DESPELOTE
Il pallone è uscito fuori dallo stadio
“Quando sono ‘scappato’ dall'Inter e me ne sono andato dall’Italia, sono venuto a nascondermi qui. Ho girato tutto il complesso per tre giorni. Nessuno mi ha trovato. È impossibile. È la regola numero uno della favela. Zitto e mosca. Secondo te qualcuno mi avrebbe tradito? La stampa italiana era impazzita. La polizia di Rio ha perfino fatto un’operazione per ‘salvarmi’. Dicevano che ero stato rapito. Ma dai, scherzi? Figurati se qualcuno mi farebbe del male qui, proprio a me che sono cresciuto nella favela”
Adriano, Lettera alla Vila Cruzeiro
È una foto in bianco e nero. Il campetto è pieno di ragazzi: chi ha i calzoncini corti, chi porta i pantaloni lunghi. Al centro c’è un uomo inquadrato di profilo. Elegantissimo, in giacca e cravatta. Corre per prendere un pallone finito in un angolo erboso, sul margine del campo da gioco, che poi definire “campo da gioco” è pure generoso, perché con ogni probabilità si tratta di una zona dismessa di borgata, senza alberi, senza panchine, un traliccio della luce che svetta sullo sfondo. L’uomo che corre è Pier Paolo Pasolini, poeta, regista, scrittore, sceneggiatore, attore, drammaturgo, traduttore, linguista – e su quest’ultima qualifica mi soffermerei, perché Pasolini considerava il calcio un sistema di segni, ossia un linguaggio, con i suoi fonemi, la sua sintassi, il suo codice e, naturalmente, i suoi decifratori: il pubblico, che non è soltanto quello seduto sugli spalti di uno stadio maestoso, ma è formato da persone che calciano il pallone ai quattro angoli del mondo, per strada, in casa contro ogni regola, al parco, in cortile. Quella che vi ho raccontato è la foto che preferisco di Pasolini, una foto che ritrae il calcio come accidente, come imprevisto: Pasolini certo non immaginava quella partita mentre si annodava la cravatta e si metteva la giacca prima di uscire di casa. Quella partita è semplicemente successa. Correre dietro al pallone in periferia è un gesto di libertà.
Ma il calcio, nei videogiochi, non è quasi mai questo. È il calcio istituzionale, quello degli stadi pieni, dei grandi campionati, delle formule ben rodate che si ripetono nel corso degli anni aggiornando squadre e giocatori. Con poche eccezioni: in Italia abbiamo avuto Football Drama, non a caso nato prendendo come spunto – tra gli altri – anche il pensiero di Pier Paolo Pasolini. L’amica Dacia Maraini diede una sua interpretazione personale della passione di Pasolini per il calcio, una passione che lo accompagnò per una vita: “Secondo me Pier Paolo andava avanti con la testa rivolta all’indietro. Inseguiva un sé stesso bambino che scappava. Quando giocava, quel bambino prendeva corpo assieme al pallone; quando finiva di giocare, tornava l’adulto inquieto e doloroso che era diventato”. Il calcio come modo per riavvolgere il tempo e azzerare una distanza esistenziale.
Dicevo del calcio videoludico che si esplica praticamente solo nei grandi stadi. Il che per me è un paradosso: il calcio parte fuori dallo stadio. Nasce e vive in strada. “A giocare a calcio ho imparato per strada”, scrive Johan Cruyff nella prima pagina della sua autobiografia. Francisco Cornejo, primo allenatore di Diego Armando Maradona, aveva un metodo ben preciso per riconoscere un ragazzo promettente. “Te ne accorgi, quando un ragazzo ‘tiene potrero’ [espressione legata alla natura improvvisata del calcio in Argentina e, più in generale, in Sud America, sviluppato in modo popolare in strada e negli spazi aperti, N.d.A.]. Ho sempre osservato la naturalezza di un giocatore, mi consente di capire se passa tutto il giorno giocando a calcio o no. Diego amava il pallone più della sua stessa vita, e si vedeva”. Senza casacche, senza allenatori, soltanto una manciata di ragazzi e un pallone.
Restiamo in Sud America e spostiamoci in Ecuador, saltando indietro nel tempo come faceva Pasolini mentre giocava a calcio. Ci troviamo a Quito, capitale del Paese, nel 2001. L’Ecuador sta uscendo a fatica da una grossa crisi economica. Ma c’è una fiamma di speranza. La squadra nazionale sta proseguendo nelle qualificazioni per il campionato mondiale di calcio che si sarebbe tenuto l’anno successivo. Se l’impresa riuscisse, sarebbe la prima volta per l’Ecuador ai mondiali. Questo clima di trepidazione e di attesa è uno dei primi ricordi di Julián Cordero, che all’epoca aveva quattro anni e viveva con sua famiglia a Quito. Oggi abita a New York e sviluppa videogiochi.
Despelote trasforma in videogioco i ricordi di Cordero: si tratta di un’avventura 3D semi-autobiografica con un forte spirito sandbox. La versione videoludica di Julián ha otto anni e vediamo tutto attraverso i suoi occhi, con una azzeccatissima visuale in prima persona. E tutto, o quasi, è vissuto con il pallone ai piedi. Passeggiando per Quito durante l’intervallo scolastico o mentre portiamo a passeggio la sorellina piccola di Julián, puntualmente incappiamo in un pallone da calciare e in qualche compagno di gioco. Fare “gol” è un concetto flessibile: in una situazione, voleva dire spaccare una bottiglia lanciandola fortissimo su un muro. In ogni caso, le urla di trionfo dei bambini mi hanno fatta sentire brava come e più di Adriano. Se poi il gol è davvero spettacolare, diventa un “golazo”.
