THE MIDNIGHT WALK

Nuova era oscura

“Ci hanno insegnato a pensare all’oscurità come a un luogo pieno di pericoli, persino di morte. Ma l’oscurità può essere anche un luogo di libertà e possibilità, un luogo di uguaglianza” 

- James Bridle, Nuova era oscura, NERO, 2019

Non credo al caso. E, quindi, non credo sia un caso se in questo periodo di turbolenze mondiali (politiche, sociali, economiche, esistenziali) ho ripensato spesso a Nuova era oscura di James Bridle (edito in Italia da NERO nel 2019). Il saggio di Bridle inizia ricordando il periodo immediatamente seguente alle elezioni statunitensi del 2016, quelle della prima vittoria di Donald Trump. Lo scrittore ricorda il malessere provato in quel periodo, l’instabilità della situazione politica globale, il senso di emergenza e di catastrofe imminente. E allora Bridle decise di mettere su carta un libro per parlare “di ciò che la tecnologia prova a dirci quando un’emergenza è in corso”, di come le tecnologie stesse siano complici delle maggiori sfide a cui oggi siamo chiamati a rispondere (la crisi climatica, il crescente divario tra ricchi e poveri, il collasso globale del consenso politico e l’escalation dei nazionalismi), e del grave errore derivante da ciò che chiama “pensiero computazionale” (ossia “credere che un qualunque problema possa essere risolto grazie al mero calcolo”). “E ora ci ritroviamo connessi a sterminati depositi di informazioni senza ancora avere imparato a pensare” scrive Bridle. “Anzi, è vero l’esatto contrario: ciò che doveva illuminare il mondo, di fatto lo relega nell’oscurità”. 

Su questa contraddizione – che crea l’illusione che una maggiore conoscenza possa condurre a sempre e comunque a decisioni migliori – nasce l’idea di James Bridle: quella di una nuova era oscura, “in cui brancoliamo nel buio in cerca di nuovi modi per comprendere il mondo”. Un rovesciamento clamoroso: la definizione di Bridle richiama ciò che gli illuministi criticavano, quell’era oscura di (pretesa) assenza di ragione che era stato, a loro avviso, il Medioevo. Ma Bridle si appropria senza paura dell’oscurità, ritenendo che questa può permetterci “di vedere le cose sotto un’altra luce”. Anche perché molti sono già abituati a vivere al suo interno, nelle ombre tanto minacciose per chi vive nel privilegio, immersi fino al collo in un’incertezza che può produrre nuove soluzioni. Ecco che sorge l’esigenza di confrontarci con una realtà che è sempre più oscura, addentrandoci nei suoi meandri e cogliendone le sue potenzialità, riconoscendo l’impossibilità di vedere chiaramente il futuro in una rete umana e non umana sempre più complessa e interconnessa. 

Nuovi tempi bui stanno arrivando.
Anzi, sono già qui.

E, siccome non credo al caso, sono certa che qualcuno in MoonHood ha letto Nuova era oscura. E ne ha fatto suo il messaggio, almeno in parte. Un messaggio che è stato negoziato e, in una certa misura, diluito dal grande numero di contributi umani di cui The Midnight Walk ha necessitato per trasformarsi in un’opera completa e fruibile da parte del pubblico (sia in VR, sia in modalità standard, peraltro: un dualismo che è di per sé negoziazione, e di cui parleremo a breve). In uno dei dialoghi di The Midnight Walk si dice espressamente che il buio è uno spazio di possibilità, di amicizia, di possibile uguaglianza tra tutti gli esseri viventi. Parole che sembrano prese direttamente dal saggio di Bridle. Solo che l’esordio di MoonHood – un team che in realtà è stato fondato da veterani dell’industria, ma che ora come nuova entità si trova all’opera prima – manca di un centro di gravità permanente, di una coerenza di fondo, e si risolve in un’esperienza piena di buone intuizioni per le sue circa cinque ore di durata, ma priva di un focus chiaro, di un messaggio robusto e potenzialmente persistente, magari addirittura utile per i tempi turbolenti che stiamo vivendo. 

