SILENT HILL F
Adolescenti sfiorite e violenza di genere
Gli zombie fanno paura a tanti. Il buio, se raccontato con la giusta consapevolezza, può far paura a tutti. È questo il motivo per cui, in un mondo di super soldati muscolosi e virus T, io ho sempre avuto un rapporto molto stretto con Silent Hill. La serie creata da Keiichiro Toyama è stata per me un punto di riferimento inamovibile, una bussola utile ad orientarmi nel vasto panorama dell’horror videoludico (e non), capace di farmi capire che ognuno di noi possiede dentro di sé un luogo nebbioso in cui nasconde inavvertitamente i mostri che infestano la sua testa. E poi dai, senza nulla togliere ai redivivi putrescenti di Capcom, le atmosfere di Silent Hill sono sempre state imbattibili, anche perché Konami riuscì a capire da subito che trattare Silent Hill come un luogo dell’anima e non come semplice ambientazione di una saga ne avrebbe espanso enormemente le potenzialità conturbanti. Ogni capitolo è sempre stato costruito attorno a un tema portante: Silent Hill raccontava la genitorialità e i culti deviati; Silent Hill 2 il lutto, il senso di colpa e la depressione; Silent Hill 3 i drammi dell’adolescenza, la fobia del parto e i cambiamenti del corpo femminile; Silent Hill 4 l’abuso e l’isolamento. Storie diverse per temi diversi, in cui Silent Hill cambiava faccia per adattarsi alla psiche incrinata di chi si trovava prigioniero delle sue strade.
Silent Hill F raccoglie una pesantissima eredità abbandonata da quasi quindici anni (di più se, come me, siete tra quelli che indicano Silent Hill 4 come l’ultimo “vero” Silent Hill), e lo fa affidandosi a un team, NeoBards, che fin qui si è sempre occupato di porting e poco altro. Ironico che il primo capitolo della serie ambientato in Giappone sia stato sviluppato da uno studio di Hong Kong, eppure il villaggio fittizio di Ebisugaoka è – lo dico da subito – una delle ambientazioni migliori che si siano mai viste in tutta la storia del franchise. F è un gioco legato a doppio filo al Giappone dell’epoca Showa che racconta, imperniato sulla scrittura eccellente di un autore come Ryukishi07 che nella vita ha spesso esplorato i paesaggi rurali dell’arcipelago e, soprattutto, il folklore che ne anima credenze e tradizioni. In un periodo storico in cui il folk-horror sta vivendo la sua epoca d’oro (si pensi al successo di film come Midsommar, The Wailing e The VVitch o manga come Gannibal), Konami è andata a bussare alla porta del creatore di Higurashi When They Cry, storica visual novel poi tradotta in anime che già agli inizi del millennio ha esplorato i meandri più oscuri dell’isolazionismo di certi villaggi giapponesi. Per capire Silent Hill F è quindi importantissimo capire il suo autore e il suo background da sviluppatore di racconti interattivi.
Silent Hill F racconta la storia di Hinako, una giovane studentessa di Ebisugaoka che è cresciuta in una famiglia abusiva e che per questo ha stretto un legame molto forte con alcuni dei suoi compagni di classe. Sakuko e Rinko sono le compagne di tutta una vita, mentre Shu è per lei quell’amico stretto che spesso e volentieri sembra essere più un interesse romantico “proibito” che un semplice compagno di giochi e confidenze adolescenziali. Hinako sembra vivere una vita normalissima per una ragazza dell’era showa: va a scuola, litiga coi genitori, cerca pace nei pomeriggi passati al negozio di caramelle assieme agli amici, si innamora. Poi, però, un giorno dalla nebbia di Ebisugaoka emerge una figura mostruosa che inizia ad inseguirla, uccidendo Sakuko e facendo fiorire una strana vegetazione di carne e sangue ovunque posi il suo sguardo. Ebisugaoka si trasforma progressivamente in un inferno di fiori rossi che corrompono la noiosa e placida tranquillità del villaggio inghiottito dalla nebbia, terrorizzando Hinako, Shu e Rinko che cercano riparo dalle mostruose creature che ne infestano i vicoli. Ogni tanto, però, la psiche di Hinako sembra non reggere la tensione, e la ragazza crolla a terra svenuta per risvegliarsi in uno spettrale santuario Shintoista. Qui ha a che fare con Maschera di Volpe, un misterioso uomo che la guida nei vari passaggi di quello che sembra a tutti gli effetti un rituale volto a purificare la ragazza.
