- RECENSIONE -
THE OUTER WORLDS 2
Come molti dei titoli sviluppati da Obsidian a cavallo fra il 2014 e il 2018, l’anno dell’acquisizione da parte di Microsoft, anche The Outer Worlds fu il risultato di una gestazione difficile, che di fatto costrinse il team ad accettare compromessi decisamente scomodi. Da una parte c’erano l’articolata visione e l’appassionata competenza di Tim Cain e Leonard Boyarsky, due veterani del panorama ruolistico, e dall’altra le notevoli difficoltà finanziarie e gestionali di una compagnia che, proprio in quegli anni, era arrivata a un passo dalla chiusura e faticava a trovare una stabilità a lungo termine. In questa spigolosa cornice, il “progetto dei sogni” di Boyarsky venne fortemente ridimensionato per adattarsi al disequilibrio fra grandi ambizioni e risorse limitate, nella stretta di un percorso produttivo fin troppo sincopato.
Oggi posso dire - con un certo grado di sicurezza - che tutte quelle idee, tutte le propaggini sacrificate sull’altare della necessità sono tornate a far parte della visione creativa di Obisidian, poste a consolidare l’ossatura del franchise già a pochi mesi dalla pubblicazione del primo capitolo, quando i lavori sul sequel sono iniziati sotto il vessillo di Xbox Game Studios. All’amalgama si sono poi aggiunti tanti spunti emersi fra le maglie del feedback comunitario, che hanno rinforzato l’ossatura di un secondo capitolo ben più solido del suo predecessore, molto più allineato con gli intenti originali di Cain (questa volta nel ruolo di consulente creativo) e Boyarsky: creare un gioco di ruolo all’altezza degli straordinari trascorsi dei suoi autori, capace di riportare alla mente le gesta compiute durante l’epoca d’oro dei crpg. Ciò non vuol dire che la nuova epopea spaziale di Obsidian sia un’opera impeccabile, ma è comunque facile considerare The Outer Worlds 2 un porto sicuro per gli appassionati di giochi di ruolo. Questo a patto che abbiate un buon rapporto con l’impronta autoriale di una serie che, ponendosi a metà strada fra Futurama e Firefly, intride la scrittura in un sapido guazzetto di umorismo nero e satira mordace, dilettandosi nello sfumare i confini fra utopia e distopia. Una contrapposizione centrale nell’economia narrativa dell’esperienza, che schiera in campo fazioni con tratti antitetici ma adagiate sulla medesima scala di grigi.
Nella cornice frastagliata di Arcadia, un sistema in guerra, le nozioni di bene e male risultano piacevolmente vacue e relative: l’autoritarismo del Protettorato sopprime ogni forma di autonomia ma alimenta una sorprendente solidarietà sociale, in contrasto con l’apparente libertà garantita dal megacapitalismo di Soluzioni della Zia, una “zaibatsu interstellare” che alimenta una cultura predatoria e spregiudicata. Nel mezzo troviamo l’Ordine dell’Ascentente, un culto scientista che ha elevato la matematica a religione, dando forma a una sorta di illuminismo dogmatico che di fatto marginalizza l’elemento umano. Non è certo un caso se in The Outer Worlds 2, per buona parte dell’avventura, è piuttosto difficile additare un vero e proprio “antagonista”: la nostra missione nei panni di un agente del Direttorato Terrestre, il braccio armato del colonialismo intergalattico, è infatti quella di risolvere il problema delle fratture spaziotemporali di Arcadia, punto di origine di un fenomeno dirompente che rischia di annientare l’universo per come lo conosciamo. Man mano che ci avvicineremo ai titoli di coda, questo obiettivo ci porterà a identificare il più pericoloso fra i nostri nemici, la minaccia più grave e imminente, ma nel farlo dovremo inevitabilmente venire a patti e stringere alleanze con uno o più “mali minori”, accettando il rischio che in futuro le cose vadano ancora peggio. Per quanto il prospettivismo morale del racconto denoti una rimarchevole maturità, The Outer Worlds 2 non tradisce il taglio dissacrante del suo predecessore, ma propone una maggiore varietà tonale, un migliore equilibrio fra guizzi di sfacciata ironia e incisi più seri, e lo fa senza incappare in clamorose dissonanze. Il mosaico costruito da Obsidian funziona soprattutto perché concede ai giocatori spazi di manovra quantomai generosi, facendo del loro alter ego l’unità di misura di ogni diramazione narrativa.
