SENUA'S SAGA: HELLBLADE II

Dall’attenzione spasmodica per la regia e la performance, da come “flirta” con la tecnica del piano-sequenza, e poi dalla scelta di muoversi costantemente sul confine tra un viaggio passivo, quindi spettatoriale, e avventura partecipativa, si capisce che Hellblade 2 fa di tutto per proporsi non tanto come un videogame, bensì come un’esperienza audiovisiva che marginalmente preveda – a tratti e con intensità incostante – l’intervento del fruitore. Potremmo chiamarlo, volendo, un film interattivo: di quelli che però vanno dritti verso un finale già deciso, senza lasciare al suo pubblico la possibilità di orientare le svolte del racconto. 

E allora forse è meglio catalogare Hellblade 2 come un moderno walking simulator: che integra di tanto in tanto qualche enigma, qualche combattimento dall’indubbio valore scenico (seppur sorretto da meccaniche estremamente limitate), e la timida possibilità di allontanarsi dal sentiero principale per recuperare frammenti aggiuntivi di storia e alcune informazioni sul folklore islandese.

Quello che voglio dire è che la nuova produzione di Ninja Theory, sebbene poggi sulle solite fondamenta di Senua’s Sacrifice, riduce ulteriormente la quantità e l’impatto degli elementi ludici, parlando non tanto, o almeno non solo, a chi vuole giocare, ma anche a chi vuole vivere una storia potente.

Ci sono altri due elementi che sottolineano ulteriormente questa direzione creativa: la presenza delle bande nere orizzontali per tutta la durata del gioco, che ritagliano l’immagine in un formato tipicamente cinematografico (anamorfico, con una proporzione di 2,39:1), e la totale assenza di interfaccia. In Hellblade 2 non compare neppure una volta l’icona di un tasto, non ci sono suggerimenti scritti su cosa fare o menù per potenziare le caratteristiche di Senua; tutte le soluzioni per orientare il giocatore, gli indizi, le indicazioni sul tempismo con cui parare sono diegetiche, integrate nel tessuto del racconto e rappresentate con strumenti interni al mondo di gioco e con esso coerenti. Molto spesso si tratta dei bagliori delle lame, oppure delle voci che infestano la testa di Senua: una chiacchiera asfissiante che rappresenta in maniera impeccabile le psicosi della protagonista. Sono scelte atipiche, forti anche se non proprio originali, che ribadiscono ulteriormente quanto versatile e plastico possa essere il videogioco inteso come medium. 

Se accettate queste premesse creative (ovvero se non siete fra i convinti integralisti del videogioco inteso come sfida, come passatempo, come puro escapismo) preparatevi a vivere un’esperienza memorabile, imperfetta nei ritmi e nell’approdo eppure capace di lasciarvi momenti indimenticabili e poderose suggestioni.

Preparatevi, anche, a restare costantemente ammaliati dalla messinscena tonante e dalla componente tecnica fuori scala. Ci sono tante “limitazioni” che hanno permesso a Ninja Theory di ottenere questo risultato, è vero: il fatto che in molte sezioni Hellblade 2 sia un lungo corridoio, la presenza di pochissimi personaggi a schermo e persino la ridotta quantità di elementi interattivi. È chiaro che con questi presupposti (che sono comunque funzionali al tipo di storia che il team vuole raccontare) sia più facile ottenere un livello di dettaglio impressionante: e infatti la struttura non toglie nulla al colpo d’occhio di Hellblade 2, che mette in mostra dei modelli impeccabili e soprattutto delle ambientazioni quasi imponderabili. I panorami spietati dell’Islanda, con le sue rocce scure e aguzze, bagnati dalla luce enigmatica di un tramonto che pare eterno, finiscono per essere ben più della meravigliosa cornice del viaggio di Senua. Quell’isola dalla bellezza surreale, in cui si ritrovano “le origini della terra, la fine dell’universo, le metamorfosi dei vulcani, gli incubi della natura e dell’uomo, l’Ade, gli abissi, i miracoli dell’acqua e del fuoco”, è stata rappresentata con così tanta cura da diventare protagonista. Impresse a fuoco sulle retine del giocatore attraverso la magia digitale dell’Unreal Engine e delle sue texture resteranno le distese grigie di pomice sferzate dalle onde, e poi le foreste invase dai licheni gialli, e ancora le strane formazioni calcaree delle caverne sotterranee, ingressi traslucidi al mondo solo immaginato del Piccolo Popolo. 

