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I punti d'incontro tra Videogiochi e arte Drag

Ti sta un amore!!!”: con queste parole, Vivian commenta l’outfit Gerudo di Link, in The Legend ofZelda: Breath of the Wild. In un segmento del gioco, il protagonista deve entrare nel villaggio delle Gerudo, una razza composta esclusivamente da donne (ad eccezione di Ganondorf, l’unico esponente maschio noto della serie). Per farlo, ricorre quindi ad abiti femminili per sembrare una di loro ed eludere i controlli.

Nel mondo dei videogiochi è estremamente raro vedere una drag queen, soprattutto in grandi produzioni mainstream: quello di Link è un esempio non troppo calzante, in quanto si tratta piuttosto di travestitismo (un espediente narrativo che abbiamo visto anche in Final Fantasy VII, ma ci torneremo più avanti). Eppure, rappresenta uno spunto interessante per ripercorrere la linea che collega due mondi solo apparentemente distanti: quello videoludico e quello drag.

COME SONO NATE LE DRAG QUEEN E CHI SONO OGGI

Nell’immaginario comune, una drag queen è un uomo che si traveste da donna: si tratta però di un’idea incompleta, e in alcuni casi anche errata. Malgrado l’ampissimo ventaglio di categorie che ricadono sotto il termine drag queen, potremmo concordare su questa definizione: un/una performer che incarna un’estetica femminile, talvolta fedele alla realtà e altre volte esagerata ed estremizzata, attraverso abiti, makeup, parrucche e atteggiamenti. È un pensiero diffuso quello di associare le drag queen al mondo LGBTQIA+, tuttavia esistono uomini e donne, cisgender o transgender, eterosessuali o omosessuali, che sono anche drag queen: è infondo l’arte più inclusiva di tutte, in quanto il sesso biologico o l’orientamento sessuale sono irrilevanti. Ci sono poi i drag king, le controparti maschili, che rendono ancora più vario e diversificato questo universo.

Le radici dell’arte drag ci riportano fino ai tempi dell’Antica Grecia, quando non esisteva parità tra i sessi e soltanto agli uomini era concesso esibirsi nelle rappresentazioni teatrali: ciò implicava dunque che anche i personaggi femminili fossero interpretati da uomini. Una tradizione perdurata per diversi secoli, e di cui possiamo trovare tracce anche a inizio Novecento, nell’epoca del vaudeville, con alcuni attori divenuti noti per le imitazioni femminili: è il caso di Julian Eltinge (1881-1941), uno dei più celebri, o Francis Renault (1893-1955), entrambi citati da Simon Doonan nel suo compendio Drag, The Complete Story, edito da Laurence King Publishing nel 2019.

Oggi, lo scenario è molto differente: l’arte drag si è evoluta fino a toccare numerosi ambiti che vanno oltre la semplice imitazione, coinvolgendo le arti performative come canto, ballo, lip-syncing, recitazione, e naturalmente il makeup, l’haute couture, l’hair styling. Un immenso contributo l’ha apportato RuPaul, pseudonimo di RuPaul Andre Charles, probabilmente la più famosa drag queen dei nostri tempi, a cui si deve il fortunato talent show RuPaul’s Drag Race e le sue numerose iterazioni (tra cui l’edizione italiana, Drag Race Italia, approdata nel nostro Paese nel 2021 e andata in onda in streaming su Discovery+ e in tv su Real Time).

Per chiudere questo excursus, si può affermare, abbracciando un significato più ampio, che essere drag vuol dire essere “altro” da sé, fare il giro completo e arrivare a incarnare la forma più autentica di sé. Essere drag significa trasformarsi in qualcun altro, avere esperienze diverse da quelle che proviamo nei nostri panni, nel quotidiano, e arricchire così il nostro vissuto per divenire la versione migliore di noi stessi. E non è forse quello che facciamo ogni volta che accendiamo una console e giochiamo a un videogioco?

