggere queste recensioni anche solo per godersi l'impaginazione, questa di Isshin è forse la più bella che avete fatto fino ad ora.
Peccato che alla fine il gioco lo abbiano lasciato culturalmente così chiuso trattandolo come una semplice reskin degli Yakuza classici, avrebbe meritato un approfondimento migliore.
In definitiva mi sembra di capire che Isshin sia un gioco più che valido nel complesso ma sia stato ripubblicato in modo un po' pigro e forse nemmeno troppo convinto, è un peccato ma resta comunque una bella esperienza per chi non lo ha mai giocato prima.

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