COFFEE TALK TOKYO

Un caffè sovrannaturale con Anna Winterstein

“Cresciamo giochi che ami”. D’altronde, toge” in lingua indonesiana vuol dire “germoglio di fagiolo”. Un sinonimo di tenacia e di crescita dal basso. “Qui in Toge Productions” si legge sul sito, “crediamo che i grandi risultati possono venire da umili inizi. Proprio come dei germogli di fagiolo”. Mi sarebbe piaciuto poter spiegare ai miei nonni, contadini, che esistono sviluppatori di videogiochi che accostano questo lavoro all’agricoltura. Sarebbe stato davvero magico. L’Indonesia è uno dei principali esportatori mondiali di gomma, caffè, cacao e olio di palma, ma anche tè, tabacco, zucchero. In altre parole, l’agricoltura è di casa, proprio come nel mio Abruzzo. Negli ultimi anni, però, il Paese si è aperto a vari settori dell’industria tecnologica, inclusa la branca legata ai videogiochi. Il germoglio di fagiolo di Toge Productions è nato nel 2009, e con la hit Coffee Talk – frutto dell’ingegno del compianto Mohammad Fahmi, scomparso nel 2022 a soli 32 anni – si è posizionata a inizio 2020 in cima al mercato dei cozy games indipendenti con uno dei prodotti più noti e riconoscibili di questo ambito.  

La serie, inizialmente prodotta e autopubblicata da Toge Productions, è proseguita con Coffee Talk Episode 2: Hibiscus & Butterfly, uscito nel 2023, e nel 2025 è prevista l’uscita di un terzo capitolo, Coffee Talk Tokyo. La struttura ludica è sempre rimasta la stessa: vestiamo i panni di un barista che assiste alle chiacchierate di un variegato cast di clienti. Nel frattempo, si preparano bevande di loro gusto, in un’atmosfera rilassata impreziosita da musica lo-fi. Ogni Coffee Talk è per me un appuntamento imperdibile, e dunque in questi giorni ho provato con piacere la demo di Coffee Talk Tokyo, ancora disponibile gratuitamente su Steam nel momento in cui scrivo. Ad affiancare Toge Productions nella produzione c’è Chorus Worldwide Games, e quest’ultima compagnia curerà anche la pubblicazione. Nel corso dei suoi undici anni di storia, Chorus è riuscita a intercettare videogiochi del calibro di A Space for the Unbound, When The Past Was Around e Read Only Memories: NEURODIVER, tra gli altri. È grazie al team di Chorus che Anna Winterstein, già co-writer di Coffee Talk Episode 2: Hibiscus & Butterfly, è giunta a far parte del team di sviluppo della serie. In questo terzo capitolo, Winterstein è responsabile della storia e del narrative design del gioco. L’ho intervistata mentre giocavo alla demo di Coffee Talk Tokyo.

“Il primo Coffee Talk è uscito quando avevo appena iniziato a cambiare carriera, entrando nel mondo dei videogiochi” racconta Winterstein. “Ero chiusa in casa durante il periodo del Covid e mi sentivo decisamente sradicata, come credo molte altre persone. Mi mancavano i miei amici, le nostre chiacchierate, il calore dei momenti condivisi. Sono una grande fan delle visual novel, quindi Coffee Talk [uscito il 29 gennaio 2020, N.d.A.] è apparso naturalmente nel mio radar... E non appena ho avviato il gioco, ho capito che sarebbe stato questo: l’esperienza che mi avrebbe fatto rivivere quella connessione, quel calore. Mi sono immersa nelle storie narrate, ho riso e pianto con loro, e il gioco è rapidamente entrato nella lista dei miei preferiti”. Ma Coffee Talk era destinato a non essere soltanto un oggetto ludico nella vita di Winterstein: di lì a poco sarebbe diventato un impegno lavorativo in prima persona. “Qualche anno dopo, il mio mentore dell’epoca mi ha organizzato un colloquio con il team di Chorus per un possibile ruolo di scrittura. Ero entusiasta e un po’ intimidita. E sono rimasta senza parole quando ho scoperto che il gioco in questione era Coffee Talk Episode 2: Hibiscus & Butterfly! È stato come chiudere un cerchio, una sorta di atto di gentilezza del destino”. 

