ONE-EYED LYKHO

Si sa: ogni zona d’Italia ha i suoi racconti popolari. Anzi, ce li ha ogni singolo pezzettino di mondo – ma ci arriviamo tra un attimo. Essendo abruzzese, parto da ciò che conosco meglio: le leggende di casa mia. Che, a essere onesta, fanno un po’ ridere. Il nostro spettro più spaventoso si chiama “pandafeche” ed è una sorta di nonnetta che si siede sul petto di chi dorme e non lo lascia respirare. In realtà, storie di questo tipo esistono un po’ ovunque, e hanno una ragione ben precisa: si tratta di una spiegazione (naturalmente di carattere non medico-scientifico) del diffuso fenomeno delle apnee notturne. Quello che connota in maniera buffa la pandafeche e, ai miei occhi, la rende incredibilmente abruzzese, è l’infallibile rimedio consigliato dalle nonne per far sì che questo mostro non disturbi i dormienti: lasciare nella stanza un sacchetto di lenticchie, in modo tale che il fantasma passi la notte a contarle. Alla fine è vero che in Abruzzo pensiamo sempre a mangiare, pure se siamo dei fantasmi... 

Esiste una teoria – che fa capo al discusso psicoanalista Carl Gustav Jung – secondo cui esisterebbe una sorta di inconscio collettivo dell’umanità, una specie di patrimonio comune fatto di paure, speranze, credenze che si ripetono in tutte le culture. Questo perché precederebbero la cultura stessa: sarebbero saldamente radicate nella mente di ognuno di noi. È una tesi molto criticata, certo, ma la ripetizione pressoché identica di determinati miti e figure anche in angoli lontanissimi del pianeta rappresenta un appoggio importante per l’idea di Jung e dei suoi seguaci. Sapevate che il mito di Orfeo ed Euridice è presente, con variazioni minime, anche in Giappone? O che l’idea di un diluvio universale che si sarebbe verificato migliaia di anni fa è propria di moltissime popolazioni nel mondo? E poi ci sono loro, quei mostri che no, non si lasciano ingannare da un sacchetto di lenticchie (però diciamolo: viva la pandafeche, che è fessacchiona in modo molto, molto abruzzese) e hanno terrorizzato milioni di bambini nell’arco della storia umana: sto parlando di quella nutritissima schiera di creature malvagie che sono dotate di un occhio solo.

I leggendari Arimaspi, popolo di umani monocoli e pure arrabbiatissimi, sempre in guerra con i loro vicini, avidi a un livello tale da rubare l’oro perfino ai temutissimi grifoni (!). L’impronunciabile Bungisngis dalla risata eterna, un gigante che domina le storie popolari delle Filippine. Hitotsume-kozo, in giapponese letteralmente “bambino con un occhio solo”, uno degli yokai più famosi del Sol Levante, appassionato di tofu e spesso rappresentato in maniera umoristica da artisti dell’ukiyo-e e mangaka. E naturalmente ci sono loro: i ciclopi. “Nessuno mi uccide con l’inganno”, strilla Polifemo quando Ulisse gli dice di chiamarsi “Nessuno”. Polifemo diventa così un simbolo di ingenuità grossolana, un gigante-pastore monocolo che si lascia infinocchiare in men che non si dica dall’astuto eroe omerico. Nulla può quell’unico occhio contro i due di Ulisse: intelligente, astuto, ne sa sempre una più del diavolo. Ma non è finita qui, perché anche nella mitologia dei popoli slavi abbiamo mostri monocoli. Il più famoso è protagonista di un videogioco appena uscito di nome One-Eyed Likho

L’opera sviluppata e autopubblicata dal piccolo team di Perm Morteshka fa capo a un genere che negli ultimi anni sta avendo un grande successo: quello dei videogiochi folk horror. Due dei miei esponenti preferiti di questo mondo affascinante sono The Excavation of Hob’s Barrow (2022), ambientato nelle brughiere desolate dell’Inghilterra vittoriana rurale, e lo svizzero Mundaun (2021), che racconta il difficile rapporto dell’uomo con la natura spesso ostile delle montagne alpine del cantone dei Grigioni. Entrambe sono due opere fenomenali, da recuperare non appena ne avete l’occasione se non vi è ancora capitato di giocarle. E, per quanto riguarda Mundaun, direi che il lavoro di Hidden Fields è un punto di riferimento visibile sia a livello estetico, sia dal punto di vista del gameplay per One-Eyed Likho.

Seguendo in maniera praticamente letterale una delle versioni più popolari della storia di Likho, interpretiamo (con una azzeccatissima visuale in prima persona) il ruolo di un fabbro che, insieme a un amico sarto, si addentra nei boschi alla ricerca di questa figura mitologica. In russo, il termine “likho” ha connotazioni fortemente ambigue: da un lato, può indicare un qualcosa di maligno, mentre dall’altro può anche significare “temibile”. Il fabbro prova la fascinazione che molti esseri umani nutrono verso il male: il desiderio di ammirare la maestà del vero potere in un mondo in cui la voce di Dio tace. Ecco, dunque, la personificazione di questo male atavico, di questo Likho, comunemente rappresentato come una donna anziana e magrissima vestita di nero e con un occhio solo. Per le circa quattro ore di durata di questa avventura, vediamo soltanto il nero e una sterminata scala di grigi. Non c’è colore che tenga nella storia del fabbro, del sarto e della loro (fruttuosa) ricerca di Likho.  