LE DRAG QUEEN NEI VIDEOGIOCHI: TANTO MANIFESTE, QUANTO TACIUTE

Potrà sembrare un assunto un po’ fazioso, eppure i punti di contatto tra il mondo videoludico e quello drag non sono pochi. Innanzitutto, come dicevamo all’inizio, in diverse produzioni viene utilizzato il travestitismo per superare determinate sezioni di gioco. È il caso di Link, ma anche quello di Cloud in Final Fantasy VII, quando si traveste da donna per riuscire ad avere un incontro con Don Corneo al Mercato murato. Proprio il caso di Cloud è emblematico: se nel gioco originale, uscito nel 1997, il biondo protagonista si limitava a cambiare il proprio aspetto con abiti e pettinatura femminili, nel remake del 2020 addirittura si esibisce in una performance danzante sul palco del Dolcemiele, divenendo immediatamente un’autentica icona drag in un videogioco mainstream.

Proprio la sequenza del ballo insieme ad Anyan Kunyan, il proprietario del Dolcemiele, ha richiesto – secondo quanto dichiarato dal co-director Motomu Toriyama – un immenso lavoro. In un’intervista pubblicata sul sito di Square Enix, Toriyama ha parlato dell’esigenza di riproporre la scena del travestimento di Cloud in “una prospettiva gender-free”, filtrata attraverso la lente delle “moderne sensibilità”. Sensibilità che si traducono, di fatto, nell’eliminare una scena assai controversa del gioco originale, quella di Cloud attorniato da uomini che lo costringono a farsi un bagno con loro, e trasformarla quasi in un manifesto d’amore e inclusività.

"We remade the whole scene as a song and dance show, in order to make it the big stage for Cloud's cross-dressing event and to give it a "maximum showbusiness" vibe as part of the Remake story."

 - Motomu Toriyama

Purtroppo, questo è uno dei pochissimi riferimenti più o meno espliciti al mondo drag in un videogioco tripla A, anche se non mancano accenni anche in altre produzioni medio-grandi. Ha fatto molto discutere la presenza di alcuni dialoghi in Persona 5, modificati poi in Persona 5 Royal, tra due personaggi dai modi effemminati e Ryuji, uno dei protagonisti. Se nell’originale la coppia di uomini tenta di circuire Ryuji, implicando una molestia sessuale, nella versione Royal del gioco la scena è stata modificata: i due non cercano più di adescare lo studente, ma vogliono trasformarlo in una drag queen. Il risultato, un po’ maldestro per la verità, non rende giustizia all’arte drag e anzi, sembra quasi ridicolizzarla, trattandosi nelle intenzioni di un siparietto – tristemente – comico.

Vi sono poi delle incursioni del mondo drag in quello videoludico in giochi musicali e rhythm game. Particolarmente significativo è l’esempio di Just Dance, il rhythm game di Ubisoft, che nell’edizione del 2023 contiene un brano di RuPaul, Sissy that Walk. Brano che ogni fan del talent show di drag queen conosce, in quanto utilizzato per le runway in ogni episodio. La routine di Sissy that Walk in Just Dance 2023 Edition, oltretutto, è eseguita dalla drag queen Lolita Banana, che ha partecipato alla prima edizione di Drag Race France nel 2022, e che si è distinta proprio per le sue qualità nel ballo.

È interessante sottolineare che questo brano non è presente nelle versioni commercializzate in Russia e in Medio Oriente, due Paesi noti per le loro posizioni dichiaratamente omofobe. In particolare, a fine 2022 in Russia è stata inasprita dalla Duma (la camera bassa del parlamento) la legge sulla “propaganda gay”, che punisce ogni tentativo di parlare di relazioni e tematiche riguardanti la comunità LGBTQIA+; il risultato è che molti film, libri e videogiochi sono stati pesantemente censurati o vietati, e gli attivisti per i diritti sono diventati potenzialmente dei criminali. La situazione non migliora in Medio Oriente, dove in molti Paesi l’omosessualità è un reato e in alcuni di essi viene addirittura punita con la pena di morte.

