CONSUME ME

MANGIARE GIOCANDO A TETRIS

Il piatto è davanti a me, vuoto. Devo scegliere cosa mangiare. Solo che ciò che conta non è il gusto, e nemmeno la salubrità del cibo in sé. Importano soltanto loro: le calorie. E allora ecco che riempire quel piatto si trasforma in un gioco perverso, in un Tetris in cui il bacon si confonde con l’anguria, e poi il formaggio con un dolcetto, e conta soltanto riempire i vuoti in maniera più o meno convincente, alla ricerca del risultato finale: dimagrire. Non voglio un pezzo di cibo perché non entra nel piatto? Okay, lo lascio al cane. Che sarà mai. Se lo mangi lui. 

Questa scena è parte dell’esperienza ludica di Consume Me, vincitore del Seumas McNally Grand Prize all’Independent Games Festival 2025. Il premio non mi ha stupita. Avevo giocato una demo di Consume Me qualche mese fa e avevo spento il PC dopo la prova con una certezza: non sarei mai riuscita a recensire quel gioco. Mi ritengo una persona abbastanza solida e centrata, ma Consume Me aveva risvegliato in me ricordi disturbanti di un periodo della mia vita che, a essere del tutto onesta, preferisco dimenticare. Al cento per cento. Perché insomma, a certe cose non voglio ripensare mai più. Solo che poi Consume Me è uscito, e io ho fatto una riflessione che mi ritrovo a compiere di frequente: se un’esperienza non ti prende per le spalle e non ti dà un bello scossone – proprio come un’amica quando stai facendo una sciocchezza, ma non te ne sei ancora resa conto – allora tanto vale fare altro, perché è difficile che dal comfort esca un qualcosa di realmente trasformativo per noi esseri umani. E, quindi, eccomi qui a parlare del videogioco di Jenny Jiao Hsia (che ha carattere semi-autobiografico) creato insieme a AP Thomson, Jie En Lee, Violet W-P e Ken “coda” Snyder.

Accendo la mia fidata Steam Deck OLED. Nella schermata iniziale trovo il viso della protagonista stampato sulla confezione di una barretta di cioccolato e una musichetta allegra. Premo un tasto per proseguire. La barretta viene scartata e divorata con un primo morso. Poi un altro. E un altro. Nel frattempo, il viso della ragazza cambia. Compare la scritta “You are what you eat”. Sei ciò che mangi. Lei inizia a piangere

Gli eventi del gioco – ispirati alla vita di Jenny Jiao Hsia, tanto che la protagonista si chiama proprio Jenny – si aprono il 1° giugno 2011. È un mercoledì. Un lungo messaggio avverte dei contenuti di Consume Me e invita le persone con disturbi alimentari a giocarlo in un altro momento. Sono molto lieta di poter andare avanti, oggi. È ora di pranzo. Jenny è una studentessa che si gode le vacanze estive e si appresta a mangiare. Compare la mamma, che la ammonisce su quanto stia diventando rotondetta. Prosegue la giornata e arriva il momento di guardarsi allo specchio. Il riflesso di Jenny sarà un importante personaggio nell’arco dell’avventura: sarà questo suo spettro giudicante a convincerla che è il caso di mettersi a dieta. “Pensa alla dieta come un gioco”, dice.

Solo che nella vita succede davvero che si pensi al cibo come a una partita di Tetris. Ed è un enorme problema su cui Consume Me fa luce in maniera brillante. Basta aprire i principali database di paper accademici dell’ambito medico per scoprire che la gamification della dieta (e, in particolare, delle app per il conteggio delle calorie e similari) è al centro delle riflessioni di parte della comunità scientifica. E dei gruppi d’investimento interessati a questo campo, naturalmente. “Elementi legati alla gamification possono motivare gli utenti a continuare a usare app di nutrizione rendendole più godibili, il che può portare a cambiamenti comportamentali positivi riguardo alle scelte nella dieta”, si legge nello studio Gamification preferences in nutrition apps: Toward healthier diets and food choices, firmato da Michelle Berger e Carolin Jung. Il problema è che le dinamiche tipiche del gioco pongono dei grossi rischi quando traslate al di fuori del loro contesto. I piccoli traguardi posti dalle app gamificate in ambito dietistico possono far perdere di vista quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale: la salute. Perché l’obiettivo non sono le calorie – è il nostro benessere. Ma è facile perdere questa stella polare di vista, in un mare fatto per distrarci e sì, anche per sfruttarci. 

E le giornate di Jenny sono proprio così: un piccolo mare in cui siamo spinti a scegliere la strada più efficiente per raggiungere i nostri obiettivi – arrivare magre a una festa in spiaggia. Risultare attraenti. Smettere di attirare gli strali di mamma. Così, piegare con cura i panni appena usciti dall’asciugatrice è il mezzo per ottenere una paghetta più alta e poter comprare un bel costume. Nel frattempo, bisogna prestare attenzione al Tetris infernale che è il nostro piatto tutti i giorni, e magari portare fuori il cane, pulire il bagno, studiare tentando di sfuggire alle distrazioni, impratichirsi col trucco, fare aerobica, leggere riviste dedicate alla dieta. E, nel frattempo, lo stomaco brontola. Perché completare correttamente quella sorta di minigioco che è il pranzo di Jenny non è difficile: è pressoché impossibile. Roba che spaventerebbe il più feroce appassionato di soulslike. Anche scartando i pezzi difficili da inserire nel piatto dandoli al povero cane, comunque succederà che qualche pezzettino del piatto non sarà riempito, alla fine della fiera. E allora lo stomaco si metterà a borbottare, e a sera potremmo essere di fatto costrette a mangiare un pacco di patatine per calmarlo prima di andare a dormire. Jenny se le cala tutte in una volta, come se fosse una strega in un rito magico e proibito. I sensi di colpa arrivano il giorno dopo, e colpiscono durissimo quando arriva il momento fatidico della bilancia, il vero boss finale di Consume Me.

In mezzo a questa gragnuola di minigiochi in perfetto stile WarioWare, si dipana la vita di una ragazza come tante: alle prese con il primo amore, finiamo in una situazione dai contorni a dir poco grotteschi (come grottesche sono praticamente tutte le prime volte); la nostra relazione a distanza si trasforma in un impegno in più da inserire in giornate già fitte di impegni; la coperta, non importa dove si tiri, è sempre corta. E qualcosa resta scoperto. Inevitabilmente. E tutto questo è raccontato in maniera a dir poco magistrale. Mentre gioco a Consume Me, capisco perché ha richiesto lunghi anni per poter essere completato. È frutto di un bilanciamento difficile tra il peso considerevole del tema trattato e i mezzi scelti per veicolare il suo messaggio. Che spesso è trasportato con leggerezza: non ci troviamo davanti a un racconto visivo ingessato (non che ci sarebbe alcun male. Ci mancherebbe). Consume Me colpisce durissimo anche grazie alla sua estetica bizzarra e ai suoi minigiochi frenetici. Il modo in cui ci fa ritrovare impegnati a pensare a come approcciare ogni giornata in un’ottica strategica fa riflettere. E poi fa un po’ orrore. Perché capiamo il potere delle convenzioni sociali che, ormai, ci strozzano in ogni ambito. Anche quando siamo sole a casa. Anche quando davanti a noi c’è soltanto lo specchio.

Pubblicato il: 11/10/2025

Provato su: PC Windows

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