LOST IN RANDOM
THE ETERNAL DIE
La fortuna aiuta Alexandra
Le definizioni, nel mondo dei videogiochi, sono importanti. Soprattutto a fini di marketing: basti pensare alle etichette definite dagli utenti per ciascun prodotto sulla piattaforma Steam. L’applicazione di un’etichetta facilita l’incasellamento di un prodotto e la sua canalizzazione verso la fascia di utenti appassionata a giochi di quel tipo. Si tratta di parole: possono essere più o meno chiare sul contenuto effettivo che si andrà a trovare all’interno del videogioco in questione. E no, spesso non sono chiare affatto. In A Game Design Vocabulary: Exploring the Foundational Principles Behind Good Game Design (di Anna Anthropy e Naomi Clark, pubblicato Addison-Wesley Professional nel 2014), le autrici partono dallo scarso carico informativo di questi termini per tentare di riscrivere il linguaggio del design ludico, interpretandolo come una grammatica espressiva dell’agenzialità, ossia dello spazio di possibilità garantito all’interno del gioco al giocatore, con un focus sui verbi, sui nomi, sugli aggettivi che permettono di dare concretezza all’esperienza, rifuggendo da facili e generiche etichette. In effetti, dire che ci troviamo dinanzi a un “videogioco d’azione” non ci permette di immaginare una tipologia di prodotto specifico. Lo stesso vale, in realtà, quando parliamo di “videogiochi indie”: mancano criteri chiari per discernere cosa è “indie” da cosa non lo è. A volte, una semplice lettera fa da misura a delle importanti differenze – succede quando parliamo di “roguelike” e di “roguelite”, due parole spesso utilizzate in maniera intercambiabile.
Se siete appassionati di etichette – che ci piacciano o no, fanno parte di questo panorama – vi segnalo che lo sforzo definitorio per capire di cosa parliamo quando utilizziamo la parola “roguelike” ha trovato un importante punto (parzialmente) fermo nel 2008, con la prima International Roguelike Development Conference, durante la quale vennero elaborati nove fattori “ad alta priorità” e sei fattori “a bassa priorità” per determinare se ci troviamo effettivamente dinanzi a un videogioco roguelike. Non tutti questi fattori devono concorrere nel medesimo prodotto: stando alla “interpretazione di Berlino” (così le conclusioni di quella conferenza sul tema sono note oggi) è sufficiente che siano presenti almeno tre dei nove fattori ad alta priorità. Il dibattito teorico sul genere si è naturalmente evoluto nel corso degli anni, parallelamente a una salita alla ribalta di quella che potremmo definire una costola presa dal corpo dei roguelike, e che ha assunto vita e rilievo proprio, rivendicando una sua autonomia: il genere dei “roguelite”. Una tendenza così robusta e importante che un recentissimo volume (è uscito nell’aprile di quest’anno) curato da James Cartlidge e pubblicato da Routledge è stato intitolato The Rise of the Roguelite. Inside a Gaming Phenomenon, e nella sua introduzione si parla di una vera e propria “ondata dei videogiochi roguelite nell’ultimo decennio”.
Secondo Cartlidge, i videogiochi roguelite sono una “sperimentazione creativa” che parte da “un remix delle meccaniche e delle caratteristiche” elencate nell’interpretazione di Berlino. La differenza più importante è, secondo molti, l’acquisizione di abilità e oggetti che possono essere preservati (quantomeno in parte) nel corso delle varie run di gioco, con una meta-progressione capace di rendere ogni loop di gioco stimolante e parzialmente nuovo rispetto al precedente. Ed è proprio vero quel che Cartlidge afferma all’inizio del libro: il mondo dei videogiochi è stato travolto, negli ultimi dieci anni, da un vero e proprio tsunami di roguelite. Penso a Hades e al suo seguito Hades II, attualmente ancora in accesso anticipato – abbiamo parlato del design dei personaggi di Hades II qui – ma anche a Dead Cells e a Returnal. E non mancano declinazioni dei roguelite completamente prive di combattimenti: basti pensare a Balatro e a Blue Prince.