La serie di Coffee Talk è sempre rimasta coerente con le sue premesse, senza gli stravolgimenti e le novità che contraddistinguono altri prodotti. Avviando la demo di Coffee Talk Tokyo, mi sono sentita immediatamente a casa, anche se l’ambientazione è cambiata – ed è una delle principali ragioni per cui tanto attendo questo sequel. Ora la porta del nostro bar si apre sulle strade di Tokyo, la città che preferisco al mondo. E il Giappone – con i suoi yokai, yurei e mononoke – è protagonista. “Dopo Coffee Talk Episode 2, c’erano molte storie ancora da raccontare nell’universo di Coffee Talk, ma quelle del cast originale sembravano essere giunte a un buon punto di pausa” spiega Winterstein. “Così è nata l’idea di una sorta di spin-off! Tokyo come nuova ambientazione è stata una scelta naturale: è una città incredibilmente affascinante, e Chorus ha già forti legami con il Giappone, senza contare che i giocatori giapponesi hanno dimostrato molto amore per Coffee Talk. Inoltre, le visual novel come genere devono molto al Giappone!”. 

Il folklore giapponese è così diventato un ingrediente fondamentale nel bar di Coffee Talk Tokyo, come racconta Winterstein: “Abbiamo sentito che potevamo raccontare una storia autentica rispetto alla sua ambientazione, ampliando al contempo il mondo di gioco e il cast. Il nostro obiettivo è preservare il cuore dell’identità di Coffee Talk: chiacchierate spontanee, la preparazione del caffè, storie toccanti che si svolgono in un mondo fantastico ma radicato in preoccupazioni quotidiane con cui i giocatori possono empatizzare. Ovviamente, il Giappone ha la sua cultura, la sua mitologia, e ci teniamo a inserire tutto questo nell’atmosfera del gioco, nel design e negli archi narrativi dei personaggi”. La scelta di arricchire il team con persone che ben conoscono la cultura nipponica è stata quindi naturale. “Gran parte delle persone al lavoro su questo episodio sono giapponesi, incluso il mio collega scrittore Kimitaka Ogawa, che ha tradotto i precedenti Coffee Talk in lingua giapponese, e il nostro concept artist Cro_iz, il che dovrebbe aiutarci ad avere un approccio consapevole all’ambientazione. In breve, speriamo che il gioco onori ciò che i nostri giocatori amano dei primi due episodi, mostrando nuove prospettive e aggiungendo un paio di cose divertenti, come stencil, hojicha e la mia preferita: il gelato!”. 

Nel corso della demo, una delle clienti, Ayame, mi ha chiesto una bevanda dolce con sopra lo stencil: ho così potuto provare una delle tre novità citate da Winterstein. E ho anche servito l’hojicha, uno dei miei tè giapponesi preferiti, anche se il mio amore per il genmaicha non è secondo a nessuno. L’hojicha ha un delizioso sapore arrostito, nocciolato, un po’ dolciastro. È frutto di un particolare processo di cottura delle foglie di tè ed è eccellente dopo i pasti. Sono soltanto due delle note ludiche che strizzano l’occhio al Giappone; nella mezz’ora di durata della demo, ho potuto apprezzare l’inserimento di uno degli aspetti che più mi hanno affascinata della cultura nipponica nel corso degli anni, ossia l’attenzione ai defunti e ai lori spiriti. Ayame – una delle nuove entrate nel cast di Coffee Talk Tokyo – è una giovane ragazza morta di recente. Non potendo fare ingresso nel regno dei morti a causa di alcune non precisate “questioni in sospeso” aleggia per le strade di Tokyo e, un bel giorno, apre – o, per meglio dire, attraversa – la porta del nostro bar. Mi sono ricordata del concetto di “on”, molto difficile da rendere nella lingua italiana: si tratta di obblighi morali talmente forti che, secondo il folklore tradizionale, possono legare alla Terra perfino gli spiriti dei morti. In altre parole, il peso di questi rapporti è tale da continuare a gravare sulla persona perfino dopo la sua dipartita. Ecco – forse potremmo parlare di “conti in sospeso”. Tante storie nipponiche di fantasmi sono nate proprio a partire dal concetto di “on”.

