A PLAGUE TALE

REQUIEM

Decisamente troppi ratti. 
Non può che cominciare così la recensione del secondo capitolo di A Plague Tale, in modo da ribadire fin da subito che Asobo Studio, in questo sequel, ha deciso di esagerare. Su molti fronti, e indistintamente: ad esempio per quanto riguarda la durata, quasi doppia rispetto all’originale; e sicuramente in ambito tecnico, grazie a un lavoro impeccabile sulla costruzione degli scenari e sulle texture che gli danno vita. 
Ma Asobo esagera anche nei toni, negli accenti narrativi, e soprattutto nell’esaltazione di quegli elementi paranormali che nel primo capitolo restavano opportunamente moderati, ai margini del racconto. Non è un bene: se già il finale di Innocence aveva fatto storcere il naso a molti, con vortici di topi che sembravano in qualche modo rompere la coerenza del gioco, in Requiem il team non ha più freni. Molto presto ci si imbatte in geyser di ratti, tsunami di topi, ondate palpitanti di roditori che fanno crollare interi edifici, spaccano cinte murarie e aprono nel terreno dirupi e voragini.
Non senza una nota di amarezza, più volte mi sono chiesto come sia stato possibile passare da un contesto in cui gli sciami di ratti inscenavano una rappresentazione gustosamente iperbolica del dramma medievale della peste, a un gioco in cui si finisce per sparare con un cannone lanciafiamme a una marea di bestie stridenti che ha appena inghiottito un’intera città.
Questa che identifico come una strana “poetica degli eccessi”, per come la vedo, arriva persino a fiaccare il fascino storiografico su cui A Plague Tale ha sempre provato a puntare. E che in verità, nelle prime ore dell’avventura, è ancora forte e presente. Alcuni dei momenti più memorabili di Requiem sono proprio quelli in cui Amicia e Hugo scoprono assieme vibranti borghi medievali, mercati straripanti di spezie e stoffe e tappeti, e quartieri invece tremendi come quelli dei macellai, invasi dall’odore del sangue e della carne marcescente. 

I primi capitoli di Requiem sono davvero eccellenti, non solo perché puntano a farci scoprire le architetture dei castelli provenzali, ma anche perché esibiscono un colpo d’occhio sontuoso, ammaliante, in uno degli impianti grafici più stupefacenti tra quelli visti nella nuova generazione. Il passo in avanti che Asobo Studio ha compiuto lavorando a stretto contatto con Microsoft negli anni di Flight Simulator è davvero impressionante. Perdonate se mi lascio andare a qualche considerazione più tecnica che estetica, ma il team francese ha compiuto veramente un piccolo miracolo produttivo, sfruttando le librerie di texture di Quixel e Epic, ma poi ricollocandole in un motore proprietario, in modo da dare al rendering un feeling inedito. Il risultato è un colpo d’occhio impressionante, vivace, che riesce a gestire panorami meravigliosi e al contempo focalizzarsi sui dettagli infinitesimali degli ambienti chiusi.

La vivida potenza dei colori viene esaltata dall’illuminazione, e lasciarsi rapire dagli scenari di Requiem è davvero la norma, sostanzialmente per tutte le sedici ore dell’avventura. C’è ancora un bel po’ di lavoro da fare sull’espressività dei volti e sui modelli di certi personaggi secondari, così come in generale sulle animazioni, ma pensare che in tre anni Asobo sia riuscita a raggiungere questa qualità impone almeno una sperticata lode al merito.

