SCORN
Il disprezzo di Ebb Software
Credo che il vero grande merito di Scorn, sconvolgente opera prima del team serbo Ebb Software, stia tutto nelle sensazioni indelebili che ti rimangono inevitabilmente addosso una volta arrivato – dopo circa cinque ore di gioco – a un epilogo tanto sfuggente quanto brutale. Alcuni sostengono che si possa definire arte tutto ciò che ha il potere di suscitare emozioni, di muovere qualcosa a livello interiore; non mi è mai particolarmente interessato il dibatto, a mio avviso un po' sterile e abbastanza fine a se stesso, sul fatto se i videogiochi siano o meno degni di tale appellativo, però di una cosa sono davvero sicuro: è letteralmente impossibile che Scorn possa lasciare indifferenti, capace com'è di suscitare sensazioni fortissime (e, a seconda della sensibilità di ciascuno, magari anche diametralmente opposte).
Il debutto dello studio di Belgrado è infatti un'esperienza senza compromessi né mezze misure, che abbraccia con immondo candore tutte le viscerali componenti di un horror estremo, sfrenato e a tratti quasi compiaciutamente pornografico nella sua carnale rappresentazione di un immaginario che pesca a piene mani da visionari tessitori di incubi quali Hans Ruedi Giger, Zdzisław Beksiński e David Cronenberg. Prima di addentrarci a dovere negli umidi anfratti cavernosi di un inferno biomeccanico destinato a lasciare il segno, è però opportuna una precisazione su tutto ciò che Scorn sia, ma soprattutto su quello che scelga invece deliberatamente di non essere.
Dimenticate per prima cosa l'azione: nessuna concezione a ritmi sfrenati o a incessanti massacri a testa bassa, perché, anche a dispetto della presenza di un'arma oscenamente organica, l'enfasi rimane costante sull'esplorazione, su un'ermetica narrazione ambientale e sulla risoluzione di enigmi mai particolarmente complessi. Gli sporadici combattimenti, funzionali nell'aggiungere quel pizzico di tensione e di insicurezza negli spostamenti ma comunque fra le note meno appaganti del gioco, sono allora da interpretare più come prove di gestione dei pochi proiettili a disposizione che come effettivi scontri a fuoco all'insegna di un tirato mors tua, vita mea. Insomma, Scorn non è per nulla un FPS, ed è bene che chi si aspetta un videogame di quel genere sappia sin da subito che la prima persona viene messa al servizio di qualcosa di molto più affine a Myst che non a DOOM.
Il fine ultimo di Ebb Software è ad ogni modo ancora diverso: catapultare senza alcuna premessa l'utente in un universo sfuggente e incomprensibile, abbandonandolo a sé stesso in preda ad amletici quesiti esistenziali e a insondabili meccanismi perversamente pensati per dilaniare la carne, interagendo con sconvolgenti tecnologie molto oltre l'ordinario, dagli evidenti richiami sessuali. Anche alla luce di un protagonista silente – con parvenze di un'umanità misteriosamente ridotta ai minimi termini ed evoluta in altro – è l'ambientazione così aliena a diventare dunque l'indiscussa protagonista di Scorn: un trionfo di architetture organiche spesso percepibilmente ricoperte di strani fluidi, di orifizi impudicamente riconoscibili, di spazi in cui la vita è stata violata e assoggettata a chissà quali cause, riprodotti con una fedeltà grafica sbalorditiva tanto dal punto di vista artistico quanto da quello prettamente tecnico. Considerando che si tratta di un'opera prima e di una produzione AA, siamo dalle parti di un vero e proprio miracolo.
Corpi come macchine e macchine che scimmiottano grotteschi apparati, lovecrafiani medi-kit che ricordano la morfologia degli echinodermi, armi sul modello di organi senzienti e molto, molto altro ancora: lo specchio di una civiltà perdutamente fuori dal tempo, dallo spazio e soprattutto da ogni logica, per un degenerato peregrinare in una dimensione morbosa che viene ulteriormente enfatizzata dalla magistrale colonna sonora di Lustmord. Verso un folle e sconcertante epilogo che, come accennato in apertura, non può che essere destinato a farsi ricordare per sempre. Lasciando attoniti, confusi, turbati ma forse più di tutto profondamente affascinati e desiderosi di attingere a una conoscenza impossibile da afferrare – e proprio per questo ancora più seducente.
Nel mezzo, un'esperienza di intrinseco orrore e perturbante meraviglia, che sceglie di non ricorrere mai e poi mai al banale meccanismo del jump scare: col suo rivoltante body horror Scorn vuole al contrario impressionare e mettere a disagio, suscitare repulsione ma anche la stessa innata curiosità di quando lo sguardo non riesce ad evitare di indugiare su certi particolari morbosi, pur sapendo che potrebbero infastidire sino a lasciare sgomenti e nauseati. Con un'idea di brillante esplorazione ambientale completamente priva dell'ausilio di una mappa, senza una singola riga di testo o un dialogo in tutta l'avventura, il debutto di Ebb Software si dimostra insomma un esperimento tanto coraggioso quanto potenzialmente divisivo.
Sembra quasi banale esplicitarlo, ma è evidente che Scorn, nel suo scegliere di evitare qualsiasi compromesso e di proseguire dritto per la sua strada, non possa che rivelarsi un prodotto fuori dal canone, diverso e a tratti persino apertamente anticommerciale. Un gioco tassativamente non per tutti, lontanissimo da quello che potrebbe piacere al grande pubblico ma anzi capace di rivendicare con un certo orgoglio il suo essere davvero per pochi (dotati di stomaco forte e cervello fino).
Ci si trova al cospetto di un'esperienza emotiva e irrazionale, in grado – a dispetto di puzzle mai sbalorditivi ma comunque tutto sommato appaganti e di una durata particolarmente concisa – di prescindere dal gameplay nudo e crudo, per arrivare a titillare quegli stessi abissi dell'anima e quegli istinti primordiali intrisi di Eros e Thanatos a cui si rivolge l'arte di Giger, qui padroneggiata in maniera sublime anche nelle componenti più sessualmente oscene (ovvero quelle che hanno effettivamente definito la poetica del genio svizzero al di là del popolarissimo Xenomorfo di Alien).
Cosa resta allora, in definitiva, di Scorn?
Un videogame imperfetto eppure memorabile come pochissimi altri, in grado di andare ben oltre i suoi limiti per proiettare una fugace occhiata a frammenti di un mondo malsano e squisitamente extraterrestre, destinato a lasciare gli effetti delle sue spore maligne nella coscienza di chi saprà abbandonarsi a un mistero destinato a tormentare per parecchio tempo.
Perché, a distanza di giorni, spesso e volentieri mi accorgo di ritrovarmi a pensare ad alcune suggestioni, con la consapevolezza incrollabile che alcuni passaggi e certe visioni facciano ormai parte di me, per sempre.
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