THE PLUCKY SQUIRE
L'insostenibile pesantezza delle aspettative
Credo che dovremmo un po’ tutti delle scuse collettive a The Plucky Squire. Ricordo benissimo il trailer d’annuncio in quello che è stato forse l’ultimo grande evento di comunicazione a marchio Devolver, ricordo internet esplodere di fronte a quel breve video introduttivo e la sensazione condivisa di essere al cospetto della next big thing del publisher texano. Poi il tempo è passato, i mesi sono diventati anni e questo non ha fatto altro che accrescere la smania di un pubblico confuso da anni di enormi incertezze di un’industria senza senso di metterci le mani il prima possibile. C’è stato un momento in cui abbiamo tacitamente messo sulle spalle di The Plucky Squire la responsabilità non dico di salvare il mercato ma quantomeno di ricordare a tutti cosa dovesse essere un videogioco.
Poi però tra rinvii multipli e l’hands off alla gamescom dello scorso anno le aspettative (almeno le mie) hanno cominciato a scricchiolare fino a mettere in mostra delle grandi crepe impossibili da ignorare. Che The Plucky Squire potesse in qualche modo fallire sembrava essere uno scenario impossibile, non dopo l’accoglienza così calorosa riservata ad ogni trailer o immagine promozionale. Oggi però sono seduto di fronte alla mia scrivania e sto per accingermi a scrivere quello che nessuno avrebbe mai voluto leggere:
The Plucky Squire è un videogioco… carino
Tutto qui, niente di più e niente di meno. L’opera prima di All Possible Futures diretta da James Turner (già art director per Pokémon in passato) e Jonathan Biddle ha forse sofferto tutte quelle enormi aspettative, timorosa di trovarsi schiacciata sotto il loro peso, e si è rivelata molto meno impattante del previsto. Partiamo dal principio: cos’è The Plucky Squire? Stando alla descrizione fornita da Devolver Digital è un videogioco che contiene al suo interno tanti videogiochi, quasi come se fosse una piccola celebrazione di un certo modo d’intendere una precisa tipologia di pensare il divertimento digitale, e non è un mistero che il riferimento sia principalmente lo storico di Nintendo.
Nella realtà dei fatti si tratta di un piccolo action – simile per intenderci ad uno Zeldino – con elementi platform e da puzzle game che si fonda su una singola e (va detto) intrigante idea: il gioco si ambienta tra le pagine di un coloratissimo libro illustrato e il fulcro dei suoi enigmi sta proprio nell’interazione del protagonista con le sue pagine.
La storia è abbastanza semplice: Jot è l’eroe del regno di Mojo, è uno scrittore che non si fa problemi ad impugnare la sua spada-pennino per difendere il regno da chi ne vuole turbare la quiete. Quando lo stregone malvagio Humgrump decide di ribellarsi al pacifico regno della regina Chrom Jot non esita a mettersi sulle sue tracce per sconfiggerlo. Non è solo: assieme a lui ci sono gli amici di una vita Violet (una giovane maga insicura) e Thrash (uno scalmanato troll metallaro) pronti ad unire le forze contro Humgrump e i suoi scagnozzi. Al culmine di uno scontro tra i due, però, Humgrump riesce a utilizzare il suo potere magico per creare un portale che allontana Jot dalle pagine del libro, catapultandolo nel mondo tridimensionale che esiste oltre i loro margini. Questo permette allo stregone di modificare il corso della storia e di prendere possesso del libro, influenzando così anche la vita di Sam, il proprietario della stanza in cui è custodito gelosamente il prezioso tomo illustrato.
Come dicevo, The Plucky Squire è soprattutto un piccolo omaggio agli Zelda 2D: quando ci si trova all’interno del libro ci si trova spesso e volentieri ad alternare semplici fasi di combattimento in punta di spada a piccoli enigmi ambientali per proseguire nell’avventura. A questi enigmi si aggiunge una meccanica peculiare del gioco che prevede che certi ostacoli vengano aggirati modificando le parole del libro. Nel mondo di gioco compaiono spesso commenti scritti a ciò che si para di fronte ai protagonisti, e interagire con questi commenti permette di risolvere degli enigmi altrimenti irrisolvibili. Vi trovate di fronte ad un cancello chiuso e non sapete come superarlo? Semplice: basta isolare nel testo la parola “chiuso” e cercare in giro per la mappa una frase che contenga la parola “aperto”, prelevarla e infine sosituirla nel testo originale così da spalancare magicamente il cancello.
