HIROGAMI
Volta la carta
All’interno del Museo della Pace di Hiroshima l’aria è diversa rispetto a quella che si respira all’esterno. Una forza di gravità che non è di questo mondo ti schiaccia a leggere ogni lettera, ogni testimonianza, ti porta a guardare con attenzione le piccole casacche ricoperte di sangue ormai marrone scuro dei bambini che furono così sfortunati a incontrare, nella loro breve esistenza, la forza disumana di Little Boy, un nome che suona quasi stupido per quanto è inadeguato a descrivere la realtà della sua essenza: quella di bomba atomica. E poi c’è una sezione spesso più affollata delle altre; è dedicata a una bambina. Si chiamava Sadako Sasaki e aveva appena due anni e mezzo quando il cielo di Hiroshima si tinse d’arancione e tutto cambiò per sempre.
Sadako era una hibakusha, una persona sopravvissuta alla bomba. Ma, come molti, fu condannata a un’esistenza breve e infelice. Quando aveva nove anni, il suo collo incominciò a gonfiarsi. A dieci, aveva le gambe punteggiate di macchie rosse che non ne volevano proprio sapere di andar via. Si scoprì ben presto che aveva sviluppato una gravissima forma di leucemia e fu ricoverata in ospedale. Ma non ne voleva proprio sapere di arrendersi alle conseguenze di Little Boy. Dieci anni dopo il disastro, nell’agosto 1955, iniziò un’impresa che sarebbe passata alla Storia, e che oggi è ricordata all’interno del Museo della Pace, che in un angolo ospita parte della copiosa produzione di Sadako. Una produzione di origami, tutti a forma di gru. Mi sono soffermata a guardarli a lungo: alcuni erano piccolissimi, fatti con un ago quando la bimba si sentiva particolarmente debole – come spiegano i pannelli, tutti ottimamente tradotti in lingua inglese – e molte delle gru sono composte con la carta su cui erano scritte le prescrizioni e le modalità d’uso delle sue medicine. Vi garantisco che è una delle visioni più potenti e più poetiche cui ho avuto il privilegio di poter assistere nella mia vita. E fuori dal museo, nel Parco della Pace, c’è una grande statua di Sadako che tiene in mano una gru origami. “Questo è il nostro grido, questa è la nostra preghiera: per costruire la pace nel mondo”, recita l’iscrizione. La gru sembra pronta a volare anche sulla più cupa delle coscienze.
Sadako Sasaki, aiutata dai suoi amici, volle piegare mille (e più) gru origami proprio per esaudire un desiderio: quello della pace del mondo. Un desiderio che sembra più che mai inascoltato in questo 2025. Leggenda vuole che questo immenso numero di origami sia capace di smuovere il cielo e di raggiungere qualsiasi risultato desiderato. Lo sforzo è immane, come ben sa chi ama piegare la carta (d’altronde, “origami” vuol dire proprio questo: il termine viene dal verbo giapponese “oru”, ossia “piegare” e da “kami”, “carta”, peraltro omofono della parola che significa “divinità”).
Mi verrebbe da dire che una persona con lo spirito di sacrificio e l’abnegazione necessari a piegare mille gru sia per le sue stesse qualità, e non per un dono del cielo, capace di ottenere tutto ciò che vuole, specialmente se riesce a prendere questa occupazione come un bel gioco – come un puzzle per la mente.
È un po’ ciò che ci spinge a fare Hirogami, videogioco platform 3D in cui vestiamo i panni di Hiro, un eroe fatto di carta capace di assumere più forme e abilità. Lo piegheremo in varie forme per centinaia, se non migliaia di volte. Il suo mondo è tormentato dal misterioso Contagio; per sconfiggerlo, Hiro deve sfruttare ogni possibile piegatura per risolvere i puzzle che troverà nel corso dei livelli, obliterare i nemici e, infine, vincere la sfida finale. È un viaggio dell’eroe estremamente classico, direi quasi privo di sorprese dal punto di vista narrativo, ma pieno di ottime intuizioni dal punto di vista del gameplay.