Se la meraviglia visiva rimane ben salda dall’inizio alla fine, le soddisfazioni ludiche sono invece più moderate, e per lunghi tratti del gioco addirittura non pervenute. A Plague Tale: Requiem non si discosta dall’impianto del precedente episodio, e alterna quindi sequenze stealth molto classiche a momenti puzzle, in cui sfruttare le risorse alchemiche di Amicia per gestire le fonti di luce e – di conseguenza – i ratti che le detestano e le rifuggono. Rispetto al primo capitolo c’è qualche opzione in più: la pece che allarga temporaneamente le fiamme e una balestra con cui conficcare dardi alchemici su varie superfici. Eppure lo sviluppo delle meccaniche rimane sempre molto compassato, e soprattutto finisce dopo una manciata di ore, lasciando in dote al giocatore un gameplay un po’ statico e superato. Le fasi di infiltrazione sono noiose, monocordi, e ben presto lo diventano anche quelle in cui si devono gestire i ratti, nonostante il team provi in tutti i modi a infilare nel mucchio qualche nuova abilità temporanea o un comprimario inedito con cui interagire. Il tentativo, mi spiace ammetterlo, è lodevole ma vano: se A Plague Tale è incredibilmente maturato sul fronte visivo, non si può dire altrettanto di meccaniche che già tre anni fa risultavano fin troppo classiche, se non (teneramente?) fuori dal tempo.

Sono convinto che, consapevole di questo “ammanco” ludico, il team avrebbe dovuto assemblare un’esperienza condensata, capace di andare dritta al punto. E invece ad Asobo è mancato il senso della misura. Quella di Requiem è un’avventura lunga, stiracchiata, a tratti persino estenuante. Purtroppo l’ottima varietà di ambienti e scenari non basta a tenere in piedi il racconto, visto che manca quasi tutto il resto. 

Le meccaniche arrancano dopo qualche ora, e in certi casi arrivano persino a farsi da parte: ci sono lunghe sequenze poco o per nulla interattive, in cui il gioco ricade nei canoni dei più spiccioli “walking simulator”, lasciandoti per lunghe mezz’ore impegnato fra dialoghi, camminate e scene d’intermezzo. Quando poi si entra in azione manca spesso quella varietà – di situazioni, nemici e level design – necessaria ad un prodotto di questa portata. Basti un esempio, su tutto: i momenti che per pathos e impatto sono paragonabili a delle boss fight vengono ancora una volta gestiti come ondate di nemici tutti uguali, da uccidere a colpi di fionda... senza nessuna meccanica inedita, nessuna situazione originale, e alle volte senza neppure una costruzione scenica convincente. A Requiem purtroppo mancano anche tante altre cose, più sottili e sfumate. Per esempio l’intensità, il vigore narrativo. Le tematiche che affronta sono poco incisive, perché spesso ripetute in maniera quasi morbosa: l’arrivo in una città luminosa e ideale, che sembra rappresentare finalmente la salvezza per Hugo e Amicia, cela in realtà insidie nascoste, che siano di carattere civile o religioso. Il concetto – esplorato in Requiem per almeno tre volte – è sempre lo stesso, ovvero quello di una redenzione frustrata, di un viaggio insidioso che richiede dolore e sacrificio. Questa ripetizione quasi ossessiva, assieme alla recitazione digitale non del tutto espressiva, trasforma la componente drammatica del racconto in puro e semplice patetismo: i lamenti di Amicia, il bisbigliare inorridito di fronte alle guardie, le sue urla strazianti, fanno sì che certe scene potenzialmente commoventi siano invece spudoratamente lacrimevoli. Ed è un peccato, perché l’atto finale avrebbe anche delle ottime intuizioni, che vengono però sacrificate sull’altare di una sofferenza esibita senza sosta. 

La sensazione che ho avuto costantemente, nel corso dell’avventura, è che Requiem sia un prodotto che in qualche modo è sfuggito di mano al team di sviluppo. Troppo esteso, iper-drammatizzato, incapace di accordare le sue due anime: quella tecnica da una parte e quella ludica dall’altra.

Non posso sapere quale sia il processo produttivo che ha portato a questo prodotto quasi bifronte, spettacolare visivamente e più insipido quando si passa all’azione. Forse le competenze acquisite dal team rendono più rapida la produzione di scenari, ambienti ed ecosistemi visivi, di quanto non sia invece il processo di definizione di nuove meccaniche o di svecchiamento di quelle già esistenti.

