RESIDENT EVIL 4

- REmake -

Per parlare del remake di Resident Evil 4 voglio prima provare a raccontare quello che l’episodio originale ha significato al tempo della sua uscita, per la serie di Capcom e più in generale per il mondo dei videogiochi.

Dopo un paio di capitoli gloriosi usciti sulla prima PlayStation, la serie Biohazard aveva iniziato a navigare in acque un po’ turbolente. Lo sviluppo del terzo episodio – Nemesis – era stato piuttosto affrettato per ragioni squisitamente commerciali, e la breve disavventura di Jill non aveva fatto breccia nel cuore del pubblico come quella di Claire e Leon. Code: Veronica, dal canto suo, fu un capitolo bellissimo ma sfortunato, uscito originariamente su una console poco popolare e poco diffusa (il Dreamcast) e poi adattato tardivamente per PlayStation 2, l’hardware che aveva rubato la scena. Non era un periodo felice, per Resident Evil, che provò a rilanciarsi su GameCube, dapprima con un remake dell’episodio originale, e poi con un prequel che risultò estremamente classico, del tutto immobile nella formula canonizzata nella generazione precedente. Tutt’intorno il mondo del gaming si muoveva a ritmi vertiginosi, smaniava per trovare nuove soluzioni espressive e un inedito dinamismo, e Resident Evil sembrava essere rimasto indietro.

In questo contesto Shinji Mikami decise di riprendere in mano le redini della serie che aveva creato e di cambiare completamente le carte in tavola. “Destituito” il director che aveva lavorato a una versione molto più compassata e spettrale del quarto Biohazard (conosciuta oggi come Resident Evil 3.5 e conservata soltanto nella memoria storica della rete ), Mikami scelse di abbracciare fino in fondo una profondasvolta action, amplificando al contempo quella avvertibile sfumatura da B-Movie horror che la saga portava in dote fin dal primo capitolo.

Ne uscì un titolo esagerato sotto tutti i punti di vista, capace di fagocitare una serie interminabile di suggestioni, di citazioni agli hard boiled più apprezzati, di situazioni sopra le righe. In Resident Evil 4 c’erano corse sui carrelli da miniera che mimavano quelle del secondo Indiana Jones, tributi al machismo militare di Commando, un castello barocco nelle cui stanze ribollivano fiumi di lava, e pure – duole ammetterlo – la statua gigante di uno stravagante omuncolo col tricorno, che inseguiva il giocatore come un’enorme bambola posseduta.

Era un gioco che a livello di estetica, temi e narrazione oscillava tra il pulp e il trash… ed era un capolavoro. Lo era per il suo dinamismo inarrivabile, per quegli scontri così intensi e viscerali, in cui si sparava spesso e volentieri ma senza rapidità ipercinetica di un tradizionale shooter in terza persona. Lo era per aver proposto un’avventura inesauribile, impressionanteper varietà di scenari e situazioni: l’industria era più giovane e meno matura, e forse più incline di quanto non lo sia oggi a subire il fascino della quantità, ma l’elenco di scenari, di livelli e di boss delineava il profilo di una produzione sontuosa, con pochissimi eguali nel panorama dell’epoca. A farci chiudere un occhio di fronte a un’ultima parte un po’ stiracchiata, alla coerenza che spesso vacillava, ai calci rotanti di Leon (sì: c’erano anche nell’originale) fu anche la meraviglia di quell’azione viscerale, con una visuale “over the shoulder” che lentamente si sarebbe trasformata nello standard di tante altre produzioni.

Meglio dirlo subito: quello stesso senso di meraviglia, di sconvolgimento dirompente dei canoni dell’horror videoludico, non può esserci di fronte al remake di Resident Evil 4. Che è sì un gioco ottimo dal punto di vista tecnico, opportunamente ammodernato sul fronte narrativo e ripulito da alcuni degli eccessi dell’originale (comprese la “lava domestica” e la statua semovente), ma che guarda comunque al presente del videogioco, e che non si sogna neppure lontanamente di tracciarne il futuro. Ecco, forse è proprio perché manca questo stupore costante e pervasivo che oggi viene più difficile perdonare le leggerezze della parte conclusiva, o che le battute da action hero di Leon si accolgono con più disincanto.