Questa cesura netta tra i due mondi sulle prime non mi ha convinto fino in fondo, ma che si è poi rivelata fondamentale ai fini di una scrittura che poggia proprio sulla contrapposizione tra la vita ordinaria della comunità della cittadina e l’esoterismo delle sue tradizioni più importanti.
Silent Hill F è, per fortuna, un videogioco che si concentra principalmente sulle atmosfere inquietanti, sulla risoluzione di enigmi e, soprattutto, sulla raccolta di indizi che permettano di sbrogliare il suo intricato intreccio narrativo. Non era scontato, non nell’epoca in cui ogni forma di intrattenimento sta puntando sull’acquisizione di nuovi utenti a discapito degli appassionati e della coerenza stilistica. Certo, F è connotato da un’anima leggermente più “action” e questo, nel gioco, si percepisce in maniera spesso fastidiosa. Per fortuna, però, quello che mi sono trovato di fronte è stato un titolo ancora fortemente legato alla filosofia dei primi quattro capitoli della serie.
Va detto, comunque, che il sistema di combattimento è pessimo. È legnoso, impreciso e non evolve mai, mostrandosi sempre e comunque come l’aspetto meno rifinito e riuscito del gioco. È vero che, da buon survival horror, Silent Hill F permette spesso di evitare interamente gli scontri, a costo di sacrificare la serenità necessaria per poter esplorare con calma ogni area di gioco in cerca di oggetti o documenti da raccogliere per far luce sull’oscura storia di Ebisugaoka, ma questo non basta. Sono tanti, troppi i momenti in cui Hinako si ritrova costretta a menare le mani, ed è proprio in quei frangenti che F sembra voler rivelare sommessamente che, sotto sotto, a NeoBards sarebbe piaciuto andare in una direzione differente. Gli spazi stretti e angusti della cittadina e dell’oscuro santuario di Oinari-sama rendono gli scontri tediosi, vittime di un level design e di una gestione della telecamera che sembrano pensati per fare altro. Quando ho intervistato il producer mi ha candidamente detto che questa scelta è stata fatta per provare a parlare a un pubblico giovane tendenzialmente attirato dall’azione e non dall’horror cervellotico. Ancora oggi mi chiedo se per acchiappare questi fantomatici giovani che infestano le previsioni di vendita dei publisher di tutto il mondo basti davvero mettere qualche scazzottata in più in opere che non sembrano minimamente averne bisogno. Ad essere onesto non penso proprio.
A dirla tutta, però, ho apprezzato moltissimo la filosofia con cui NeoBards e Konami si sono approcciati alle dinamiche di combattimento: basti pensare al fatto che è effettivamente possibile interrompere gli attacchi delle creature ostili attivando un contrattacco al momento giusto, ma che a differenza di tanti giochi più marcatamente action questo avviene senza il bisogno di far apparire a schermo improvvisi lampi di luce colorata che segnalino al pubblico quando attaccare per stordire il nemico. Esiste un indizio visivo, questo sì, ma è sfumato e quasi impercettibile, quasi a voler rimarcare ancora una volta che Hinako non è certo un supersoldato della S.T.A.R.S. ma una semplicissima adolescente impaurita in un mondo a lei ostile. Oltre a questo, peraltro, tengo a sottolineare quanto la possibilità di rompere l’arma in proprio possesso e il fatto che uccidere nemici non permette di raccogliere nessun tipo di ricompensa suggeriscano che lo scontro all’arma bianca sia sempre l’ultima risorsa a cui appellarsi in un videogioco come Silent Hill F. Perlomeno in tutti quei momenti in cui il gioco non costringe Hinako ad affidarsi alle percosse del suo fidato tubo di ferro per farsi strada verso i titoli di coda, s’intende.Il fatto è che a prescindere dai passi falsi Silent Hill F è perfettamente all’altezza dell’ingombrante nome che porta. È un Silent Hill vero, figlio di una scrittura coraggiosa che decide di occuparsi di un tema tanto importante quanto pericoloso nella sua trattazione. F utilizza le sue metafore orrorifiche per dipingere un affresco sulle tremende condizioni in cui vivono le donne in Giappone, un paese patriarcale in cui mogli e figlie sono oggetti a corredo della vita dei capofamiglia, che possono usufruirne a proprio piacimento.
