NEED FOR SPEED

UNBOUND

RECENSIONE

Automodellista. Dal giorno in cui Electronic Arts ha pubblicato il primo trailer di Need for Speed Unbound non ho fatto altro che pensare ad Automodellista e a quella Capcom che si lanciò - dal nulla - nello sviluppo di un racing game totalmente in cel shading e completamente fuori di testa. Io per Automodellista, e in generale per i racing game non convenzionali, ho sempre avuto quella che potrebbe essere tranquillamente definita una cotta adolescenziale mai superata. Si guidava pure malissimo, tra l’altro, ma tant’è. È anche vero che inseguo da più di un decennio l’ombra di Need for Speed Underground 2 in qualsiasi racing arcade su cui metta le mani. Insomma, per farla breve, avevo grandi speranze per Need for Speed Unbound. La serie aveva sicuramente bisogno di un buon capitolo, dopotutto. 

A dirla tutta, Need for Speed Heat fu un capitolo molto buono, ma cadde un po’ nel vuoto a causa della pessima gestione del franchise da parte di EA negli anni precedenti. Parte della colpa è anche da imputare al fatto che la cultura dell’automotive è cambiata tantissimo: dai tempi in cui Underground era un punto di riferimento per i racing game arcade e in cui Fast and Furious era ancora una serie che parlava di corse clandestine sono cambiati i trend, l’immaginario e anche il pubblico di riferimento. Il problema principale di Heat era proprio il fatto che non teneva conto di tutti questi mutamenti ma, al contrario, tentava di riprendere il filone che la serie aveva abbandonato da Carbon in poi senza riadattarlo alla modernità. A livello strutturale, Need for Speed Unbound non è altro che una passata di spray sulla facciata eretta da Heat, eppure quando funziona lo fa proprio perché rappresenta un cambio di filosofia notevole nell’approccio allo street racing.

Street Racing per la Gen Z

Need for Speed Unbound non è e non sarà l’ancora di salvezza per il franchise. È un passo nella direzione giusta, questo assolutamente sì, ma sbaglia comunque troppo per poter diventare un titolo di culto come tanti altri nella storia della serie. Nonostante questo, però, è innegabile che Unbound si distingua nei dettagli e nel suo sottile ma percepibilissimo cambio di filosofia, che è tanto riuscito da permettere di andare oltre a tutti quei piccoli elementi fuori posto presenti in quest’ultimo capitolo. Need for Speed Unbound è un racing game che sta a metà tra il passato e il futuro della serie e che non si limita a citare superficialmente i capitoli più fortunati ma ne riprende alcuni elementi identitari. Parliamo, infatti, di un franchise che ha avuto successo proprio in quelle iterazioni che sono state capaci di distinguersi stilisticamente dalla concorrenza: Underground aprì le porte al mondo delle corse clandestine e fu una delle più chiare e sfacciate celebrazioni della cultura Hip-Hop dei primi anni 2000, Most Wanted riportò in auge gli scontri con la polizia che la serie aveva abbandonato da tempo per inserirli in un contesto differente, Carbon si appropriò dell’immaginario orientale delle corse sui passi di montagna popolarizzato da Fast and Furious Tokyo Drift per inquadrarlo in un’ottica differente (e anche un po’ ingiustamente americanizzata). Questa unicità è venuta a mancare nel tempo, e anche se Heat provava a far leva sui cromatismi anni ‘80 e sulla collaborazione con un designer mostruoso come Khyzyl Saleem, si sentiva il bisogno di una svolta più personale.

Unbound incarna finalmente quella svolta di cui il franchise aveva bisogno, e lo fa in maniera semplice ma efficace: ha finalmente cambiato target. Need for Speed Unbound è infatti il primo capitolo della serie a parlare esplicitamente alla Gen Z, incorporando al proprio interno elementi delle sottoculture che le appartengono. Unbound è street, è trap, è inclusivo ed è anche un sacco anime, e va a pescare direttamente dai riferimenti culturali di una generazione che nell’estetica, nei costumi e negli interessi è diversissima da quelle a cui hanno parlato i vecchi arcade di EA. Criterion non si è fatta problemi ad infarcirlo di citazioni dirette ad Initial D e ad Outrun, a nascondere nei brevi dialoghi dei vari personaggi storie di discriminazione razziale o di genere e ad inserire nel cast (purtroppo in maniera eccessivamente superficiale, ma tant’è) un’icona generazionale come A$AP Rocky, che peraltro ha sfruttato l’occasione per lanciare il video di Shittin’ me in concomitanza con la pubblicazione del gioco e della sua colonna sonora. 

