LA CALMA DOPO LA TEMPESTA

Qualche riflessione sullo stato dell'industria dopo le celebrazioni della Summer Game Fest

Mentre dal finestrino dell’Uber che mi stava riportando in aeroporto osservavo malinconicamente lo skyline di Los Angeles sprofondare dietro l’orizzonte non ho potuto che lasciarmi andare ad una riflessione finale su questa Summer Game Fest. Il vero valore di questi eventi, dopotutto, è proprio il fatto che si configurano come dei checkpoint utili a raccontare lo stato delle cose, e credo che di cose da dire ce ne siano parecchie. È stata in assoluto la mia prima volta in California, e come ho giá detto nell’articolo sull’evento inaugurale della Summer Game Fest 2024 essere fisicamente presente nella sede dei Play Days ha sicuramente alterato la mia personalissima percezione di tutta la kermesse losangelina, ma se avessi seguito l’evento da casa collegandomi in piena notte a seguire tutte le presentazioni digitali che messaggio avrei carpito da questa estate del videoludo?Ho aspettato che anche Nintendo si pronunciasse con il suo Direct prima di trarre le mie conclusioni, ma nonostante abbia apprezzato molto più del previsto l’evento che in teoria doveva servire a salutare una volta per tutte Switch in vista della prossima console il mio pensiero non è cambiato. 

Le ultime settimane mi hanno portato infatti a due conclusioni apparentemente agli antipodi ma che secondo me sono in realtá le due facce della stessa medaglia: l’industria è nel pieno di una crisi di sovrapproduzione mostruosa e, contemporaneamente, non vede l’ora di rilanciarsi. Partirei da un dato secondo me significativo: durante le celebrazioni della Summer Game Fest, accorpando tra loro tutti gli eventi digitali che hanno dirottato l’attenzione sul pubblico in concomitanza dell’evento di Geoff Keighley, sono stati presentati circa SEICENTO videogiochi. Durante l’E3 del 2016 (che tracciò la rotta per quel 2017 che è stato, non solo secondo me, uno degli anni più significativi per la storia del gaming) le presentazioni totali furono “solo” centocinquanta. Lo squilibrio è enorme, ed è dovuto al fatto che da quando i costi esorbitanti dell’E3 e gli impedimenti della pandemia ci hanno definitivamente traghettato verso l’epoca delle presentazioni digitali l’offerta si è frammentata enormemente, portando sempre più entità a voler organizzare le loro convention da remoto per parlare ad un pubblico mai così vasto. Questo ha portato ad una fame di visibilità difficile da saziare, perché in un panorama che si è affollato alla velocità della luce attrarre pubblico e investitori è diventato complessissimo. La risposta che un po` tutti hanno dato al problema è stata quella di flettere i muscoli e far parlare i numeri, arrivando ogni anno ad avere eventi in cui venivano presentati sempre più titoli. Ogni anno è quello della conferenza X più grande di sempre, insomma.

Il risultato è un minestrone di annunci spesso ridondante e asfissiante, in cui vengono sbrodolati a schermo trailer e annunci alla velocità della luce che finiscono per sovrapporsi e sovrascriversi l’un l’altro nella mente degli spettatori. Facciamo un gioco: provate ad elencare dieci titoli tra quelli presentati dentro al Future Games Show, al Guerrilla Collective o al Wholesome Direct e vedrete che farete fatica a venirne a capo senza sbirciare in rete. Il problema è la quantità enorme di riempitivi di scarso richiamo che vengono inseriti all’interno delle line up delle conferenze per gonfiare i numeri e dare l’impressione che vada tutto bene. Non è un caso che anche Geoff Keighley si sia speso per celebrare il talento degli sviluppatori indipendenti: l’industria dei videogiochi AAA si è impantanata e necessita di tempi estremamente dilatati per rimettersi in moto in maniera convincente, quindi si tappa il vuoto con della carne da cannone che serve principalmente a fare numero in attesa che gli ingranaggi dei grandi tornino a girare. Anche perché sembra che facciamo finta di ignorarlo, ma per quanto di valore sia il concetto stesso di videogioco indipendente sappiamo benissimo che solo tre o quattro delle centinaia di titoli mostrati a schermo in questi giorni riusciranno ad oltrepassare la barriera dell’anonimato. O perlomeno questa è la mia personalissima impressione.  