Quella di Hinako è una storia di sofferenza e ribellione ad un sistema che la vuole incasellare come un oggetto privo di qualsiasi parvenza di coscienza e volontà, una bambola da scambiare per soldi o da abbandonare in un angolo quando non serve più. La sua discesa nell’inferno fiorito di Ebisugaoka diventa quindi metafora di un lungo e doloroso processo di autodeterminazione in cui la giovane deve provare a conciliare la parte di sé affamata di libertà e amore con quella che invece è stata plasmata dal contesto socio-culturale in cui è stata cresciuta. O amica o amante, o ginnasta o casalinga, o donna libera o moglie. Non esistono alternative per Hinako e per quelle come lei: sono destinate ad essere sacrificate sull’altare delle apparenze, costrette ad incasellarsi in un ruolo che gli è stato assegnato alla nascita e da cui non possono fuggire.
Un videogioco che obbliga chiunque a guardarsi dentro, a porsi delle domande, anche a costo di uscirne feriti. La compiutezza del delirio paranoide digitale firmato NeoBards sta proprio qui, nella violenza con cui sbatte in faccia al giocatore l’importanza delle questioni che vuole affrontare. È per questo che reputo questo nuovo capitolo di una delle mie serie preferite un videogioco necessario nella sua imperfezione: ha il coraggio di spingersi dove altri, per paura o per ignavia, non sempre vogliono arrivare.
Non lo fa sempre in maniera elegante (soprattutto nei momenti in cui si abbandona a delle virate fantasy non perfettamente riuscite), ma a volte l’eleganza non è tutto. A volte è più importante riuscire a veicolare il proprio messaggio, e questo Silent Hill F lo fa alla perfezione, soprattutto dopo il meraviglioso finale della prima run. Sì, perché F adotta un approccio innovativo ai finali multipli che hanno caratterizzato la serie fino ad oggi: i diversi epiloghi non sono trattati solo come scene post credit aggiuntive che dipingono semplici scenari alternativi in base a come si gioca. Il primo finale non pone la parola fine alla storia di Hinako Shimizu. O meglio, sì, però questo non significa che avviare il New Game + serva solamente ad ottenere finali differenti, ma permette invece di esplorare nuove aree, confrontarsi con nuovi enigmi, raccogliere nuovi documenti in giro per gli ambienti del gioco e, soprattutto, assistere a dialoghi completamente inediti che approfondiscono la parte di trama che si è già riusciti ad esplorare.
È per questo che, proprio come succede in Silent Hill F potrete decidere qui e ora se questa recensione vi soddisfa o se invece volete provare a tornare sui vostri passi e affrontarla una seconda volta nella speranza di scoprire qualcosa in più.
Chissà che a una nuova lettura non vi imbattiate in qualche nuovo spunto o riflessione inedita.