Pur senza essere espliciti riferimenti al mondo delle drag queen, nei videogiochi ricorrono anche moltissimi esempi di personaggi che richiamano un’estetica drag. Possiamo citare il Pokémon Jynx, a cui, tra l’altro, la drag queen Jinkx Monsoon si è ispirata per un outfit a tema; le Fate radiose nella già citata serie di The Legend of Zelda, che proprio in Breath of the Wild tornano con un design appariscente, esuberante, esagerato; e merita una menzione, in questo senso, anche Bayonetta, la strega protagonista dell’omonima serie di videogiochi, che nell’esprimere la sua procace femminilità non esita a ricorrere ad acconciature vistose, abiti succinti e makeup marcato. Certo, abbiamo citato tutti personaggi femminili, ma come specificato in precedenza, essere drag non ha nulla a che fare con il proprio sesso biologico, ma riguarda esclusivamente il proprio atteggiamento e le qualità spesso citate da Sua Maestà RuPaul, ovvero Charisma, Uniqueness, Nerve and Talent (carisma,unicità, nervi saldi e talento).

Per concludere questa carrellata di riferimenti al mondo drag nei videogiochi, citiamo un Easter Eggp resente in NEO: The World Ends with You, in cui viene esplicitamente citata RuPaul. Prima della sfida tra il team del protagonista, i Wicked Twisters, e un team avversario, i Variabeauties, il Mietitore Shiba Miyakaze pronuncia una frase che RuPaul utilizza per introdurre le lip-sync battle,che determinano l’eliminazione di una concorrente dallo show.

La frase originale è: “Two queens stand before me. Ladies, this is your last chance to impress me and save yourself from elimination.The time has come for you to lip sync for your life. Good luck and don't f*** it up”. In TWEWY, la frase è stata riadattata così: “Two teams stand before me. Wicked Twisters! Variabeauties! This isyour last chance to impress me and save Shibuya from erasure". Una citazione sicuramente apprezzabile, che lascia intendere quanto il talent show di RuPaul sia ormai universalmente conosciuto.

DRAG HER! - UN FIGHTING GAME CON LE DRAG QUEEN

È finita qui? Non ci sono davvero altri esempi di drag queen nei videogiochi? Sì e no: le occasioni in cui questi due mondi collidono sono davvero esigue, come abbiamo premesso. A parte il gioco ufficiale per sistemi mobile RuPaul’s Drag Race Superstar, in cui è possibile creare e personalizzare il proprio alter ego drag, c’è ben poco sul mercato; tuttavia il team di Fighting Chance Games sta sviluppando un picchiaduro ambientato nell’universo drag, Drag Her!, di cui è prevista una alpha entro la fine del 2023 e che uscirà ufficialmente nel 2024.

Il progetto è stato finanziato su Kickstarter, e vede nel roster iniziale sette combattenti scelte tra le drag queen e king più celebri al mondo: Alaska 5000, Asia O’Hara, BenDeLaCreme, Kim Chi, Laganja Estranja, Landon Cider, Manila Luzon, a cui si aggiungono altre drag queen come personaggi di supporto, ovvero Jiggly Caliente e Tammy Brown. Le performer daranno il loro contributo anche attraverso il design dei loro avatar, e prestando le loro voci ai personaggi.