L’esplorazione è di quelle che non danno troppi grattacapi. Sono rare le occasioni in cui si trova qualche biforcazione nelle foreste, nei templi abbandonati e sulle isole che percorriamo durante One-Eyed Likho. Gli enigmi non sono mai complessi, e sempre basati sulla raccolta di oggetti da combinare o inserire nel posto giusto. Spesso capita di incontrare degli scrigni che, in premio, regalano storie provenienti dal folklore mondiale, una sorta di puzzle di come la malvagità è stata interpretata e rappresentata nella cultura popolare nel corso dei secoli; per aprirli è necessario inserire una combinazione numerica da reperire di volta in volta in maniera diversa, solitamente traendo indizi dall’ambiente. L’orrore di One-Eyed Likho è raramente basato sulla fretta di sfuggire a una presenza minacciosa: solitamente si ha tutto il tempo di esplorare le ambientazioni e trovare la soluzione a ciascun enigma. In questo senso, mi sento di consigliare questa esperienza a chi solitamente non si accosta al genere horror, temendo jumpscare in gran quantità (qui quasi del tutto assenti, ma utilizzati magistralmente nelle rare occasioni in cui sono presenti) e magari situazioni di body horror troppo spinto (c’è una minima svolta in questo senso soltanto nel finale: non preoccupatevi troppo). Buone le prestazioni su Steam Deck, anche se va segnalato qualche calo di frame rate di troppo nel passaggio da un’area a un’altra e nei momenti in cui il gioco effettua il salvataggio automatico.

È un peccato, a mio avviso, che non si sia colta l’occasione per trasmettere un messaggio forte, di carattere prepotentemente politico, in un 2025 in cui di Likho, nel mondo, ce n’è fin troppo. Eppure, non mancano degli spunti: è come se il team abbia avuto paura di andare fino in fondo. Una delle ambientazioni visitate è una evidentissima citazione al dipinto L’isola dei morti del pittore svizzero Arnold Bocklin, che dipinse il medesimo soggetto in ben cinque versioni. Pensate che la terza – realizzata nel 1883 – fu acquistata personalmente da Adolf Hitler. E ci è giunta una foto che rappresenta Hitler e il quadro insieme, in occasione della firma del patto di non aggressione con l’URSS nel 1939: il celebre patto Molotov-Ribbentrop. Quel patto includeva un protocollo segreto che regolamentava una serie di acquisizioni territoriali d’interesse, rispettivamente, dell’URSS e della Germania nazista. Due anni dopo, Hitler non si fece problemi a violarlo invadendo l’Unione Sovietica – e l’orologio ticchettava, ticchettava. Ticchettò fino a quando il tempo finì e Adolf Hitler si sparò in un bunker nel centro di Berlino, dove ora si trova un bel parco. L’isola dei morti era lì con lui. Recuperato dai russi, dal 1945 è esposto in un museo nella capitale tedesca. Quando ho visto l’isola in One-Eyed Likho – era proprio lei: inconfondibile – ho sperato in una svolta in questo racconto popolare, in una sua attualizzazione. Non è stato così

Capisco che sia difficile, per un team che ha sede in Russia, precisamente nella città di Perm: ma perché citare uno dei quadri più importanti e influenti di tutti i tempi – è stato fonte d’ispirazione inesauribile per un novero infinito di artisti, tra cui Salvador Dalì e Giorgio de Chirico, giusto per fare due nomi – un quadro che, peraltro, ha un forte rilievo simbolico nella storia russa (e non solo), e lasciar lì quella citazione, senza seguire i suoi ricchissimi precipitati politici? Certo: devo dire che quel che ho giocato è comunque un buon videogioco folk horror. Nessun dubbio su questo. A un certo punto, il sarto disquisisce animatamente con il fabbro del valore delle storie. Chi è che ne decide il significato? Chi le he scritte, o ciascuna delle persone che le ascolta? È un dibattito dal portato strettamente afferente alla critica e al mestiere di critico, naturalmente, ed è ben lontano dall’essere risolto. Non credo che lo sarà mai: non esiste una superiore verità su ciò che la critica è, su come la critica si fa, su quale è l’approccio corretto, la postura da adottare nei confronti di un’opera. L’autore è irrilevante? E le sue intenzioni? Persone ben più formate e importanti di me – in Italia, è particolarmente nota la posizione di Umberto Eco sulla questione – si sono pronunciate ed esposte a riguardo; non esporrò qui i caratteri di questo dibattito senza conclusione. Credo che il mio mestiere sia anche quello di far notare che Morteshka avrebbe potuto affondare ben di più la spada nel ventre molle e miserabile del male compiuto dall’uomo. Non basta, per me, una scena finale che apre alcuni spazi di riflessione, ma subito li chiude lasciando scorrere i crediti finali. Quel che intendo è che One-Eyed Likho è troppo innocuo per la materia impegnativa che si propone di maneggiare: e per lasciare un segno è necessario osare.  

Pubblicato il: 01/09/2025

Provato su: PC Windows

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