THE ELDER SCROLLS IV

OBLIVION

Il tempo è fuor di sesto

Quattrocentocinquanta ore. Avevo quindici anni, belle speranze, e tanto, tanto tempo. Così tanto tempo che non mi disturbavo neanche a prevedere la possibilità che un giorno mi scivolasse via dalle mani. Il tempo per giocare: tempo azzerato negli anni di università, spesi a studiare e lavorare. I miei anni bui del gioco. Il tempo per dedicarmi a una delle mie passioni più grandi era sparito. A quindici anni lo avevo, in abbondanza: spesso mi capitava di andare alla lezione settimanale di pianoforte e dire alla mia maestra che non avevo tempo per fare pratica. Una volta le dissi che mi piaceva giocare ai videogiochi. “E quindi il tempo ce l’hai, eccome” rispose piccata. Ciao Arianna, è proprio vero che avevo il tempo, che lo tenevo in mano e lo davo talmente tanto per scontato da non vederlo. Eppure, era lì. Ed ero entrata in un cortocircuito non risolvibile: il tempo di suonare non lo avevo, quello di giocare sì. Capii così che il tempo, in una certa misura, è questione di priorità. E anche di classe – ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. A quindici anni non ancora la conoscevo. 

Non avevo un Xbox 360 o un PC performante, quindi attesi l’uscita di The Elder Scrolls IV: Oblivion su PlayStation 3. Era il 2007, ma anche l’anno 433 di Akatosh, più precisamente il ventisettesimo giorno di Ultimo Seme. Erano gli ultimi giorni della Terza Era e sì, anche le ultime ore della vita dell’Imperatore Uriel Septim VII. Quando ho rivisto quella indimenticabile cinematica iniziale sono stata spinta indietro da un soffio di tempo concentrato, così forte che mi ha spettinato i capelli e ha pure smosso il mio cuore difficile. “Il tempo è fuor di sesto”, ho pensato. E, secondo me, lo sarà sempre di più, quantomeno nell’industria tripla A.

The Elder Scrolls IV: Oblivion è stato il mio primo Elder Scrolls. Non l’ultimo: in seguito recuperai il terzo capitolo della serie, Morrowind, con i suoi favolosi funghi giganti, e poi mi dedicai al quinto, Skyrim, forse quello che ho apprezzato meno tra i tre che ho giocato. Oblivion resta la testa di ponte, l’impatto clamoroso, la scatola nera che contiene alcuni dei miei ricordi più preziosi nel mio piccolo mondo dei videogiochi. Come le missioni della Confraternita Oscura (“Sanguine, fratello”), il contenuto aggiuntivo dei Cavalieri dei Nove, ma soprattutto l’esplorazione delle Shivering Isles del Regno di Sheogorath, principe daedrico della follia. Solo giocando Morrowind capii perché il DLC Shivering Isles era così importante: si trattava di una sorta di ritorno al gusto bizzarro e sopra le righe di Morrowind, un contrasto necessario con il fantasy classico e di stampo medievale portato avanti in Oblivion. Una boccata d’aria fresca e frizzante. Un glitch nel sistema. 

Questa versione rimasterizzata – tecnicamente parlerei di “remake”, visto che il gioco è stato ricostruito da Virtuos in Unreal Engine 5 – è spuntata fuori più o meno dal nulla, annunciata da Bethesda e subito pubblicata lo scorso 22 aprile. Dico più o meno perché di Oblivion Remastered si parlava in maniera circostanziata ormai da tempo, a causa di una serie di leak trapelati in rete. Recensioni di questa versione riveduta e corretta (anche qui: più o meno) sono uscite quasi all’istante. E allora, con gusto, mi sono presa il mio tempo. Non quattrocentocinquanta ore. Quelle no: non me le posso più permettere. Ma le Shivering Isles meritavano una visita ben approfondita. La meritavano anche Lucien Lachance e soci. E pure i fratelli Jemane. E molti altri vecchi amici ancora. 

