BLACK MYTH:
WUKONG
Il viaggio in occidente di Game Science
Black Myth: Wukong non è un soulslike.
Il GDR d’azione in terza persona forgiato da Game Science trae qualche elemento anche da quel genere per raccontare una strana versione del Viaggio in Occidente, certo, ma non ne rispecchia neanche lontanamente i canoni sotto molti punti di vista. Questa avventura per giocatore singolo ottimamente confezionata dal team di sviluppo cinese offre finalmente al mondo videoludico uno scorcio importante sulla mitologia cinese e su ambientazioni troppo poco sfruttate sinora e lo fa rimbalzando col bastone tra un assaggio di quello che possiamo aspettarci da quest’industria nei prossimi 10 anni e un boccone di ciò che ci veniva offerto già 15 anni fa all’incirca.
La prima nota di questa recensione va suonata in elogio alla presentazione che Wukong pone davanti agli occhi del giocatore: a prescindere dalle specifiche del proprio PC o dal fatto che si stia giocando da PS5, Black Myth è uno dei giochi più appaganti di sempre su cui poggiare lo sguardo in parte grazie alla direzione artistica, in parte grazie ai meriti tecnici. L’Unreal Engine 5 ha finalmente il profumo del futuro e viene sfruttato come poche volte prima d’ora. Quasi ogni elemento del gioco ha lo scopo di esaltare il comparto grafico e Game Science (a volte persino a scapito del puro gameplay) non si risparmia in tutto ciò che concerne ambientazioni incredibili, paesaggi maestosi e mostri altrettanto imponenti.
Non raggiunge le esagerazioni folli di Asura’s Wrath o dei vecchi God of War per misure, ma in compenso aggiunge un’enorme lente d’ingrandimento sui dettagli, sull’epicità generale e sulle animazioni dei nemici prima e durante il combattimento. Oltre a una miriade di mosse diverse per ciascuna scazzottata, quasi tutti gli antagonisti più importanti offrono un momento di preparazione alla lotta in cui allungano un orecchio per sentirci arrivare, prendono vita o si sgranchiscono con fare spavaldo prima di impugnare l’arma prescelta, esagerano con movenze alla Kung Fu Panda e si impongono sulla scena sbarrandoci la strada. Ovviamente sono altrettanto spettacolari anche le animazioni della nostra scimmia protagonista.
Un appunto tecnico è doveroso: ho giocato il titolo su un PC di fascia altissima, dotato di RTX 4090 e di tutto il circondario necessario, e nonostante questo risulta impossibile mantenere una fluidità impeccabile con le impostazioni tirate al massimo. La tara automatica “Cinema” in particolare appesantisce moltissimo la macchina restituendo una differenza minima sullo schermo di gioco e neanche una 4090 è in grado di gestire un Full Ray Tracing impostato sulla potenza massima durante alcuni scontri più “impegnativi” dal punto di vista tecnico, specie nel bioma innevato, pur risultando eccellente nella maggior parte dell’avventura. Per il resto, fatta eccezione per qualche micro stutter e per alcune storture a livello di texture che non hanno mai squarciato il velo d’illusione del gioco, nella mia esperienza Black Myth: Wukong si posiziona molto meglio della maggior parte dei titoli pubblicati su PC nel 2024 in questo ambito.
Parlando invece di gameplay, l’avventura della scimmia di pietra è di base davvero simile a tante altre già viste nella forma e nella struttura, ma ha la fortuna di avere carattere in molti suoi aspetti e riesce a ritagliarsi il proprio spazio piuttosto in fretta. Il gioco non risulta mai proibitivo per difficoltà, piazzandosi anzi sulla parte “facile” dello spettro dei giochi d’azione e il focus è certamente quello di far sentire il giocatore estremamente forte, Prescelto per l’appunto come il nome suggerisce, e giusto una manciata di volte si è costretti a mettere da parte lo stile in favore di un’efficienza necessaria a superare un duro scontro.
Mai tecnico, piagato anzi da una marea di imprecisioni, sporcizie e hitbox ballerine, riesce nonostante queste lacune a risultare estremamente divertente per tante ore. Tuttavia per alcuni, tra cui il sottoscritto, non abbastanza a lungo da arrivare a fine gioco (23 ore nel mio caso, 28 con qualche boss segreto in più) senza avvertire una sensazione di trascinamento. Si potrebbe dire che il divertimento offerto dal sistema di combattimento invecchia poco prima dell’ultimo capitolo, per fortuna ci pensa boss finale in chiusura davvero eccezionale a riaccendere gli animi e a piazzare dei bellissimi fuochi d’artificio prima dei titoli di coda.
Ogni livello, un po’ come si faceva una volta, è immaginato in un bioma totalmente diverso dal precedente passando, ad esempio, dal verde fogliame della foresta fitta a un’infinita distesa innevata con qualche cucuzzolo montano. Una scelta vecchio stile che non pesa particolarmente sulle altre soluzioni di gioco, anche se crea delle interruzioni piuttosto nette nel racconto. Ci si sposta tra i vari livelli e diversi biomi grazie a un sistema di “teletrasporto tra falò” che con ogni riposo ripristina anche i nemici sul percorso, oltre al prezioso loot sul terreno.
Tuttavia, di nuovo, no non è un soulslike.
Si combatte sempre e solo armati di bastone allungabile, come Sun Wukong vorrebbe, e per fortuna a offrire varietà, oltre alle differenze tra attacchi leggeri e pesanti e alle possibilità di personalizzazione per magie e trasformazioni, ci pensano i tre stili di combattimento disponibili e la fluidità con la quale è possibile alternarli tra un colpo inferto e la sequenza successiva.