La potenza scenica di Hellblade 2 fa il paio con quella acustica: fatta di suggestioni sonore che serpeggiano lungo il tragitto di Senua, costantemente in agguato, e che sanno quando farsi più intense, addensandosi in brani avvolgenti e tribali, prima di sciogliersi ancora di fronte al grido di un vulcano; lasciando spazio ai suoni della natura, all’urlo delle onde, al gocciare lento delle infiltrazioni che scorrono sotto terra. Il lavoro di audio design è monumentale, uno dei migliori mai ascoltati in un videogioco, anche per come rappresenta il vociare incessante nella mente di Senua. Un groviglio di accenti, una cantilena funesta fatta di ammonimenti, di rimproveri, di paure. È insomma la digitalizzazione perfetta e alienante della nevrosi, un groppo di sussurri che non tace sostanzialmente mai. È un lavoro concettualmente impeccabile perché trasmette la fatica, la pesantezza, il male di vivere, sfociando in un’esperienza che non esito a definire straordinariamente estenuante.

Hellblade 2 non è insomma un prodotto per tutti: è faticoso, opprimente, è pesantissimo anche se non è mai difficile. Alle volte, per altro, è inutilmente prolisso anche se dura poco. Sono sufficienti poco più di sei ore per arrivare alla fine del viaggio di Senua, e nonostante la dimensione molto contenuta si ha l’impressione che ci sia qualche lungaggine di troppo: una manciata di combattimenti ed enigmi che diluiscono alcuni capitoli e qualche passaggio del tutto superfluo, che aiuta soltanto ad ampliare la varietà di scenari e atmosfere. È forse una delle poche concessioni di Hellblade alla sua necessità di restare – visto il contesto in cui viene pubblicato e la platea a cui finisce per rivolgersi – un po’ videogame. Questa sensazione viene per fortuna mitigata dalla ferocia con cui i momenti migliori del viaggio echeggiano nella mente e nel cuore del giocatore: la caccia furiosa a un gigante rigurgitato dal mare, la strenua difesa di un villaggio assalito dai redivivi, l’esplorazione asfissiante delle viscere umide della terra. Sono sequenze indelebili che penso mi accompagneranno per sempre. Non si può dire lo stesso, purtroppo, del finale: gli ultimi capitoli di Hellblade 2 sono una delle parti più fragili del racconto; anche se ragionano in maniera intelligente sulla natura del potere e sui processi di formazione del mito, purtroppo, non reggono il confronto – per intensità emotiva e ritmo – con le scene più dolorose, evocative e impressionanti.

Personalmente capisco il motivo di un finale che segue la struttura dell’anticlimax: Hellblade 2 racconta di un percorso di liberazione dalla magia, dal sovrannaturale, insomma di un affrancamento dalla mitizzazione dei sovrani, dei leader… dei Goði. Si tratta di un viaggio che si muove dallo spettro del divino a quello dell’umano, seguendo una parabola discendente. Se volessimo mettere in connessione questo episodio con il primo capitolo, si potrebbe quasi tracciare un tragitto che parte con le divinità norrene di Senua’s Sacrifice, passa ai giganti di questo episodio, incarnazione della forza violenta della natura – della frenesia distruttiva dei vulcani e delle maree – per poi procedere ancora oltre. È un topos narrativo molto comune nel fantasy, che è pieno di storie che parlano della riscoperta o della fine della magia. Cos’è Il Signore degli Anelli, se non un racconto di progressivo allontanamento della magia dalle terre di Arda? E cos’è Game of Thrones, se non un percorso di riappropriazione del magico (dei draghi, dell’ossidiana, degli insegnamenti del Dio dai Mille Volti), per affrontare una piaga sovrannaturale che si presenta dopo un’epoca di dominio degli uomini? Se vogliamo restare in ambito videoludico, persino il quarto capitolo di Uncharted ha compiuto un tragitto simile, rinunciando all’elemento paranormale per far capire quanto fossero umane le figure mitizzate dalla storia e dall’archeologia

È un tragitto difficile, quello di chi prova a “scendere di tono”, passando dalle vicende degli dei e dei mostri, delle creature insolite e mirabili, a quelle degli uomini e delle loro urgenze così spicciole e viscerali. Ad Hellblade 2 questo passaggio riesce solo in parte, anche se l’idea conserva un certo fascino.