Ciò che traspare, quindi, è che l’appuntamento estivo sia troppo importante da presidiare per lasciare che si percepisca chiaramente una grande mancanza di attrattive per la seconda metà di questo 2024 (nonostante Shadow of the Erdtree, Kunitsu-Gami, Assassin’s Creed Shadows, The Legend of Zelda: Echoes of wisdom, Astro Bot e Black Myth Wukong, s’intende). E quindi giù di presentazioni forsennate infarcite di riempitivi dimenticati nell’istante in cui si è passati al trailer immediatamente successivo. 

Va fatto un discorso a parte per Microsoft, che come si diceva un tempo (utilizzando una figura retorica che mi fa venire l’orticaria) ha “vinto” il non-E3 con una conferenza straripante di promesse ammalianti e con tanta più sostanza del previsto. Anche qui va fatta una premessa: Xbox viene da un’annata complicatissima in cui ha pagato care le difficoltà legate al suo nuovo modello di business, facendo inversare proprio la fetta di pubblico più fedele che ha cercato di coccolare negli anni scorsi. Era logico aspettarsi un ritorno in pompa magna, e infatti l’Xbox Games Showcase è stato un momento di comunicazione roboante che si è concentrato principalmente sul raccontare un futuro roseo e pieno di grandi aspettative. Poco male se i due titoli di punta degli studi Xbox previsti per il 2024 siano stati presentati ancora sprovvisti di data (e concedetemi il cinismo di dire che il rinvio per Indiana Jones e Avowed potrebbe essere pericolosamente dietro l’angolo), la finestra di comunicazione estiva è diversa dalle altre ed è lecito dimenticarsi della “big picture” di fronte ad un evento impostato in quel modo. Se Ubisoft ha tenuto una conferenza di grande mantenimento in cui tre quarti degli annunci erano relativi ad aggiornamenti di titoli già esistenti da mesi se non anni, Microsoft è andata all-in sul 2025, spostando l’attenzione del pubblico un po’ più in lá e guadagnando tempo prezioso per mettere finalmente a frutto gli investimenti miliardari degli ultimi anni.

Ecco quindi che, nonostante piovano licenziamenti da ogni dove e sembri esserci una seria emorragia di investimenti in corso, Summer Game Fest è servita principalmente a fissare un punto nel prossimo futuro verso cui guardare speranzosi. Dopotutto il 2025 sarà, salvo scossoni imprevisti, l’anno di Doom - The Dark Ages, di GTA VI, di Metroid Prime 4 (e di Switch 2 o Super Switch), di South of Midnight e di Monster Hunter Wilds, tra gli altri. E probabilmente anche di Hollow Knight Silksong vista la rumorosa assenza di Team Cherry tra i nomi grossi degli eventi degli ultimi giorni. Sony è stata (forse saggiamente) più conservativa e Nintendo ha fatto una gran fatica a nascondere quanto Switch sia agli sgoccioli (al punto da presentare Metroid in una veste che difficilmente sarà quella definitiva che vestirà sulla prossima di casa N) e che il grosso della comunicazione arriverà verso la fine del fiscale in corso, ma è chiaro che il messaggio che si è cercato di mandare è quello di un settore in lotta per rimettersi in piedi.  

Vorrei concludere con una nota importante: i Play Days sono stati preziosissimi soprattutto perché conservano l’aspetto umano di un settore troppo spesso preda delle mire delle corporation. Per ogni CEO che appare in video parlando di celebrare la creatività e valorizzare gli sforzi dei propri sottoposti ci sono centinaia di sviluppatori che dimostrano ancora un amore smisurato per le proprie creazioni, e avere la possibilità di interagire con loro è stato rinfrancante. La crisi è ben lontana dall’essere passata e per molti i prossimi anni continueranno ad essere un bagno di sangue tra licenziamenti e chiusure forzate per tenere a bada investitori e titoli in borsa, ma l’amore che gli sviluppatori hanno per i videogiochi è palpabile ed è ciò che mi ha dato più speranza in futuro migliore

Pubblicato il: 21/06/2024

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2 commenti

È un periodo particolare, si. Io (forse perché cmq tendenzialmente ottimista) lo vedo come un (ahimé, pensando ai licenziamenti) necessario periodo di fluttuazione in una industria sempre in fase di re-invenzione di sé stessa. Decisamente curiosi …Altro... È un periodo particolare, si. Io (forse perché cmq tendenzialmente ottimista) lo vedo come un (ahimé, pensando ai licenziamenti) necessario periodo di fluttuazione in una industria sempre in fase di re-invenzione di sé stessa. Decisamente curiosissimo di vedere come si presenteranno i prossimi 2,3 anni, potenzialmente davvero interessantissimi.

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