TO A T

Noi siamo la forma perfetta

“Questa è la natura del settore. Io non sono importante. Il gioco è importante. Ma io? Chi se ne importa?”. Da quando quella palla inizialmente fatta di puntine da disegno e matite ha iniziato a rotolare ne è passata di acqua sotto i punti. Fino a quando la sfera è diventata così grande da inghiottire case, polpi giganti, isolotti, e una vita intera. Dire Keita Takahashi è dire Katamari; ma è vero che dire Katamari è anche dire Keita Takahashi? Secondo il diretto interessato, no, almeno stando a quanto riportato in un’intervista rilasciata nel 2023 a The New York Times: l’industria è molto più interessata ai prodotti che a chi i videogiochi li crea. Dopo il clamoroso debutto di Katamari Damacy nel 2004 e lo sviluppo di alcuni sequel, nel 2009 Takahashi si era già stufato dell’industria videoludica: prese baracca e burattini e annunciò che si sarebbe dedicato alla progettazione di un parco giochi per bambini in Gran Bretagna

L’architettura era stata un suo pallino da sempre. Prima di scegliere il percorso universitario, Takahashi aveva l’intenzione di studiare architettura per progettare piccole case per famiglie comuni, strutture semplici in grado di soddisfare esigenze quotidiane. Finì per studiare arte e specializzarsi in scultura. Alla fine, il parco giochi fu un buco nell’acqua: i progetti di Takahashi vennero considerati troppo stravaganti dai responsabili urbanistici britannici. E fu così che decise di tornare a fare videogiochi.

Recentemente, ho realizzato di non sapere che cos’è un videogioco”, ha dichiarato nell’intervista a The New York Times. Il suo sforzo definitorio lo ha portato a concludere che un videogioco è un portatore di felicità nelle vite delle persone. Questa parola, “felicità”, è stata da sempre la sua stella polare. In un celebre panel da lui tenuto alla GDC nel 2005 – subito dopo l’uscita di Katamari Damacy – Takahashi rifletteva su come i giochi siano “un qualcosa di non necessario” e sui suoi obiettivi come game designer durante lo sviluppo di Katamari. “Ho pensato che desideravo fare qualcosa che rendesse felici le persone” disse. “È una cosa così semplice che si potrebbe pensare che non ci ho riflettuto su più di tanto. Ma all’epoca credevo che se una persona poteva essere felice o ridere anche soltanto un pochino, anche soltanto per un momento, allora non si sarebbe precipitata a lavoro e popoli e Paesi, forse, avrebbero smesso di combattere tra loro e farsi guerre non necessarie. E in un senso estremo, forse questo avrebbe potuto portare alla fine di discriminazioni razziali e guerre”. Novanta minuti di applausi.

Takahashi è rimasto sempre coerente con questa visione. Anche in Noby Noby Boy, in cui dobbiamo allungare a dismisura una creatura di nome BOY per sbloccare nuovi livelli e connettere pianeti diversi tra loro. Gli sforzi dei giocatori che interpretano BOY venivano condivisi online per permettere a un altro personaggio, di nome GIRL, di percorrere fisicamente lo spazio.

Il viaggio di GIRL è durato duemilaquattrocentottantanove giorni e si è concluso con la connessione di tutti i pianeti del sistema solare. Era il 15 dicembre 2015. Secondo le parole della piccolissima Fairy: “Perché lei [GIRL, N.d.A.] vuole connettere i pianeti? Beh... Lei desidera che tutti diventino amici l’uno dell’altro. Non soltanto persone sulla Terra... Lei vuole che anche persone che abitano su pianeti lontani diventino amici”. 

Venne poi Wattam, il cui nome è frutto della crasi tra la parola Tamil “vattam” (che significa “cerchio”) e di uno dei termini più importanti della lingua giapponese: “wa”. “Wa” è l’armonia dell’insieme; “wa” è la pace sociale; “wa” è un insieme di diversità che camminano nella stessa direzione per un obiettivo comune; “wa” è mettere davanti il gruppo rispetto agli interessi del singolo; “wa” è una melodia in cui ciascuna nota resta distinta, ma concorre con eleganza alla formazione di un tema musicale pieno di carattere.

È comune dire che nulla stona di più in un videogioco di un bug o di un glitch. I due termini vengono usati ormai come sinonimi: in sostanza, abbiamo un bug quando un videogioco è “rotto”, quando un malfunzionamento indesiderato rompe l’armonia del gioco. Di colpo ci accorgiamo che il sistema che stiamo utilizzando per giocare è nient’altro che uno strumento passibile di non funzionare come dovrebbe. Eppure, alcuni tra i fenomeni più affascinanti dell’intero universo videoludico non sono altro che bug. Prendiamo il caso di Pac-Man. Una volta completato il livello numero 255, la funzione del gioco legge dal numero esadecimale 100 – ovvero 256 in decimale – soltanto “00”. È a questo punto che Pac-Man “si rompe”: la parte destra del livello viene invasa da lettere e numeri. Come se nel cuore di Pac-Man fosse esplosa una bomba. Il gioco si mette a nudo come struttura fatta di numeri e codice, come collaborazione uomo-macchina suscettibile di clamorose – talvolta bellissime – imperfezioni. 

A cinquant’anni, Keita Takahashi abbraccia questa imperfezione videoludica per eccellenza. Lo fa rendendo protagonista del suo videogioco un adolescente senza genere. Mi riferirò a lui al maschile neutro come è prevalentemente d’uso nella lingua italiana corrente, ma questa neutralità non è da sottovalutare: è funzionale a Takahashi per raccontare una storia dal respiro il più possibile universale.

