CLAIR OBSCUR
EXPEDITION 33
UNE VIE À PEINDRE
Io me lo ricordo molto bene il momento in cui mi sono innamorato dei JRPG. Li ho schifati per anni, evitati come la peste perché “che noia combattere dentro ai menù”. Per quella che oggi mi sembra una vita intera mi sono limitato a versare l’obolo a Pokémon senza davvero mai realizzare che anche quello di Game Freak era un gioco di ruolo giapponese, ma il resto l’ho praticamente schivato tutto con una precisione quasi scientifica. Un paio di volte ho provato a dare un’opportunità a un Final Fantasy, peccato abbia scelto X-2 (non mi guardate così, ero convinto fosse un modo molto creativo di scrivere 12) e XIII e che mi sia schiantato contro un muro. Quelle esperienze tremende mi convinsero a lungo che quella roba, molto semplicemente, non fosse roba mia, al punto che ogni volta che vedevo un combattimento a turni in un trailer mi giravo dall’altra parte. Poi, un giorno, ho avviato Final Fantasy VI e la mia vita è cambiata per sempre.
Giuro: non mi ricordo nemmeno il perché io abbia deciso di avviarlo la prima volta, ma la grandiosità della sesta fantasia finale di Hironobu Sakaguchi sbriciolò ogni mia convinzione spingendomi a divorare JRPG in sequenza per un periodo che è durato anni, trasformando il genere che odiavo nella mia passione videoludica più grande di tutte. Chrono Trigger, Suikoden, Golden Sun, Shin Megami Tensei e Xenogears (tra gli altri) sono diventati il mio pane quotidiano la mia materia di studio preferita e il capitolo della storia del medium che più ho approfondito negli anni, e lo devo a Final Fantasy VI e a quello che mi insegnò sul genere.
La sfiga è che gli anni della mia maturità hanno coinciso con le generazione di PlayStation3 e Xbox 360, quella in cui l’industria aveva deciso che i videogiochi dovessero essere per forza cinematografici e che quel modo un po’ antiquato di intendere il medium andasse dimenticato per sempre, lasciando me e tantissimi altri appassionati a digiuno di titoli che fossero in grado di raccogliere il testimone dell’epoca d’oro dei JRPG. Che te ne fai di fisica e graficone se poi si combatte a turni? Per fortuna ad un certo punto si è innescato un Rinascimento del JRPG, merito di opere generazionali come Undertale e Persona 5, e per la prima volta nella storia il panorama si è popolato di sviluppatori occidentali che volevano riaccendere a modo loro la fiamma di un genere che sembrava quasi scomparso. Chiedete a chiunque: salvo qualche notevolissima eccezione come Sea of Stars e Chained Echoes la convinzione comune era che da questa parte dell’oceano non saremmo mai realmente stati in grado di parlare la lingua di Final Fantasy e Dragon Quest.
Che Clair Obscur: Expedition 33 fosse speciale lo si è capito da subito. La sua presentazione all’interno della cornice della Summer Game Fest del 2024 fu folgorante, piazzandolo di diritto nella lista dei most wanted del 2025, così come stupefacente fu il primo impatto con l’hands-off della Gamescom. Eppure Sandfall Interactive è un team francese, peraltro all’esordio assoluto, e l’esperienza mi ha insegnato ad essere quantomeno un po’ diffidente delle produzioni europee che vogliono giocare a fare il Giappone. Sapete come si dice, no? Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. E invece no, ho passato le ultime settimane a pasticciare con l’inchiostro dell’opera prima di Sandfall interactive e ne sono riemerso ora con una convinzione inscalfibile: Expedition 33 è un videogioco semplicemente incredibile, il miglior JRPG gaijin che abbia mai avuto il piacere di giocare e, soprattutto, uno dei miei JRPG preferiti di sempre.