A proposito di icone, tra l’altro, va detto che Unbound ha finalmente recuperato una tendenza abbandonata da tempo dalla serie, ovvero quella di costruire il proprio immaginario attorno a delle auto diventate nel tempo leggendarie. Dalla Mitsubishi Eclipse dell’opening di Underground alla BMW M3 di Most Wanted, passando dalla 350z di Rachel in Underground 2 e dalla 240SX di Ryan in ProStreet, Need for Speed ha contribuito da sempre alla glorificazione di auto che nel mondo dell’automotive sono diventate delle icone senza tempo. La cultura dell’auto, dopotutto, funziona anche così. Provate a citofonare a Toyota e chiedetegli quante Trueno ha venduto Initial D negli anni, oppure dilettatevi nel pronunciare le parole “Suzuki Escudo” di fronte a chi ha passato anche solo qualche ora di fronte al primo Gran Turismo e osservatene la reazione per capire che intendo. Ebbene, per quanto la prova del tempo andrà superata - per l’appunto - nel tempo, Unbound ha tentato di ricreare quell’effetto icona con la sua auto di copertina, una Mercedes 190E bicolore che porta le insegne di A$AP Rocky, e di questo gli va dato atto.

 

(Sotto)culture moderne

Unbound è un videogioco strano. Lo è perché mischia al proprio interno una serie di elementi di game design che definire antiquate è un eufemismo, eppure è nei dettagli che si nota la sua vena esplicitamente modernista. Poco fa ho parlato di street racing per la Gen Z non a caso: la musica, il parco auto e le stesse opzioni di personalizzazione dei veicoli dimostrano che Criterion si è guardata attorno per assemblare un videogioco che incarnasse appieno la modernità. Il fatto è che il minimo comun denominatore dell’attualità è uno e uno soltanto: il denaro. Non c’è nulla di più sfacciatamente attuale come il desiderio di accumulare pile e pile di soldi e di esibire la propria ricchezza ovunque anche al costo di sembrare volgari. Questo si traduce nel fatto che il parco auto conta un grandissimo numero di supercar costosissime e che il gioco non chiede quasi mai di vincere un evento per completarlo perché l’importante è sempre piazzarsi in maniera tale da guadagnare più soldi di quanti non se ne siano spesi per la quota di partecipazione. Quest’ultimo, peraltro, è un cambiamento sottile e sottovalutato che però trasforma drasticamente l’approccio che si ha alle gare rispetto ad ogni altro capitolo della serie finora.

Una modernità, quella di Unbound, che passa necessariamente anche dagli stili di elaborazione presenti nel gioco. Oltre alla già citata presenza massiccia delle cosiddette “exotic”, quindi le supercar europee come Ferrari, Lamborghini e McLaren, Unbound mette in mostra una profonda conoscenza dell’automotive contemporaneo. Al suo interno è infatti possibile trovare auto che rispettano i canoni del movimento Shakotan e Bosozoku, della cultura Itasha, di quella delle lowrider americane, del mondo Onikyan/Demon Camber e dei Time Attack, caratterizzata da vistosissime appendici aerodinamiche particolarmente aggressive. Non è un caso nemmeno che l’auto di copertina sia una Mercedes, dal momento che le auto tedesche degli anni ‘90 sono entrate a far parte dell’immaginario trap/Hip-Hop americano con forza negli ultimi anni. Basta dare un’occhiata alle copertine di Frank Ocean o Joey Bada$$ per farsi un’idea. I tempi sono cambiati, insomma, ed è un bene che Need for Speed abbia provato di tutto pur di rimanere al passo. Il segreto del successo di Underground, Most Wanted e simili stava proprio nel fatto che parlavano ad una generazione immersa nella cultura dell’auto e dell’elaborazione di fine anni ‘90 e inizio anni 2000. Ciò che potrebbe salvare Unbound e proiettare la serie nel futuro è esattamente questo approccio.

