HOLLOW KNIGHT

SILKSONG

Ostinata e contraria

Nel mondo dei videogiochi, il silenzio radio non è mai un buon segno. Dipartimenti di marketing formati da decine e decine di persone curano in maniera maniacale la comunicazione del prossimo grande titolo in arrivo, differenziando le strategie nei vari Paesi e nei diversi canali mediatici, procedendo con un approccio “su misura”, come quando signore e signori per bene andavano a farsi prendere le misure dal sarto per farsi confezionare il vestito buono della domenica. Perché in chiesa bisognava essere belli davanti al Signore, ma soprattutto splendere agli occhi del resto della città. E il marketing è proprio questo: confezionare il vestito più alla moda e più adeguato a ciascun prodotto. Anche perché nell’affollata cattedrale della società dei consumi è molto, molto difficile farsi notare. 

E allora è stato scontato, per molti, preoccuparsi (e non poco) dello stato dei lavori su Hollow Knight: Silksong. Anche perché Team Cherry aveva arricchito le sue sparute fila con Matthew “Leth” Griffin, deputato proprio a occuparsi delle pubbliche relazioni e del marketing del videogioco con più wishlist su Steam. Il suo ottimo curriculum – ha lavorato in questo ruolo su Stardew Valley, ex multis – faceva intendere la volontà di strutturare una strategia di comunicazione, un’impalcatura per sostenere l’enorme mole di aspettative che l’avventura di Hornet portava con sé. Dicevo poco sopra che si trattava del videogioco con il maggiore numero di wishlist sulla piattaforma di Valve: dati risalenti a circa un mese fa parlavano di un numero pari a 4.8 milioni. Il secondo in classifica? Battlefield 6, con 2.8 milioni di wishlist. Uno stacco clamoroso – roba che neanche Pantani nella sua salita in Abruzzo, a Campo Imperatore, il 22 maggio 1999. Una media astronomica di ventinove chilometri all’ora per milletrecentosettantun metri di dislivello. Ero piccola piccola, ma la salita del Pirata con la divisa gialla e blu di Mercatone Uno io me la ricordo bene.

E allora eccoli, i pirati australiani di Team Cherry, che assumono un esperto di comunicazione – e poi? Proseguono nel loro silenzio tombale. Qualche spizzichino di Hornet negli show Nintendo e Microsoft degli ultimi mesi, certo, ma sono briciolette di Pollicino sparse nella cucina in un convento di suore di clausura. Forse qualcuno qui ci vive – lo dicono le briciole di pane – ma se la passerà davvero bene? Siamo sicuri che non si siano scannati, lì ad Adelaide, in quello studio piccoletto con i muri color avocado? Si sa che i veri pirati, i fuoriclasse – i Marco Pantani – possono essere persone particolari, a volte persone proprio difficili, che magari lanciano una vita alle ortiche e non si guardano neppure indietro. È successo ad Extremely OK Games con l’autodistruzione di Earthblade (anche lui, come Silksong, un metroidvania), che doveva succedere a Celeste nel curriculum di uno degli studi indipendenti più interessanti degli ultimi anni. E invece: disputa sui diritti di proprietà intellettuale relativi a Celeste; mancato raggiungimento di un accordo; segue gran sbattimento di porte, e chi s’è visto s’è visto