Tutti i videogiochi sopra elencati sono nati come roguelite o – è il caso di Hades II – fanno parte di una serie di videogiochi roguelite. Lost in Random: The Eternal Die, invece, è un’anomalia. Nel 2021, Electronic Arts aveva scommesso sugli sviluppatori di Zoink e Thunderful per portare sul mercato un nuovo videogioco d’azione e avventura (come è generica questa etichetta, vero? Cerchiamo di andare più nello specifico) ambientato in un universo dark fantasy che strizzava chiaramente l’occhio al cinema di Tim Burton. Il suo nome era Lost in Random. Nel regno di Alea, governato dalla regina Aleksandra, il destino di ogni abitante è determinato dal lancio di un dado. A seconda del risultato – uno, due, tre, quattro, cinque o sei – ciascuno finisce in uno dei sei territori del regno, ed è destinato a ricoprire una particolare funzione. Protagonista è Even (traducibile in italiano come “Pari”) determinata a salvare sua sorella Odd (“Dispari”). I combattimenti sono fortemente basati sull’uso di un dado e sull’utilizzo di carte che garantiscono a Even particolari poteri.
Il lancio di Lost in Random non fu un sei. Electronic Arts non ha mai sposato l’idea di dar vita a un seguito dell’avventura di Even e Odd, e il team originale si è diviso. Parte degli sviluppatori ha dato vita a una nuova realtà, MoonHood, e a una nuova proprietà intellettuale, The Midnight Walk, uscito lo scorso maggio per VR e dispositivi flat. Si rimane sempre dalle parti del dark fantasy, e pare che da questo universo sarà tratto un film. Ora, però, è tempo di parlare del progetto nato dall’altra parte del team di Lost in Random, ora rinominato Stormteller Games e parzialmente integrato nella sua composizione. Non è un seguito diretto di Lost in Random, ma Lost in Random: The Eternal Die è ambientato nel medesimo regno, con due importanti novità: stavolta publisher è Thunderful (una realtà decisamente più piccola rispetto a Electronic Arts), e si cambia completamente genere, passando alla sponda dei roguelite. Con i rischi, inevitabili, derivanti dalla presenza di concorrenti decisamente agguerriti e brillanti – basti leggere i nomi altisonanti che ho citato sopra.
Torna la regina Aleksandra, stavolta nelle inedite vesti di protagonista dell’avventura. Una novità inaspettata per chi aveva giocato Lost in Random. La potente Aleksandra si trova imprigionata nel labirinto del Dado Nero, ostaggio del malvagio Tormento, che si nutre della sua frustrazione, run dopo run, e tiene nelle sue grinfie un ricco cast di personaggi non giocanti che animano la narrazione soprattutto nei momenti di “pausa” tra un’avventura nei dungeon e l’altra. Nulla di lontanamente all’altezza della complessità di relazione presente in Hades, sia chiaro, ma Lost in Random: The Eternal Die si lascia apprezzare soprattutto da chi aveva già conosciuto Aleksandra in Lost in Random, grazie al rovesciamento di prospettiva e alla luce gettata su aspetti oscuri della vita della crudele regina.
Dicevamo che la principale differenza tra roguelike e roguelite sta nella presenza di un sistema di meta-progressione. Sono due gli strumenti per incrementare le probabilità di successo della nostra protagonista. Durante le sue avventure, Aleksandra può raccogliere polvere di puntini e braci, in modo tale da poter potenziare le sue quattro armi (arco per gli appassionati dei combattimenti a distanza, spada, lancia e martello per chi preferisce tenere i nemici vicini vicini) e le benedizioni di cui Aleksandra può avvalersi, incrementando i danni inferti o i punti salute. A riguardo, va segnalato che questi miglioramenti garantiscono una buona varietà alle opzioni offensive della regina, traducendosi in configurazioni differenti delle armi stesse. Il che garantisce un forte desiderio di rigettarsi presto nella mischia per provare nuove tattiche e approcci per uscire dal labirinto.