In The Midnight Walk interpretiamo The Burnt One (traducibile in italiano come “Il Bruciato”: a proposito, manca una localizzazione nella nostra lingua, almeno al momento), un essere a quanto pare destinato a riportare la luce in un mondo assalito dalle ombre. Presto incontriamo il nostro dolcissimo compagno di viaggio: Potboy, un esserino irresistibile che sembra una versione rimpicciolita e ancor più dolce di Alexander, l’eroico vaso di Elden Ring. Potboy è materiale perfetto per eventuale merchandise di The Midnight Walk e anticipo fin d’ora che lancerei tutti i miei soldi in direzione di un suo peluche. Solo che prevedere quale piega prenderà la trama è questione di cinque minuti, e Potboy – importantissimo anche a livello di gameplay – diventa uno strumento comodissimo per catalizzare le emozioni del giocatore. Pure troppo comodo per i miei gusti, anche se sono caduta in pieno nelle trappole di MoonHood e negli affondi emotivi lanciati tramite il vasetto fiammeggiante.

Grazie alla sua potentissima fiammella, Potboy è essenziale per risolvere gli enigmi di questa avventura horror pesantemente ispirata alle opere di Tim Burton, con citazioni talvolta fin troppo evidenti a quel capolavoro che risponde al nome di The Nightmare Before Christmas. Partecipiamo agli eventi dal punto di vista di The Burnt One, con una efficace visuale in prima persona. Il protagonista può maneggiare dei fiammiferi per accendere candele e altri oggetti infiammabili, e lo stesso può fare Potboy: la collaborazione dei due è la base del gameplay. Nulla di trascendentale: raramente capita quel puzzle che riesce a farti scattare una scintilla di eccitazione. E qui si vedono i compromessi dovuti alla natura ibrida del gioco, perché se alcune meccaniche risultano interessantissime in realtà virtuale, anche se semplici (chiudere gli occhi per ascoltare suoni, aprire nuovi percorsi e scacciare alcuni nemici è un’intuizione geniale), la camminata di The Midnight Walk risulta ben meno soddisfacente in modalità standard.  

Sia chiaro: non per questo il viaggio di The Burnt One e del suo amico Potboy perde valore. Il secondo capitolo si conclude con un momento altissimo, e lo stesso vale per il finale, che mette in campo un accompagnamento musicale straziante e una scelta che (ancorché ampiamente prevedibile, come accennavo sopra) lascia il segno anche nei cuori più duri. C’è poi la questione più importante, che sta nel come The Midnight Walk è stato prodotto. Avviando il gioco, si legge una dichiarazione degli sviluppatori: definiscono la loro opera come “una storia fatta a mano, plasmata in argilla, cartone e sogni”. È un’immagine poetica tanto quanto il mondo che ne è risultato. Personaggi e ambienti sono stati dapprima creati nel mondo materiale, poi digitalizzati e animati in stop-motion. Un processo analogo a quanto avvenuto per Harold Halibut lo scorso anno. Il risultato è strepitoso e toccante, tra funghi giganti, stelle appese al cielo con un filo e bestie orripilanti, il tutto sempre modellato e animato con grande gusto e sapienza.

È un peccato, quindi, che The Midnight Walk soffra tanto per la sua natura di prodotto ibrido, e che la sua narrazione non riesca, talvolta, a portare i suoi ragionamenti alle loro logiche conseguenze. L’oscurità (vera protagonista del gioco) resta relegata sullo sfondo. È nella sua natura, forse, ma avrei preferito un mondo con una storia più incisiva. Invece, mi sono ritrovata ad assistere a una sequenza di vicende certamente toccanti, ma in fin dei conti abbastanza scollegate tra loro, e prive di un senso più alto, di un messaggio chiaro e riconoscibile. E dire che il tema si prestava – e di brutto. Sono restate “su carta” anche la gran parte delle suggestioni tratte dalle fiabe di Hans Christian Andersen: i libri dell’autore danese fanno da riparo ai personaggi in vari momenti dell’avventura, aperti al contrario, come se fossero delle casette senza mura.