Eppure, la mia sensazione era che i lavori, ad Adelaide, proseguissero e basta. I membri di Team Cherry non sono mai stati amanti del buzz mediatico: non utilizzano i social network; non si prestano a ospitate prestigiose (che pur potrebbero ottenere giusto con uno schiocco di dita); non hanno mai dato mezzo segno di essersi montati la testa dopo aver venduto quindici milioni di copie di Hollow Knight. Ci ha pensato Jason Schreier a far luce sulla situazione. Dopo l’annuncio fatidico della data d’uscita di Hollow Knight: Silksong, i due co-director, Ari Gibson e William Pellen, hanno accettato di rispondere alle domande di Bloomberg. L’intervista ha sconcertato tanti e ha confermato quello che mi dicevano i miei sensi di ragno. “Ci siamo divertiti”, ha dichiarato Ari Gibson. “È bello fare cose divertenti”. Anche quando sono difficili, penso tra me e me, ripensando al Pirata che si mangia il mio Appennino abruzzese, un metro alla volta, una pedalata alla volta. “Siamo molto fortunati: abbiamo un metodo di sviluppo davvero piacevole”, prosegue Gibson. “Ci fermiamo giusto per il gusto di completare il gioco”, puntualizza William Pellen. “Avremmo potuto continuare”. Perché per certe persone non conta la vetta della montagna: conta il tempo passato nella scalata. E sembra che quel tempo, per Team Cherry, abbia avuto un incredibile valore.

Ed eccomi qui dopo aver trascorso più di sessanta ore nei panni di un’insettina che indossa il mio capo preferito: un mantello. È morbidissima e inflessibile al tempo stesso, e del tutto diversa dal Cavaliere che era stato protagonista di Hollow Knight. Con quei suoi occhioni neri, tondi, grossi e disperati, il Cavaliere sembrava non riuscire a risvegliarsi da un bruttissimo sogno, e pareva andare avanti giusto per la grazia concessa d’aver un bravo giocatore, o una brava giocatrice, a prendersi cura di lui e delle sue mille disgrazie: insettoni giganteschi ansiosi di fargli la pelle (pardon: il carapace); baratri senza fondo su cui muoversi menando l’aculeo su ogni brandello di superficie a tiro; l’inesausta (e pericolosissima) ricerca di bruchi ancor più disgraziati di lui, persi in giro negli angoli peggiori di Nidosacro; per non parlare di quelle maledette mantidi religiose... E poi veniva il momento dei dialoghi. Il tenero tontolone, proprio come Link, non aveva il dono della parola. Fu uno dei pochi aspetti criticati dell’opera di Team Cherry: lo storytelling a tratti risentiva di quel protagonista silenzioso, un espediente certo frequente, nel mondo dei videogiochi, per accentuare l’immersione del giocatore in determinati generi, ma che in questo caso destava perplessità e un forte scoglio per l’interesse di molti nelle fasi iniziali di Hollow Knight, quando non si capiva dove andare, perché andarci e, soprattutto, come cavolo andarci senza morire ogni venti secondi. 

Tanto che Hornet, con il suo mantellino rosso e il doppiaggio magistrale di Makoto Koji, emerse ben presto come una deuteragonista clamorosa negli spazi claustrofobici di Nidosacro. E Team Cherry decise di renderla protagonista di un contenuto aggiuntivo di Hollow Knight. Contenuto aggiuntivo che non si è mai concretizzato, o meglio, che si è trasfigurato in questo seguito. Perché Hornet era troppo ingombrante per restarsene a zampette incrociate su una panchina in un angolino del regno fatto suo dal Cavaliere – ne voleva uno tutto per lei. E allora ecco sette anni di sviluppo e dedizione, ed ecco l’espediente narrativo perfetto (il suo rapimento) per portarla in un nuovo mondo: Lungitela. Un mondo adatto a un’insettina con occhi obliqui, zampe lunghe, ago pronto e una parlantina da principessa a cui nessuno, ma proprio nessuno, oserebbe dire di no.

Morbidissima e inflessibile, dicevo. Perché una delle innovazioni principali portate da Team Cherry a Lungitela sta nel sistema di personalizzazione delle abilità e delle mosse della protagonista. Via gli Amuleti, benvenuti Emblemi, con questi ultimi che si configurano come strutture che modificano le modalità di attacco di Hornet (e vari altri aspetti) e che possono “ospitare” l’inserimento di abilità speciali e strumenti offensivi e passivi. È un’impalcatura incredibilmente articolata, capace di sostenere sviluppi futuri – Team Cherry è già al lavoro su patch correttive e su future espansioni di Silksong – e di risultare pienamente malleabile rispetto ai gusti e alle sperimentazioni dei giocatori. 