Una premessa: in inglese, l’espressione idiomatica “It fits you to a T”, che ha ispirato il titolo del gioco, può essere tradotta in italiano più o meno come “Ti sta alla perfezione”, o anche “Ti sta a pennello”. Lo si dice spesso quando si prova un abito che calza perfettamente, come se fosse stato cucito su misura sulla persona che lo indossa. Solo che il videogioco di Keita Takahashi parla di un ragazzino di tredici anni che vive in perenne T-pose, con le braccia tenute parallele rispetto al terreno. Ah, tornando per un attimo all’italiano: i testi di to a T sono stati tradotti nella nostra lingua.

Ma che cos’è la T-pose? Come ben sa chi lavora nel settore, è la posizione di default dei modelli umanoidi tridimensionali prima che vengano sottoposti al processo di animazione. Si tratta anche di un bug particolarmente frequente all’interno dei videogiochi. Il pensiero corre subito a Cyberpunk 2077 al lancio: lo stato infelice di tanti personaggi di Night City portò molti YouTuber a pubblicare video con nomi eloquenti del tipo “Welcome to T-pose City”. Immagini e video di personaggi non giocanti in T-pose si diffusero nell’Internet con la velocità fulminea che soltanto i memi possiedono. Cyberpunk 2077 riuscì a emanciparsi ampiamente da quel lancio così poco lusinghiero, ma bug e glitch come la T-pose sono dotati di potenti qualità di persistenza nella memoria dei giocatori

Keita Takahashi prende tutto questo e lo rovescia sulla testa. “Tu sei la forma perfetta, noi siamo la forma perfetta” è l’incipit della canzone che racchiude tutto il messaggio di to a T: un videogioco sul valore dell’imperfezione, sul potenziale della diversità, e su quanto il mondo sarebbe un posto orribile se fossimo tutti uguali. Detta così è una frase da Baci Perugina, ma d’altronde anche una nuda descrizione di Katamari Damacy (“fai rotolare una palla per renderla sempre più grande”) non restituisce appieno l’estetica del videogioco di Takahashi. Per capire, bisogna giocare

To a T è un videogioco d’avventura tridimensionale dalla forte portata narrativa. Il protagonista senza nome (lo scegliamo noi nel semplice editor iniziale: di default, il suo nome è “Teen” in inglese e “Giovane” nella traduzione italiana, che in questa e altre scelte presenta, a mio avviso, qualche difetto di troppo) corre in giro per la città con il suo cane, va a scuola, raccoglie monetine da spendere nei negozi di abiti, vestiti e scarpe, mangia i cereali la mattina, si lava la faccia (se vuole), fa la cacca (con il fondamentale supporto del cane, perché sì, è complicato fare la cacca in T-pose). È il 1999 e il gioco incomincia il giorno del tredicesimo compleanno del ragazzino. È una giornata qualunque: scegliamo l’uniforme scolastica da indossare, facciamo colazione, laviamo i denti e via a scuola. 

Tutti i gesti normalmente considerati troppo noiosi, prosaici o quotidiani vengono amorevolmente accolti e rinnovati da Takahashi all’interno di un’avventura di certo non travolgente come Katamari, ma con un cuore così grande che talvolta esplode e macchia tutto quanto di vita. To a T si completa in circa sei ore – un po’ di più se come me siete delle fashion victim che vogliono racimolare soldi a palate per comprare infinite paia di scarpe, e magari trascorrere ore sulla collina dei funghi – e in questo tempo propone situazioni via via sempre più surreali, in perfetto stile Takahashi. La sua presa di game director è come sempre molto solida: il team di uvula LLC si muove nella direzione tracciata lavorando armoniosamente sui livelli visivi, sonori e di gameplay. È tutto incredibilmente “wa”

Dal punto di vista tecnico, posso dire che la mia esperienza su PC è stata impeccabile, mentre mi è spiaciuto non aver potuto provare to a T su Steam Deck prima dell’uscita. Una nota del publisher (si tratta di Annapurna Interactive) specificava che la versione per la portatile di Valve sarebbe stata pronta il giorno dell’uscita. To a T sarà disponibile anche su PlayStation 5, Xbox Series X/S e nel servizio Game Pass: quest’ultimo può essere un buon modo per scoprire se la particolare poetica di Keita Takahashi fa per voi, o se siete immuni allo stile del bizzarro sviluppatore giapponese che voleva sviluppare parchi giochi per bambini.

In effetti, correre in giro col monociclo, confrontarsi con i bulli scolastici, muovere lo spazzolino da un lato all’altro della bocca potrebbero non essere gesti che attirano un gran numero di videogiocatori. Il mercato va da sempre in direzioni differenti. Eppure, Takahashi, a cinquant’anni, desidera ancora portare avanti la sua visione e regalarci sprazzi di felicità. A me, con to a T, ne sono arrivati diversi: puri, semplici, straordinariamente umani. Non soltanto grazie alle situazioni del gioco, ma anche al design dei personaggi, tutti deliziosamente bislacchi: dall’adorabile Giraffa appassionata di cucina, al Professor Fungus con i suoi esperimenti, fino ad arrivare ai tre ragazzini membri del Coro, un terzetto che trae evidente ispirazione dalla funzione del coro greco, i cui personaggi commentavano in diretta gli avvenimenti messi in scena. Sono tutti diversi e ben caratterizzati. D’altronde, Takahashi parla di diversità nel momento in cui è più urgente farlo

E allora viva i videogiochi, viva la felicità, e viva i cinquant’anni di saggezza di Keita Takahashi. Il mondo ne ha un grande bisogno.

Pubblicato il: 28/05/2025

Provato su: PC Windows

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