TALES OF KENZERA

Z A U

Se una delle prerogative dello sviluppo indipendente dei videogiochi è concedere visibilità agli autori e a esperienze di gioco che prendono forza dalle loro visioni, contrapposte ai kolossal spersonalizzati (perché realizzati da eserciti di sviluppatori), allora Electronic Arts ha scelto bene con Tales of Kenzera: Zau. Perché il gioco di debutto di Surgent Studios è intimamente collegato alla spinta creativa ed emotiva del suo fondatore e Creative Director per questo progetto, Abubakar Salim. Mi rendo conto che aver inserito l’idea del videogioco indie d’autore ed Electronic Arts nelle stesse righe possa suonare sconfortante per qualcuno, ma la faccenda non è all’ordine del giorno e quindi tocca rimandarla a qualche occasione futura. Il problema di cui occuparsi adesso, invece, è che la scelta di Electronic Arts è azzeccata sulla carta e molto meno nei fatti.

Inglese figlio di un immigrato dal Kenya, Salim concepisce Tales of Kenzera: Zau come un omaggio al padre scomparso da alcuni anni e uno strumento per raccontare “quanto possa essere complicato e convulso il viaggio che porta all’elaborazione del lutto”, nelle sue parole. Poco sorprendentemente, il gioco si apre con la rabbia di un ragazzino incapace di accettare la morte del padre. È il libro su cui stava lavorando il genitore a prendere vita e diventare il videogioco vero e proprio. Quella che racconta è la corsa furiosa di Zau, che vive nella terra di fantasia di Kenzera e che è deciso a piegare al suo volere la volontà di alcuni déi, nel tentativo di riportare in vita il padre portatogli via troppo presto. Surgent Studios e Salim si sono voluti assicurare che il tema di fondo non sfuggisse, ma inchiodandolo su un triplo cartello luminoso mi pare che si evidenzi una certa mancanza di fiducia nelle capacità interpretative del videogiocatore medio. Mi rendo conto che sia una sottolineatura potenzialmente inelegante, eppure credo che introduca fin da subito il problema di Tales of Kenzera: Zau, cioè la sua voglia disperata di essere un racconto molto importante senza, purtroppo, avere i mezzi adatti a raggiungere lo scopo.

In un’intervista a Polygon, Salim ha spiegato che la struttura di quelli che chiamiamo giochi “metroidvania” si adatta alla perfezione alla vicenda di Zau, che poi è anche la sua. Quindi questo è Tales of Kenzera: Zau, un metroidvania, uno di quei giochi d’azione in cui l’esplorazione della mappa di gioco non è lineare e in cui tornare sui propri passi (arricchiti dall’esperienza che ha portato a poter maneggiare nuovi strumenti e maturare delle abilità) è essenziale. No, non è così: Tales of Kenzera: Zau non è un metroidvania, il suo level design purtroppo non glielo consente. Non mi fa impazzire l’idea di giudicare un gioco da ciò che non è, ma quello di Salim e Surgent Studios voleva dichiaratamente essere un metroidvania e invece finisce per non essere niente di più che un esperimento fallito.

Almeno apparentemente, gli elementi ci sarebbero. L’azione si sviluppa su un piano 2D, c’è una zona centrale e alcune ramificazioni, Zau può attaccare i nemici da distanza o con attacchi corpo a corpo e all’appello risponde pure un canonico albero delle abilità in cui sperperare i punti accumulati eliminando nemici o scovando (i pochissimi) segreti. Già al termine della prima delle tre aree principali di gioco si intuisce che qualcosa non va. Le zone di Kenzera sono regioni dentro cui inoltrarsi e poi uscire, per non farvi più ritorno. La domanda che segna qualsiasi metroidvania (“come faccio ad arrivarci?”) è assente totalmente ingiustificata. Sono molto rari i casi in cui le nuove possibilità di movimento e interazione con il mondo spingono a ripercorrere i propri passi per accedere, finalmente, a tutta una nuova porzione in un’area già visitata. In effetti non credo mi sia mai successo. Semplicemente si battono palmo a palmo le tre regioni principali, una dopo l’altra, nell’ordine imposto dal gioco.

I problemi di level design sono però più estesi, perché anche digerita la natura lineare di Tales of Kenzera: Zau, tocca arrendersi pure alla banalità dell’architettura del suo mondo. Lunghi corridoi, sequenze di salti a muro e altri corridoi. Da queste parti non c’è niente che ricordi in maniera anche solo sfumata la zona degli archivi di Prince of Persia: The Lost Crown. E forse è meglio così, perché poi Zau non avrebbe gli strumenti per barcamenarsi tra sequenze particolarmente arzigogolate di salti, scatti e arrampicate. Tutte risorse su cui tecnicamente può fare affidamento, ma che vengono in molti casi frustrate da una rilevazione delle collisioni mediocre. Succede in particolar modo con le onnipresenti distese di spuntoni e spine, che attirano a loro Zau e lo uccidono all’istante. Non dovrebbero attirarlo, è solo che funzionano in maniera approssimativa e finiscono con il terminare Zau anche quando sembrerebbe esserci spazio vitale a sufficienza per muoversi.