Affascinante è anche il modo in cui scrittura e regia indugiano sul limite che separa realtà e allucinazione. Lo spettatore si chiede costantemente se quello che vede sia reale oppure il frutto dell’ossessione monomaniaca di Senua, che immagina storie e creature. Alcuni dei viaggi della protagonista sono, indubitabilmente, mentali: stesa in una caverna in preda ai suoi deliri, Senua immagina di viaggiare, di combattere, di incontrare creature profetiche che le rivelano i segreti del mondo. È il destino che spesso toccava in passato a figure oracolari, devastate dalle proprie visioni e investite da piccole comunità isolate di un ruolo divinatorio e simbolico. Quello di Hellblade 2 è insomma un lavoro di scrittura lucido e maturo, che finisce per dare un’interpretazione potente del meccanismo di formazione dei miti e del folklore islandese. Il racconto abbraccia fascinazioni non comuni, e si trova per esempio a ragionare sul potere del vero nome delle cose, quello che definisce e incarna la loro natura e che permette quindi di dominarle, di vincerle. È un concetto pseudo-magico che ha origini antichissime, un ruolo fondamentale nel folklore scandinavo e declinazioni inaspettate in moltissime opere antiche o moderne (del resto Ulisse sfugge a Polifemo perché non rivela il suo nome, e nella Turandot di Puccini sono i nomi propri che hanno il potere di controllare le persone). Ursula Kroeber Le Guin, nel Ciclo di Earthsea, immaginava una forma di magia che passasse dallo studio del nome di ogni cosa, dagli elementi ai fili d’erba.

Ecco: un prodotto che lancia questo tipo di spunti, che stimola a ragionare sulle sue ispirazioni letterarie e traccia connessioni fertili, a mio modo di vedere, resta un prodotto importante e significativo. 

Non riesco a smettere di pensare che con qualche accortezza in più Hellblade 2 avrebbe potuto essere un’esperienza migliore, più uniforme e più decisa. Assieme a questa convinzione, però, c’è il fascino visivo di un rendering miracoloso, il ricordo di scontri poderosi con creature deformi e titaniche, tutte le domande sollevate da una scrittura al contempo enigmatica e potente. E ci sono le voci. Le voci sfibranti di Senua, le voci malate, le voci onnipresenti. Certi aspetti di Hellblade 2 riecheggiano nella mia testa come quelle voci, e non se ne andranno tanto presto.

Pubblicato il: 21/05/2024

Provato su: Xbox Series X|S

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10 commenti

I testi rossi su sfondo nero sono terribili

Altro... Bellissimo articolo come sempre, dopo il primo era difficile fare un seguito. Devo ancora metterci le mani sopra, ma appena lo farò so già che lo amerò. Il primo mi ha troppo stupito ed il due, con tutti i problemi comunque, sembra non mi deluderà. Detto ciò, ho già chiesto in live e scrivo qui con la speranza che qualcuno sappia qualcosa o possa contattare qualcuno e risolvere ahah. Credo sia un problema riscontrato da molti, ho provato a streamare il gioco da Xbox series X con discord e mi esce un messaggio che dice che il gioco non permette lo streaming. Nelle impostazioni del gioco c’è pure l’opzione dell’audio streaming ed inoltre ho letto in giro che il problema persiste pure con twitch, sempre da Xbox. È strano non si possa fare ed inoltre è molto snervante perchè sembra che da pc funzioni benissimo

Bene o male è quello che mi aspettavo, gli unici punti che mi lasciano perplesso riguardano enigmi e combattimenti, dai primi speravo in un'evoluzione rispetto al precedente capitolo o una loro riformulazione mentre hanno invece deciso di riproporre …Altro... Bene o male è quello che mi aspettavo, gli unici punti che mi lasciano perplesso riguardano enigmi e combattimenti, dai primi speravo in un'evoluzione rispetto al precedente capitolo o una loro riformulazione mentre hanno invece deciso di riproporre lo stesso concept che non mi è mai sembrato molto ispirato. Riguardo i combattimenti spero non siano troppo frequenti, capisco la necessità di dare a Senua una certa fisicità volta a enfatizzare la sua lotta contro le avversità ma in un gioco del genere forse potrebbero essere anche del tutto evitati, sembra quasi che un videogioco per essere definito tale debba avere per forza certe meccaniche ludiche quando invece il "gioco" potrebbe anche semplicemente essere riservato all'interattività ambientale e all'esplorazione.
Alla fine credo che comunque gli darò una possibilità come feci con il primo Hellblade che mi era piaciuto nonostante non appartenga al tipo di giochi che solitamente apprezzo, uscire dalla proprio comfort zone a volte non è male, specie se poi il gioco è di innegabile qualità.

Di solito nelle recensioni per spiegare un concetto o un opinione sì portano esempi di altri videogiochi. Qui invece si arriva a citare addirittura l' opera lirica.
Trovo che questo dimostri rispetto e fiducia in chi leggerà l' articolo.
Complime …Altro...
Di solito nelle recensioni per spiegare un concetto o un opinione sì portano esempi di altri videogiochi. Qui invece si arriva a citare addirittura l' opera lirica.
Trovo che questo dimostri rispetto e fiducia in chi leggerà l' articolo.
Complimenti sinceri a Francesco.

Mi piace l articolo e chiaro e ben spiegato! in caso si dovesse comprarlo si sa a cosa si va incontro !

non vedo l'ora di sabato per godermelo al buio con le cuffie

Sento già le voci

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