Gli zombie fanno paura a tanti. Il buio, se raccontato con la giusta consapevolezza, può far paura a tutti. È questo il motivo per cui, in un mondo di super soldati muscolosi e virus T, io ho sempre avuto un rapporto molto stretto con Silent Hill. La serie creata da Keiichiro Toyama è stata per me un punto di riferimento inamovibile, una bussola utile ad orientarmi nel vasto panorama dell’horror videoludico (e non), capace di farmi capire che ognuno di noi possiede dentro di sé un luogo nebbioso in cui nasconde inavvertitamente i mostri che infestano la sua testa. E poi dai, senza nulla togliere ai redivivi putrescenti di Capcom, le atmosfere di Silent Hill sono sempre state imbattibili, anche perché Konami riuscì a capire da subito che trattare Silent Hill come un luogo dell’anima e non come ambientazione di una saga ne ha espanso enormemente le potenzialità conturbanti. Ogni capitolo è sempre stato costruito attorno a un tema portante: Silent Hill raccontava la genitorialità e i culti deviati; Silent Hill 2 il lutto, il senso di colpa e la depressione; Silent Hill 3 i drammi dell’adolescenza, la fobia del parto e i cambiamenti del corpo femminile; Silent Hill 4 l’abuso e l’isolamento. Storie diverse per temi diversi, in cui Silent Hill cambiava faccia per adattarsi alla psiche incrinata di chi si trovava prigioniero delle sue strade. Silent Hill 2 è ancora oggi il mio videogioco preferito, quello che mi ha scavato dentro e mi ha permesso di riconoscere i sintomi della depressione che mi stava distruggendo. In un certo senso è come se mi avesse salvato la vita, mostrandomi un riflesso digitale sullo schermo dei mostri che si erano impossessati dei miei pensieri senza che me ne fossi reso conto. Non so chi o cosa sarei stato oggi se tanti anni fa senza Silent Hill 2.
Silent Hill F raccoglie una pesantissima eredità abbandonata da quasi quindici anni (di più se, come me, siete tra quelli che indicano Silent Hill 4 come l’ultimo “vero” Silent Hill), e lo fa affidandosi a un team, NeoBards, che fin qui si è sempre occupato di porting e poco altro. Ironico che il primo capitolo della serie ambientato in Giappone sia stato sviluppato da uno studio di Hong Kong, eppure il villaggio fittizio di Ebisugaoka è – lo dico da subito – una delle ambientazioni migliori che si siano mai viste in tutta la storia del franchise. F è un gioco legato a doppio filo al Giappone dell’epoca Showa che racconta, imperniato sulla scrittura eccellente di un autore come Ryukishi07 che nella vita ha spesso esplorato i paesaggi rurali dell’arcipelago e, soprattutto, il folklore che ne anima credenze e tradizioni. In un periodo storico in cui il folk-horror sta vivendo la sua epoca d’oro (si pensi al successo di film come Kill List, Hereditary e Men o manga come Uzumaki), Konami è andata a bussare alla porta del creatore di Higurashi When They Cry, storica visual novel poi tradotta in anime che già agli inizi del millennio ha esplorato i meandri più oscuri dell’isolazionismo di certi villaggi giapponesi. Per capire Silent Hill F è quindi importantissimo capire il suo autore e il suo background da sviluppatore di racconti interattivi.
Silent Hill F racconta la storia di Hinako, una giovane studentessa di Ebisugaoka che è cresciuta in una famiglia abusiva e che per questo ha stretto un legame molto forte con alcuni dei suoi compagni di classe. Sakuko e Rinko sono le compagne di tutta una vita, mentre Shu è per lei quell’amico stretto che spesso e volentieri sembra essere più un interesse romantico “proibito” che un semplice compagno di giochi e confidenze adolescenziali. La traditrice Hinako sembra vivere una vita normalissima per una ragazza dell’era showa: va a scuola, litiga coi genitori, viene quasi ammazzata dal padre ubriaco, cerca pace nei pomeriggi passati al negozio di caramelle assieme agli amici, si innamora. Poi, però, un giorno dalla nebbia di Ebisugaoka emerge una figura mostruosa che inizia ad inseguirla, uccidendo Sakuko e facendo fiorire una strana vegetazione di carne e sangue ovunque posi il suo sguardo. Ebisugaoka si trasforma progressivamente in un inferno di fiori rossi che corrompono la noiosa e placida tranquillità del villaggio inghiottito dalla nebbia, terrorizzando Hinako, Shu e Rinko che cercano riparo dalle mostruose creature che ne infestano i vicoli. Ogni tanto, però, la psiche di Hinako sembra non reggere la tensione, e la ragazza crolla a terra svenuta per risvegliarsi in uno spettrale santuario Shintoista. Qui ha a che fare con Maschera di Volpe, un misterioso uomo che la guida nei vari passaggi di quello che sembra a tutti gli effetti un rituale volto a purificare la ragazza. F ribalta così il concetto di Otherworld che ha caratterizzato la serie per gran parte della sua vita editoriale. Quella che un tempo è stata raccontata come una sorta di dimensione alternativa che andava a sovrascrivere la realtà fisica in cui si muovevano i protagonisti del gioco, qui cambia faccia e si trasforma in una sorta di mondo delle ombre distante da Ebisugaoka in cui lo spirito di Hinako si rifugia nei momenti più difficili.