A mio avviso, Lost in Random: The Eternal Die può essere un ottimo punto d’ingresso per nuovi appassionati all’interno del genere roguelite, non esattamente noto per la sua accessibilità. Gli sviluppatori hanno inserito due livelli di difficoltà, e in linea generale non v’è dubbio che The Eternal Die sia più semplice rispetto ai due Hades, giusto per fare un nome molto noto in questo ambito. I pattern d’attacco dei nemici risultano meno erratici, e l’azione a schermo non risulta mai eccessivamente concitata. Il che non vuol dire che nelle ultime fasi del labirinto le cose non si facciano concitate, sia chiaro. Gestire le carte a nostra disposizione e le abilità raccolte, da posizionare su una sorta di scacchiera, è a dir poco essenziale. Possiamo portare soltanto una carta per volta, e ciascuna ci garantisce un particolare incantesimo da ricaricare sferrando colpi base. Quanto ai potenziamenti presenti in ogni run, questi sono governati da un sistema di colori: giusto per fare un esempio, se riusciamo a mettere in fila sulla scacchiera tre reliquie rosse, non soltanto otterremo il bonus di attacco loro proprio, ma potremo avvalerci di un extra che incrementerà ulteriormente la statistica associata a quel colore. La limitazione ai potenziamenti data dallo spazio ristretto a disposizione sulla scacchiera è forse l’aspetto che più ho apprezzato di Lost in Random: The Eternal Die: rispetto al numero illimitato di Doni Divini di cui è possibile beneficiare in ogni run di Hades e Hades II, questo limite incoraggia il pensiero strategico e costringe il giocatore a riflettere sul sacrificio di potenziamenti ottenuti in precedenza per acquisirne di nuovi, cambiando di conseguenza l’approccio alla run “in corsa”.
C’è poi il lancio del dado. Sì, perché la nostra compagna-dado di nome Fortuna è anche un’arma. In The Eternal Die, è possibile lanciare Fortuna in giro per l’arena per arrecare un danno ad area nel luogo d’impatto. E il numero ottenuto conta: se la faccia posizionata verso l’alto è quella su cui è inciso il numero uno, il danno sarà modesto; al contrario, si otterrà un risultato devastante lanciando un sei. Il sistema di potenziamenti e di abilità, però, incide anche su questo semplice principio. Nella mia primissima run, ricordo di aver ottenuto una reliquia che attivava un fulmine sui nemici posti nelle vicinanze dell’area di atterraggio di Fortuna in caso di ottenimento di determinati numeri con il lancio. E le sinergie si spingono anche oltre, creando un sistema complesso che risulta interessante da esplorare e padroneggiare sconfitta dopo sconfitta, fino ad arrivare alla vittoria, muovendosi con abilità nelle stanze generate proceduralmente e articolate in quattro aree differenti. Segnalo che, dal punto di vista visivo e di immaginario, ho trovato meno ispirata la prima rispetto alle altre – di castelli diroccati se ne sono già visti tanti nei mondi virtuali dei videogiochi, e quello che fa parte del Dado Nero non riesce a restare impresso nella mente del giocatore. Meglio fanno nemici e boss: d’altronde, il mondo di Lost in Random già aveva dimostrato le grandi capacità di design di personaggi e avversari in possesso del team originale, in parte confluito in questo progetto.
Dal punto di vista tecnico, segnalo che non ho mai avuto problemi giocando alla versione per PlayStation 5 del titolo, e i caricamenti sono risultati rapidissimi, l’ideale per aver sempre voglia di rimettersi in pista e tentare la sorte. Senza contare che Lost in Random: The Eternal Die gode di una buona localizzazione dei testi in lingua italiana, mentre il doppiaggio (in lingua inglese) risulta sempre efficace nel caratterizzare Aleksandra e il ricco cast di streghe, mercanti e mostriciattoli assortiti che fanno parte di questa avventura. Concludo con una riflessione: che il regno di Alea sia stato visto attraverso la lente del roguelite, un genere videoludico che della casualità fa il suo perno essenziale, è un qualcosa di davvero brillante. Spero che Aleksandra riesca a farsi largo in questo mare magnum di roguelite che hanno invaso il mercato in questi ultimi anni. Che siate dei curiosi novellini o degli esperti navigati, di certo non vi pentirete di questo lancio di dado alle porte dell’estate.
Pubblicato il: 15/06/2025
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