Scrivevo poco fa che despelote ha un forte spirito sandbox. Questo perché si può decidere di giocare, di passeggiare e basta, o di ascoltare una conversazione tra i propri genitori o anche tra passanti. In appena due ore, Julián Cordero e Sebastian Valbuena consegnano una grande quantità di possibilità ai giocatori, e viene voglia di seguire ogni percorso. Anche grazie alla particolare tecnica che è stata usata per registrare i dialoghi del gioco. Cordero non ha scritto neppure una linea di dialogo: ha chiamato parenti e amici e ha chiesto loro di chiacchierare e creare situazioni pensando di essere nel 2001. Ad esempio, ho scoperto che una conversazione tra un ragazzo e una ragazza durante un picnic al parco era una chiacchiera tra una vera coppia.
Peraltro, hanno portato con loro degli oggetti collegati alla loro relazione nella sessione di registrazione. La naturalezza di queste interazioni è impressionante: giustamente, il doppiaggio è stato mantenuto in originale, anche se sono disponibili i sottotitoli in lingua inglese (ahimé, al momento la localizzazione in lingua italiana è assente).
Altro elemento importante per costruire questo videogioco basato sul ricordo è quello artistico. Di questo si è occupato Sebastian Valbuena con l’aiuto di Ian Berman, che ha gestito il design sonoro e le registrazioni in loco. Per costruire il particolarissimo stile visivo di despelote, Valbuena ha svolto un gran numero di registrazioni 3D delle strade di Quito e ha applicato anche la tecnica della fotogrammetria. In questo modo, i paesaggi sembrano una sorta di fotografia sfocata e scolorita dal tempo. I personaggi, invece, sono disegnati a mano in bianco e nero, e si muovono in un contesto sonoro convincente e coinvolgente, grazie al lavoro puntuale svolto da Berman. Il tutto brilla su Steam Deck: stando agli sviluppatori, il gioco godrà di un bollino verde al momento del lancio. Quello che posso dire, dopo aver giocato a despelote non una, ma due volte per intero, è che tutto funziona alla perfezione sulla console portatile di Valve.
Sfondo delle peripezie e della crescita di Julián sono le partite di qualificazione della nazionale. Non a caso, culmine del gioco è il 7 novembre 2001, giorno della partita decisiva contro il Paraguay, tenutasi in casa, a Quito, all’Estadio Olimpico Atahualpa, davanti a 40.000 spettatori. Erano in realtà molti di più: un intero Paese era incollato alla televisione a guardare i propri eroi. Anche il piccolo Julián. Noi italiani ricordiamo quel mondiale associandolo soprattutto a un altro ecuadoriano: l’arbitro Byron Moreno, designato per l’ottavo di finale tra la padrona di casa Corea del Sud e gli azzurri. Fu Ahn, allora giocatore del Perugia di Luciano Gaucci, a firmare il golden goal decisivo per l’eliminazione della nostra nazionale dal campionato. “Basta! Quello non rimetterà mai più piede a Perugia!”, fu la sobria dichiarazione rilasciata da Gaucci alla Gazzetta dello Sport. “Da noi si è sempre comportato da modesto comprimario, e poi torna a casa e si mette a fare l’extraterrestre”. In ogni caso, l’aspetto più criticato della partita furono di certo le discutibili decisioni dell’arbitro, che portarono, tra l’altro, all’espulsione di Francesco Totti e alla segnalazione di un fuorigioco che tolse a Damiano Tommasi la chance del golden goal decisivo. Una delusione cocente che fu tra i motori della vittoria del 2006.
A un José Mourinho, allora giovane studente universitario annoiato al termine di una lezione e perso nei suoi pensieri calcistici, il professore di filosofia disse che chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio. Più che una lezione di filosofia, una lezione di vita. Applicata alla perfezione da despelote, che in appena due ore riesce a dire del calcio (e della vita) più di quanto hanno fatto decenni di simulatori calcistici, che inquadrando gli stadi non sono riusciti a mostrare ciò che conta davvero: la strada. Non a caso, Pasolini preferiva il calcio interpretato dai sudamericani, come il brasiliano Garrincha, che oggi non avrebbe alcuna possibilità di giungere al successo: strabico, con la spina dorsale deformata e sei centimetri di differenza di lunghezza tra le gambe, affetto da altri acciacchi causati da una malnutrizione infantile, correva in campo con un’andatura curiosa, a saltelli, e fu protagonista della vittoria di due campionati mondiale da parte del Brasile. Era ala destra, come Pasolini, e come PPP ebbe una vita tormentata. Una vita da romanzo. Una vita troppo grande per essere rinchiusa in uno stadio di calcio. Non bastano gli spalti. Despelote è così: il pallone lo butta fuori dallo stadio per parlare di tutt’altro. Anzi, di tutto, e tutto insieme.
Perché chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio.
Pubblicato il: 01/05/2025
Provato su: PC Windows
Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori
FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128