DEATH STRANDING 2
ON THE BEACH
Sam è sulle pendici di una montagna, sprofondato quasi fino alla vita in una coltre di neve pericolosissima e circondato da un gruppo di CA pronte a trasformare quel versante in un colabrodo a colpi di voidout. Niente di particolarmente differente da quanto fatto e visto fino a quel momento, non fosse che per motivi di trama è la prima volta che il corriere leggendario si ritrova senza la capsula di Lou agganciata alla tuta, quindi impossibilitato a vedere i suoi inquietanti nemici spettrali se non trovandocisi pericolosamente vicino. In quel momento Death Stranding ha utilizzato il gameplay per insegnarmi qualcosa, obbligandomi a riflettere sul rapporto con Lou e su quanto profondo e importante fosse il legame che mi univa a lui. Lo ha fatto in maniera pragmatica, privandomi di una meccanica di gioco data fino a quel momento per scontata per pungermi sul vivo, costringendomi a conferire un peso reale a quel rapporto in un mondo alla deriva che si stava lasciando scivolare verso l’estinzione della specie. Death Stranding è un videogioco che procede esattamente in questo modo, concedendo al giocatore strumenti e connessioni per poi toglierli di mezzo, trasformando quel vuoto in un’occasione di introspezione e di crescita. Corda e bastone, perfettamente in linea con i temi di un’opera dirompente sia nelle ambizioni che nella struttura.
Dare e togliere.
Anche Death Stranding 2: On The Beach, superficialmente, funziona circa allo stesso modo. Anche questo sequel è composto di concessioni e privazioni, anche se in maniera del tutto antitetica a quanto fatto nel primo capitolo. Perché sì, Death Stranding 2 è un videogioco che guarda negli occhi il pubblico e dimostra la volontà di chinare il capo e ammettere certi errori, andando a sistemare delle innegabili storture ludiche fino a migliorare esponenzialmente quasi ogni singolo aspetto del gameplay, spesso in maniera davvero brillante. Il dramma, però, è cosa chiede in cambio per raggiungere questo traguardo, ed è qualcosa da cui, da profondo ammiratore della ludografia di Hideo Kojima, non sarò mai e poi mai in grado di separarmi. Death Stranding 2 è un gioco riuscito a metà, un titolo che sin dalle prime ore mi ha dato l’impressione di essere stato sviluppato più per necessità “altre” rispetto a quelle della naturale crescita artistica di un autore che si è da sempre dimostrato violentemente refrattario alla reiterazione delle formule su cui ha basato una carriera intera.
Quello preso in esame è un sequel diretto, che riprende il discorso lasciato parzialmente in sospeso da Death Stranding per raccontare i postumi di quel Last Stranding scampato per un sogno grazie a uno degli abbracci più potenti che si siano mai visti in un’opera di intrattenimento.
L’introduzione di Death Stranding 2 è semplicemente mozzafiato e dialoga meravigliosamente con la chiusura del primo capitolo: una nuova camminata, stavolta sui pendii rocciosi di un Messico digitale semplicemente mozzafiato, in compagnia di Lou. Solo che Lou è cresciuta, libera dalla gabbia impostale dalla Pod in cui la Bridges l’aveva confinata per sfruttarne le capacità paranormali.
Questo suggerisce quanto Death Stranding 2 voglia in qualche modo occuparsi dei postumi del Last Stranding, della crescita di Sam dopo la guarigione dalla sua aptofobia che per tutta una vita gli ha impedito di connettersi con gli altri. Ad insegnarglielo, più di tutti, è stata proprio Lou.
Il Messico e l’Australia di Death Stranding 2 godono peraltro di un vantaggio enorme: le regole di quel mondo sono già state delineate dalle prime ore della prima iterazione, e i personaggi che li popolano non devono più comportarsi come frammenti di un’enciclopedia virtuale utile a introdurre gradualmente il giocatore nel loro universo narrativi. Sono liberi dalle naturali costrizioni narrative entro cui erano parzialmente confinati in Death Stranding. Certo, DS2 trasforma comunque una parte consistente del suo primo terzo di gioco in un grande tutorial capace di evidenziare immediatamente gli enormi passi avanti fatti dal sistema di gioco in questi cinque anni di attesa, ma lo fa in maniera tutto sommato apprezzabile. Di fatto quello che presenta al giocatore è un miglioramento come già detto impressionante dei suoi sistemi di gioco, con un traversal splendidamente rifinito nelle meccaniche e nell’utilizzo della strumentazione chirale, oltre che una UI profondamente rivista in ottica di quality of life.