Questa cesura netta tra i due mondi sulle prime non mi ha convinto fino in fondo, ma che si è poi rivelata fondamentale ai fini di una scrittura che poggia proprio sulla contrapposizione tra la vita ordinaria della comunità della cittadina e l’esoterismo delle sue tradizioni più importanti. Proprio come in Higurashi When They Cry, infatti, Ryukishi07 ha tratteggiato la storia di un insediamento che sembra intrappolato tra il bisogno di ricercare il contatto con l’esterno e quello di difendere usanze e costumi apparentemente antichi. Un pezzettino di terra in cui le volpi di Oinari-sama hanno condizionato la vita degli abitanti in maniera sempre più opprimente, senza che però nessuno (o quasi) si sia mai reso conto di tutte le nefandezze che le credenze ad esse associate hanno celato nel corso della storia.
Silent Hill F è, per fortuna, un videogioco che si concentra principalmente sulle atmosfere inquietanti, sulla risoluzione di enigmi e, soprattutto, sulla raccolta di indizi che permettano di sbrogliare il suo intricato intreccio narrativo. Non era scontato, non nell’epoca in cui ogni forma di intrattenimento sta puntando sull’acquisizione di nuovi utenti a discapito degli appassionati e della coerenza stilistica. Certo, F è connotato da un’anima leggermente più “action” e questo, nel gioco, si percepisce in maniera spesso fastidiosa. Per fortuna, però, quello che mi sono trovato di fronte è stato un titolo ancora fortemente legato alla filosofia dei primi quattro capitoli della serie.
Va detto, comunque, che il sistema di combattimento è pessimo. È legnoso, impreciso e non evolve mai, mostrandosi sempre e comunque come l’aspetto meno rifinito e riuscito del gioco. È vero che, da buon survival horror, Silent Hill F permette spesso di evitare interamente gli scontri, a costo di sacrificare la serenità necessaria per poter esplorare con calma ogni area di gioco in cerca di oggetti o documenti da raccogliere per far luce sull’oscura storia di Ebisugaoka, ma questo non basta. Sono tanti, troppi i momenti in cui Hinako si ritrova costretta a menare le mani, ed è proprio in quei frangenti che F sembra voler rivelare sommessamente che, sotto sotto, a NeoBards sarebbe piaciuto andare in una direzione differente. Oppure mi piace semplicemente pensare che sia così. Gli spazi stretti e angusti della cittadina e dell’oscuro santuario di Oinari-sama rendono gli scontri tediosi, vittime di un level design e di una gestione della telecamera che sembrano pensati per fare altro. Quando ho intervistato il producer mi ha candidamente detto che questa scelta è stata fatta per provare a parlare a un pubblico giovane tendenzialmente attirato dall’azione e non dall’horror cervellotico. Ancora oggi mi chiedo se per acchiappare questi fantomatici giovani che infestano le previsioni di vendita dei publisher di tutto il mondo basti davvero mettere qualche scazzottata in più in opere che non sembrano minimamente averne bisogno. Ad essere onesto non penso proprio. Diciamoci la verità: non è mai esistito un Silent Hill con un bel combat system. Certo, i limiti tecnici delle vecchie console e la decisione di raccontare la storia di persone comuni incastrate negli incubi nebbiosi delle colline silenti hanno sempre edulcorato l’arretratezza delle botte made in Silent Hill, ma c’è un motivo se di questa serie si è sempre raccontato altro.