La presenza del fantasma di una ragazza defunta potrebbe far pensare a una svolta horror. Non è così: Coffee Talk Tokyo conserva la sua natura di cozy game a tutto tondo, sia dal punto di vista ludico, sia tematico, come conferma Winterstein. Ma qual è, per Winterstein, la ricetta di un cozy game memorabile? “Per me, un gioco accogliente di successo è un gioco che offre un’esperienza rassicurante ed edificante, una piccola fetta di gioia, ma non a scapito del significato” risponde. “Presenta uno specchio più gentile del mondo – ma si tratta pur sempre di uno specchio.In Coffee Talk, questa è parte della ricetta: cerchiamo di affrontare i problemi umani con onestà e di risolverli con gentilezza. Questa era l’aspirazione nei giochi precedenti e rimane tale in Coffee Talk Tokyo”. Molti gamer hardcore disprezzano i cozy game, ma si tratta di una visione miope ed escludente. “Personalmente, amo gli RPG, i simulatori di camminata, i giochi 4X e le visual novel” racconta Winterstein. “Offrono tutti esperienze diverse che si adattano a momenti, gusti o stati d’animo diversi nella vita di un giocatore. I cozy game fanno parte di questo: aprono i videogiochi a una varietà più ampia di giocatori, canalizzando anche un momento in cui molti di noi stanno imparando a valorizzare la gentilezza sopra ogni altra cosa, e quando sicuramente abbiamo bisogno di un abbraccio o di un momento sotto il sole. Ho sentito alcune persone dire di essere scettiche riguardo ai giochi accoglienti, e capisco il loro punto di vista, ma spesso li associano a giochi privi di frizioni emotive o significato, il che non credo sia vero. Puoi avere un’esperienza senza stress che abbia comunque un impatto emotivo significativo”. 

Mentre in Coffee Talk Tokyo assistevo a chiacchierate e preparavo tazze di hojicha caldo, ho chiesto ad Anna Winterstein come è venuta in contatto con il mondo dei videogiochi, e come ha indirizzato lì la sua carriera professionale. Scopro che le nostre esperienze hanno numerosi punti di contatto. “Sono nata gamer!” mi racconta. “Non ero una bambina capricciosa, ma ricordo di aver fatto una scenata durante una visita a degli amici di famiglia: mi avevano prestato un Game Boy con Tetris e dovettero togliermelo con la forza mentre mi dimenavo e urlavo. L'altra mia passione è la narrazione; i miei studi e i miei lavori precedenti erano tutti legati alla scrittura. Mi ci è voluto molto tempo per capire che questi due interessi potevano intrecciarsi: non faceva parte del curriculum tradizionale francese, e ho scoperto tardi che il design narrativo è un lavoro vero e proprio! Devo a giochi come Kentucky Route Zero, Gone Home e, ovviamente, Coffee Talk l'ispirazione per seguire questa strada (oltre a un buon amico che un giorno mi chiese: ‘Ami scrivere e ami i giochi; perché non scrivi per i giochi?’ Perché no, in effetti). Infine, credo che creare videogiochi sia la cosa più significativa che potrei fare. Negli ultimi vent’anni (sono vecchia!) sembra che il mondo sia diventato più travagliato, come se ci sfuggisse collettivamente di mano. I videogiochi sono un mezzo unico per portare gioia, conforto e un senso di riconoscimento ai giocatori, o per incoraggiarli a mettere in discussione e ritrovare un nuovo controllo sul mondo. Se posso far sorridere o far sentire visto qualcuno (anche solo una persona, onestamente!) grazie a qualcosa a cui ho contribuito, allora ne vale assolutamente la pena”. 

