HELL CLOCK

Le ossa della rivoluzione

“L'uomo era alto e così magro che sembrava sempre di profilo. La sua pelle era scura, le ossa sporgenti e gli occhi ardevano di un fuoco perpetuo. Calzava sandali da pastore e la tunica viola che gli ricadeva sul volto rammentava l'abito di quei missionari che, di tanto in tanto, si recavano nei villaggi del sertão a battezzare folle di bambini e a sposare coppie irregolari. Era impossibile conoscerne l'età, la provenienza, la storia, ma c'era qualcosa nel suo aspetto quieto, nelle sue abitudini frugali, nella sua imperturbabile serietà che, prima ancora che cominciasse a dar consigli, attraeva la gente”. Questo è l’indimenticabile incipit de La guerra della fine del mondo di Mario Vargas Llosa, il primo tra i romanzi a essere citato nel discorso con cui venne motivato il conferimento allo scrittore peruviano del Premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Vargas Llosa è scomparso da poco, praticamente l’altroieri, nell’aprile di quest’anno. Il governo peruviano ha indetto, per l’occasione, un giorno di lutto nazionale. Gli estimatori del suo lavoro si sono radunati all’esterno della casa dello scrittore, a Lima, con i suoi libri in mano. Molti brandivano il romanzo di cui vi parlo qui, e che fa da base a Hell Clock

La guerra della fine del mondo venne pubblicato nel 1981, in un momento in cui Vargas Llosa era conosciuto principalmente per La città e i cani, e segnò l’allontanamento dello scrittore peruviano da temi afferenti alla sua vita e al suo Paese. Il libro guardava all’indietro: a essere oggetto d’analisi erano i fatti della guerra di Canudos, combattuta tra il 1896 e il 1897 nell’odierno Brasile, in quello che all’epoca era lo Stato di Bahia. Erano anni difficilissimi per la popolazione della regione: una grande carestia aveva colpito il nordest del Brasile tra il 1877 e il 1879, dimezzando la popolazione della zona, e aveva dato la stura a fenomeni estesi di brigantaggio e – questo è il tema che più ci interessa – a forme di millenarismo religioso. Era vicina, infatti, la fine del XIX secolo, e l’abolizione della schiavitù nel 1888 contribuì a mutare un quadro sociale già ribollente.

È in questo contesto che si inserisce l’incipit de La guerra della fine del mondo: in un entroterra primitivo e storicamente depredato, un territorio aspro, duro, in cui l’agricoltura e l’allevamento di bestiame sono difficili e faticosi, ma sono l’unica strada possibile per la sopravvivenza. E Antonio Conselheiro arriva proprio lì, tra gli ultimi, tra i contadini che non avevano mai fatto la Storia – l’avevano solo e soltanto subita. “Conselheiro” vuol dire “il consigliere”, ed ecco che nelle prime righe del libro Vargas Llosa accenna proprio alla sua capacità di “dar consigli”. Ma è il fuoco perpetuo che porta negli occhi ad attirare le masse. E il suo ardore religioso. Tanto che, a otto anni di distanza dalla sua morte, Pajeú ancora vuol riportare indietro nel mondo la sua anima ardente. 

“La battaglia... continua? Dove mi trovo?”. Sono queste le prime parole di Hell Clock, pronunciate proprio da Pajeú, che si risveglia bruscamente nell’insediamento in rovina di Quixeramobim. Si tratta del piccolo villaggio in cui Antonio Conselheiro nacque nel lontano 1830, prima di morire massacrato insieme a circa venticinquemila persone a Canudos nel 1897. Hell Clock fa qualcosa di pressoché unico nel mondo dei roguelite: decide di dare uno sfondo storico agli eventi di gioco. E quello sfondo è lo stesso raccontato da Mario Vargas Llosa: la guerra di Canudos. O, per meglio dire – ed è questa la dicitura scelta dagli sviluppatori di Hell Clock – “il massacro di Canudos”.  