Immaginate di vivere in un mondo in cui una volta l’anno una creatura si sveglia, incide un numero decrescente su un monolite e spazza via tutte le persone la cui età coincide con quella appena scritta. Immaginate cosa possa voler dire avere 32 anni e vedere il numero 33 brillare dorato sulla linea dell’orizzonte, consci di avere al massimo altri 365 giorni da vivere prima di venire polverizzati e cancellati per sempre dall’esistenza. Ecco, il motore di Expedition 33 è proprio questo, ovvero il racconto di un mondo in cui avere trent’anni significa essere alle soglie del capolinea e significa aver visto morire una quantità impensabile di amici e parenti una volta all’anno senza che nessuno abbia mai trovato una soluzione al problema. Non è un caso che il gioco si apra esattamente in concomitanza con il gommage, la ricorrenza annuale in cui chi è prossimo alla morte si raduna al porto di Lumiére per porgere il proprio addio alle persone amate prima di scomparire per i capricci della Pittrice. Serve a settare il tono di una storia drammatica e dolorosa, che sin dai suoi primi minuti vuole assolutamente far capire al giocatore quanto disperata sia la vita dei personaggi e il perché si imbarchino in una missione suicida che mai nessuno prima di loro è riuscito a portare a termine.
A Lumière si vive a contatto con la morte ogni singolo giorno del calendario, i bambini vedono sparire i genitori e i superstiti tentano come possono di alleviare il fardello che portano sulle spalle tutte le persone rimaste sole. Fa paura, fa male, ed è per questo che esistono le spedizioni che ogni anno da 67 anni partono appena dopo il gommage alla volta del continente da cui si è staccata la città per porre fine alle malefatte della Pittrice.
È impossibile non partire parlando del colpo d’occhio, perché Expedition 33 è una vera e propria gioia per gli occhi. Non c’è un singolo ambiente fra world map, villaggi e dungeon che non sia semplicemente splendido. Tra barriere coralline senz’acqua, sentieri montani sgretolati dal potere distruttivo della Pittrice e reliquie architettoniche della Lumiére che fu, Sandfall Interactive dimostra una creatività eccezionale nel mescolare elegantemente tra loro immaginari fantasy, belle epoque ed elementi tipicamente appartenenti al surrealismo francese. Il risultato è che ho passato tutte le trenta ore di gioco a bocca aperta e occhi sbarrati di fronte ad un mondo di gioco che non è mai riuscito ad annoiarmi né a smettere di stupirmi ed emozionarmi per la sua varietà. Va segnalato, peraltro, quanto Sandfall sia riuscita a bilanciare perfettamente l’anima intrinsecamente giapponese dell’opera con le sue radici europee e francesi, donando all’insieme una coerenza e un’unicità fuori dall’ordinario. Il risultato finale è quello di un mondo vivo, variopinto e terribilmente affascinante che mi ha risucchiato completamente isolandomi da quella cosa noiosa che chiamiamo vita vera. Credetemi: dentro Expedition 33 ci sono alcuni tra gli ambienti e alcune tra le bossfight più belle che abbia mai visto in quasi trent’anni che ho passato con il controller in mano.
L’elemento più sorprendente di Clair Obscur: Expedition 33 è proprio il tono generale dell’opera. È un gioco che prende a piene mani dalla grandiosità delle narrazioni giapponesi, le carica di pathos senza lasciarsi tentare dalle esagerazioni tipiche di un certo tipo di narrativa anime e sa quando lasciarsi andare a momenti più leggeri (ma mai farseschi). È una perfetta evoluzione di ciò che facevano vent’anni fa i JRPG con la loro spesso maldestra commistione di serietà e spensieratezza che ha portato, per esempio, milioni di giocatori a giocare a Tetra Master mentre lá fuori la regina Brahne muoveva guerra a tutti i popoli di Gaia. Expedition 33 non dimentica mai neanche per un istante il suo rapporto con la morte incombente sulle teste di ognuno dei suoi personaggi, ma la sua premessa narrativa gli permette, quando serve, di rilassare i toni in maniera molto elegante. I membri della trentatreesima spedizione, dopotutto, hanno un anno intero prima di cadere sotto i colpi delle pennellate della pittrice, quindi accettano di buon grado di prendersi dei momenti per lasciarsi andare ad attività secondarie meno impellenti. È la naturale prosecuzione del discorso che Final Fantasy ha lasciato in sospeso più di vent’anni fa quando qualcuno ha deciso che i JRPG dovevano necessariamente cambiare per adattarsi alla modernità.