Protagonista di Oblivion è un anonimo prigioniero gettato nelle segrete della Città Imperiale. Una inaspettata visita dell’Imperatore Uriel Septim VII dà l’avvio a un’avventura che ci vedrà percorrere in lungo e in largo Cyrodiil, regione centrale del continente di Tamriel. Per darvi un’idea, Skyrim è giusto oltre il confine nord di Cyrodiil: in questa versione rimasterizzata, possiamo vedere con chiarezza la Gola del Mondo, la montagna più alta di Tamriel, ben nota agli appassionati di The Elden Scrolls V. Morrowind, invece, si trova a est di Cyrodiil. Se Skyrim è un luogo dominato dalla neve e Morrowind, beh, dai funghi, direi che Cyrodiil è una sorta di Terra di Mezzo videoludica, punto d’incontro di diverse razze che abitano Tamriel – elfi, imperiali, nord, argoniani... – piena di cave abbandonate, antiche rovine, templi, castelli. Se chiudo gli occhi e penso a un heroic fantasy classico in salsa videoludica, penso senz’altro a Cyrodiil.

Eppure, nel nome assegnato da Bethesda al gioco Cyrodiil non compare, contrariamente a quanto era avvenuto per Morrowind e a quanto era di là da venire per Skyrim. Questo perché a farla da padrone nell’immaginario collettivo è quanto si cela dietro i cancelli di Oblivion: un piano parallelo del Nirn dominato dal fuoco e dai Daedra, esseri che sfuggono ai comuni confini del bene e del male, dotati di corpi distruttibili e di anime immortali che si reincarnano ciclicamente proprio dentro Oblivion. Le missioni legate ai Principi Daedra sono tra le più interessanti dell’intero gioco – ho già citato le Shivering Isles e il loro signore, Sheogorath, principe daedrico della follia e proprietario dello strumento più spassoso e demenziale di The Elder Scrolls IV. Oblivion è anche centrale nella trama principale dell’opera, che mi sono trovata a rivalutare alla luce degli sviluppi successivi dei videogiochi a mondo aperto di Bethesda: la risoluzione della crisi di Oblivion era rimasta sullo sfondo nella mia prima, ormai lontana partita a The Elder Scrolls IV, presa com’ero dalla frenesia di esplorare Cyrodiil e il suo quantitativo pressoché infinito di missioni secondarie, vero cuore pulsante dell’avventura. 

La buona notizia è che sono in larga parte ben scritte e appassionanti, proprio come lo erano nel 2007. E la guida ufficiale del gioco, che avevo acquistato all’epoca nella sua versione estesa e aggiornata, è stata preziosa ora come allora. Anche perché la libertà d’azione regalata da Bethesda in questo capitolo è talmente ampia da potere intimidire: una volta usciti dall’area tutorial delle segrete, The Elder Scrolls IV si apre (quasi) completamente al volere del giocatore, fornendo una mappa già dotata di numerosi punti di teletrasporto nelle città principali e un largo accesso alle missioni secondarie, solo in minima parte bloccate da requisiti legati al livello del personaggio. Un esempio è la quest di Nocturnal, principessa daedrica della notte e dell’oscurità: per poterla affrontare, bisogna essere almeno di livello 10. Per il resto, Cyrodiil è un immenso campo da gioco a nostra disposizione, da percorrere in lungo e in largo per aggiungere segnalini sulla mappa con la scoperta di nuovi dungeon e luoghi d’interesse da esplorare. Scoperte che possono avvenire anche grazie al passaparola.