L’obiettivo di Pajeú è chiarissimo: scendere fin nelle viscere dell’Inferno per salvare l’anima di Antonio Conselheiro. Per farlo, è necessario precipitarci nell’abisso che occhieggia da una botola in quella che era la casa del Consigliere. Ancora, e ancora. E bisogna fare presto, perché ogni secondo conta. In Hell Clock, un timer di sette minuti invita a un’azione rapida e cruenta: scaduto il tempo, si viene riportati indietro dagli inferi a Quixeramobim. È possibile affrontare il gioco nella sua interezza anche in Relaxed Mode, opzione che rimuove completamente il limite di tempo. E che, come è facile immaginare, va a cambiare completamente l’esperienza, generando sensazioni molto differenti. Due sono le scelte anche per la difficoltà: la modalità Softcore, che preserva i progressi fatti dal personaggio per la partita successiva (abilità acquisite, equipaggiamento...) e quella Hardcore, che fa piazza pulita a ogni morte di Pajeú.

Hell Clock è un po’ come Disco Elysium: come direbbe Paul Verlaine, “Tutto è bevuto, tutto è mangiato! Niente più da dire!”. Perché la rivoluzione c’è già stata – di più, è già fallita, e noi ci troviamo a caracollare tra le rovine. “La legge non è giustizia. Molti furono resi schiavi dalla legge degli uomini”, dice Pajeú, dopo aver ucciso il primo boss del gioco. Questo perché fu l’ordine costituito a fare la rovina di Canudos. Una volta insediatosi nella comunità, Antonio Conselheiro avviò un’opera di predicazione che lo portò a essere venerato come santo mentre era ancora in vita. “Parlava di cose semplici e importanti, senza guardar nessuno in particolare fra la gente che lo attorniava, o, piuttosto, guardando, con i suoi occhi incandescenti, al di là della cerchia di vecchi, donne, uomini e bambini, qualcosa o qualcuno che solo lui poteva vedere”, scrive Mario Vargas Llosa. “Cose che si capivano perché erano oscuramente note fin da tempi immemori e che si imparavano insieme al latte delle prime poppate. Cose attuali, concrete, quotidiane, inevitabili, come la fine del mondo e il giudizio universale, che forse potevano succedere prima di quanto ci impiegasse il villaggio a risistemare la cappella in rovina”. Mandriani, contadini e braccianti ascoltavano le sue parole e iniziavano a temere l’avvento dell’anno millenovecento. Perché, secondo Antonio Conselheiro, bisognava prepararsi alla fine del mondo.  

Fu così che il Consigliere divenne il pastore di quella comunità di uomini. E presto venne individuato l’Anticristo. Era la nuova Repubblica del Brasile: l’assemblea costituente si riunì nel 1890, e l’anno scorso venne promulgata una costituzione che prendeva a modello quella degli Stati Uniti d’America. Con l’introduzione di una novità considerata blasfema da Conselheiro: il principio di separazione tra i poteri della Chiesa e quelli dello Stato. La gente di Canudos rifiutò le leggi della Repubblica – anzi, le leggi dell’Anticristo – e respinse con la forza un contingente di poco più di cento soldati che erano stati inviati dal governo. Una seconda spedizione, più nutrita, fu parimenti rimandata al mittente. La terza, di milletrecento uomini, venne sconfitta da feroci azioni di guerriglia, con la morte del colonnello repubblicano Moreira César. La quarta spedizione, partita nel giugno del 1897, fu armata fino ai denti per sottomettere quella comunità ribelle. E ci riuscì. L’uccisione di Antonio Conselheiro, avvenuta il 22 settembre 1897, segnò un punto di non ritorno per la resistenza: il 5 ottobre i sopravvissuti deposero le armi, poi vennero sgozzati, e Canudos venne rasa al suolo. I morti furono venticinquemila.

Non sorprende, dunque, che il team brasiliano abbia voluto far leva sulla figura di Antonio Conselheiro. Mentre si gioca a Hell Clock, il Consigliere è poco più di uno spettro lontano. Non lo vediamo, non sentiamo le sue parole. Ci viene raccontato durante i momenti di pausa dai feroci combattimenti, quando veniamo ributtati a casa sua, a Quixeramobim, e incontriamo i pochissimi sopravvissuti che ci raccontano di Conselheiro, della sua forza d’animo, della dignità dei contadini davanti alle forze repubblicane. E qui c’è un altro dei punti di forza di Hell Clock: il doppiaggio. Tutti i doppiatori provengono dalla regione di Bahia, la stessa in cui è ambientato il gioco, che pur con i suoi twist di fantasia mantiene i piedi saldamente piantati nelle campagne del Brasile rurale. Il tutto è sottotitolato in varie lingue, tra cui l’inglese, mentre manca, al momento, una localizzazione in lingua italiana – cosa che non stupisce per un progetto di questa scala. 