Non avete idea di quanto mi mancasse tutto questo.
Il mondo di gioco l’ho esplorato con una gioia addosso che non provavo da una quantità davvero incalcolabile di tempo. Ammetto anche di aver sofferto da morire il fatto di averlo giocato “da solo” prima che si potesse innescare la chiacchiera online, perché Expedition 33 è pieno zeppo di segreti, misteri e attività opzionali che mi hanno riportato a quell’epoca in cui i videogiochi li si giocava soprattutto a console spenta, scambiandosi teorie e consigli tra amici tra una partita e l’altra su come trovare un determinato oggetto o su come buttar giù un boss segreto. Ho avuto modo di interagire giusto con qualche collega che sapevo lo stesse giocando e mi è sembrato di tornare indietro agli anni passati a discutere delle strategie per battere Emerald Weapon in Final Fantasy VII.
È stata una sensazione preziosissima e voglio invitare chiunque si trovi dall’altra parte di questo schermo a cercare il più possibile di viverlo allo stesso modo senza lasciarsi risucchiare dalla chiacchiera online. Godetelo, scopritelo un po’ alla volta, scavate tra i suoi segreti e ve lo porterete dietro per tutta la vita, fidatevi di me.
Quanto appena discusso, per altro, risponde a uno dei dubbi più ingombranti che vennero fuori dal primo incontro con il gioco, che nella demo distribuita alla stampa sembrava soffrire della sindrome del corridoione e lasciava presagire una certa piattezza nell’esplorazione. La verità è che come penso abbiate capito parliamo di un videogioco profondissimo che trabocca di segreti e piccoli premi per gli spedizionieri più esperti. Anzi, a dirla tutta uno dei pochissimi difetti del gioco è proprio la mancanza di una mappa da comporre via via che si esplorano i dungeon: le via possibili sono tantissime e il rischio di perdersi qualcosa per strada (magari perché distratti dalla bellezza fuori scala delle ambientazioni) c’è eccome. questo mi permette, tra l'altro, di parlare della gestione dell’inventario che, assieme al combat system, è forse la caratteristica più moderna di tutto Expedition 33. Dimenticatevi le pozioni curative ammucchiate nello zaino per ore per paura di non averne nei momenti clou, perché Sandfall Interactive ha rivoluzionato l’intero sistema con un'intelligenza sopraffina.
Gli oggetti curativi hanno le stesse identiche caratteristiche delle fiaschette di Hidetaka Miyazaki e FromSoftware, quindi hanno un numero massimo di utilizzi possibili tra un checkpoint e l’altro e non vengono più droppati dai nemici sconfitti né si trovano nei forzieri sparpagliati in giro per il mondo. Questo da un lato semplifica enormemente la gestione delle risorse e dall’altro rischia di depotenziare certe fasi dell’esplorazione, che spesso e volentieri premia i più curiosi con soli Picto e Lumina, rispettivamente abilità equipaggiabili attivamente e passivamente da ogni singolo personaggio in un sistema che superata una certa macchinosità iniziale si è rivelato essere molto intelligente.