A dirla tutta, però, ho apprezzato moltissimo la filosofia con cui NeoBards e Konami si sono approcciati alle dinamiche di combattimento: basti pensare al fatto che è effettivamente possibile interrompere gli attacchi delle creature ostili attivando un contrattacco al momento giusto, ma che a differenza di tanti giochi più marcatamente action questo avviene senza il bisogno di far apparire a schermo improvvisi lampi di luce colorata che segnalino al pubblico quando attaccare per stordire il nemico. Esiste un indizio visivo, questo sì, ma è sfumato e quasi impercettibile, quasi a voler rimarcare ancora una volta che Hinako non è certo un supersoldato della S.T.A.R.S. ma una semplicissima adolescente impaurita in un mondo a lei ostile. Oltre a questo, peraltro, tengo a sottolineare quanto la possibilità di rompere l’arma in proprio possesso e il fatto che uccidere nemici non permette di raccogliere nessun tipo di ricompensa suggeriscano che lo scontro all’arma bianca sia sempre l’ultima risorsa a cui appellarsi in un videogioco come Silent Hill F. Perlomeno in tutti quei momenti in cui il gioco non costringe Hinako ad affidarsi alle percosse del suo fidato tubo di ferro per farsi strada verso i titoli di coda, s’intende.
Il fatto è che a prescindere dai passi falsi Silent Hill F è perfettamente all’altezza dell’ingombrante nome che porta. È un Silent Hill vero, figlio di una scrittura coraggiosa che decide di occuparsi di un tema tanto importante quanto pericoloso nella sua trattazione. F utilizza le sue metafore orrorifiche per dipingere un affresco sulle tremende condizioni in cui vivono le donne in Giappone, un paese patriarcale in cui mogli e figlie sono oggetti a corredo della vita dei capofamiglia, che possono usufruirne a proprio piacimento. “La felicità di una donna inizia col matrimonio”, come insegna la madre di Hinako alla protagonista. La stessa donna che ha passato gran parte della sua vita a testa bassa di fronte alle violenze e ai soprusi dell’uomo che ha sposato e che l’ha picchiata e umiliata per tutta una vita. Quella di Hinako è una storia di sofferenza e ribellione ad un sistema che la vuole incasellare come un oggetto privo di qualsiasi parvenza di coscienza e volontà, una bambola da scambiare per soldi o da abbandonare in un angolo quando non serve più. La sua discesa nell’inferno fiorito di Ebisugaoka diventa quindi metafora di un lungo e doloroso processo di autodeterminazione in cui la giovane deve provare a conciliare la parte di sé affamata di libertà e amore con quella che invece è stata plasmata dal contesto socio-culturale in cui è stata cresciuta. O amica o amante, o ginnasta o casalinga, o donna libera o moglie. O amica fidata o traditrice. Non esistono alternative per Hinako e per quelle come lei: sono destinate ad essere sacrificate sull’altare delle apparenze, costrette ad incasellarsi in un ruolo che gli è stato assegnato alla nascita e da cui non possono fuggire. La forza della scrittura di Ryukishi07 sta però nel fatto che non si limita a trattare l’argomento in modo unidirezionale. F si concentra infatti sull’esplorare a fondo tutti gli aspetti della precaria situazione di vita di Hinako, mostrando con disarmante freddezza anche il comportamento di chi, al contrario di lei, ha accettato di buon grado il ruolo che gli è stato imposto. Ne è un esempio la gelosia morbosa di Rinko, che affida ad alcuni stralci del suo diario il compito di farne emergere l’oscurità che le ammanta il cuore, o la crudeltà di Sakuko, docile per paura di venire abbandonata ma custode di un segreto terrificante.