UN POTENZIALE CHE FINALMENTE PRENTE FORMA
A questo proposito, i creative director Leonard Boyarsky aveva stabilito con chiarezza quale fosse l’architrave della visione di Obsidian: immergere gli utenti in un mondo reattivo che desse peso alle loro azioni, sostenuto da un denso groviglio di cause e conseguenze. Su queste note, mi preme precisare una cosa: l’apparato narrativo di The Outer Worlds 2 è sagomato sulla base della sua intelaiatura ruolistica, e pertanto è imperativo prestare grande attenzione a come si costruisce e si evolve il proprio personaggio, e questo sin dalla definizione dei suoi tratti di base.
Questo perché a fronte di un sistema di progressione tutt’altro che complesso, addirittura semplificato rispetto a quello del primo capitolo, la caratterizzazione del protagonista è mai come ora il fulcro dell’esperienza, la matrice delle sue molte ramificazioni ludonarrative. Assegnando una gran quantità di punti all’abilità Eloquenza, ad esempio, riusciremo a schivare agilmente la quasi totalità degli scontri clou della questline principale, magari guadagnando facilitazioni aggiuntive nelle porzioni successive della campagna. In altri contesti potrebbero essere le nostre competenze scientifiche a fare la differenza, oppure l’elenco dei Vantaggi a nostra disposizione, un catalogo di capacità passive che potremo rinfoltire ogni due livelli a patto di soddisfare determinati requisiti (sopratutto in termini di abilità).
Oltre a garantire bonus di vario genere in combattimento, questi talenti ci forniranno sovente opzioni di dialogo aggiuntive o soluzioni alternative per superare un determinato ostacolo. Possono alterare l’esito di un’interazione perfino i Difetti accumulati lungo il cammino, tare che potremo fare nostre semplicemente compiendo determinate azioni durante il gioco (come uccidere tot nemici di un certo tipo o utilizzare ripetutamente specifiche facoltà), e che ci infliggeranno malus gemellati con bonus più o meno valevoli. Va detto che avremo sempre modo di rifiutare questi “perk di compromesso”, ma in tutta onestà vi consiglio di accettarne almeno una manciata, dato che non solo possono contribuire all’efficacia della vostra build, ma sono anche in grado di aggiungere spazzi di unicità alla vostra gita nel sistema di Arcadia. Insomma, per quanto i meccanismi della progressione siano stati significativamente snelliti (anche la crescita dei compagni è notevolmente più guidata e basilare, così come la gestione dell’inventario), il gameplay risulta nel complesso più organico e funzionale, soprattutto in relazione alla cospicua arborescenza di un quest design che, come anticipato, offre un generoso novero di biforcazioni narrative e variazioni contestuali. La sostanza e l’assortimento di queste variabili può dipendere anche da un nutritissimo tesoretto di documenti, nozioni e oggetti speciali ottenuti esplorando o affrontando gli incarichi in un certo rodine, che vi permetteranno di accrescere e diversificare ulteriormente le vostre possibilità d’approccio.
Si passa da diversioni minori, piccoli impedimenti che possono essere superati in più modi (una porta chiusa, un obiettivo secondario, un personaggio da persuadere), a diramazioni capaci di alterare in modo consistente il corso dell’avventura sulla strada verso un finale che, seppur sostanzialmente univoco, rende onore alle scelte compiute durante il viaggio. Difficile snocciolare questa apparente contraddizione senza inciampare in spoiler molesti, ma posso assicurarvi che siamo ben lontani dall’epilogo corrivo e carente del primo The Outer Worlds, col contributo di una longevità fondamentalmente raddoppiata. Ciò detto, nel corso delle 40 e più ore necessarie per esaurire gran parte del bagaglio contenutistico di The Outer Worlds 2, può capitare che emergano storture più o meno rilevanti, flessioni nella qualità della scrittura, lievi discrepanze nei rapporti di causa ed effetto fra le missioni, o svolte narrative che appaiono un filo pretestuose, più strumentali che altro. Sebbene la caratterizzazione dei compagni risulti nel complesso più sfaccettata e pregevole, specie considerando il misurabile impatto della condotta dei giocatori sulle sorti dei comprimari e viceversa, non tutte le loro storie appaiono ad esempio tornite con la stessa cura. Il punto è che il peso delle imperfezioni del titolo viene largamente superato dalla forza dei suoi pregi: un discorso che si può agilmente estendere a gran parte dei costituenti in seno alla proposta.