Viene anche da dire, prima di addentrarci nelle lugubri ambientazioni spagnole di Resident Evil 4, che l’operazione di svecchiamento è sicuramente meno d’impatto rispetto a quella del secondo capitolo, in cui era necessario riscrivere integralmente la progressione e gli equilibri del gameplay, ma che Capcom ha lavorato con grande rispetto e ammirazione per il materiale originale, consapevole di trovarsi non certo di fronte a un episodio debole – come Nemesis – bensì a una pietra miliare nel percorso tracciato dalla sua saga.

Questa deferenza nei confronti del materiale di base sfocia in un remake visivamente impeccabile. Il restauro delle ambientazioni si appoggia nuovamente sul RE Engine, qui in grande spolvero, sempre eccellente nella resa dei materiali, dei modelli e delle animazioni, per una trasposizione che non sfigura mai e anzi riesce a rendere più coerenti e credibili certe ambientazioni.

Superato l’incipit scioccante, ansiogeno per quanto sia intenso e violento, mi sono trovato di fronte a un gioco che non fa nulla per nascondere la sua natura di sparatutto a tinte horror. Si spara costantemente, in Resident Evil 4, alle volte trovandosi in piccole arene gremiti di nemici, con l’obiettivo specifico di neutralizzare ondate di paesani indemoniati. Neppure Resident Evil Village, un titolo che deve moltissimo al quarto episodio, era così sfacciato nel rivendicare la sua natura di shooter. La sensazione è stata spiazzante, ma mi è bastato poco per capire come mai pure all’epoca questa scelta sia stata ben digerita dal pubblico. In Resident Evil 4 non manca mai, per tutta la durata dell’avventura, una sensazione di tensione, di precarietà e di sopraffazione. I proiettili e gli oggetti curativi sono dispensati con moderazione, così che evitare gli sprechi e ridurre i colpi sparati a vuoto sia imperativo per cavarne le gambe. È proprio questo timore pervasivo, la sensazione di trovarsi sempre sul filo del rasoio, che in qualche modo conserva lo spirito originale dei survival horror: Leon deve veramente barcamenarsi per sopravvivere, per resistere alle insidie di un mondo ostile e impietoso.

Lo sviluppo della storia ha poi un ritmo calcolatissimo: il gioco sa quando aprirsi all’esplorazione, quando incentivare un filo di backtracking – invitando l’utente a tornare sui propri passi per recuperare tesori e oggetti abbandonati, quando introdurre dei piccoli enigmi da risolvere con un po’ di spirito d’osservazione. Insomma, sa quando cedere alle lusinghe di un incedere più avventuroso e meno battagliero. Il tutto è accompagnato da un fortissimo senso di progressione. Le pesetas raccolte dal Leon in giro per la mappa e tra i cadaveri dei nemici uccisi servono per potenziare il proprio armamentario, per sbloccare nuove armi, delineando un crescendo misurato e inesauribile.

Si sente ancora oggi, quanto fosse avanti Resident Evil 4... quanto fosse deciso sia a stupire il giocatore, a tenerlo sempre sulle spine, a dargli sempre un incentivo per andare avanti: che fosse quello di affrontare un altro Tyrant, di potenziare tutte le statistiche di un’arma, o di scoprire una nuova ambientazione.

C’è un aspetto, a proposito di scenari, che mi ha molto colpito, avvicinando questo remake dopo aver giocato a Village. In molti abbiamo osservato come la seconda avventura di Ethan fosse di fatto una sorta di galleria dell’orrore, un’antologia: prima di castello gotico di Lady Dimitrescu, poi la parentesi di Casa Beneviento, chiaramente ispirata agli horror moderni, poi la palude dell’uomo-pesce Moreau, infine la sfumatura meccanica e industriale di Heisenberg. È stato abbastanza curioso scoprire che questa tendenza enciclopedica c’era già nell’episodio di diciotto anni fa: il lago che si incontra subito dopo il villaggio nasconde orrori cresciuti nelle sue profondità, prima di lasciare il posto al castello sfarzoso e barocco di Ramon Salazar; infine, sebbene sull’isola in cui è ambientata la parte finale non sorgano fabbriche e complessi produttivi, l’atmosfera diventa molto più moderna.

