STAR WARS
JEDI SURVIVOR
- recensione -
Mi sembra di percepire un entusiasmo un po’ incostante nei confronti di Star Wars Jedi: Survivor. Certi giocatori lo aspettano con grande partecipazione, convinti di trovare un’avventura d’ampio respiro che sappia sfruttare in maniera intelligente l’immaginario di Guerre Stellari (visto che sono nato negli ‘80 mi sento in diritto di chiamarla ancora così, la saga che fu di George Lucas). Il trasporto di questi utenti mi pare largamente giustificato dall’effetto sorpresa che seguì alla pubblicazione di Fallen Order, arrivato sul mercato nel novembre del 2019. All’epoca, quella di Respawn Entertainment sembrava una scommessa molto difficile da vincere. Il team fondato da Vince Zampella – veterano dell’industria che aveva contribuito al rilancio di Call of Duty ai tempi di Modern Warfare – sembrava quasi strappato dal suo habitat naturale, forse persino “costretto” a occuparsi della licenza di Star Wars dopo i risultati economicamente fiacchi di Titanfall e del suo seguito.
Pareva quasi che EA – per uno sgarbo incomprensibile – avesse messo lo studio a lavorare su qualcosa di potenzialmente molto profittevole, ma non proprio nelle sue corde. Questa sensazione era amplificata dalla poca convinzione con cui il gioco fu comunicato al pubblico: annunciato quasi distrattamente durante il preshow di una conferenza, e poi promosso senza troppa convinzione. E invece Jedi: Fallen Order fece centro, ribaltando completamente le attese del pubblico.
Ancora oggi resta un grande action adventure, con un ottimo level design, un backtracking dosato a dovere e persino una trama che riesce – se non a scolpire dei personaggi memorabili – almeno a stuzzicare i fan di Star Wars, giocando in maniera intelligente e curiosa con la mitologia dei Jedi, con le spade laser, con i tempi cupi dell’Impero e persino con Darth Vader in persona (mi verrebbe da scrivere Dart Fener, rigorosamente senza “h”, ma forse sarebbe un vezzo colto soltanto da chi sa che Ian Solo ha sparato per primo).
C’è però chi dice che tutto il rumore generato attorno a Fallen Order non sia pienamente giustificato. È innegabile che il gioco, per quanto sorprendente, avesse molti spigoli, tutti evidentissimi. Il recupero di alcune dinamiche tipiche dei soulslike, con tanto di “falò” meditativi, la ricomparsa dei nemici già uccisi e un sistema di cura identico a quello delle fiaschette Estus, era poco attinente alla mitologia di riferimento e tutt’altro che giustificato, e pareva quasi un sistema per cavalcare il successo di una specifica tipologia di prodotti. Le animazioni un po’ ingessate e non sempre ben legate tra loro, oltre a un codice molto sporco e non ottimizzato, erano forse i problemi più vistosi della produzione.
Per come la vedo, l’esperienza complessiva di Jedi: Fallen Order riusciva ad adombrare largamente questi difetti, veicolando persino un bel senso di sviluppo del protagonista e della sua ciurma spaziale.
Non faccio fatica, quindi, a collocarmi nella categoria degli entusiasti, sebbene non nutra un affetto particolare per le derive disneyane di Star Wars. Jedi: Survivor, in ogni caso, arriva sul mercato accompagnato da una dichiarazione tonante del team di sviluppo, che lo ritiene “un Fallen Order espanso in ogni modo possibile”. A dirla tutta non mi piacciono molto le sparate di questo tipo, molto orientate sul concetto di quantità. Mi sembrano sottintendere l’idea che un prodotto inequivocabilmente bigger sia automaticamente better in nome di questo accrescimento, mentre io trovo che quest’equazione non sia automaticamente vera. Per esempio, non ritengo che Jedi: Survivor sia migliore in tutto e per tutto del suo predecessore.
Prima di raccontarvi le sensazioni scaturite dalla nuova avventura di Cal Kestis, per altro, c’è da fare una premessa doverosa, un appunto importante anche per chi – come me – non ama parlare troppo di questioni esclusivamente tecniche. A livello di ottimizzazione e pulizia Jedi: Surivor è un prodotto problematico, almeno nella versione PlayStation 5 in cui mi sono addentrato.Nel corso della partita mi sono capitati alcuni crash, mi sono imbattuto in diversi bug, e più in generale ho avvertito quasi costantemente la sensazione di un prodotto che avrebbe avuto bisogno di una lunga fase di polishing, di rifinitura. In entrambe le modalità di rendering – grafica e prestazioni – il framerate oscilla drasticamente, soprattutto nelle aree aperte, e a tratti sembra farlo anche la risoluzione.