Inoltre è finalmente possibile gestire il carico con la pressione di un paio di tasti, scaricare lo zaino per facilitare le incursioni stealth negli avamposti e i “gadget” introdotti qui sono meravigliosamente vari e divertenti da utilizzare. Death Stranding 2 si gioca meglio sotto ogni punto di vista, anche i più insospettabili.
Ne approfitto qui per parlare del fatto che siamo di fronte ad un titolo decisamente più action del primo, che integra all’interno della sua struttura un sistema di combattimento che affonda le sue radici nelle parti migliori di Metal Gear Solid 5 sia dal lato del level design (scordatevi i piattissimi e inutili accampamenti dei MULI) che di quello della varietà degli approcci. Si spara insospettabilmente meglio – pur tenendo a mente che DS2 è e rimane un gioco di consegne e non di sparatorie furibonde – e le possibilità di approccio furtivo sono state potenziate in maniera davvero convincente. Il merito è sì di un arsenale finalmente vario in cui compaiono anche fucili da cecchino, pistole tranquillanti, granate stordenti e oggetti utili per il corpo a corpo, ma anche di gadget ingegnosi tra cui compaiono, per esempio, ologranate che permettono di attirare l’attenzione del nemico lontano da Sam e boomerang ematici utilissimi contro le Creature Arenate.
Death Stranding 2 è DIVERTENTE in tutte le sue componenti ludiche, migliore nella gestione del terreno, dei veicoli, dei combattimenti e, soprattutto, della cooperazione “asimmetrica” tra giocatori. La progressione gode ancora tantissimo dei benefici di quelle dinamiche multiplayer che avevano caratterizzato il primo, al punto che si è ancora più spinti a voler collaborare con i corrieri degli altri mondi nel processo di antropizzazione e “dominazione” della natura australiana. Per fortuna, tra l’altro, la moneta dei like è rimasta pura, totalmente slegata dalla progressione interna del gioco (che introduce una sorta di skill tree apocrifo apprezzatissimo nel suo sviluppo e nella sua espanzione) e indirizzata alla sola funzione di “indicatore di altruismo” che aveva definito in maniera chiara e inequivocabile il primo capitolo.
Arriviamo, però, al vero dramma (perché di dramma si parla in questo caso), ovvero ad una narrativa che rappresenta integralmente il punto più basso – e con notevole distacco – della carriera di Hideo Kojima come autore a tutto tondo. Conosco Kojima da praticamente tutta la mia vita di giocatore, e mai come in questo caso sento di parlare con cognizione di causa, dal momento che ho messo mano ad ogni sua produzione esistente sin dai tempi di Policenauts e Snatcher, e quello che mi sono trovato di fronte mi ha lasciato semplicemente senza parole.
Death Stranding 2 è un sequel che a volte sembra non avere assolutamente nulla da dire, scritto male – a tratti malissimo – che riesce nell’impensabile impresa di depotenziare la resa di personaggi meravigliosi già ampiamente inseriti nel tessuto narrativo della serie, a partire dal pessimo trattamento riservato a Sam, che qui si trasforma in un personaggio inerte, incapace di dimostrare emozioni (e no, non esiste giustificazione narrativa che tenga in questo caso). Da un lato c’è il fatto che Kojima si autocita di continuo, prendendo da Metal Gear una quantità spropositata di concetti, di ammiccamenti e di frasi di cui vuole comprensibilmente riappropriarsi senza che però queste vadano in alcun modo oltre la loro natura di autocitazioni. Tarman a un certo punto parla esplicitamente di soffrire di “Phantom Pain”, Neil passa gran parte dello screen time concessogli a mettersi in fronte la bandana che lo fa assomigliare pericolosamente ad un cosplayer di Solid Snake e in generale l’equipaggio della DHV Magellan sembra voler scimmiottare un po’ la Cobra Unit di The Boss e un po’ la FoxHound. Che, ripeto, ci sta se questo serve in qualche modo a generare significato nell’opera, ma questo in Death Stranding 2 non succede praticamente mai a livello tematico e narrativo.