A onor del vero non è troppo difficile accettare questa personalità eclettica e stravagante, basta sapere che siamo di fronte a un capitolo meno coerente, meno elegante di altri (per quanto “elegante” non sia un aggettivo facilissimo da associare a Resident Evil).A dirla tutta, e mi perdonerete se in questa recensione mi sposto avanti e indietro come se fossi seduto sull’altalena dei ricordi, di fronte alle incertezze del quinto e del sesto capitolo ci fu chi accusò proprio Resident Evil 4 di aver imboccato un sentiero pericoloso, legittimando la tendenza a puntare soprattutto sull’azione e normalizzando le smargiassate dei protagonisti. Mi sembra abbastanza chiaro, però, che la parabola discendente della serie sia legata invece a una generale mancanza di visione, per nulla imputabile a questo episodio. Rapsodico, esagerato, granguignolesco, Resident Evil 4 conserva anzi l’impronta di Mikami e il suo gusto per tutte le sfumature dell’orrore... comprese quelle più pop.

Per chiudere, si arriva alla fine del gioco con grande soddisfazione, stimolati da un senso di sfida costante. Non è necessario alzare la difficoltà per avere un titolo impegnativo e in qualche caso persino esigente, come sempre meno se ne trovano sul mercato. Peccato per gli ultimi boss che si nuclearizzano con pochi colpi di Magnum, e più in generale per un momento di stanchezza che sopraggiunge nelle ore conclusive. E peccato per l’assenza della storyline di Ada Wong, che corre parallela a quella di Leon e che era giocabile in molte versioni di Resident Evil 4: sarebbe stata la consacrazione definitiva di un remake brillante, che si appoggia sulle fondamenta eccellenti del gioco originale ma lo attualizza con grande attenzione, tecnicamente e non solo.

Dopo tutto questo tempo, Resident Evil 4 non scende dal podio dei migliori Resident Evil, e anzi si dimostra un titolo – a seconda della vostra età anagrafica – da scoprire o riscoprire.

Pubblicato il: 17/03/2023

Provato su: PlayStation 5

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8 commenti

Ancora mi ricordo i movimenti tra lo spastico e il forsennato quando giocai per la prima volta su Wii... che epopea immaginifica che fu!

Ricordo ancora la mia prima copia immatricolata 2005 per il mai troppo compianto gamecube...che ricordi...ottimo lavoro come sempre boys

granguignolesco è bello quasi come gargantuesco, lo aspettiamo nella prossima recensione!

Chi soffre di Hippopotomonstrosesquipedaliofobia può trovare nel Fossa il suo peggior nemico (il mio scopo nella vita è appena diventato utilizzare granguignolesco in una conversazione solo per cogliere la confusione negli occhi del mio interlocuto …Altro... Chi soffre di Hippopotomonstrosesquipedaliofobia può trovare nel Fossa il suo peggior nemico (il mio scopo nella vita è appena diventato utilizzare granguignolesco in una conversazione solo per cogliere la confusione negli occhi del mio interlocutore).
Che bella la lingua italiana, che bello Resident Evil 4, che bella questa recensione!

Come sempre è un piacere leggere le tue Recensioni

Rapsodico,...
Come si fa a non voler bene a Francesco.

Gran bella recensione del remake di un titolo leggendario che aspettavo con grande interesse (e anche un po' di apprensione dato l'affetto), Beh, direi che nelle tue parole si percepisce la ''missione compiuta'' da parte di Capcom che, a parte l'asse …Altro... Gran bella recensione del remake di un titolo leggendario che aspettavo con grande interesse (e anche un po' di apprensione dato l'affetto), Beh, direi che nelle tue parole si percepisce la ''missione compiuta'' da parte di Capcom che, a parte l'assenza della storia giocabile di Ada, pecca solo nell'inesorabile effetto novità e collocazione nel periodo storico di uscita. Bene così! Unica mia nota di dubbio riguarda la palette cromatica diversa dall'originale e (forse) la diminuzione di parti diurne, ma è un'impressione dai video.

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