E qui stanno la morbidezza, la duttilità di Hornet. Ma come è possibile far convivere con lei l’inflessibilità? È presto detto: se in Hollow Knight il Cavaliere era poco più di un guscio vuoto animato dalla personalità dell’utente che lo governa, in Silksong è richiesto ai giocatori di diventare degli interpreti del carattere e della ferrea determinazione che portano Hornet a tentare la scalata di Lungitela, fino a giungere alle altezze vertiginose della Cittadella. Ed è un’impresa degna del Pantani che si faceva largo tra la neve di fine maggio di Campo Imperatore. Solo che in Silksong non c’è eritropoietina che tenga. Dopo un inizio tutto sommato agevole – almeno per chi frequenta il genere dei metroidvania, e magari ha già giocato il primo capitolo della serie – Lungitela diventa sempre più inospitale. Dalle distese verdeggianti di Bossopiano si entra nelle caverne oscure dell’Antro. Ben presto ci troviamo a correre come disperate per corridoi invasi dalla lava; e poi a schivare i colpi di feroci formiche rosse; e infine a perderci quando non riusciamo a udire il canto rassicurante di Shakra, che prende il posto di Cornifer nella predisposizione e vendita delle mappe delle aree di gioco. Trucchi non ce ne sono.

Gioco: siamo sicuri? Più che altro, Silksong è una palestra. E fin dal principio l’ho preso con la stessa filosofia con cui faccio sollevamento pesi. Costanza, concentrazione, gradualità: sono i tre capisaldi per chi vuole allenarsi in qualsiasi sport. Un pizzico di intraprendenza, ogni tanto, non guasta; buttarsi in sfide più grandi di noi è necessario per crescere. Ecco, in Silksong succede puntualmente la stessa cosa. È sorprendente confrontarsi con altri giocatori – dato che i codici review del gioco non sono stati inviati, siamo più o meno tutti e tutte sulla stessa barca – e scoprire in quanti modi diversi si può arrivare nello stesso punto. Nel mio caso, la via è spesso la più tortuosa possibile: sono curiosa, testarda e sempre desiderosa di mettere alla prova i miei riflessi. Quando mi sono ritrovata immersa fino al collo in una disgustosa palude verde ribollente di vermi in un momento decisamente troppo precoce del gioco non ho esitato a sporcarmi il mantello e continuare a nuotare. Nulla vieta al giocatore più conservativo e meno paziente di tornare indietro. Team Cherry non giudica: si limita a disegnare possibilità. E in questo sta il valore della sua filosofia di design.

Perché Lungitela è lo specchio di Hornet: è morbidissima, ed è inflessibile. Ed è una perfetta applicazione dei principi che rendono grande il genere metroidvania. Puoi affrontare le aree (quasi) nell’ordine che preferisci; le limitazioni dettate dalle abilità si abbattono nel corso delle ore con l’acquisizione di nuove capacità che migliorano la mobilità e le capacità offensive di Hornet, e così rendono sempre più soffici e sfumati i confini tra il potere e il non poter fare. Ma più si prosegue, più Lungitela si fa sfidante. Fino ad arrivare a sessioni di platforming che citano in maniera espressa la montagna insormontabile di Celeste. Tanto che la risposta di molti giocatori è stata insofferente, ed è umanamente comprensibile: Silksong non va approcciato come una passeggiata nel parco, va giocato come Pantani s’è giocato il Gran Sasso d’Abruzzo. Pedalando e sudando. Dopo tanto allenamento: quella cifra nera che non si vede mai nel percorso degli sportivi, che appaiono davanti ai nostri occhi in televisione già perfetti e scolpiti, come se fossero usciti impeccabilmente formati da un uovo magico. E invece no – dietro un pirata ci sono rabbia, sacrificio, centinaia di asciugamani intrisi di sudore, decine e decine di scarpe consumate, quell’occasionale voglia di mollare, e il tornare al proprio posto sul sellino ogni santa mattina. E pedalare. In questo senso, è paradossale che l’attesa di un’opera come Silksong sia montata fino a livelli folli, quando è chiaro che una percentuale molto risicata di giocatori riuscirà a raggiungere anche soltanto uno dei finali del gioco: Lungitela è un luogo ben più di nicchia di ciò che il numero vertiginoso di wishlist su Steam vorrebbe far intendere. È accaduto un processo simile con i videogiochi di FromSoftware, che del resto sono una delle fonti d’ispirazione dei mondi crudeli di Team Cherry. E allora credo che gli sviluppatori smusseranno un po’ l’ago – lo hanno già fatto nella prima patch correttiva che, tra l’altro, ha riguardato la difficoltà di alcuni boss della prima parte del gioco – e i vari Radahn di Lungitela si ridurranno a più miti consigli. Dubito, però, che vi saranno interventi strutturali sulla geografia di Lungitela – e, al momento, sono state le sfide di platforming a darmi più filo da torcere. Dalle paludi alle montagne, sono necessari cuore e testa per accompagnare Hornet verso la Cittadella, e oltre. 