Fatto sta che troppi dettagli evidenziano un gameplay a cui è stata dedicata pochissima attenzione: persino il potenziamento degli strumenti di Amicia è poco interessante e del tutto sbilanciato. Basti sapere che con poche risorse è possibile sbloccare la capacità di recuperare i dardi per la balestra dai cadaveri dei nemici; un metodo per avere di fatto munizioni infinite e superare tutte le fasi di gioco senza più curarsi dell’infiltrazione. Non capisco come questo dettaglio sia sfuggito ai game designer, e soprattutto come un’abilità del genere abbia potuto trovar posto fra altri miglioramenti molto meno impattanti sulle situazioni che la protagonista deve affrontare.

Al termine del viaggio di Amicia, avrete capito, avverto sensazioni estremamente contrastanti. Non posso dire che Requiem non abbia lasciato un suo segno nella mia esperienza di giocatore, e sono convinto che a suo modo lo lascerà anche sul mercato. Lo farà grazie alla bellezza dei campi in fiore della Provenza, e con le fiamme che divampano tra i merli di antichi castelli. Con le processioni di culti misteriosi nelle isole del mediterraneo, e con i vicoli delle città in festa. Forse lo farà anche grazie a un finale che non può lasciare indifferenti.
Ma è indubbio che mi sarebbe piaciuto vedere molto più rispetto per la dimensione storica se non addirittura archeologica, nei momenti in cui si parla ad esempio della Peste di Giustiniano e si traccia un parallelo fra il tempo di Amicia e l’epidemia in epoca bizantina. E soprattutto ci sarebbe stato bisogno di ben altra cura nelle fasi di gameplay, che sono mosce, inconsistenti, alle volte volutamente messe in disparte per far sì che il giocatore si concentri solo sullo sfarzo visivo. 

La speranza è che Asobo Studio, archiviata questa serie, possa andare oltre, e mettere il suo motore e la sua impressionante consapevolezza tecnica al servizio di meccaniche fresche e trascinanti, o almeno di un prodotto più misurato e meglio proporzionato. Perché stavolta, curiosi di sapere come finisce la storia della saga, si arriva alla fine nonostante la stanchezza; ma se dovesse ricapitare un gioco dal gameplay superato e raccontato senza moderazione… beh: peste lo colga

Pubblicato il: 15/11/2022

Provato su: PlayStation 5

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23 commenti

Buonasera.
Siamo sicuri che parlare di gameplay sia metodologicamente corretto riguardo a questa esperienza videoludica? Sono lieto di notare che a differenza di altre "recensioni" sul web (e per vostro statuto che stimo sicuramente) si è evitato d …Altro...
Buonasera.
Siamo sicuri che parlare di gameplay sia metodologicamente corretto riguardo a questa esperienza videoludica? Sono lieto di notare che a differenza di altre "recensioni" sul web (e per vostro statuto che stimo sicuramente) si è evitato di parlare di "fps non performanti" o di "rendering inefficaci" senza poi presentare dati tecnici degli engine sulle prove o altro, come ogni testo critico dovrebbe avere per un minimo di valenza scientifica.
Questo gioco, come il primo capitolo, afferma in ogni secondo che l'approccio alla giocabilità è 100% narrazione. Anche il gameplay si sintonizza su questo approccio: invece che declassificare o decantare i power-up o altri aspetti del gameplay di Requiem, occorre chiedersi quanto avesse senso aprire a queste meccaniche in cui Asobo secondo me non ha mai veramente creduto (o forse ha dato un contentino al pubblico sbagliato, sempre voglioso di dinamiche smashie-buttons). Asobo ha sbagliato nel senso che avrebbe dovuto blindare assolutamente la fase stealth, o se non altro, ampliarla per non renderla ripetitiva. Sai perchè ti dico stealth? Perchè in Innocence la paura di essere scoperti da guardie senza possibilità alcuna di "combat-diretto" mi illuminava di bellissima prova d'amore riuscita sul rapporto gameplay-narrazione; i protagonisti sono un bimbo e una sorella di poco più grande - i quali apppunto perdono l'innocenza - che nel mondo ostile degli adulti armati non hanno speranze se non evitandolo. Ecco, in questa chiave andrebbe secondo me detto che il gameplay è decentrato, più che "superato".