Il gioco è un picchiaduro 2D deliziosamente disegnato a mano, dallo stile coloratissimo; le mosse a disposizione delle combattenti comprendono un attacco leggero, un attacco pesante, la guardia, un attacco da parte di un personaggio di supporto che si ricarica nel tempo. La barra della vita, inutile dirlo, è rappresentata graficamente da un rossetto. Su Itch.io è disponibile anche una demo con cui è possibile testare il gameplay, con una drag fighter munita del set completo di attacchi. Nella demo è possibile sfidare l’I.A. ma è presente anche unamodalità Versus, sia locale che online: un’aggiunta molto gradita se si vuole provare il gioco insieme ad amici. La versione finale del gioco, come si legge su Kickstarter, disporrà inoltre di una modalità Carriera in cui sarà possibile scalare il successo nel mondo drag sfidando altre queen. L’obiettivo del team di sviluppo, attraverso il crowdfunding, è di arricchire gli scenari con oggetti con cui è possibile interagire e luoghi iconici per la comunità LGBTQIA+. Drag Her! sarà disponibile su PC e macOS viaSteam, e gli sviluppatori puntano a lanciarlo anche su Nintendo Switch.

È importante dedicare qualche parola proprio al team che si sta impegnando per realizzare questo progetto e rendere giustizia al mondo drag, trattandosi di uno dei primissimi giochi con delle drag queen protagoniste. Fighting Chance Games è composto da veterani dell'industria dei videogiochi, emigrati dagli studi di Blizzard, WB Games e Schell; nel team di animazione invece sono confluiti professionisti che hanno lavorato per Nickelodeon, Adult Swim e Skullgirls. Non esattamente figure alle prime armi, dunque le aspettative per questo gioco sono altissime. Il team è animato dall’aspirazione di raggiungere un pubblico che sia allo stesso tempo fan del mondo drag e dei videogiochi, e dimostrare che non si tratta solo di una nicchia ristretta. I risultati della raccolta fondi, d’altra parte, sono stati più che positivi: per il progetto sono stati raccolti 75.019 dollari, su un obiettivo di 69.000. Realness, henny.

LE DRAG QUEEN E LO STREAMING: UNA QUESTIONE DI RAPPRESENTANZA

Vi sono poi dei punti di contatto tra mondo videoludico e drag per quanto concerne lo streaming su Twitch: è necessario citare il profilo Stream Queens, un gruppo di drag queen unite dalla passione per i videogiochi, che effettuano quotidianamente dei live streaming mentre giocano, rigorosamente in drag. La colonna portante e fondatrice del team è Deere, che da sola, sulla piattaforma viola, ha più di 60mila follower.

In un’intervista rilasciata a Vogue, Deere ha affermato di essere costantemente presa in giro durante i suoi stream, ma ciononostante è motivata a offrire un contributo per diversificare e arricchire l’industria del gaming. L’obiettivo, per Deere, è “dimostrare alle persone in difficoltà, e ai bambini che hanno bisogno di esempi di persone diverse nei media, che appartengono (a un luogo, una comunità, ndr)”.

La questione della rappresentazione e la rappresentanza delle persone LGBTQIA+ nei media è negli ultimi anni un argomento assai dibattuto, soprattutto nel settore videoludico, dove si percepisce ancora una dura resistenza nell'accettare che si tocchino temi “politici” o sociali. Ne è la prova il fatto che sorgono spessissimo polemiche su personaggi LGBTQIA+ inseriti, più o meno marginalmente e coerentemente, nei videogiochi.

"The gaming industry gets more and more inclusive and welcoming, however, there are still so many people that don’t want people like me here. As a creator with a platform, as well as someone unmistakably queer, it is my responsibility to represent my community"

 - Deere, intervista per Vogue

Un pensiero comune nei più accaniti contestatori è che questo tipo di tematiche o personaggi si veda “troppo spesso” nei media rispetto a qualche tempo fa, come se sviluppatori e game designer si sentissero in dovere di corteggiare un certo tipo di pubblico inserendo delle “quote” nei propri prodotti. Ma cosa significa, poi, “troppo spesso”? E rispetto a cosa, a quale canone? Esiste forse un paradigma universalmente riconosciuto e valido per ogni epoca, che impone determinate scelte narrative?