Ma che vista che si gode lassù in cima. Sviluppare videogiochi vuol dire giocare, innanzitutto, con emozioni e sensazioni: ed è inevitabile che avventure giocate sui riflessi e sul valore dello studio e della ripetizione di input e movimenti suscitino reazioni diverse rispetto a quelle scatenate da un racconto visivo. Non c’è qualcosa di intrinsecamente migliore, o di peggiore: il mondo ludico in generale, e videoludico in particolare, ha tessuto, nel corso dei decenni, una fitta tela di sistemi, pesi e contrappesi, di idee e soluzioni, tutto al servizio di visioni da attuare in percorsi artistici che sono tutti diversi tra loro. Tutti unici. Qual è la visione di Team Cherry, dunque? È chiarissima: vieni qui a pedalare con noi – sarà faticoso, ma ti promettiamo che la vista sarà spettacolare. E lo è, sempre. Anche perché è affiancata da un rigore e da un’onestà supportati da un’eccellente qualità dei playtest. Il team si avvale di un numero di playtester estremamente ridotto a fronte della scala del progetto, scala che, parliamoci chiaro, è immensa: dopo oltre sessanta ore di gioco, Lungitela continua a espandersi e a mutare sotto le mie mani, come fosse un insetto radioattivo. E mi attira ogni giorno con la promessa di farmi scoprire una nuova stanzetta, un nuovo boss, una nuova sfida. Tanto che dubito che finirà mai.

Dopo aver scoperto uno dei finali del gioco, mi chiedo dov’è la vetta, dov’è la testa del drago. Hornet e io continuiamo a scoprire nuovi pezzi di storia, nuovi ambienti, nuovi modi di approcciarci a Lungitela. Che è un mondo in cui niente è una cosa sola: tutti sono moltitudini. Un insetto nemico non è soltanto un avversario da sconfiggere: spesso è anche una piattaforma da sfruttare per muoversi. Perché le apparenze, a volte, ingannano. E io stessa non ero convinta che Team Cherry sarebbe riuscito a portare qualcosa di autenticamente innovativo su un piatto, quello dei metroidvania, che è diventato ancora più frequentato dopo l’uscita di Hollow Knight. Eppure, il piccolo team di Adelaide è riuscito nell’impresa di creare un mondo tutto avvitato su un passato che non passa – c’è un personaggio non giocante che riconosce se abbiamo addosso oggetti da lui desiderati semplicemente annusando se abbiamo “odore di passato” – ma che, al contempo, dimostra con chiarezza che nel mondo dei metroidvania non tutto è mangiato, non tutto è bevuto, e che c’è ancora molto altro da dire. In un matrimonio tra qualità e quantità che non fa altro che lasciarmi sbalordita ogni sera, quando arriva il momento di accendere la Nintendo Switch 2 (su cui le prestazioni sono assolutamente impeccabili: gioco prevalentemente in modalità docked con 120 frame al secondo) e tornare a Lungitela, dove ogni angolo nasconde missioni secondarie che possono portarmi via anche ore intere, e dove l’occhio attento riesce a individuare muri da far crollare con qualche colpo d’ago e passaggi segreti che aprono mondi. 