 

Style over substance

Dopo tante parole sulla filosofia del gioco è il momento di arrivare alla domanda che aleggia nell’aria da un po’: come si guida? Di traverso. Sempre. Come già detto se si guarda Unbound in controluce è possibile scorgere l’ombra di Heat alle sue spalle. Di fatto il sistema di guida è pressoché identico, con un approccio squisitamente arcade che privilegia le derapate più di ogni altra cosa. Scordatevi quindi di pennellare le curve con precisione millimetrica a velocità folli, perché a Lakeshore dell’eleganza non frega niente a nessuno. Ogni curva va affrontata dando un colpettino di freno per mettere la macchina di traverso facendole uscire nuvoloni di fumo colorato in cel shading dalle gomme, magari sportellando gli avversari per toglierseli di torno nel mentre. Nonostante l’estrema semplicità del sistema di guida, però, tocca prenderci la mano perché non si tratta di un modello immediatissimo da padroneggiare. Anzi, a dirla tutta, spesso agli inizi è piuttosto controintuitivo in certe situazioni, ma con un minimo di dedizione è possibile assimilarlo a dovere. Personalmente l’ho trovato più divertente rispetto a quello di Heat, nonostante non siano poi così differenti tra loro, ma suppongo sia principalmente una questione di gusti. A mancare, rispetto ad Heat, è il senso di velocità, che pur non essendo assente è gestito in maniera sicuramente meno soddisfacente.

I veri problemi di Unbound, in realtà, sono la sua struttura e il suo senso di progressione. Criterion ha mantenuto l’alternanza giorno/notte e il conseguente avvicendamento degli eventi accessibili nelle due porzioni della giornata, ma le differenze tra le due sono veramente troppo superficiali per avere un reale impatto sul gameplay. Uscendo in strada di giorno si può prendere parte ad eventi più semplici e meno “rischiosi”, ma il livello d’allerta della polizia accumulato in questo frangente non diminuisce una volta rientrati al garage; di notte i premi in denaro delle gare sono decisamente più sostanziosi, ma è molto più facile ritrovarsi a gareggiare con il livello di allerta massima e, quindi, con un esercito di auto della polizia a tentare di ostacolare le competizioni. Il fatto è che la nuova impostazione del gioco rende quasi del tutto inutile l’open world, completamente svuotato di punti di interesse al punto da sembrare solamente una scusa per fare in modo che spostandosi tra un evento e l’altro ci si possa imbattere in qualche volante pronta a fare a sportellate per sbatterci finalmente al fresco e confiscare i soldi guadagnati nel corso dell’ultima uscita. Per il resto, l’approccio al mondo aperto è vecchio di quasi quindici anni, con i classici collezionabili sparpagliati randomicamente in giro per la città e i cartelloni pubblicitari da distruggere esattamente come succedeva in Burnout Paradise su PlayStation 3.

A rendere ancora più pressante la sensazione di vuoto che si prova di fronte alla mappa di Lakeshore (che negli scorci ricorda un po’ i panorami urbani di quella meraviglia che era Burnout 3) è la nuova gestione degli eventi, che non sono più sparsi in giro per la mappa ma vanno invece raggiunti accedendo a degli specifici raduni di street racer che si tengono all’interno di certi parcheggi sotterranei della città. Bene, benissimo che si sia recuperato finalmente anche questo aspetto “sociale” della cultura dell’automobile, ma in termini pratici questo si traduce nel fatto che attraversare l’open world serva essenzialmente a raggiungere uno dei cinque raduni negli stessi posti di sempre, in quella che diventa in fretta una routine poco interessante. Il resto diventa semplicemente un grande recinto in cui giocare a scappare dalla polizia riempito a forza di collezionabili che aggiungono pochissimo all’esperienza. Detto in tutta sincerità, tra l’altro, non sono mai stato un grande fan degli inseguimenti; trovo che in generale siano divertenti le prime volte ma a lungo andare si trasformano semplicemente un ostacolo succhia-tempo tra una gara e l’altra che va ad appiattire il senso di progressione generale del gioco, soprattutto se dal quadro vengono rimossi tutti quei piccoli elementi “strategici” per l’evasione come la distruzione dell’ambiente utilizzata come arma per difendersi dagli assalti delle volanti. Purtroppo è una formula che sembra aver già detto tutto ciò che aveva da dire anni fa, e oggi sembra più una reiterazione stanca e obbligata che più che aggiungere finisce per togliere all’esperienza complessiva.

 

Troppo stile, poco coraggio

In definitiva, Need for Speed Unbound è un gioco che si accontenta. Anzi, è persino un ottimo rappresentante dei giochi che si accontentano. Il che è un bene, intendiamoci, perché è infinitamente migliore di tanti altri titoli (della serie e non), ma è anche un male perché è evidentissimo che le intenzioni fossero quelle di andare oltre la media. La ricerca certosina sullo stile, sui design, sugli stili di elaborazione, sulla musica e sull’estetica ne é la prova: Criterion aveva delle grandi ambizioni che ha rispettato solo in parte. Al di là della mia ossessione per Automodellista e per i racing arcade strani in generale, da Unbound speravo di ottenere qualcosa in più. Nello specifico speravo che esagerasse il più possibile. Bellissima l’idea dei personaggi in cel shading e degli effetti grafici disegnati a schermo, ma ne avrei voluto molto, molto di più.