Che, però, non rinuncia alla qualità. Mai. Non nelle performance, sempre impeccabili su Steam Deck OLED. E non nel gameplay, che coniuga le dinamiche tipiche di un roguelite in un felice matrimonio con l’universo dei giochi di ruolo d’azione. Sono chiarissimi i riferimenti a Diablo, anche solo osservando la schermata di gioco. Nella parte bassa troviamo le abilità utilizzabili da Pajeú, da sbloccare spendendo Soul Stones nell’hub del gioco. Ma le somiglianze non si fermano qui: oltre alle Soul Stones, i nemici sconfitti lasciano cadere denaro e Trinkets, ossia oggettini che vengono equipaggiati automaticamente e migliorano (solitamente in maniera marginale) le statistiche di Pajeú. Non mancano anche avversari del tutto analoghi ai classici goblin del tesoro che si vedono in Diablo, da abbattere rapidamente mentre corrono via per guadagnare grosse quantità di denaro. Inoltre, c’è una grande attenzione all’equipaggiamento di Pajeú: acquistare una pistola più potente può significare la differenza tra la vita e la morte, e la gestione degli spazi limitati per le Reliquie (oggetti potentissimi che cambiano il funzionamento delle abilità e/o incrementano significativamente i parametri del protagonista) aggiunge un ulteriore elemento di spessore alle nostre pause a Quixeramobim, essenziali per strutturare una build convincente, capace di attraversare tutto l’Inferno alla ricerca dell’anima di Antonio Conselheiro – e non solo, come si scoprirà in corso d’opera. 

Insomma, dinanzi a un mercato pieno di cloni di Hades, gli sviluppatori di Rogue Snail si sono dati da fare per creare qualcosa di decisamente diverso, prendendo il meglio dai mondi dell’ARPG e del roguelite. Con risultati che trovo davvero ottimi. Non soltanto l’azione e la progressione risultano pieni di carattere, ma anche dal punto di vista artistico il team ha parecchio da dire. Vargas Llosa scriveva che gli occhi di Antonio Conselheiro ardevano di fuoco perpetuo, e in Hell Clock le profondità demoniache della Terra sono illuminate in maniera dinamica dalla torcia portata da Pajeú, mentre le ombre ballano al suo passaggio. E, se si sceglie di giocare con la spada di Damocle del timer puntata sulla testa, quel passaggio deve essere bello veloce. Le orde di non morti e mostri che assalgono il protagonista sono numerosissime, con un’azione rapida e cruenta che ricorda decisamente più Diablo che Hades. E la monotonia è fortunatamente scongiurata dal guadagno di Soul Stones (spendibili a Quixeramobim per acquistare abilità, equipaggiamento e reliquie) e di oggetti che possono tornare utili nelle scorribande future. Senza contare i potenziamenti che si mantengono esclusivamente all’interno della run: il denaro può essere speso presso statue apposite per rendere Pajeú più potente, veloce o resistente agli attacchi nemici, mentre l’esperienza acquisita fa salire il protagonista di livello e permette di scegliere tra tre potenziamenti per le sue abilità. È tutto estremamente stratificato, interessante, appagante. Dopo alcune run negli inferi, poi, si sblocca anche la Great Bell, la campana di Antonio Conselheiro che permette di potenziare in maniera permanente Pajeú in modo crescente con il progredire delle run. Le scelte possono essere resettate spendendo una quantità tutto sommato limitata di Soul Stones. L’attenzione è tesa sia al presente – ai miglioramenti efficaci nel corso di quella determinata partita – sia al futuro, con un equilibrio davvero encomiabile.