A volte, a crollare sono io. Ma non per la difficoltà crescente della mia avventura con Hornet. Continuo ad accogliere ogni sfida con il sorriso che, per fortuna, mi si apre in faccia ogni mattina per la giornata impegnativa che viene. Andare in giro con Hornet per Lungitela mi rende semplicemente lieta di essere viva e privilegiata abbastanza da poter videogiocare in questo preciso momento storico. Sono stata presa brutalmente a calci da degli orribili mosconi che prendono a testate i muri: convinta che ce l’avrei fatta, pur contro ogni evidenza fattuale, alla fine ce l’ho fatta. Poi il moscone è tornato, e questa volta non avevo neanche i muri a cui aggrapparmi, e mi cedeva pure la terra sotto i piedi. Al che mi sono detta che no, non posso mica volare come un’ape per ammazzare un moscone: eppure ho imparato a volare e, con tempo e pazienza, ho rispedito l’insettone all’inferno da cui era venuto. Ancora e ancora, la posta ha continuato ad alzarsi. Lo fa tutt’ora. Non vedo la fine. Ma è una scalata onesta, rispettosa, e che manifesta in modo trasparente anni di lavoro e dedizione in un piccolo studio con i muri color avocado. I fan che sono passati a trovare Team Cherry ad Adelaide sono rimasti delusi da ciò che hanno trovato, come ha raccontato Ari Gibson a Jason Schreier: “È una stanza squallida piena di scatoloni”. Non hanno neanche appeso dei quadretti alle pareti. Erano troppo presi dalla smania di fare, dalla volontà di aggiungere un’altra area. Solo una, eh, poi basta. Poi questo gioco lo facciamo uscire. Solo che sono passati gli anni e il piacere di sviluppare non scemava. Ed è questo che mi fa crollare: l’irresistibile peso della bellezza di un lavoro fatto per il puro piacere di lavorare, per il puro amore di quella che, per Team Cherry, è un’impresa artistica a pieno titolo. Mi sono commossa più volte in snodi importanti della storia di Hornet. E dire che dovrebbe essere soltanto un’insettina con un mantellino rosso.

Gibson ha raccontato di vivere in un appartamento molto semplice, con due camere da letto. “A volte penso: ma sai cosa sarebbe meglio? Un appartamento con una sola camera da letto. Così ci sarebbe ancora meno manutenzione da fare”. Perché per Gibson il focus non è fare soldi: e lo dimostra il prezzo di Hollow Knight: Silksong, che è pari a 19.99 euro. Intendiamoci: Team Cherry sta macinando una marea di soldi mentre parliamo, perché le proiezioni danno per estremamente probabile la vendita di 10 milioni di copie di Silksong nel primo mese dal lancio. Ma sapete cosa piace a tante aziende che fanno un sacco di soldi? Fare più soldi. (In effetti, sembra essere il punto del capitalismo). Nessuno avrebbe proferito parola di protesta se il prezzo di questo seguito fosse stato il doppio – o anche di più, vista la qualità e la mole di contenuti offerti. Eppure, Team Cherry ha deciso di mantenere un prezzo accessibile per perdersi nei meandri di Lungitela. Dai quali non voglio assolutamente uscire. Sono troppo imbambolata dalle musiche di Christopher Larkin; dalla bellezza delle animazioni del mantello di Hornet; dalla cura e dall’amore evidenti posti in un progetto che si perde in una marea di digressioni, come fosse una versione videoludica di Moby Dick di Herman Melville. Ma non abbandona mai il suo centro di gravità permanente: la sfida.