Il concetto di "redenzione frustrata" secondo me è coretto, ed è esattamente la sensazione ed emozione che questo gioco deve suscitare secondo la volontà di Asobo (dichiarato chiaramente dalle featurette e making of). Voglio dire; in un qualunque titolo di Silent Hill, non proviamo in modo continuo queste sensazioni (dando per scontato che chi scrive questo intervento e chi ha scritto la recensione valuta la saga di Konami come funzionante)? Non sono esse stesse quelle sensazioni suscitate di perenne angoscia a forgiare l'unicità di quel titolo particolare?

Quando ho letto dell'astoricizzazione graduale (Peste giustiniana) ho pensato che saremmo stati perfettamente d'accordo senza una sbavatura. Poi ho riflettuto ulteriormente: la plague tale qui discussa esegue un history-mash up (come definito in questo articolo accademico dell'università di Bristol riguardo alla saga di Assassin's Creed - https://research-information.bris.ac.uk/ws/portalfiles/portal/334498352/Mashing_Up_History_and_Heritage_in_Assassin_s_Creed_Odyssey.pdf -).
Si crea un fascino derivante dalla mobilitazione culturale dell'argomento storico nella trama del videogioco, in questo caso l'accenno alla peste giustiniana di epoca bizantina. Accenno troppo gramo? In ogni caso, avrebbe portato molto poco alle relazioni tra i personaggi principali su cui, è evidente, il titolo vuole andare in contro.

Nel finale parli di "racconto senza moderazione" come male. Io penso che di questi tempi (come nel resto del panorama di fruizione d'opere digitali e loro ideazione) e da un po' di anni, i giochi soffrano di troppa moderazione in tutto. Moderazione è significante di limitazione di criterio che puzza tanto di mediocre, per tutti. Purtroppo moltissimi titoli considerati "tripla A" oggi lo sono e presumo ne sarai persuaso, ma sicuramente non doveva esserlo Plague Tale Requiem o, come si evince dalle parole dei game designers, ha mai voluto esserlo. In tal senso, sul glorificare questo iperbolico susseguirsi di emozioni su una cosa siamo d'accordo senza virgola: le espressioni facciali del design dei personaggi. Qualcuno potrebbe dire che i titoli di Plague Tale non hanno mai avuto la corazzata di marketing-budget massivo (e neanche gli sviluppatori l'avrebbero proposta in tal senso perchè consci del target) che alcuni titoloni hanno ma mi fermerei al dubbio...

Questo articlo è la conferma che su questi lidi finalmente la critica diventa sincera e viscerale. Non sono però daccordo con il tenore generale del pezzo. Pur riconoscendo tutte le criticità sottolineate nell'artciolo ho trovato apr uno dei vdg p …Altro... Questo articlo è la conferma che su questi lidi finalmente la critica diventa sincera e viscerale. Non sono però daccordo con il tenore generale del pezzo. Pur riconoscendo tutte le criticità sottolineate nell'artciolo ho trovato apr uno dei vdg più coinvolgenti ed emozionanti degli ultimi tempi. Probabilmente il prodotto è risultato particolarmente lontano dalle corde del Fossa, da qui la critica abbastanza pesante. Ci sta.