Gli attacchi e le schivate hanno un costo in stamina non troppo proibitivo e i colpi leggeri mandati a segno caricano i punti concentrazione. Man mano che l’albero delle abilità verrà adornato con le migliori tra le decorazioni sarà possibile sfruttare questo Focus per degli attacchi pesanti speciali che cambieranno in base allo stile in uso e alla quantità di concentrazione impiegato per sferrare il colpo. Quando non siamo noi a colpire, invece, l’attenzione si accentra sulla schivata. Non esiste una forma pura di “parry” in Black Myth: Wukong e ciò che ci si avvicina di più, ovvero Pelle di Pietra, è una magia alla Mortal Shell con un certo costo in mana e un cooldown. Pertanto è la schivata la nostra migliore amica in ogni situazione, tanto che si viene incentivati dai "premi" elargiti dal gioco nel caso in cui si riuscisse a eseguirne una con un tempismo perfetto.
Da metà gioco in poi il combattimento arriverà a ricordare vagamente l’approccio di God of War (2018) nel suo ciclo ottimizzato composto da: “esaurisci tutti i cooldown disponibili” > “mentre abilità e magie si stanno ricaricando, alterna attacchi leggeri e attacchi Focus nella tua posa preferita” > “nel momento di difficoltà usa la Trasformazione” > “Ripeti”. Non essendoci delle modalità di attacco con tempismo alternato, alla lunga si finisce per premere davvero troppo a lungo e troppo a cervello spento il tasto dell’attacco leggero, che sarà il nostro passepartout in tante situazioni e anche il colpevole numero uno del delitto del divertimento verso le fasi conclusive dell’avventura.
Black Myth: Wukong presenta diversi sistemi di personalizzazione del Prescelto protagonista che offrono grande varietà e alternativa se presi singolarmente, ma il team di sviluppo non è riuscito a farli dialogare a fondo tra loro. Ad esempio è possibile scegliere in che modo evolvere il proprio bastone, senza mai approdare a soluzioni fondamentalmente diverse dal punto di partenza, ma è anche possibile cambiare armature, fiaschetta curativa e relativi bonus annessi, gingilli speciali, magie, trasformazioni e altro ancora.
Nessuna di queste differenze si rispecchia in maniera significativa sulle altre scelte di gioco, quasi come fossero tutte modifiche apportate in un compartimento stagno molto verticale sul singolo argomento e non si avverte mai la sensazione di riuscire a creare una build vera e propria che abbracci tutti questi menù contemporaneamente. La maggior parte di questi potenziamenti si ottiene esplorando a modo le varie mappe del gioco nei diversi biomi, spesso sbattendo la fronte su un muro invisibile totalmente senza senso e in controtendenza rispetto a quelli che sarebbero i “suggerimenti” del mondo attorno a noi. In quello che è un level design generale che alterna momenti geniali e incredibilmente ispirati a veri e propri errori madornali piuttosto ingenui, Black Myth: Wukong ci ricorda costantemente di essere l’opera prima di Game Science e, allargando l'inquadratura, uno dei primi titoli tripla A di provenienza cinese ad affacciarsi sul mercato.
Nulla su cui non si riesca a chiudere un occhio, soprattutto non davanti alla qualità fuori dal comune offerta da quasi tutto il resto. Ad ogni modo frutti, erbe, funghi, radici, tesori e segreti opzionali attendono di essere raccolti da terra o di essere donati in premio con l’abbattimento di un nemico particolarmente ostico e “spendendoli” presso il mercante di riferimento si può ottenere un miglioramento di un determinato aspetto del protagonista. A proposito: tra i segreti più o meno nascosti del gioco si celano degli elementi cruciali di quella che sarebbe la regolare esperienza di un action in terza persona.
Tra questi alcune delle migliori bossfight in assoluto che il gioco abbia da offrire e alcuni elementi fondamentali (un hub centrale, ad esempio) che rendono questa scelta quasi peccaminosa. Per quanto riguarda le ricompense, tuttavia, le più belle sono sicuramente quelle che si ottengono tra un capitolo e l’altro di Black Myth: Wukong e non hanno niente a che fare col gameplay.
Sto parlando infatti dei chiacchieratissimi filmati realizzati in stili diversi che vanno dalla stop motion al più classico “anime giapponese”, a ognuno dei quali è affidato il compito di raccontare una storia che racchiuda il significato di quel particolare capitolo del Viaggio in Occidente. Qui e nelle tavole illustrate che ci vengono presentate immediatamente dopo traspare tutta la passione con cui è stato lavorato il prodotto e la voglia di far scoprire al mondo la potenza e l’epicità di una mitologia così lontana da ciò a cui siamo abituati. Una conseguenza di questa scelta è che il racconto risulta tutt’altro che lineare e senza una buona dose di cultura pregressa non si tiene granché traccia degli eventi mostrati, specie perché il lavoro di Game Science è un frutto d’ispirazione e non una ricostruzione “fedele”.
Non aiuta in questo senso anche il fatto che, al momento della stesura di questo testo, molte didascalie e racconti presenti nel gioco manchino di una traduzione in italiano e, a volte, persino della versione inglese. Per fortuna, come dicevamo in precedenza, qui non manca il carattere e anche il design coraggioso di molti personaggi non giocanti risulta più determinante e affascinante di qualsiasi piccolo problema.
Black Myth: Wukong è insomma un’eccezionale opera prima, miracolosa per certi aspetti, che scopre il fianco troppo spesso a tanti “piccoli” fastidi e ad alcune lacune di design che ne impediscono l’ingresso nell’albo dei capolavori. Tuttavia, Game Science si è guadagnata un enorme e luminoso faro puntato sul futuro di qualsiasi cosa andranno a sviluppare da qui in avanti e non vedo l’ora di scoprire cosa avranno in serbo per noi.
Pubblicato il: 16/09/2024
Provato su: PC Windows
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