Il grande poeta statunitense Ezra Pound sosteneva che la grande arte non è mai stata creata per brama smodata di denaro. “Con usura / non v’è chiesa con affreschi di paradiso”, scriveva nel Canto XLV. “Con usura / la lana non giunge al mercato / e le pecore non rendono / peggio della peste è l’usura, spunta / l’ago in mano alle fanciulle / e confonde chi fila”. Ho pensato subito a Pound quando ho letto l’intervista di Jason Schreier ad Ari Gibson e William Pellen. Ci ho ripensato ancor più intensamente quando mi sono resa conto della qualità dell’opera che Team Cherry ha messo a disposizione del pubblico per un prezzo decisamente in controtendenza con quello di prodotti similari presenti sul mercato. Non vorrei concludere questa recensione facendo una moraletta spiccia da quattro soldi sulla bontà di cuore di questo team formato da persone evidentemente intelligenti, talentuose e appassionate; di storie considerabili “di successo” nell’industria videoludica ce ne sono tante, e tra queste vi sono anche quelle di videogiochi che sono stati frutto di procedimenti di sviluppo molto meno virtuosi, ma che comunque resteranno scolpiti nella grande Storia: fra tutti, citerei Red Dead Redemption II. Ripenso a Pantani, alla sua scalata nella neve, con un freddo impossibile e sulle strade ghiacciate d’Abruzzo di quel 22 maggio. Il giornalista Gianni Mura una volta gli domandò perché andasse così forte in salita. Marco Pantani ci pensò su per un attimo e poi rispose: “Per abbreviare la mia agonia”. Ripenso anche alla notizia del 5 giugno successivo: l’ematocrito di Pantani aveva superato la soglia limite del 50%. Era al 51.8%. Venne escluso dal Giro; tornò poi a correre, ma non fu mai più lo stesso. Il resto della storia lo conosciamo un po’ tutti. Era una storia sbagliata? Pantani è stato un eroe tragico, la vittima di un sistema corrotto, o semplicemente un cattivo sportivo? Vorrei avere una risposta: la realtà è più complicata di così. 

Credo che Red Dead Redemption II sia uno dei videogiochi più maestosi mai creati, anche se è frutto di settimane di lavoro da cento ore. Non sono illazioni: queste sono parole di Dan Houser, co-fondatore di Rockstar Games, in un’intervista rilasciata a Vulture. Al contempo, credo che le vicende di Hollow Knight: Silksong e l’eccellenza del suo risultato dimostrino che una strada diversa è possibile. Che si può scalare il Gran Sasso dello sviluppo videoludico con il freddo e con la neve, ma senza l’EPO dello sfruttamento e del crunch, e senza sovrastrutture gargantuesche che vengono puntualmente interessate da tagli violenti al personale che prendono il gentile nome di “ristrutturazioni aziendali”. In Dimentica il mio nome, Zerocalcare rappresenta sua nonna materna Huguette come un prisma. Non sembra più un essere umano: è una sorta di diamante dalle mille facce che riflette le mille opinioni che le persone hanno avuto di lei. Huguette era una donna crudele o una madre amorevole? Era una cinica furbacchiona o una donna che ha fatto semplicemente quel che ha potuto? Di Team Cherry, l’impressione che ho è che siano persone che hanno fatto tutto quel che hanno voluto. Pedalando fortissimo nella tempesta di neve che è lo sviluppo videoludico. E per me, che verso i numeri applicati all’arte nutro un odio inesausto, ecco, per me – per quel nulla che un numero applicato all’arte può contare – per me l’avventura spietata di Hornet è una palestra da dieci pieno. È il Gran Sasso pieno di neve del 22 maggio 1999, quando il freddo ghiacciava il sudore sulla fronte di chi c’era. E io sono grata di esserci stata il 4 settembre 2025, quando gli store digitali sono esplosi per colpa di un bug del sistema. Sono momenti che restano impressi per una vita. Quel bug si chiamava Hornet, e insieme continueremo a scalare la montagna di Lungitela. Come due amiche ostinate.

Pubblicato il: 17/09/2025

Abbonati al Patreon di FinalRound

Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori

1 commento

fantastica review e magnifica impaginazione ✌

info@finalround.it

Privacy Policy
Cookie Policy

FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128