Hideo Kojima è stato duramente criticato nel corso della sua carriera a causa della sua verbosità e della prolissità dei filmati presenti nei suoi giochi (parliamo, dopotutto, di una persona che detiene ancora il Guinnes World Record per la cinematica più lunga della storia del medium), e negli anni ha cercato in qualche modo una strada per sopperire a questa sua “mancanza” (che, se chiedete a me, non è mai stata un difetto e che anzi ha contribuito alla costituzione della sua cifra stilistica). Si è passati dalle cutscene alle audiocassette di Metal Gear Solid 5, per poi sconfinare nel log testuale di Death Stranding in cui ha riversato tutte quelle informazioni irrinunciabili legate al world building e allo sviluppo di certi aspetti dei personaggi. Qui, però, quello che mi sono trovato di fronte mi ha stordito come non mi era mai successo prima: Death Stranding 2 si rifiuta quasi categoricamente di costruire filmati della durata di più di tre minuti, dando così spazio ad una scrittura superficiale e terribilmente deficitaria che depotenzia tutto quello che sembra voler raccontare. Ci sono dei momenti potenzialmente devastanti nel contrappunto della trama del gioco che vengono risolti con una rapidità destabilizzante, impedendo puntualmente ai personaggi di reagire a ciò che gli succede attorno e risolvendo alcuni dei punti cruciali con la più banale e deludente delle scrollate di spalle che non poteva né tantomeno doveva trovare spazio in un’opera tanto stratificata. In questo, peraltro, trovano spazio dei retcon narrativi che stravolgono nel giro di due o tre frasi la complessissima scrittura dei personaggi chiave del primo capitolo, spesso inseriti come forma di allungamento brodo del tutto inelegante per poi venire negati con la stessa rapidità incomprensibile.
Mi è mancato tremendamente Tomokazu Fukushima, storico scrittore della Metal Gear Saga il cui potere più grande è sempre stato quello di saper dire di no a Kojima e di tenerlo sui binari senza far deragliare disastrosamente il convoglio.
Mi preme segnalare che per gran parte dell’esperienza questo mi ha attivamente privato delle motivazioni narrative per continuare a fare ciò che stavo facendo. Mi è stato detto di riconnettere l’Australia e ho obbedito turandomi il naso di fronte alle infinite storture di una scrittura che ha trattato la stragrande maggioranza dei personaggi introdotti in questa seconda iterazione come figurine da appiccicare sullo schermo per ribadire al mondo quanto sia “fico” che Elle Fanning, George Miller a Shioli Kutsuna siano parte del cast di un videogioco firmato Hideo Kojima. L’ho fatto nonostante ci siano stati dei momenti in cui non mi è minimamente stato chiaro quale dovesse essere il mio ruolo nella storia, ingannato dalla speranza che – prima o poi – tutto quanto sarebbe esploso in un finale roboante.
La triste verità, però, è che la conclusione di Death Stranding 2 si adagia sulle stesse identiche storture narrative sopportate per quaranta ore, introducendo però delle scene tremendamente cringe appiccicate un po’ con lo sputo ad un impianto narrativo traballante, che nelle ultime ore introduce tematiche drammaticamente assenti nel resto del gioco che poi dismette con la stessa rapidità con cui le ha introdotte senza degnarsi di approfondirle nemmeno un po’. La sensazione che ho avuto è che Kojima abbia “svisionato” certe scene e che abbia fatto di tutto pur di inserirle in Death Stranding 2 senza curarsi né del tono né tantomeno della coerenza dell’opera.
Ci tengo a sottolineare una cosa: Hideo Kojima mi ha abituato per una vita ad avere a che fare con ninja masochisti, bombaroli pazzi sui pattini e vampiri immortali grazie alle nanomacchine, e a me è sempre andato bene perché si è sempre trattato di follie momentanee inserite in un contesto scrittorio solido e potentissimo che si è sempre curato di trovare una giustificazione (credibile o meno) alla loro esistenza.