Ho giocato la versione PlayStation 5 di The Elder Scrolls IV: Oblivion Remastered, e a prendere la scena è naturalmente il revamp visivo dell’opera. La versione rinnovata di Cyrodiil può prendersi il complimento forse migliore per operazioni di questo tipo: è esattamente come la ricordavo. Abbellita nell’affetto del ricordo, smussata da ogni asperità, ingentilita dal passare di quel signore che è il tempo. Si aggiunga il buon lavoro svolto per migliorare l’interfaccia utente e i menu e si ottiene la cifra della spolverata di Virtuos, che ha ripulito i vecchi scaffali di questa maestosa libreria, ma non ha spostato i libri. Ne consegue che un po’ di polvere è rimasta tra un volume e l’altro. A fronte del rinnovamento di asset, superfici e modelli dei personaggi e di una modifica considerevole che ha interessato il sistema di progressione del personaggio, l’operazione è interessata da una immensa mole di cali di framerate, frequenti fenomeni di stuttering, effetti di luce del tutto fuori contesto, e molto altro ancora. E anche questo ha contribuito alla sensazione di cui sopra: The Elder Scrolls IV: Oblivion è esattamente come lo ricordavo. Anzi, come lo ricordavamo. Perché quel particolare capitolo della serie contribuì in maniera significativa a cementare la reputazione di Bethesda, un bug dopo l’altro, un meme dopo l’altro. Non era ancora l’epoca di TikTok; non era ancora l’epoca del dominio dei social media, in generale, ma poco tempo prima, precisamente nel febbraio 2005, era stata fondata una piattaforma chiamata YouTube. Il 10 settembre 2006, il piccolo canale Staudinka caricò un video chiamato Oblivion Bugs. Sono tre minuti e cinquantadue secondi di puro delirio. Il mio momento preferito è quello della guardia cittadina che nuota nell’aria mentre il suo cavallo guarda mesto verso un portone, il tutto con il brano Bohemian Like You dei Dandy Warhols in sottofondo. In Scary Oblivion graphics bug, caricato sempre su YouTube il 20 dicembre dello stesso anno da WerewolfofOblivion, al secondo diciannove un glitch visivo mostra l’interno del modello poligonale della testa di un personaggio, con il retro dei bulbi oculari in mostra. In Disturbiing bug in Oblivion, sheershaw mostra il cadavere di un nemico umanoide intrappolato in una porta: le parti del corpo continuano a muoversi in maniera frenetica, fino a quando il modello si ferma in posizione eretta. La lista potrebbe continuare a lungo. Vi consiglio di fare un tour nella YouTube delle origini, quando gli utenti si scusavano nella descrizione dei video per la presenza di lunghe pause (“La lunga pausa è dovuta al fatto che ero andato a fare altro. Scusate!” scrive sheershaw) e quando non si erano ancora diffusi strumenti di lavoro di grido e una opprimente standardizzazione dei contenuti.

Mi sono chiesta quanta di questa locura sia frutto di un calcolo deliberato da parte di Bethesda e Virtuos. Perché il mio sospetto è che i bug siano una parte fondamentale di come Oblivion è riuscito a cementarsi nell’immaginario collettivo. Sanificare Cyrodiil del tutto la avrebbe forse distrutta? Penso di sì. Penso che quella locura fosse un ingrediente necessario, tanto quanto Sheogorath e le sue Shivering Isles. È il pepe di Sichuan che ti rende indimenticabile un petto di pollo alla griglia. È quello zio che rovina la cena di Natale con battute assurde. Poi, però, quando non c’è più ti manca. Perché ti rendi conto che la cena di Natale ora è una barba. E allora sì, mi piacerebbe proprio sapere se c’è stata una misura nella sanificazione della locura, se Bethesda ha chiesto a Virtuos di andarci piano col grilletto dello sgrassatore. Lo ribadisco: penso proprio che sia così. E qualche volte sembra di intravedere pure la prova. Come nel caso del doppiaggio dell’elfa Tandilwe. “Wait a minute. Let me do that again” dice Linda Keynon, doppiatrice del personaggio, prima di pronunciare nuovamente la stessa linea di dialogo. Il tutto finì nel gioco originale. Sono andata nella Città Imperiale a controllare se quell’errore fosse rimasto al suo posto, e sì, è ancora lì. Ho sorriso.  Possibile che questo celebre svarione sia sfuggito ai mille occhi di Virtuos? Credo proprio di no. Sembro non essere l’unica persona al mondo contenta di incappare in situazioni improbabili all’interno di Oblivion Remastered: il New York Times ha dedicato un articolo alla questione dal titolo Oblivion Had Glitches Galore. Thankfully, They’re Still Here. Attenzione: questa non è un’apologia dello stuttering, dei crash, degli effetti miraggio. È il riconoscimento del fatto che ciò che è considerato indesiderabile nei videogiochi è, in realtà, una componente essenziale di ciò che rende un’opera quella che è. E allora ecco che la scelta della parola “Remastered” anziché della definizione “Remake” (come avvenne, invece, per Demon’s Souls) vuole forse essere una rassicurazione per gli appassionati: Linda Keynon chiede ancora di registrare nuovamente la sua linea di dialogo, Savlian Matius resta piantato nel cortile del Castello di Kvatch fino a quando non si recupera dall’interno l’anello del conte, e tutto è bello e disordinato nell’universo.