IL BRACCIO ARMATO DELL' ANTICAPITALISMO
In linea con le prime impressioni maturate in quel di Colonia, il sistema di combattimento di The Outer Worlds 2 – che resta ovviamente una parte essenziale del gameplay - offre margini di appagamento ben più significativi rispetto al capitolo d’esordio, soprattutto per quel che riguarda la fisicità delle sparatorie e il feeling delle varie bocche da fuoco, tratte da un arsenale generosamente ampliato per accogliere un buon numero di variazioni sul tema dello spappolamento balistico. Ho particolarmente apprezzato il carattere delle armi più rare e potenti, dotate di effetti e peculiarità tanto letali quanto capaci di aggiungere sfumature saporose agli scontri che costellano l’avventura. Sì, la gerenza delle hitbox non è sempre impeccabile, ed è chiaro che il gunplay non raggiunge i livelli di uno shooter di razza, ma il passo avanti è netto e deciso, grazie anche al maggiore dinamismo garantito da un sistema di movimento ben più scattante rispetto al passato.
Vi confermo inoltre che le contese all’arma bianca non risultano altrettanto rifinite, o meglio si notano fluttuazioni più importanti nella piacevolezza delle mischie in rapporto alle diverse dotazioni. Quali che siano le vostre preferenze guerresche, il sistema di crafting permette di aggiungere qualche utile supplemento all’armamentario (corazze incluse), e offre ora funzionalità inedite come la possibilità di creare munizioni, granate (un’aggiunta più che apprezzata) e “primer”, ovvero composti chimici utili a modificare gli effetti dell’inalatore curativo. È ancora impossibile creare armi e armature ex novo, ma dubito che avrete problemi ad attrezzare di tutto punto il vostro alter ego, in accordo con l’assetto in divenire delle sue attitudini, che vi porterà a favorire equipaggiamenti con specifici benefici e caratteristiche distintive. Parlando delle propensioni del protagonista, nel quadro della proposta di Obsidian ha senso che l’equipaggiamento non conceda alcun bonus alle abilità principali, in modo da non fornire agli utenti scappatoie per aggirare i fisiologici limiti del proprio personaggio, dovuti anche a un level cap fissato a 30. È lo stesso principio che ha portato gli sviluppatori a impedire qualsivoglia forma di “respec”, che avrebbe trivializzato la progressione nel contesto di un titolo che incoraggia a plasmare personaggi ben specializzati, anche per invogliare la platea a tentare strade diverse dopo aver completato la campagna per la prima volta. Per quanto lo smagrimento o l’eliminazione di alcuni elementi tipicamente ruolistici (attributi fisici, livello delle armi, bonus alle statistiche basali) possa generare qualche controversia, da estimatore del genere ritengo che Obsidian abbia tarato con perizia i nuovi equilibri della sua opera.
D’altronde - come detto – abilità, Vantaggi, Difetti, bonus\malus assortiti hanno un impatto percepibile sulle varie sponde del gameplay, senza considerare che è difficile sentire la mancanza di meccaniche come l’usura degli equipaggiamenti o l’ingombro dell’inventario. Sì, potrete gonfiarvi le tasche come se non ci fosse un domani, specialmente optando per un archetipo spiccatamente furtivo. Non che le meccaniche stealth siano particolarmente profonde, badate, ma anche su questo versante si registrano miglioramenti di rilievo. A svilire un po’ l’approccio silenzioso non è tanto la semplicità delle dinamiche coinvolte, quanto i frequenti svarioni dell’intelligenza artificiale, che in generale si comporta molto meglio in campo aperto. Lo stesso vale per i compagni, che se non altro questa volta non sono dei semplici bersagli ambulanti, ma possono rivelarsi dei formidabili alleati, specialmente quando avrete massimizzato le loro capacità speciali completando le rispettive questline. Tanto per ribadire il concetto, la media qualitativa delle missioni è decisamente elevata, e questo malgrado il notevole ampliamento di un’offerta che raddoppia il numero dei pianeti principali, e include diverse altri scenari da visitare.