Un videogioco che obbliga chiunque a guardarsi dentro, a porsi delle domande, anche a costo di uscirne feriti. Proprio come quel Silent Hill 2 che tanti anni fa mi fece rendere conto della depressione che mi stava divorando. La compiutezza del delirio paranoide digitale firmato NeoBards sta proprio qui, nella violenza con cui sbatte in faccia al giocatore l’importanza delle questioni che vuole affrontare. Nonostante, in quanto uomo, io non abbia mai provato sulla mia pelle il dolore raccontato da Silent Hill F non ho potuto che empatizzare e soffrire con Hinako. Non di fronte agli abusi del padre, all’ingiustizia a cui è stata costretta per rimediare agli errori di altri e alla crudeltà con cui le viene imposto di allontanarsi da quel poco di realmente buono che le ha permesso di evadere e sopravvivere fino a quando ho preso in mano il controller per la prima volta. È per questo che reputo questo nuovo capitolo di una delle mie serie preferite un videogioco necessario nella sua imperfezione: ha il coraggio di spingersi dove altri, per paura o per ignavia, non sempre vogliono arrivare.
Non lo fa sempre in maniera elegante (soprattutto nei momenti in cui si abbandona a delle virate fantasy non perfettamente riuscite), ma a volte l’eleganza non è tutto. A volte è più importante riuscire a veicolare il proprio messaggio, e questo Silent Hill F lo fa alla perfezione, soprattutto dopo il meraviglioso finale della prima run. Sì, perché F adotta un approccio innovativo ai finali multipli che hanno caratterizzato la serie fino ad oggi: i diversi epiloghi non sono trattati solo come scene post credit aggiuntive che dipingono semplici scenari alternativi in base a come si gioca. Il primo finale, che rimane quello più sospeso, oscuro e per me splendidamente compiuto di tutti quelli che ho ottenuto finora non pone la parola fine alla storia di Hinako Shimizu. O meglio, sì, però questo non significa che avviare il New Game + serva solamente ad ottenere finali differenti, ma permette invece di esplorare nuove aree, confrontarsi con nuovi enigmi, raccogliere nuovi documenti in giro per gli ambienti del gioco e, soprattutto, assistere a dialoghi completamente inediti che approfondiscono la parte di trama che si è già riusciti ad esplorare. È nella seconda run che le supposizioni del giocatore sulla vicenda della famiglia Shimizu vengono confermate o confutate, che si scopre per quale motivo Sakuko continua a dare della traditrice a Hinako o cosa si cela dietro alla gelosia devastante di Rinko. Questo dona ulteriore compiutezza al racconto di F, permettendo di far emergere nuovi spunti per l'interpretazione delle tante trame aggrovigliate tra loro, e rende funzionale e interessante rigiocare l’intera avventura almeno due o tre volte, quasi come se fosse una visual novel.
Ciò che conta, in ogni caso, è che sia che abbiate voglia di andare fino in fondo sia che vogliate accontentarvi di un singolo playthrough, Silent Hill F riesce a mostrarsi compiuto qualunque sia l’approccio del giocatore. Questo è importantissimo, perché non avrei mai perdonato l’idea che un messaggio tanto importante potesse venire nascosto dietro a un metodo di fruizione tanto peculiare.
C’era bisogno che la storia di Hinako Shimizu, della sua famiglia e dei suoi amici del cuore potesse parlare al pubblico a prescindere da tutto, e in questo Ryukishi07 e NeoBards sono stati impeccabili.
Silent Hill F interroga tutti, prende il giocatore per mano e lo porta a sperimentare sulla propria pelle l’orrore vissuto quotidianamente dalle donne che vivono in sistemi patriarcali. È un tour nella violenza ordinaria subita da figlie, amiche, sorelle e mogli di tutto il mondo, una lezione necessaria che solo l’interattività che distingue quello del videogioco da tutti gli altri linguaggi può impartire al pubblico con tale efficacia. Basta poco, dopotutto, per rendersi conto che i mostri partoriti dalla nebbia sono perfette metafore di tutte quelle violenze di genere che nascono dalla disparità di genere: tra orrende incubatrici di carne costrette a partorire figli a ripetizione e mostri deformi e senza volto che tentano di leccare Hinako in maniera disgustosa, quello di F è un perfetto campionario di mostruosità tanto orripilanti quanto… comuni.
Fatevi un favore e giocate Silent Hill F. Avevamo tutti un disperato bisogno che questa serie tornasse a splendere, sarebbe un crimine ignorarlo.
Pubblicato il: 22/09/2025
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