“Il tempo è fuor di sesto” constata l’Amleto di William Shakespeare nella scena quinta del primo atto dell’omonima tragedia. “Che maledizione esser nato per rimetterlo in sesto”. In un mondo di costi crescenti e di tempistiche di sviluppo lunghissime, sono quattordici anni che gli appassionati di The Elder Scrolls attendono il sesto capitolo della saga. Non va poi molto meglio agli amanti di Grand Theft Auto: GTA V uscì nell’ormai lontano 2013, e pochi giorni fa la data d’uscita di GTA VI è stata spostata da un generico autunno 2025 a un più specifico 26 maggio 2026. Una data che pare lontanissima, e che fa riflettere sullo stato dell’industria dei tripla A videoludici. Riuscirà mai il loro (e il nostro) tempo a tornare in sesto? O assisteremo a una crescita esponenziale delle operazioni di remastered e remake, certamente gradite al pubblico – al momento in cui scrivo, The Elder Scrolls IV: Oblivion Remastered ha superato i quattro milioni di giocatori – e ben più economiche rispetto alla creazione di un nuovo capitolo della blasonata serie di turno? Propendo per la seconda che ho detto. Sono convinta che il peso ponderale di remastered e remake è destinato a crescere nel tempo, a scapito delle nuove produzioni.  

Nella sua introduzione al romanzo Tempo fuori di sesto di Philip K. Dick, nella storica edizione di Fanucci, Carlo Pagetti si interrogava sul senso del passato “che può tenere prigionieri per sempre”, scriveva, e sull’attesa minacciosa del futuro. E il futuro dell’industria videoludica è più incerto e minaccioso che mai. Soprattutto per i suoi lavoratori. Ecco che perfino una linea di dialogo errata può contribuire a costruire un senso di tranquillità, di familiarità, di serenità. È una tazza di camomilla mentre siamo seduti sul ciglio della Storia. Oblivion Remastered riporta sul mercato un videogioco uscito poco tempo prima l’avvio della crisi economica che nel 2008 mise in ginocchio il mondo. Una crisi da cui non siamo mai usciti; una crisi che si è fatta sempre più terribile, radicale, tentacolare. Di questa tazza di camomilla avvertivo, personalmente, il bisogno. Quattrocentocinquanta ore per stare a Cyrodiil, però, nessuno potrà più regalarmele. Armiamoci e partiamo: se vogliamo rimettere il tempo in sesto, dovremo rimboccarci le maniche. Senza rimanere fermi nel cortile del Castello di Kvatch mentre tutto è in fiamme, e senza aspettare che qualcuno recuperi l’anello del conte per noi.

Pubblicato il: 08/05/2025

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2 commenti

Ciao Giulia, dopo una breve scorrazzata nelle terre di Morrowind nel 2005, sul PC di un caro amico, nel 2007 è arrivato Oblivion insieme alla PS3. Folgorante. Più di 300 ore passate ad esplorare ogni singolo anfratto del mondo. Era estate, avevo 21 …Altro... Ciao Giulia, dopo una breve scorrazzata nelle terre di Morrowind nel 2005, sul PC di un caro amico, nel 2007 è arrivato Oblivion insieme alla PS3. Folgorante. Più di 300 ore passate ad esplorare ogni singolo anfratto del mondo. Era estate, avevo 21 anni, è tanto tempo libero come te. In questo "periodo grigio" l'argomento tempo libero mi tocca sempre nel profondo, perché c'è sempre tanto bisogno di avere del tempo libero per rigenerarsi con quello che ci appassiona e ci fa stare bene. Prodotti come questo, riproposti a distanza di anni, risvegliano sempre quella parte nostalgica intrinseca in ognuno di noi. A volte fa piacere, a volte meno. Spero di potermi rigenerare presto passeggiando per le terre di Oblivion.

Bellissima recensione che mi fa scendere una lacrimuccia ricordandomi le oltre 300 ore su questo capolavoro dell'ormai lontano 2006. Personalmente è sempre stato, nel bene e nel male, il capitolo di TES che più ho adorato. Purtroppo è anche vero c …Altro... Bellissima recensione che mi fa scendere una lacrimuccia ricordandomi le oltre 300 ore su questo capolavoro dell'ormai lontano 2006. Personalmente è sempre stato, nel bene e nel male, il capitolo di TES che più ho adorato. Purtroppo è anche vero che nonostante l'ottima qualità della remastered, quelle ore non torneranno più... Attualmente è in wishlist su Steam, chissà, magari un giorno ci rigiocherò per altrettanto tempo, ma dubito che le sensazioni che proverò saranno le stesse del giovane me di 19 anni fa che rimaneva a bocca aperta davanti a quest memorabili come la confraternita oscura o la gilda dei ladri a caccia della maschera di volpe grigia...

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