LA TECNOLOGIA DÀ,
LA TECNOLOGIA TOGLIE
A proposito delle ambientazioni che ospitano le varie tappe della progressione, Obsidian ha saggiamente optato per una razionalizzazione degli spazi che fa sì che ogni open map risulti compatta e relativamente densa di zone d’interesse, fra insediamenti più o meno popolosi, avamposti militari, laboratori abbandonati e stabilimenti industriali. Come prevedibile alcune ambientazioni brillano molto più di altre, ed è inevitabile incappare in zone di passaggio meno invitanti anche dal punto di vista artistico, talvolta in netta contrapposizione con la cura che in genere caratterizza le location principali. Al netto di queste fisiologiche flessioni, il level design si dimostra convincente e ben strutturato, in armonia con i lineamenti di un titolo che fa della moltiplicazione degli approcci uno dei suoi punti di forza. Va comunque detto che la macchina perde qualche colpo qua e là, anche in relazione all’integrazione solo parziale di alcune meccaniche inedite legate all’equipaggiamento. Strumenti come lo Scanner a raggi N (una sorta di visione a raggi X) e il Dispositivo di Stabilizzazione (che permette di materializzare strutture o ricompense supplementari) vengono utilizzati poco e in maniera discontinua, al contrario di altri come lo scudo anti-tossine o il classico DTT (Dilatazione Tattica del Tempo), che questa volta si dimostra utile anche al di fuori del combattimento.
Gli interventi sul sistema di movimento giustificano poi una maggiore verticalità degli scenari, ed è raro che gli sforzi del giocatore durante l’esplorazione non vengano in qualche modo premiati, anche solo con uno scorcio suggestivo. D’altronde The Outer Worlds 2, al pari del suo predecessore, trae vigore da una peculiare miscela di sfumature retrofuturistiche arricchita da richiami all’art nouveau, che vivacizza un mondo denso di accesi cromatismi e ardite contaminazioni stilistiche. Ancora una volta la direzione artistica ha quindi un ruolo fondamentale nell’avvalorare la proposta di Obsidian, che solo di rado mostra cedimenti su questo fronte, come ad esempio nel design delle creature, molto meno stuzzicante e diversificato rispetto a quello degli scenari che le ospitano. Tanto la colonna sonora - sorprendentemente etereogenea - quanto l’effettistica e il doppiaggio in inglese si attestano su ottimi livelli, e con questo ci resta un ultimo nodo da scogliere, quello relativo al comparto tecnico. Se da una parte l’adozione dell’Unreal Engine 5, in tandem con la disponibilità di maggiori risorse e tempistiche più generose, ha permesso al team di imbastire un bel salto di qualità sul versante visivo, dall’altra The Outer Worlds 2 presenta ancora asperità di rilievo.
Le animazioni (sia facciali che corporee) conservano ad esempio una certa rigidità, particolarmente visibile optando per la terza persona: un’aggiunta tutto sommato funzionale, che comunque ci sentiamo di consigliarvi solo in caso di esigenze specifiche. Malgrado l’utilizzo di un sistema d’illuminazione molto più sofisticato rispetto a quello del precedente capitolo, con tanto di ray tracing opzionale, capita inoltre di imbattersi in scene in cui la diffusione luminosa convince fino a un certo punto, al pari della gestione di riflessioni e ombre, queste ultime spesso afflitte da una “granulosità” che troviamo in molti titoli sviluppati con UE5. Vista e considerata la gradevolezza corale del comparto audiovisivo, parliamo comunque di difetti sui quali è facile sorvolare, anche perché si tratta di storture che non compromettono la piacevolezza dell’esperienza. Di contro, è un po’ più difficile glissare sulle fluttuazioni prestazionali di un gioco che, come molti di quelli realizzati col motore di Epic, non gode di un equilibrio ideale fra pregevolezza grafica e carico sull’hardware. Pur potendo contare su un PC di fascia alta (RTX 5080 in combo con un Ryzen 9 7950X3D), abbiamo dovuto accettare più di un compromesso per preservare la solidità del frame rate in 4K, e questo malgrado l’uso del DLSS con preset bilanciato.
Sì, le cose potrebbero migliorare in maniera significativa dopo il lancio, ma resta un po’ di maretta per l’ennesimo titolo in Unreal Engine 5 con un livello di ottimizzazione tutt’altro che esaltante. Un intoppo che spero non tarpi le ali a un sequel di ottima fattura, che innalza di un paio di spanne gli standard della serie ruolistica di Obsidian.
Pubblicato il: 23/10/2025
Provato su: PC Windows
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