Qui, purtroppo, tutto questo non succede MAI, al punto che ci sono specifiche scene che sono così brutte e gratuite da avermi messo in sincero imbarazzo di fronte allo schermo. Inutile girarci attorno: siamo di fronte a quella che per me è la delusione peggiore di tutta l’ultima generazione di console. Ed è folle pensare che si tratti del videogioco tecnologicamente più avanzato che si sia visto ad oggi su console, migliorato in maniera davvero impressionante in quasi ogni sua componente ludica a dimostrazione che questo team ha un talento spaventoso se diretto a dovere.
Il fatto è che Death Stranding 2 aveva promesso tantissimo, soprattutto alla luce del convoluto quanto assolutamente geniale intreccio tra narrativa e gameplay imbastito in Death Stranding e che qui viene depotenziato in maniera a tratti davvero inconcepibile. Le promesse sono rimaste lì, confinate nei trailer di un gioco che narrativamente non riesce quasi mai a trasformarsi in una storia coerente e che risulta più un collage di immagini un po’ matte che non dialogano in alcun modo tra loro e che, soprattutto, sono del tutto incapaci di trasformarsi nell’ossatura di un’opera che abbia davvero voglia di raccontare qualcosa che non sia una sbrodolata narcisistica di un autore che ha cominciato ad autocitarsi a ripetizione nel tentativo di far vedere a tutti che lui con Hollywood vuole avere un rapporto privilegiato. Ad oggi non trovo alcuna spiegazione che possa giustificare questa pericolosa involuzione se non che la motivazione profonda che ha portato a Death Stranding 2 sia stata solamente quella di mettere in fila cameo di personaggi famosi per farsi belli agli occhi di uno star system sempre più ingombrante nell’economia dei tempi di Kojima.
Quelle che mi porto a casa dopo quarantacinque ore di DS2 sono due convinzioni diametralmente opposte. La prima è che, oggi, Kojima ha dimostrato che la sua ricerca ossessiva di un contatto con lo star system lo hanno avvicinato al sistema-cinema di Hollywood e non alla settima arte. Anzi, a dirla tutta Death Stranding 2 rappresenta per me uno scivolone artistico che rischia di minare seriamente le sue velleità da regista, vista la gestione a tratti inconcepibile delle parti filmiche del gioco (per scrittura, ritmo e direzione delle cutscene). L’altra, piaccia a meno a Hideo Kojima, è che è ancora oggi un game designer eccezionale, capace come quasi nessuno di costruire sistemi di gioco rivoluzionari e spaventosamente profondi, oltre che un maestro nell’estrarre le potenzialità tecnologiche del medium anche quando questo sembra arenarsi sui propri limiti (fidatevi se vi dico che quello che si vede a schermo, a volte, non ha nessun senso da un punto di vista tecnico). Io spero con tutto il cuore che se ne renda conto e che accetti il suo ruolo di guida di un medium che ha ancora tremendamente bisogno di creativi così dannatamente abili perché, al di là dei suoi difetti a tratti mortificanti, Death Stranding 2 è ancora un videogioco meccanicamente rivoluzionario e rifinito quasi alla perfezione nelle sue parti più esplicitamente ludiche.
Death Stranding 2: On The Beach è la corda tesa da Hideo Kojima per cercare di connettersi ad un mondo dello spettacolo fatto di celebrità e di collaborazioni infinite con brand di successo che, però, si è trasformata nel bastone utilizzato involontariamente contro la propria visione artistica di un medium che ha contribuito a far maturare con una velocità impressionante e spesso ingiustamente sottovalutata.
A me tutto questo ha fatto davvero molto male e mi ha messo una grande inquietudine addosso al pensiero dei prossimi progetti targati Kojima Productions (ce lo ricordiamo tutti che ha definito OD il primogenito di qualcosa che intende come un nuovo medium, no?), ma spero che chi di dovere si renda conto che la strada giusta da seguire sia, purtroppo, un'altra.
To all the roads that we are yet to pave
The dreams that stillness entertains and slays
Now if my love for you won't make you stay
I don't know what will
Pubblicato il: 24/06/2025
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