Insomma, i sistemi da valutare sono tanti, ma vengono introdotti a mano a mano, dolcemente, senza sovraccaricare il giocatore. E producono un’esperienza incredibilmente complessa, resa più approcciabile dalla possibilità di modulare la difficoltà e di mantenere o rimuovere il limite di tempo per ciascuna delle corse del nostro pistolero infernale. Dopo i titoli di coda, il sistema di endgame, chiamato Ascension (attualmente in corso di sviluppo: la versione definitiva è prevista a inizio 2026 e si baserà sul feedback dei giocatori), cambia nuovamente le carte in tavola. Un po’ come avviene con i Giuramenti di Hades, potremo attivare delle Penance, ossia dei modificatori che rendono i nemici più veloci, più forti, o magari introducono nuove mosse nel set di abilità dei boss. La particolarità è che, durante l’ascensione, tutte le abilità del protagonista sono disponibili, e l’albero di potenziamenti della Grande Campana di Canudos è sostituito da quello della Campana Infernale; inoltre, il numero di run a disposizione per completare l’ascensione e conseguire l’obiettivo finale è limitato, contrariamente a quanto accade nel gioco base. In un contesto di roguelite che si avvalgono sempre più spesso di lunghi periodi d’accesso anticipato, sulla scia di quanto fatto da Hades e (un po’ a sorpresa per alcuni) anche da Hades II, la scelta di Rogue Snail di proporre un gioco completo in tutto e per tutto e di avvalersi del feedback del pubblico esclusivamente per l’endgame, riservandosi di apportare delle modifiche in futuro, mi sembra un ottimo compromesso – soprattutto considerata l’elevata qualità dell’avventura di Pajeú. 

Canudos e la sua utopia sono una contraddizione: una rivoluzione che aveva il sapore della controrivoluzione, una guerra contro un progresso che – i contadini l’avevano intuito – avrebbe comunque lasciato indietro i poveri, gli ultimi. Nella Canudos di Antonio Conselheiro, i terreni e i prodotti agricoli erano divisi equamente, a seconda dei bisogni di ciascuno. Era un sogno inaccettabile per il giovane ordine costituito della Prima Repubblica brasiliana. Ma di questa rivolta non si poté appropriare nessuno: non i monarchici, che tentarono di sfruttarla in funzione antirepubblicana; non i socialisti, che interpretarono in ottica anarchica o marxista quello che fu un movimento creato da un predicatore millenarista, con le sue peculiarità. Sarebbe ingiusto tentare di far dire a quei contadini di più di quel che intendevano conseguire: una semplice, serena libertà dal bisogno costante, dalle richieste oppressive di un potere che si ricordava di loro soltanto per predare i loro pochi stracci. Cara lettrice, caro lettore, non ti ho ancora raccontato che Pajeú non è soltanto un personaggio videoludico: è anche uno dei protagonisti de La guerra della fine del mondo. Mario Vargas Llosa ci racconta della sua gigantesca cicatrice, così grande che il naso dell’ex bandito è quasi scomparso dal suo volto, mangiato dal suo passato violento. Potrei raccontarti molto ancora, ma penso sia meglio leggere in prima persona, e giocare. Perché Hell Clock è la chiara dimostrazione di quanto i videogiochi abbiano ancora da dire: mescolando per inventare cose nuove, e guardando al passato per tentare di creare un futuro nuovo, senza dimenticare la possibilità dell’utopia. 

Pubblicato il: 21/07/2025

Abbonati al Patreon di FinalRound

Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori

2 commenti

Splendida recensione che mi ha fatto aggiungere non solo il gioco, ma anche il libro di Vargas Llosa alla lista dei desideri.
Il contesto storico e la presenza dell'orologio mi hanno incuriosito non poco.
Peraltro, non vedo l'ora di sentire il dopp …Altro...
Splendida recensione che mi ha fatto aggiungere non solo il gioco, ma anche il libro di Vargas Llosa alla lista dei desideri.
Il contesto storico e la presenza dell'orologio mi hanno incuriosito non poco.
Peraltro, non vedo l'ora di sentire il doppiato; vado subito a controllare se c'è un trailer!

info@finalround.it

Privacy Policy
Cookie Policy

FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128