Non è così: semplicemente, dopo decenni di oscurantismo, sempre più persone escono allo scoperto, fanno sentire la propria voce e chiedono di non essere più relegate ai margini della società e, di riflesso, dei media. D’altra parte, videogiocare non è prerogativa di un determinato genere, orientamento sessuale, età o etnia: chiunque può amare i videogiochi, e perché ciò accada l’offerta videoludica dovrebbe essere più diversificata e varia possibile.

Per la chiosa finale, mi ricollego a quanto affermato in precedenza: impersonare il protagonista in un videogioco è un po’ come mettersi in drag, guardare il mondo con gli occhi di qualcun altro; e questo non deve spaventare, perché è assolutamente lecito avere una spinta all’immedesimazione. Specchiarsi negli altri fa parte del naturale processo di crescita, di maturazione, di costruzione del proprio sé; e per quanto possa terrorizzare uscire dalle nostre zone di comfort, è necessario farlo. I media se ne stanno accorgendo: è arrivato il momento che anche i loro fruitori se ne rendano conto e accettino una tendenza ormai consolidata e, finalmente, incontrovertibile. “If you can’t love yourself, how in the hell you gonna love somebody else?”, direbbe Mama Ru; e ora più che mai, all'odio diciamo: sashay away.

A cura di
Marco Baldini

Pubblicato il: 06/05/2023

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6 commenti

Se non sbaglio avevi scritto alcuni articoli su Everyeye, è un piacere ritrovarti qui Marco.
Sinceramente quando ho aperto il sito e visto il tema dell' articolo sono rimasto sorpreso perché, come scrivi, viene affrontato in pochi giochi. Che sian …Altro...
Se non sbaglio avevi scritto alcuni articoli su Everyeye, è un piacere ritrovarti qui Marco.
Sinceramente quando ho aperto il sito e visto il tema dell' articolo sono rimasto sorpreso perché, come scrivi, viene affrontato in pochi giochi. Che siano prevalentemente nipponici non mi sorprende, la serie di Finale Fantasy è sempre stata abbastanza queer per estetica (abbigliamento, pettinature), lo stesso vale anche per altre produzioni giapponesi dello stesso genere.
Per quelle occidentali ci vorrà ancora del tempo secondo me, specialmente i giochi tripla A.
Come nel cinema saranno i prodotti più piccoli e indipendenti ad aprire la strada.

Approfondimento davvero interessante. L’inclusività è un tema importante ed è giusto che certe tematiche “scomode” vengano affrontate con costanza ed incluse nei vari media in modo da raggiungere un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. …Altro... Approfondimento davvero interessante. L’inclusività è un tema importante ed è giusto che certe tematiche “scomode” vengano affrontate con costanza ed incluse nei vari media in modo da raggiungere un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. Grazie Marco!

Bellissimo articolo che tocca un argomento che forse non piacerà a tutti, ma tant’è. Un analisi interessante di una parte del mondo videoludico da sempre ignorata. Grazie dell’approfondimento Marco!

Quando due forme d'arte come il videogioco e il drag si incontrano, non può che nascere qualcosa di meraviglioso ♥
È molto significativo che abbiate scelto di pubblicare questo articolo, considerando soprattutto quello che in questo periodo sta …Altro...
Quando due forme d'arte come il videogioco e il drag si incontrano, non può che nascere qualcosa di meraviglioso ♥
È molto significativo che abbiate scelto di pubblicare questo articolo, considerando soprattutto quello che in questo periodo sta accadendo negli Stati Uniti e a certe leggi che qualcuno sta cercando di far passare. Come (purtroppo) si sa, la community videoludica tende alla tossicità delle più arroganti e spesso il giocatore "medio" fa fatica ad accettare che esistano realtà differenti dalla sua al di fuori della propria bolla, ma apprezzo sviluppatori e publisher che scelgono comunque di impostare un certo tipo di inclusività nei loro prodotti.
Compimenti Marco! (se posso permettermi, cercando di non passare da cag***zzi, nel paragrafo relativo a Drag Her ci sono un po' di spazi mancanti tra le parole)

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