Con la pressione di un solo tasto, possiamo trasformare Hiro in varie forme di animali origami. C’è l’armadillo, con cui possiamo scorrazzare in velocità per le ambientazioni, distruggendo casse e altri oggetti che ostruiscono il cammino. C’è la rana, capace di saltare in alto e sfruttare ogni occasione di verticalità fornita dalle ambientazioni. E poi c’è il gorilla, con la sua forza distruttiva e la sua abilità di muoversi agilmente tra le liane. Il cambio di forma è velocissimo e reattivo, ed è una gioia per gli occhi, e non solo: in definitiva, si tratta dell’elemento più interessante di Hirogami, che risulta essere un platform estremamente classico nell’impostazione strutturale, ma sorprende – soprattutto all’inizio – con le possibilità offerte dalle forme origami. Classico nella struttura, dicevo: abbiamo una mappa del mondo articolata in livelli, ciascuno con sfide obbligatorie (solitamente, la purificazione del santuario della Gru corrispondente) e facoltative (ad esempio, ultimare il livello entro un determinato numero di minuti, o preservare un numero di cuori minimo, eccetera eccetera), queste ultime volte a spingere a tornare sui propri passi e rigiocare ciascun quadro. Non mancano i collezionabili, dai Diagrammi (per poter costruire potenziamenti di vario genere) alle pergamene (che raccolgono illustrazioni e musiche da guardare e ascoltare in una apposita galleria). Prima di iniziare ciascun livello, un comodo riepilogo evidenzia in maniera chiara ed efficace cosa si è raccolto e gli obiettivi che si sono raggiunti, e cosa ancora manca.
Dietro la splendida presentazione visiva e ludica di Hirogami, però, si notano ben presto delle criticità. La telecamera con inquadrature fisse, innanzitutto. L’unica possibilità di intervento a riguardo sta nello spostarla a destra e a sinistra, senza poter però ruotare la visuale. E qui sorgono i problemi: questa rigidità si traduce, di frequente, in una difficoltà di lettura delle distanze, e capite bene che in un videogioco platform questo può essere un problema molto rilevante. E, nel caso di specie, senz’altro lo è. C’è poi la questione della varietà dei nemici, fin troppo scarsa: e non è un tema fine a sé stesso, perché si traduce in una mancanza di varietà di approcci ludici ai combattimenti, che ben presto si traducono in sfide ripetitive, da completare giusto perché si è costretti. Leggermente meglio le boss fight, che pur senza particolari guizzi riescono a portare sul tavolo alcune idee nuove rispetto a quelle che animano gli incontri di base, anche se la battaglia finale purtroppo non riesce a salutare il giocatore con una conclusione indimenticabile per il viaggio di Hiro.
Un viaggio benedetto da una direzione artistica interessante, piena di intuizioni ottime – così come ottima, lo si è detto, è l’idea di basare tutto il gameplay del gioco sulle differenti forme degli animali origami – ma che, dal punto di vista musicale e del design sonoro, non riesce ad affondare i denti nella mente di chi gioca. È tutto molto sottile, troppo per lasciare un’impressione duratura una volta trascorse le circa sette ore necessarie per completare l’avventura e liberare la landa di Hiro e soci dal Contagio. Ed è un vero peccato, perché le potenzialità per un’opera con più mordente e carattere c’erano tutte. Bene le prestazioni da un punto di vista tecnico su PlayStation 5, e una nota di grandissimo merito va data all’eccellente traduzione in lingua italiana, che si mantiene con eleganza su un registro elevato, senza disdegnare dei deliziosi tocchi ironici: farmi largo a colpi di una mossa chiamata “Panzata Gravitazionale”, beh, è stata un’esperienza senza prezzo. Non è scontato che produzioni di questo tipo vengano localizzate nella nostra lingua: onore al merito degli sviluppatori di Bandai Namco Studios Singapore e Malaysia e al publisher nipponico Kakehashi Games per aver deciso di prestare attenzione alla nostra zona geografica. Hirogami non è un platform 3D che passerà alla Storia come l’impresa di Sadako Sasaki ma, pur con i suoi difetti, resta un buon ambasciatore di quell’arte meravigliosa e meditativa che è l’origami.
Pubblicato il: 16/09/2025
Provato su: PC Windows
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