Avrei voluto che si esagerasse in questo senso, che si trasformasse quella che nei fatti è una piacevole aggiunta estetica nel vero e proprio fulcro dell’intero gioco in maniera tale da distaccarsi del tutto dagli ultimi capitoli e trovare finalmente una nuova formula per far ripartire davvero la serie. Il risultato finale è fin troppo timido, quasi come se nonostante tutte le buone intenzioni ci si fosse dimenticati di rilasciare il freno a mano. C’è una specie di strana incertezza che aleggia sul gioco, quasi come se non ci sia stato il coraggio di spingersi un po’ più in là e creare qualcosa che fosse davvero unico nel suo genere in un panorama, quello dei racing arcade, che si sta inaspettatamente ripopolando. E stiamo parlando di un videogioco che si è comunicato sbattendo graffiti ultra-saturati in prima pagina ogni volta che ne ha avuto l’occasione, quindi non di un titolo che ha tentato di sminuirsi o mimetizzarsi tra i suoi simili.

In apertura ho parlato di come Unbound sia evidentemente una sorta di reskin di Heat, e sono fermamente convinto che il problema sia fondamentalmente questo. Anziché ripartire da zero, Criterion ha mescolato Heat alla struttura open world di Burnout Paradise e ci ha spiattellato sopra una bella passata di spray in cel shading. Senza dubbio un passo nella giusta direzione, ma ripensare a quello che sarebbe potuto essere se ci si fosse creduto fino in fondo lascia un po’ l’amaro in bocca. È stato un bel colpo di fulmine che si è spento in fretta per colpa della troppa ripetitività generale. Poca varietà negli eventi (il cui apice sono le Staffette, che altro non sono che delle splendide gymkana clandestine in cui vince chi fa più casino), poca varietà nella struttura di gioco, che arriva alla sua conclusione stanco dopo aver ripetuto lo stesso identico loop per quattro volte di fila, e persino poca varietà nei circuiti e nel pool di avversari, che non cambia quasi mai per tutta la durata della trama. Siamo purtroppo ancora lontani dai fasti di una serie che ad inizio millennio spadroneggiava sul panorama dei racing arcade, e per quanto le prime ore di Need for Speed Unbound abbiano riacceso in me la scintilla per una serie di cui sono stato follemente innamorato durante la mia adolescenza questo non è bastato a convincermi davvero. La strada verso la rinascita del brand è ancora molto lunga, ma quantomeno la direzione sembra essere quella giusta.

Pubblicato il: 21/12/2022

Provato su: PlayStation 5

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13 commenti

Sono vicino a finirlo: direi un passo nella direzione giusta, ne mancano ancora 14 per avvicinarsi a qualsiasi titolo nell'olimpo dei racing game. Mi sono divertito, davvero. Non mi ero divertito con Heat. Ma mi sono anche frustrato a tratti: inizial …Altro... Sono vicino a finirlo: direi un passo nella direzione giusta, ne mancano ancora 14 per avvicinarsi a qualsiasi titolo nell'olimpo dei racing game. Mi sono divertito, davvero. Non mi ero divertito con Heat. Ma mi sono anche frustrato a tratti: inizialmente per il gameplay, poi c'ho preso la mano. Poi per la polizia, troppo scriptata (ma anche quella ho imparato a gestirla, imparando a memoria la mappa ci sono punti in cui la freghi alla grande).
Personalmente do molta importanza al gameplay e qui si migliora un pochino rispetto a Heat (che migliora un pochino con la mod UNITE, ma non abbastanza): al contrario di come rileva il recensore, impostando le auto al massimo della tenuta di strada (contrapposta all'impostazione di derapata), si può guidare puliti, e al contrario dei titoli precedenti sei perfino premiato da una carica di boost quando fai le curve con la giusta traiettoria. Il sistema per me ha funzionato, ma rimane quell'odioso sistema di peso e inerzia delle auto che in riferimento a qualsiasi altro gioco racing, è totalmente a l i e n o (e irrealistico) (e controintuitivo): chi ha giocato a NFS2015, Payback o Heat sa benissimo di cosa parlo.. Un passo nella direzione giusta, stiamo a vedere, come da 10 anni a questa parte..