In tutto questo non aiuta una sovrabbondanza di effetti visivi e particellari che rendono confusa la scena, complice una telecamera che tende a inquadrare l’azione da distanza eccessiva. Nelle fasi di esplorazione è un problema che diventa più evidente verso la fine dell’avventura di Zau, se invece parliamo di combattimenti, allora il fastidio è presente durante tutto il gioco. Intanto gli scontri con i nemici tendono a essere limitati a delle aree precise, che diventano così delle arene dentro cui viene imprigionato il giovane protagonista, per il resto lasciato libero di muoversi senza doversi preoccupare troppo di presenze ostili. Le cose cambiano solo nell’ultima parte del gioco. Le aree in cui si combatte, comunque, si affollano presto di nemici, con la visuale che si allontana e gli effetti della doppia natura degli attacchi di Zau (luna e sole, da distanza e corpo a corpo, azzurro e rosso), sommati a quelli dei colpi dei nemici, che spesso rendono difficile la lettura di quello che sta succedendo. Tales of Kenzera: Zau si scopre così essere un gioco frustrante, per più motivi

Il combattimento consegna comunque gli unici momenti riusciti del gioco, almeno in quei casi in cui non esagera e finisce per frullare tutto assieme. La sensazione fisica dei colpi portati con le lance (sole - corpo a corpo) è discreta, anche se poi è difficile non farsi prendere dal sacro fuoco di Mosconi G., quando scopri che le combo di attacchi portano Zau a scivolare in avanti fino a cadere dalle piattaforme e magari a dover rifare tutto da capo. Anche in questo caso è recente l’esempio di Prince of Persia: The Lost Crown, che blocca entro certi limiti il movimento automatico dei colpi impedendo di farsi del male nell’eccitazione dello scontro. Ancora: l’attacco da distanza (luna) ha un numero finito di colpi a cui affidarsi, prima che intervenga la fase di ricarica. Il fatto che questa riprenda il meccanismo di Gears of War (una prova di abilità a tempo) per velocizzare il processo, non depone a favore di Tales of Kenzera: mettersi a seguire un indicatore su una barra, mentre attorno ti stanno malmenando in cinque, ti fa passare per minchione (M. Agnelli). Non solo. Tenendo premuto il pulsante d’attacco si può caricare una raffica di colpi che svuota per buona parte il “caricatore”. Questo può essere fatto anche quando il colpo rimasto è solo uno e l’effetto della smitragliata non ne risente minimamente. Si finisce allora per approfittarsi delle incongruenze e delle mancanze del sistema di gioco, in una corsa alla sopravvivenza che però denota come ormai, a quel punto, la fiducia nel gioco stesso sia venuta meno.

I nemici sono tutto sommato pochi e dalla personalità non particolarmente spiccata. Quando entrano in scena quelli con delle barriere da sbriciolare mediante l’attacco del colore corrispondente, si verificano un altro paio di problemi. Intanto hanno la fastidiosa tendenza a recuperare velocemente l’energia della barriera se si dà loro il tempo (e forse è un problema mio, ma mi pare esageratamente punitivo per il giocatore). Poi c’è la potenziale confusione legata alla barra di energia standard, che è di colore arancione e che, nella concitazione della battaglia, può essere confusa con quella rossa della barriera vulnerabile solo dai colpi corpo a corpo. Che mal di testa

La parte più convincente di Tales of Kenzera: Zau è rappresentata dagli scontri con i boss (che però sono proprio pochi). Qui lo spettacolo è garantito, il sistema funziona meglio perché c’è mediamente meno gente su schermo e, pur mettendo in conto qualche scivolone per i problemi nelle collisioni o in comportamenti che il giocatore non può facilmente intuire e comprendere, non ci si può lamentare troppo. Lascio alla propria sensibilità la valutazione di tutta la parte narrativa del gioco, che personalmente ho trovato volenterosa ma, di nuovo, migliorabile.

Migliorabile è proprio tutto in Tales of Kenzera: Zau. Abubakar Salim ha spiegato di aver assemblato il team di sviluppo pescando dai quattro angoli del mondo, spulciando siti web e profili di Linkedin, ma una rapida analisi dei nomi che compaiono nei riconoscimenti finali certifica che non si tratti di figure particolarmente esperte nella materia dei metroidvania. Il level design è affidato a Pete Brisbourne che ha lavorato su una manciata di giochi della serie LEGO per Nintendo DS e PSP. E si vede. Manca tutta la consapevolezza e la capacità di gestione delle cose piccole e di quelle grandi che rendono più fluida, interessante, coerente e affidabile l’esperienza di gioco. La panoramica, già non esaltante, si conclude con applausi di circostanza per una direzione artistica riuscita solo in parte e un livello di dettaglio grafico che appartiene alla scorsa generazione. 

Viste le premesse, il materiale di partenza e il trasporto emotivo di Salim, è un peccato doversi arrendere all’idea che Tales of Kenzera: Zau non sia affatto un buon videogioco.

Pubblicato il: 22/04/2024

Provato su: PlayStation 5

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6 commenti

Dio mio che recensione distruttiva, non mi invoglia nemmeno a giocarlo su ps plus

che peccato, dai primi trailer ed uscito da poco dal nuovo Prince of Persia aspettavo con discreto interesse questo Zau

Non vedo l’ora di metterci le mani domani, e la speranza è quella di poterti dare torto. Dalle vibes questo gioco mi ha preso subito e l’augurio è che rispetti le mie aspettative. Certo è che venire dopo Prince of Persia non è facile, ma anch …Altro... Non vedo l’ora di metterci le mani domani, e la speranza è quella di poterti dare torto. Dalle vibes questo gioco mi ha preso subito e l’augurio è che rispetti le mie aspettative. Certo è che venire dopo Prince of Persia non è facile, ma anche se il paragone può venire naturale, forse trovo un po’… ingiusto? scorretto? mettere a confronto un prodotto piccolo di un’enorme sviluppatore e un prodotto piccolissimo di uno sviluppatore piccolissimo. La mia non vuole essere né una critica né un attacco nei tuoi confronti ma una semplice constatazione che mi è venuta in mente leggendo, ho apprezzato moltissimo l’articolo 💜 domani si prova e si vedrà

Un gran peccato

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