Uno di questi contiene la fiaba di Mignolina, una delle prima di Andersen, scritta nel 1835: è la storia di una bambina rapita prima da una rana, poi un maggiolino, poi da un topo, tutti invaghiti della sua bellezza... E che vogliono sposarla. Se non provate ancora un brivido d’orrore, sappiate che suo finale della storia l’ultimo pretendente di Mignolina (prima dell’arrivo del principe delle fate) è un grosso talpone. Andersen è uno degli autori più fraintesi della Storia: semplicemente, la gran parte delle persone che lo cita non ha mai letto le sue fiabe. Che sono piene di soluzioni tragiche, quando non assolutamente raccapriccianti. La più straziante, per me, è Il soldatino di stagno, scritta tre anni dopo quella di Mignolina. Leggetela e poi mi saprete dire. Il mio punto è che in questa nuova era oscura dei videogiochi e della loro industria – sempre più vulnerabile e ferita dai sommovimenti dei mercati globali – The Midnight Walk avrebbe potuto essere una camminata feroce e piena di mordente. Il risultato è invece un prodotto ben confezionato, ma che non riesce a colpire al cuore. Ci prova e in parte ci riesce nel finale, vero, ma la leva emotiva non è sufficiente a scolpire l’opera prima di MoonHood negli annali. I temi sono in parte simili a quelli del recente South of Midnight, rispetto al quale trovo che The Midnight Walk porti un punto di vista più interessante ed elaborato, non ancorato a stantii combattimenti usati come mezzo di risoluzioni di ogni conflitto. Qui, se non altro, l’oscurità ha reso le cose più sfumate. In sintesi, l’opera di MoonHood resta un bel tentativo e un videogioco che consiglio senza troppe riserve, specie a chi possiede un visore di realtà virtuale; è anche un’eccellente dimostrazione di come l’artigianalità possa ricavarsi un suo spazio anche nel mondo dei videogiochi. Uno spazio meritato e necessario per argilla e cartone in quest’epoca di tecnocrati ossessionati da pianeti vuoti e lontani.

Pubblicato il: 12/05/2025

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3 commenti

Nonostante io apprezzi veramente tanto i tuoi gusti Giulia, secondo me dovresti cercare di perderti meno tra le tue conoscenze e cultura e di parlare più del gioco nelle sue sfaccettature. Già la recensione è molto corta se poi per il 50% parli d …Altro... Nonostante io apprezzi veramente tanto i tuoi gusti Giulia, secondo me dovresti cercare di perderti meno tra le tue conoscenze e cultura e di parlare più del gioco nelle sue sfaccettature. Già la recensione è molto corta se poi per il 50% parli di altro secondo me non si collega bene, visto che le eventuali ispirazioni non sono così evidenti (mi sembra generico e un po' tirato dire che si sono ispirati a quel libro). Per il resto è incredibile come ogni volta che leggo qualcosa di te noto quanto siamo identici a livello letterario, chissà che magari ti piace anche il gotico? Perchè sarebbe la ciliegina :D.
Ovviamente è una mia opinione non rimanerci male, non è mia intenzione. D'altronde ho sempre apprezzato le tue recensioni, mi piace molto capire i collegamenti che fai anche perchè sono acuti, ma lo apprezzo molto di più quando la recensione è un po' più estesa.

Grazie Giulia per la bella recensione! Fin dal primo trailer era spiccato tra i titoli della state of play per la natura ibrida e l'ambientazione squisitamente Burtoniana. Un peccato che manchi un po' di mordente. Gli si vuole bene lo stesso

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