STELLAR BLADE
Più forme che sostanza
Stellar Blade, hack’n’slash con cui il team sudcoreano SHIFT UP prova a fare il salto di qualità per entrare fra i primi della classe su console (dopo una parentesi all'incirca decennale in ambito mobile), dimostra a più riprese di sapere benissimo quali siano i suoi molteplici ed eterogenei riferimenti. Eppure, nel volgere lo sguardo in maniera quasi ossessiva e costante verso direzioni anche abbastanza lontane fra loro – che oltre agli ovvi NieR: Automata, Bayonetta e i Souls spaziano anche verso orizzonti inattesi tipo Dead Space e altro ancora – questa esclusiva PlayStation 5 non solo non trova mai davvero una strada tutta sua, ma al contrario sembra rimanere sempre in sospeso, profondamente indecisa su cosa dovrebbe in effetti essere.
Nel corso delle venticinque ore necessarie a portare a termine l’avventura di EVE, letale combattente della Settima Unità Aerea impegnata a salvare quel poco che resta dell’umanità dalla minaccia di creature mostruose note come Naytiba (ovvero la ragione per cui la Terra è ridotta a un luogo abbandonato e ostile al di fuori di una traballante roccaforte chiamata Xion), Stellar Blade propone infatti a ben vedere un po' di tutto. Si parte, come testimonia anche la demo pubblicata nelle scorse settimane – che rappresenta peraltro l'inizio vero e proprio del gioco – da un rapido tutorial che serve a definire immediatamente i toni: esplosioni serrate che enfatizzano il caos e la drammaticità di un assalto orbitale finito piuttosto male, slow motion tattici per esaltare tanto le doti acrobatiche della protagonista quanto la notevole regia e seriose chiacchiere per lo più irrilevanti, oscurate in men che non si dica dalle chiappe. Tante, tantissime chiappe. E tette generosamente sballonzolanti. E gambe lunghe-lunghe su cui EVE ancheggia lasciva dall'alto dei suoi tacchi invisibili, fra pose assurde e centimetri quadrati di pelle morbosamente esposta in un trionfo del fanservice più banale che personalmente ho trovato più stucchevole che pruriginoso (ma tant'è, può pure essere questione di gusti).
Eppure, dopo un prologo lineare in accordo con i canoni del genere, Stellar Blade pare cambiare pelle, mostrando una struttura inaspettatamente ispirata ai soulslike. Ci sono i punti di salvataggio dove potenziarsi e dove salvare, che però ogni volta rigenerano sia le fiaschette curative di base che i nemici, con grotteschi avversari un po' molluschi e un po' insetti che pattugliano zone ben precise della mappa – con tanto di zona di aggro entro cui si viene inseguiti e posizionamento infame dietro a certi passaggi angusti.
Non mancano come da prassi le scorciatoie fatte di porte da aprire dal lato giusto per interconnettere le varie aree, così come di miyazakiana memoria sono sia l'incedere tipico dei duelli, fatti di attacchi e contrattacchi col giusto tempismo, che il ritmo complessivo dell'esplorazione, che si concede però il vezzo di inserire ogni tanto dei piccoli puzzle o delle pessime fasi pseudo-platform.
Il bello è che quando ci hai pressoché fatto l'abitudine e pensi di aver ormai inquadrato la formula, l'ex Project EVE invece cambia ancora, vezzoso come la potenziale alternanza di costumini sexy della protagonista. Lo fa sbattendoti sul muso prima un hub centrale (la negletta Xion menzionata qualche paragrafo fa...) e poi una corposa sezione open map all'insegna degli spazi aperti, fra grandi pianure alternate a canyon rocciosi e soprattutto missioni secondarie in quantità, che punteggiano la zona e incentivano a un rapporto molto diverso con lo scenario, premiando l'esplorazione.