Inquantificabili gli elementi che al passaggio tra le varie aree compaiono in ritardo sullo schermo, con quello che viene definito effetto pop-in: a volte si tratta di texture, a volte di interi oggetti. Potrei andare oltre ed entrare più nello specifico, raccontando come durante le mosse finali con cui Cal neutralizza grosse bestie aliene, i modelli poligonali si incastrino spesso e volentieri nello scenario, o finiscano per impallare l’inquadratura. Come spesso capita quando i codici del gioco vengono mandati in anticipo, il team promette una patch risolutiva, ma c’è un dettaglio che vale la pena sottolineare: tanti sono gli interventi di correzione previsti nella patch, che c’è il rischio che l’aggiornamento renda incompatibili i file di salvataggio della versione preliminare concessa alla stampa.
Ho deciso di specificarlo per due motivi: in primis per ricordarvi, se avete acquistato il titolo in versione fisica, di scaricare la patch prima di iniziare a giocare. In secondo luogo perché questa necessità sottolinea quanto siano strutturali e pervasive le operazioni di ottimizzazione e aggiornamento del codice. Non sono sicuro che la day-one patch riesca a risolvere tutte le magagne che, purtroppo, finiscono a tratti per rompere l’immersività, consegnandoci un prodotto che, al netto dell’estensione a volte impressionante di certe aree, non riesce neppure a sfruttare del tutto gli hardware su cui gira per gratificare lo sguardo con un colpo d’occhio pienamente next-gen.
La verità è che probabilmente Jedi: Survivor migliorerà poco a poco nei mesi successivi al lancio, con una strategia di aggiornamenti che non è mai rispettosa di chi decide di acquistare al day-one.
Eppure, non solo di tecnica vive un videogame. E Jedi: Survivor è indiscutibilmente un grande videogame, un prodotto capace di stupire per estensione, di ammaliare per il suo level design tentacolare, di rilanciare l’idea della grande avventura posizionandosi ai vertici della sua categoria. Le peripezie spaziali di Cal Kestis, da questo punto di vista, trasmettono in maniera impeccabile una sensazione di scoperta, di viaggio, e non hanno paura di confrontarsi con altre grandi odissee interattive.
Attenti però alle sfumature! Jedi: Survivor è un eccellente gioco d’avventura, ma un modesto gioco d’azione. Non aspettatevi di trovare un combat system rifinito, perché le fasi di combattimento sono regolari e non sempre interessanti. Ritornano ad esempio gli inciampi nelle animazioni, ancora legnose, non sempre ben amalgamate tra loro, con un protagonista che sembra se non altro sgraziato. Il sistema di sviluppo del personaggio non è ben bilanciato, o meglio non è stimolante, dal momento che molte abilità sbloccabili sono del tutto accessorie e non riescono a trasmettere un buon senso di progressione. Tra i cinque stili di combattimento che Cal può utilizzare – equipaggiandone sempre e solo due alla volta – ce ne sono alcuni molto utili e altri che si possono quasi ignorare. La spada a guardia incrociata che ricorda quella di Kylo Ren è un’arma dai movimenti troppo lenti e pesanti per poter essere sfruttata contro tutti i nemici, mentre l’inedita accoppiata spada laser e blaster è un’introduzione molto più utile e interessante. In generale il sistema di combattimento, che integra pure alcune meccaniche di parata “alla Sekiro”, non è l’elemento per cui Jedi: Survivor verrà ricordato.
Tutt’altro discorso invece per quel che riguarda l’esplorazione, e il senso di crescita che arriva proprio dall’acquisizione dei gadget e delle abilità di movimento. Da questo punto di vista il titolo di Respawn è impressionante. Scesi sulla superficie brulla di Koboh si rimane increduli non soltanto per la sua estensione, ma per quanto questa sia legata a una mole gigantesca di contenuti opzionali, di avamposti nemici da esplorare, di grotte e caverne zeppe di segreti e di minacce. Esplorare per la prima volta questa grande ambientazione risveglia un senso di meraviglia e di sincera curiosità, che non verrà mai meno nel corso delle venti ore necessarie a portare a termine l’avventura (la stima è conservativa, appassionato come sono di contenuti opzionali – soprattutto quando sono ben strutturati e interessanti – io ne ho giocate quasi una decina in più).
Fra scorciatoie, connessioni, interni esplorabili, non ho timore a dire che quella di Koboh è una delle location più vaste, estese e intricate di sempre, un grande esempio di level design che verrà citato per molto tempo, assieme a Lordran e al Lago dei Nove. Questo stimolo inesauribile all’esplorazione è la grande ricchezza di Jedi: Survivor, che riesce appunto a rilanciarlo con idee sempre nuove. Bisogna ammettere che non tutte le destinazioni in cui si svolge l’epopea di Cal sono vaste alla stessa maniera, e che il numero di pianeti esplorabili è inferiore rispetto a quello di Fallen Order, ma questo non toglie niente al monumentale lavoro del team. Sbloccando progressivamente nuove abilità Jedi, o gadget con cui potenziare le capacità di BD-1, si aprono di volta in volta vie alternative, sia su Koboh che nelle altre destinazioni, e il gameplay si arricchisce sul fronte della mobilità e del puzzle solving.