Anna Winterstein si è approcciata al mondo del lavoro videoludico con l’acquisizione di una serie impressionante di skill: è game designer, narrative designer, scrittrice e programmatrice, e crea in autonomia piccoli videogiochi disponibili sulla sua pagina itch.io. Ho pensato di chiederle dei consigli destinati a chi vuole avvicinarsi a questo mondo così appassionante e difficile. Eccoli qui.“La prima cosa che direi è che ogni percorso nell’industria dei videogiochi è diverso! Ciò che ha funzionato per me in quel momento potrebbe non funzionare per qualcun altro. Sono stati, sinceramente, un paio d’anni davvero difficili. I licenziamenti hanno colpito molti studi, il che significa che il mercato del lavoro è quasi saturo. Ho speranze che la situazione migliori, ma al momento ci vogliono una pazienza e una perseveranza speciali per entrare nel mondo dei videogiochi.

Tre consigli universali per chiunque voglia sviluppare videogiochi

Parola di Anna Winterstein!

1. Fai giochi!

Non è mai stato così facile creare piccoli giochi. Unity e Unreal, i due motori di gioco professionali più utilizzati, sono disponibili gratuitamente. Se questi sembrano (comprensibilmente) troppo intimidatori, motori più piccoli come Bitsy (per esperienze rapide in pixel art) o Twine (per narrazioni testuali ramificate) sono facili da imparare e consentono molta espressione personale. Il mio preferito è ink, uno strumento narrativo che rende estremamente facile creare strutture di storie interattive interessanti [N.d.A.: ink è lo strumento creato dallo studio inkle, di cui vi ho parlato nella recensione di Expelled!].Se lavorare da soli spaventa, ci sono una varietà di game jam, in presenza o online (su itch.io ce ne sono sempre alcune in corso), che ti permetteranno di incontrare altri creatori con competenze complementari [N.d.A.: trovate qui il racconto della Global Game Jam 2024, con interviste a sviluppatrici e sviluppatori che hanno partecipato insieme a me all’edizione bolognese]. Dimostrare una certa comprensione di ciò che rende i videogiochi un mezzo unico e di come funziona il processo di creazione di un gioco fa davvero la differenza in un curriculum o in un colloquio.

2. Scopri cosa ami.

Inteso nel senso più ampio possibile. Potrebbero esserci tipi di lavori nell’industria che non hai considerato, generi che non hai esplorato, competenze che non hai sviluppato, e così via! Molte delle competenze richieste dall’industria sono più facili da apprendere di quanto si pensi. Se vuoi diventare un game designer, imparare un po’ di C# o di logica degli Unreal Blueprints ti renderà un membro più produttivo di praticamente qualsiasi team, e non è così intimidatorio come potrebbe sembrare. Coltivare i tuoi gusti unici e il tuo mix di talenti ti permetterà di presentare un caso migliore per ottenere le posizioni a cui aspiri.

3. Incontra persone interessanti. 

L’industria dei videogiochi ha molte persone gentili che sono felici di accogliere i nuovi arrivati e supportarli quando possono. Non conosco bene le reti italiane, ma nel Regno Unito abbiamo la Writers' Guild of Great Britain, di grande supporto per le persone che si occupano di narrativa, e Limit Break, un eccellente programma di mentoring per persone provenienti da background sottorappresentati. Abbiamo anche un paio di grandi conferenze, come Adventure X per la narrativa o Develop Brighton per incontrare reclutatori del settore (c’è un pass gratuito solo per l’esposizione che non tutti conoscono, ma è davvero tutto ciò di cui hai bisogno!). Vale sempre la pena indagare su cosa c’è vicino a casa: reti di gioco, conferenze, eventi... E se non è possibile, le comunità online (subreddits, Bluesky, server Discord per vari strumenti o studi, ecc.) sono un ottimo posto per stare. Imparerai molto semplicemente stando lì, e a volte otterrai anche belle opportunità”.

L’orario di chiusura del bar virtuale di Coffee Talk si avvicina, e così volge al termine anche la mia intervista con Anna Winterstein. L’impressione finale dopo mezz’ora di demo è che il team sia riuscito a catturare elementi della cultura giapponese capaci di tenere incollati allo schermo e di scrivere una nuova pagina in questa grande storia partita da un germoglio di fagiolo. Ormai è una pianta maestosa, con ramificazioni in tutto il mondo. Grazie di cuore ad Anna Winterstein per l’intervista e a Fede Fasce per averci messi in contatto. Non vedo l’ora di poter tornare per le strade di Tokyo a bere un po’ di hojicha. 

Pubblicato il: 02/06/2025

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