Una lunga fase fatta di avanti e indietro tra l'ultimo baluardo della razza umana e un deserto rossastro, fra fetch quest all'acqua di rose e frequenti combattimenti che permettono di investire un certo monte ore in attività facoltative da eseguire col pilota automatico inserito – complice un livello di sfida che anche nella più alta delle due difficoltà selezionabili risulta tarato decisamente verso il basso, ma su quell'argomento ci ritorneremo più tardi.
In questo accenno di respiro open world si disinnesca com'è ovvio che sia la logica dell'interconnessione tra le varie sezioni dell'area intravista in precedenza, ma funziona invece bene l'idea di tenere sotto controllo la quantità di avversari dosando il loro respawn e scegliendo di riposarsi solo quando è davvero sensato farlo. O, per meglio dire, funzionerebbe bene l'idea di tenere sotto controllo la quantità di avversari, perché uno dei problemi di Stellar Blade (frutto dell'indecisione di fondo a cui si faceva riferimento in apertura...) è da ricercarsi nella totale assenza di penalità in caso di game over. Se negli stylish action non conta infatti solo sopravvivere bensì come si combatte e se nei Souls il meccanismo della corpse run è l'altra faccia della medaglia di una sfida spesso e volentieri sul filo del rasoio, nell'ultima fatica di SHIFT UP l'approccio risulta molto, molto più blando. Sei morto? Ritenta semplicemente da poco più indietro, senza chissà quali ripercussioni che non siano appunto il doverci riprovare. Un meccanismo che se da una parte garantisce un approccio insolitamente rilassato e permissivo, dall'altro smonta parecchio il mordente dell'insieme.
Anche perché, non senza una certa paradossale ironia, nel giro di qualche ora Stellar Blade cambierà ancora e ancora e ancora, passando da una stringente linearità fatta di corridoi come nel più canonico degli action a un paio di improbabili sezioni da puro sparatutto in terza persona, in cui viene addirittura precluso l'utilizzo dell'arma bianca che da sola sorregge l'intero combat system. Questa bizzarra alternanza non sarebbe di per sé poi così male, e anzi al contrario potrebbe persino rappresentare una nota di merito e di originalità per lo studio coreano. Pure in questo caso però il condizionale appare quantomai d'obbligo, poiché risulta abbastanza chiaro che un'impostazione così erratica non sia il frutto di una visione ben precisa, quanto piuttosto di una confusa e manifesta disorganicità di fondo: Stellar Blade non ha molteplici sfumature, Stellar Blade prende spunti da tutte le parti senza mai decidere cosa diventare in corso d'opera.
Una remora applicabile anche al pur godibile sistema di combattimento, che insieme alla solidissima realizzazione tecnica e alla gestione della telecamera durante gli intermezzi d'azione risulta uno degli indubbi punti di forza dell'opera pubblicata da PlayStation Studios. La produzione di SHIFT UP non è certo un gioco costruito sulle combo: certo, esistono sequenze di tasti da premere col tempismo corretto, ma il fulcro non è mai quello (tanto è vero che le combo sono già sbloccate sin da subito in uno dei molteplici alberi delle abilità con cui migliorare progressivamente EVE). Al contrario, sulle prime la priorità sembra essere data alle parate perfette, con un meccanismo alla Sekiro che consente, una volta intercettati tot colpi degli avversari, di sfiancarli e punirli con una finisher accompagnata da una soddisfacente animazione ad hoc. Sembra, per l'appunto.
Perché se le indicazioni sulle prime appaiono inequivocabili – con tanto di apposita resa a schermo veicolata da una serie di pallini gialli che indicano le parry da eseguire prima di sbaragliare la difesa nemica – nel prosieguo dell'avventura si scopre che il meccanismo si può e anzi forse addirittura si deve scardinare in altro modo. Pad alla mano, non vale sostanzialmente la pena di attendere gli assalti frontali dei Naytiba per controbattere a colpi di deflessioni cadenzate con maestria: molto più indicato e logico aggredire le mostruose creature in prima battuta, bersagliandole a testa bassa con le abilità speciali che si sbloccano generose in corso d'opera.