In Jedi: Survivor ci sono enigmi intelligenti e stimolanti, prove d’ingegno e d’inventiva da superare per ottenere esperienza e benefici. E ci sono fasi “platform” che vanno ben oltre le semplici scalate dinamiche, chiedendo di eseguire in sequenza salti e slanci aerei con ritmo e precisione, neppure fossimo in uno stage (stavolta tridimensionale) di Guacamelee. La progressiva acquisizione di strumenti e talenti permette di raggiungere nuove zone, che si concedono alle curiosità di Cal e del giocatore con una frequenza straordinaria. Ci sono scavi sotterranei in cui si celano spietati cacciatori di taglie, e fortezze volanti costruite dall’impero, e insediamenti di predoni e prospettori, e gole nascoste in cui l’estrosa fauna locale prospera indisturbata. Dopo quasi trenta ore di gioco, su Koboh esistono ancora anfratti segreti, e missioni secondarie capaci di stampare un’espressione di incredula meraviglia sulla faccia del giocatore. Jedi: Survivor è la sintesi perfetta tra un metroidvania tridimensionale, un gioco votato alla scoperta o all’esplorazione, e un adventure di ampio respiro, sul modello dei grandi classici del genere. L’attenzione per la varietà (non certo degli scontri, ma delle situazioni) fa sì che il team abbia pensato anche a un paio di sequenze abbastanza guidate ma fortemente spettacolari: una in particolare supera per dinamismo e ritmo qualsiasi “giro di giostra” abbiate potuto fare di recente, comprese le clamorose sequenze su binari di Ratchet & Clank: Rift Apart (e anche in questo caso – vedrete – c’entrano dei portali).
È piacevole anche vedere tutti gli sforzi del giocatore incanalati nello sviluppo del piccolo insediamento che sorge su Koboh, che progressivamente si arricchisce di nuovi personaggi, edifici da esplorare, giardini.
È una sorta di “base building” non interattivo, che sottolinea le conquiste di Cal e in qualche maniera ricompensa l’utente.
Un po’ meno entusiasmante è invece il racconto. Forse perché il protagonista proprio non è troppo carismatico, forse perché tutta la prima parte dell’avventura sembra un po’ diluita a livello di sceneggiatura: alcune sequenze sono mielose, leggermente patetiche, troppo costruite, e il raggiungimento dell’obiettivo di Cal viene rimandato ancora e ancora, con una serie estenuante di imprevisti. C’è poi una nuova nemesi dalle ragioni non del tutto comprensibili, un Sith animato da una rabbia che sembra gratuita e sconsiderata.
C’è anche un colpo di scena che – lo ammetto – non avevo visto arrivare, e che un po’ risolleva l’ultima parte del racconto. In generale ho comunque preferito la storia di Fallen Order, non solo perché era più diretta e sintetica, ma perché la ritengo più efficace nel giocare con la mitologia e l’iconografia di Star Wars.
Dentro a Fallen Order c’erano i cristalli kyber, la Nona Sorella e l’inquisitorio, le streghe di Dathomir: mi è parso quasi come se il team avesse avuto – al tempo – più libertà di “giocare” con personaggi importanti e con alcuni elementi canonici dell’universo di Guerre Stellari, e sia stato invece più… sorvegliato ora che la saga Jedi ha tutti gli occhi puntati addosso. Un paio di momenti indelebili non mancano neppure in Jedi: Survivor, ma il predecessore mi è sembrato un po’ più genuino, se non addirittura piacevolmente “sconsiderato” nel recuperare così tanti spunti dai lungometraggi e dall’universo espanso.
Arrivato alla fine di questa analisi mi viene da citare una delle frasi più memorabili di tutta la lunga storia di Guerre Stellari. “Soltanto un Sith vive di assoluti”. Mi sembra la prospettiva più giusta per inquadrare Jedi: Survivor... un gioco che si divide fra grandissime eccellenze, meccaniche efficaci ma meno dirompenti, vistosi inciampi a livello di pulizia e ottimizzazione. Sono convinto che resti un prodotto memorabile, indiscutibilmente capace – nonostante qualche lampante debolezza – di insegnare qualcosa a chi vorrà seguire il suo sentiero avventuroso. Del resto non sono tutti così, eroici e fragili, poderosi ma inequivocabilmente umani, i Jedi?
Pubblicato il: 26/04/2023
Provato su: PlayStation 5
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