Lo stesso discorso vale per le armi, che non sono nascoste nei meandri dei dungeon ma vengono sbloccate automaticamente quando si sconfiggono i primi nemici di una nuova area e quando si battono i boss del gioco. Anche in questo caso parliamo di un sistema di progressione dell’equipaggiamento inedito che testimonia con forza la modernità del pensiero di Sandfall Interactive. Dimenticatevi infatti la solita dinamica per cui ogni volta che si trova un’arma nuova ci si può dimenticare per sempre di quella appena disequipaggiata. Le armi possono infatti livellare e ottengono delle abilità passive man mano che vengono potenziate; questo significa che ogni singola arma trovata nel corso dell’esplorazione del continente può far parte della propria build in qualsiasi momento dell’avventura. Ognuna di esse mantiene il proprio valore fino alla fine, permettendo così una varietà di approcci possibili quasi sconfinata. Questo è permesso anche dal fatto che sconfiggere certi boss opzionali e certi Nevron presenti all’interno della world map permette di livellare in maniera “scriptata” armi di inizio gioco che sono rimaste nello zaino, rendendole nuovamente viabili anche se non ci si sono investiti tempo e risorse. È un sistema di progressione che ho trovato geniale e che si lega anche al fatto che ogni singolo membro del party possiede un sistema di combattimento unico che permette di creare una quantità incalcolabile di sinergie sia tra le proprie abilità sia tra quelle di tutto il gruppo. Senza contare il fatto che – e qui siamo proprio nello stesso campionato della migliore Atlus – non smette mai fino alla fine di introdurre nuove idee e nuove meccaniche al mix aggiungendo strati di complessità senza mai sbilanciare nulla. Anche in questo caso non posso che limitarmi a far trasparire la gioia con cui mi sono approcciato alla progressione del sistema di combattimento del gioco, tanto classico nella filosofia quanto modernissimo nella sua esecuzione.
Expedition 33 me lo ricorderò per tutta la vita. Mi ricorderò della sua straordinaria colonna sonora, dell’altruismo di Gustave, della disperazione negli occhi di Maelle, della curiosità di Lune, del pragmatismo “campagnolo” di Lune, dello stoicismo di Monoco e del bene genuino che ho voluto ad Esquie. Soprattutto non dimenticherò mai la crudeltà di questo meraviglioso mondo così leggiadro nello stare perfettamente in equilibrio sulla linea che collega il Giappone alla Francia, ardentemente attaccato alla vita proprio in virtù dell’onnipresenza della morte. Non scorderò nemmeno l’audacia e il rispetto con cui Sandfall Interactive ha raccontato il rapporto che esiste tra gli spedizionieri e la loro consapevolezza di essere destinati a spegnersi prima del tempo, oltre che il coraggio di una narrazione che si prende dei rischi enormi trasformando il racconto di un intero continente nella storia intima, toccante e personale dei suoi personaggi principali.
Se dovessi però scegliere un singolo elemento per raccontare Clair Obscur: Expedition 33 allora sceglierei di celebrare l’ambizione dei suoi creatori che hanno rifiutato categoricamente di farsi guidare dalla nostalgia e dal citazionismo fine a sé stesso ma che hanno deciso invece di fare tesoro della lezione impartita dall’epoca d’oro dei giochi di ruolo giapponesi per costruire qualcosa di unico. I riferimenti e i numi tutelari del team sono chiarissimi e le fondamenta sono saldissime, ma l'audacia di rifiutarsi categoricamente di lasciarsi andare a smielate citazioni al passato per concentrarsi sul mostrare la via per il futuro va celebrata. Dopotutto è questo che fanno i capolavori, no? E pensare che questa enorme concentrazione di visionari e talenti puri rischiavamo di perdercela per sempre, incatenata alle scrivanie di aziende gigantesche troppo grandi per rischiare così tanto.
Lunga vita a Sandfall Interactive e a Clair Obscur quindi, che questa IP possa andare lontano senza mai perdere lo smalto. E brava, anzi bravissima anche Kepler Interactive, che ancora una volta si è dimostrata un publisher illuminato.
Ora permettetemi solamente di maledire le tempistiche di lavorazione dei videogiochi moderni, perché non riesco a sopportare l’idea che dovrò aspettare anni per poter vedere la prossima opera di questo team straordinario.
Continue à t'aimer, continue de peindre
Tendre la main et t'implorer reviens
Pubblicato il: 23/04/2025
Provato su: PlayStation 5
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