Ho approcciato questo secondo capitolo di A Plague Tale con curiosità, dopo essere stato piacevolmente colpito dal primo. Come evidenziato perfettamente, secondo me, nella recensione del Fossa, nei primi capitoli del gioco siamo immersi nei meravigl …Altro... Ho approcciato questo secondo capitolo di A Plague Tale con curiosità, dopo essere stato piacevolmente colpito dal primo. Come evidenziato perfettamente, secondo me, nella recensione del Fossa, nei primi capitoli del gioco siamo immersi nei meravigliosi borghi medievali francesi che ci fanno sognare e allo stesso tempo inorridire di fronte ai danni causati dalla peste in questa Francia. Purtroppo, però, appena ci troviamo "nel vivo" del gioco affrontiamo meccaniche già viste nel primo capitolo e che a tratti mi sono risultate anche noiose, tanto da abbassare la difficoltà al minimo per poter andare oltre e gustarmi al meglio la storia. I poteri di Hugo fanno effettivamente storcere il naso ma comunque sono, secondo me, messi in secondo piano dalle emozioni che ci troviamo a provare di fronte alle ingiustizie che questo bambino si trova a dover affrontare. Il finale mi è piaciuto molto, in stile The End of Evangelion, in cui i personaggi si rendono conto che la Macula va affrontata direttamente e con estrema sofferenza.

Detto ciò, la recensione mi è piaciuta molto, mi trovo d'accordo su tutto e mi ha permesso di poter comprendere meglio le mie stesse sensazioni che ho provato nel corso del gioco.

L'ho finito ieri sera e onestamente sono rimasto parecchio deluso.

Si, esteticamente e graficamente è qualcosa di incredibile, stupendo, davvero.

Il gameplay l'ho trovato accettabile, nonostante quello già detto da Fossetti e alcune parti del …Altro...
L'ho finito ieri sera e onestamente sono rimasto parecchio deluso.

Si, esteticamente e graficamente è qualcosa di incredibile, stupendo, davvero.

Il gameplay l'ho trovato accettabile, nonostante quello già detto da Fossetti e alcune parti del combattimento, come quando si triggera un conflitto corpo a corpo con una guarda o per esempio la sezione con il falco, che ho percepito quasi completamente distaccate dal resto del sistema di gioco.

E' la scrittura il tasto davvero dolente. Senza stare a ripetere le cose dette nell'articolo, secondo me, ci sono delle scene che sono state scritte davvero, davvero male che mi hanno completamente perso e mi hanno portato a finire il gioco, giusto per scoprire come la storia sarebbe andata a finire.

Poi vado a vedere i commenti su Youtube e sotto alle recensione e tanta gente grida al capolavoro, o fa paragoni con shakspeare, addirittura chi gli ha dato 9,2.

Insomma, questa è l'unica recensione con cui sono d'accordo con ogni singola parola, quindi grazie e complimenti per il lavoro.

Grazie della recensione! Non penso che recupererò il titolo ma sono attratto dalla sua estitica e storia, probabilmente mi recupererò solo le cutscenes su yt

Bellissima recensione Fossa, il primo mi era piaciuto molto e sinceramente sono curioso di giocare anche questo secondo capitolo, però attenderò un forte sconto prima di comprarlo

Giocai Innocence senza grande entusiamo, trovandolo anche abbastanza palloso e con un finale a dir poco orrendo.

Ho provato Requiem con il GP ed è ancora peggio del primo. C'è un'amplificazione di tutti i difetti di Innocence. Non ci sono possib …Altro...
Giocai Innocence senza grande entusiamo, trovandolo anche abbastanza palloso e con un finale a dir poco orrendo.

Ho provato Requiem con il GP ed è ancora peggio del primo. C'è un'amplificazione di tutti i difetti di Innocence. Non ci sono possibilità. Regole troppo stringenti, fatte di centinaia di ratti, fasi stealth orrende, potenziamento di Amicia senza senso. Non mi piace la narrazione, non mi piacciono Amicia ed Hugo, non riesco a provare empatia per loro. Non fa per me. Fosse stato più breve, lo avrei anche finito, ma 15 ore di questa roba, anche no!

Nel complesso il gioco mi è piaciuto ma concordo sulla ripetizione delle situazioni, un difetto non da poco se consideriamo la durata del gioco. Graficamente non mi è sembrato tutto questo miracolo.

cavolo... è più bella l'impaginazione del gioco in se XD
si scherza ovviamente, ma nemmeno poi così tanto =P

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