Ci sono poi dei momenti in cui per poter proseguire è necessario uscire dal libro, affrontare delle sezioni da action platform 3D e recuperare degli oggetti che permettono a Jot di manipolare il libro sfogliandone le pagine o inclinandole. Si tratta di soluzioni semplici e simpatiche che sulle prime sembrano suggerire una certa frizzantezza a livello di game design. Peccato però, che di quella frizzantezza non ci sia altro che qualche piccolo e sporadico accenno.
The Plucky Squire è un gioco piccino che purtroppo commette il peggiore tra i peccati: si ferma alla superficie senza mai ricamare sulle sue idee più interessanti. Il combat system è estremamente basilare e per nulla ispirato, soprattutto se si pensa che gran parte del tempo lo si passa a falciare cespugli per ottenere monete da scambiare con nuove abilità che hanno davvero poco valore in battaglia; i puzzle 2D sono semplicissimi e soprattutto quelli basati sulla manipolazione delle parole non si evolvono mai finendo per assomigliare più a una gimmick che ad una meccanica identitaria; le sezioni 3D si assomigliano tutte tra loro e alla lunga sembrano avere davvero poco da dire. A questo bisogna necessariamente aggiungere un sistema di controllo molto impreciso (che da veramente il peggio di sé nelle sezioni in cui il gioco si trasforma brevemente in un platform 2D a scorrimento) e un codice che al momento della prova si è dimostrato molto sporco e falcidiato da bug più o meno impattanti che mi hanno costretto a dover ricaricare il salvataggio in più di un’occasione.
Il fatto è che mi dispiace, perché se da un lato riconosco di aver avuto inizalmente delle aspettative forse troppo grandi nei confronti del gioco dall’altra non posso che storcere il naso di fronte alla grande quantità di occasioni sprecate da All Possible Futures. Il tono della narrazione, per esempio, è davvero delizioso nel suo essere scanzonato e costellato di quell’umorismo che gli americani definrebbero “tongue in cheek”, ma ci sono dei passaggi che avrebbero potuto donare una profondità interessante al progetto. Violet, per esempio, sembra andare in crisi di fronte alla realizzazione di essere il personaggio di un libro di cui non è la protagonista, ma questo piccolo dramma viene quasi del tutto dimenticato in pochissimo tempo. Nient'altro che l'ennesima bella idea ingiustamente abbandonata a sé stessa.
In generale credo che il difetto principale di The Plucky Squire sia proprio il fatto di essersi limitato a sparpagliare in giro idee adorabili senza mai svilupparle a fondo prima di arrivare ai titoli di coda. Il risultato finale è che nonostante l’esperienza duri circa 7 ore mi sono annoiato in fretta dal momento in cui ho avuto la netta sensazione che il gioco non avesse più nulla da dire, ed è successo molto prima di quanto pensassi.
Intendiamoci, non è assolutamente tutto da buttare: il tono è adorabile, l’art direction è azzeccatissima e c’è un piccolo twist verso il finale che mi ha riacceso l’interesse appena prima di chiudere l'avventura. Ho adorato in particolare la vena più citazionista del gioco, che durante le bossfight cambia pelle per trasformarsi prima in un clone di Punch Out!, poi in uno strampalato rythm game e addirittura in una versione apocrifa di Puzzle Bobble. Il fatto però è che tutto questo non basta a trasformare The Plucky Squire in un videogioco che vada l’oltre essere poco più che sufficiente per la stragrande maggioranza della sua durata.
Ci credevo io e ci credevano tutti, forse troppo. Forse è stata proprio la risposta così energica del pubblico a sparigliare le carte in tavola e a far sì che The Plucky Squire si sia trasformato in un progetto così poco rifinito. L’impressione è che ci si sia ritrovati a un certo punto con una manciata di idee interessanti in mano ma che non si sia riusciti a svilupparne fino in fondo neanche una, ed è un peccato perché le potenzialità del gioco erano pressochè infinite.
Non un brutto gioco quindi, seppur lontanissimo da quell’aura di magnificenza di cui era ammantato sin dalla sua prima comparsa sulla scena, ma un gioco a volte superficiale e altre addirittura banale.
Che a pensarci bene in realtà è pure peggio.
Pubblicato il: 17/09/2024
Provato su: PlayStation 5
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