Sono a dir poco combattuto per questo NFS…
C’è un’accesa voglia dentro di me che mi spinge verso l’acquisto ma al contempo una vocina persistente vocina nella testa mi trattiene dal farlo. Sarà forse che mi sono allontanato dal brand da tr …Altro...
Sono a dir poco combattuto per questo NFS…
C’è un’accesa voglia dentro di me che mi spinge verso l’acquisto ma al contempo una vocina persistente vocina nella testa mi trattiene dal farlo. Sarà forse che mi sono allontanato dal brand da troppi capitoli ma la formula di gioco un po’ stantia non aiuta. Mi mancano i tempi di quello spettacolo che era ProStreet e shift e mi dispiaccio che il brand e l’industria abbiamo deciso di accantonare la strada di un corsistico dallo squisito lato arcade un po’ cazzone che però guarda verso il lato del motorsport più puro.

Ho vissuto l'epoca d'oro dei Need for Speed, li ho giocati per ore e sono tra i giochi più iconici della mia infanzia (soprattutto Most Wanted e Underground 2). Tuttavia mi chiedo se riproporre oggi questa formula inalterata possa funzionare: a mio …Altro... Ho vissuto l'epoca d'oro dei Need for Speed, li ho giocati per ore e sono tra i giochi più iconici della mia infanzia (soprattutto Most Wanted e Underground 2). Tuttavia mi chiedo se riproporre oggi questa formula inalterata possa funzionare: a mio parere, bene o male, gli ultimi Need for Speed hanno riproposto più o meno quelle formule (sebbene, di questi, abbia giocato solo Payback che, tra l'altro, ho apprezzato).
Forse questa formula non funziona: un Underground 2 oggi non è più sufficiente, occorre altro. A mio avviso la strada giusta è quella di allontanarsi il più possibile dalle strade percorse in passato e trovare una nuova identità. Mi chiedo però come si possa fare. Se avete ideee secondo me sarebbe interessante discuterne in questo spazio.

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Qualcuno ha detto Suzuki Escudo sul primo GT? Mamma mia, quanti ricordi... praticamente ti rompeva il gioco, finivi le gare quadruplicando le altre auto.
Si poi io ero proprio della generazione del primo NFS Underground, gioco che ho demolito, erano …Altro...
Qualcuno ha detto Suzuki Escudo sul primo GT? Mamma mia, quanti ricordi... praticamente ti rompeva il gioco, finivi le gare quadruplicando le altre auto.
Si poi io ero proprio della generazione del primo NFS Underground, gioco che ho demolito, erano i tempi dei primi Fast n Furious, eravamo tutti esaltati con corse clandestine, macchine con i neon, livree da pugni negli occhi e fighe badass, un netta rottura rispetto all'austerità di un Gran Turismo.

Venendo da Forza Horizon, quasi tutte le volte che ho provato sul Game Pass un Need for Speed mi è sembrato bruttino e strano, con un input lag fastidioso quando sterzavi che me lo faceva odiare. L'unica eccezione è stata l'originale Most Wanted su …Altro... Venendo da Forza Horizon, quasi tutte le volte che ho provato sul Game Pass un Need for Speed mi è sembrato bruttino e strano, con un input lag fastidioso quando sterzavi che me lo faceva odiare. L'unica eccezione è stata l'originale Most Wanted su Xbox 360 che mi piaceva molto. Probabilmente mi sono perso l'epoca dei migliori capitoli di Need for Speed che ormai è solo un lontano ricordo.

Ancora si ostinano a far uscire nuovi Need For Speed? A me da dopo Carbon mi sono sembrate tutte brutte imitazioni.

Da quello che scrivi qui poi sembra che si siano concentrati tutto sull'estetica e poco sul resto, in più curiosando in giro, cos …Altro...
Ancora si ostinano a far uscire nuovi Need For Speed? A me da dopo Carbon mi sono sembrate tutte brutte imitazioni.

Da quello che scrivi qui poi sembra che si siano concentrati tutto sull'estetica e poco sul resto, in più curiosando in giro, cosa stracazzo mi significa sta frase di Wikipedia: "Oltre a diverse case automobilistiche italiane, la moda italiana di Versace è presente con alcuni indumenti per i piloti/avatar in Need for Speed: Unbound (2022)". Dovè finito quell'infame di Razor col sua canottiera del mercato?? Non si può più essere brutti manco su Need For Speed...

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