Un escamotage che depotenzia parecchio l'essenza stessa del gameplay, specie se associato alla già citata semplicità dell'insieme. La verità è che purtroppo parare andando a tempo in moltissimi casi non serve nemmeno, poiché viene di fatto premiata una condotta più furiosa e “spigiacchiona”, molto poco skill-based, in cui basta scatenare una special non appena è carica per sconfiggere qualsiasi mostruosità ci si ritrovi davanti. Una scelta strategicamente discutibile, perché proprio sul finire del gioco – letteralmente nelle ultime due boss fight in cui le abilità speciali vengono in qualche modo ridimensionate e il palcoscenico viene lasciato quasi senza fronzoli alle parate perfette – si percepisce quanto di buono lo studio coreano avesse in realtà per le mani. Quello Stellar Blade, ovvero una versione alternativa fondata sulla tecnica e con un approccio più rigoroso, sarebbe stato un action molto migliore, poiché più solido e strutturato. Purtroppo non riesce a metterci una pezza neppure il new game plus, che sblocca un terzo livello di sfida che più che difficile si dimostra frustrante e sbilanciato, andando a trasformare anche il più innocuo dei nemici in una spugna con una quantità insensata di energia e un output sconsiderato di danni: certo in quel caso diventa sì fondamentale parare, ma è l'esperienza a risentirne (detto che in tutta sincerità dopo venticinque ore in compagnia di EVE si arriva ad un epilogo molto poco risolutivo abbastanza stanchi e non proprio invogliati a ricominciare da zero).
Luci e ombre anche sul piano audiovisivo. Da un parte abbiamo un colpo d'occhio notevole e una messa in scena piuttosto impressionante per un team non abituato a questo genere di produzione, che si dimostra pienamente a suo agio su PS5. A livello artistico Stellar Blade non diventerà un paradigma di stile e non lascerà un segno indelebile nel suo continuo rimescolare nel già visto sia in termini di character design che di nemici e ambientazioni, eppure il risultato finale fa sempre e comunque il suo, enfatizzato dalla spettacolarità di certi effetti, dalla bontà dell'illuminazione o dalla pregevole ricchezza della modellazione poligonale. Insomma, siamo molto distanti dalla modestia tecnica del recente Rise of the Ronin, per citare un altro titolo pubblicato sotto etichetta PlayStation Studios ma sviluppato da team esterni a Sony. Lo stesso non si può invece affermare per la componente audio, con in particolare una stucchevole colonna sonora composta di brani K-pop che oltre ad accompagnare in maniera dubbia l'azione finiscono per ammorbare nella loro sconcertante ripetitività da nenia ipnotica.
Lasciando volutamente da parte il pretestuoso comparto narrativo – un pastrocchio trascurabilissimo che commette l'errore di prendersi dannatamente sul serio, salvo rendere impossibile affezionarsi alle sorti di personaggi monodimensionali e tutt'altro che caratterizzati da un doppiaggio in italiano scolastico e monocorde – che reputo al massimo un extra accessorio e mai un elemento imprescindibile per il genere, voglio arrivare alla conclusione e specificare che, al netto dei suoi difetti, Stellar Blade non è comunque un brutto gioco. Semmai è un gioco poderosamente fuori posto, che nella sua cronica mancanza di visione mai avrebbe meritato di stare al fianco delle grandi produzioni PlayStation Studios (un marchio che a prescindere dai gusti una volta era sinonimo di una certa qualità e che nel 2024 ha mostrato scricchiolii che sottolineano le difficoltà strategiche di Sony). Pubblicato da un'etichetta diversa e venduto a una quarantina di Euro, magari in un periodo di magra e senza troppe pretese, Stellar Blade avrebbe avuto ben altro sapore, dando un peso diverso anche ai suoi passi falsi: semplicemente, nonostante la grazia esasperata delle sue forme, EVE non ha il physique du rôle per ambire a certi palcoscenici nel ruolo di protagonista.
Pubblicato il: 24/04/2024
Provato su: PlayStation 5
Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori
FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128