Recensione

FORSPOKEN

Da un tribunale all'altro

L’amministrazione della giustizia è molto particolare nell’ultimo RPG di Square Enix, sia nella New York videoludica da cui proviene la giovane Frey Holland, sia ad Athia, il mondo in cui si ritrova catapultata di colpo a causa di un bracciale parecchio chiacchierone. Frey è un’orfana con una lunga lista di precedenti penali, e all’ennesimo furto si ritrova davanti a una giudice che non gliele manda a dire, facendole una surreale ramanzina sul suo potenziale sprecato e sulla rabbia che alberga dentro di lei. Insomma, SquareEnix ci fa subito capire che la nostra sospensione dell’incredulità verrà messa a dura prova, come quando, sull’onda di una musica triste e sconsolata, la protagonista scuote i croccantini, di una marca odiata dal suo gatto, e dice che sono tutto ciò che ha – mentre nella stanza accanto c’è un borsone pieno di soldi fino a scoppiare. Insomma, qualche dollaro per il cibo del povero micio, infondo, c’è.

Torniamo un attimo ai tribunali, presenti abbastanza spesso nel corso dell’avventura. In effetti, Frey sembra condannata a finire spesso davanti a persone che, più che amministrare la giustizia, sembrano prendere il tutto come un colossale scherzo. È il caso delle guardie di Cipal che, dopo un’evasione sorretta da flebili ragioni narrative, rimangono immobili e non muovono un muscolo se vedono la nostra eroina. Sul serio: basta una brevissima sezione stealth (purtroppo non degna di questo nome) perché il rocambolesco e misterioso arrivo di Frey a Cipal sia una cosa del passato, dimenticato dalle guardie cui era stato ordinato di tenere in prigione la straniera capace di resistere ai poteri della Rovina.

C’è tanto da accettare, tanto su cui chiudere gli occhi per riuscire ad apprezzare una trama che si rivela un colossale “vorrei, ma non posso rispetto a un capolavoro della letteratura cui viene fatto riferimento fin dai primi minuti dell’avventura. Una copia di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, esponente del genere letterario nonsenso e – se vogliamo – isekai ante litteram, è presente nell’abitazione di Frey. Come Forspoken, anche il romanzo di Carroll aveva una protagonista femminile. Purtroppo, le similitudini si fermano qui. Ad Athia non c’è nulla del continuo senso di meraviglia che accompagna Alice nelle sue avventure sempre sorprendenti, travolgenti, e al contempo portatrici di riflessioni talvolta amare (quelle ostrichette…); ci sono soltanto immense distese punteggiate di luoghi di dubbio interesse, dungeon monotoni e lupi, orsi e zombie feroci, spesso con fauci scopiazzate da quelle del Drago Famelico del primo Dark Souls. Athia non è un paese delle meraviglie, e ben presto la monotonia prende il sopravvento, spingendo il giocatore a sfrecciare in giro per le immense distese del mondo di gioco per giungere al successivo punto di avanzamento della storia, senza la voglia di dedicarsi ad abbattere l’ennesima orda di nemici poco ispirati.

Ecco, ad Athia manca un qualcosa di fondamentale: la sorpresa. Per fare un confronto con un open world che rinunciava a proporre dungeon unici – parliamo di The Legend of Zelda: Breath of the Wild – la grande differenza sta nella presenza di interazioni uniche e interessanti con Hyrule e i suoi abitanti, spesso basate su una fisica gestita certo non in modo realistico, ma costruita in maniera plausibile per creare situazioni in certo modo leggibili da parte dei giocatori. Questo non succede ad Athia, dove una roccia è sempre quello che sembra (una roccia) e una cupola che conduce a uno dei mille dungeon a corridoio, tutti pressoché identici, non fornirà mai una situazione in qualche misura sorprendente, addirittura svelando il tipo di premio offerto (un mantello, una collana) fin dal suo indicatore presente sulla mappa.

A questo punto viene quasi il sospetto che Forspoken voglia essere prevedibile, che Square Enix, insomma, abbia fatto tutto di proposito. Sarebbe un qualcosa di preoccupante, perché gli open world possono fare molto meglio di così. Elden Ring lo ha dimostrato. Questa prevedibilità affligge anche la storia, tanto che è sorprendente scoprire che il concept di base della storia proviene dall’illustre Mary Hennig in persona. Hennig ha voluto confezionare una trama basata tutta su figure femminili, Frey innanzitutto, ma anche le Tantha, quattro governanti dotate di poteri magici, ciascuna detentrice di una particolare virtù: sapienza, giustizia, forza e virtù. Ormai impazzite a causa di una forza misteriosa, sono sconvolte dal male che alberga in loro e che ha portato alla rovina l’intero mondo di Athia, con la cittadina di Cipal come unico luogo sicuro per la popolazione. Parlando di Cipal, è un peccato constatare come questo insediamento – che funge da hub centrale per Frey – sia piatto, privo di vita e di autentica sostanza: i personaggi non giocanti hanno storie spesso poco intense e interessanti, fatta salva la giovane Auden (che aiuta Frey ad evadere dalla prigione all’inizio dell’avventura), e lo stesso vale per le missioni secondarie, piatte e ripetitive. Anche i collezionabili – pupazzi, monete: niente di straordinario – non forniscono ricompense tali da spingere il giocatore ad approfondire l’esplorazione. Un bonus ai danni da veleno del 5 %? Un’offerta generosa, ma no, grazie.

Tutto questo è un peccato, perché ci sono tanti elementi che avrebbero fatto ben sperare. Le caratteristiche delle Tantha rimangono sulla superficie, così come la loro storia passata, segnata da una feroce guerra e da poco più; la loro caratterizzazione è creata soprattutto grazie a un design sopraffino dei loro abiti, che giocano un ruolo fondamentale anche per Frey. Tantha Sila, paladina della forza e prima fra le signore di Athia ad essere affrontata dalla giovane newyorkese, è vestita di un abito lungo sui toni del rosso e dell’oro che ricorda da vicino i capolavori della stilista olandese Iris van Herpen; per Tantha Prav, personificazione della giustizia, i designer hanno guardato alle rappresentazioni classiche della Vergine Maria, vestendola di un lungo mantello di velluto blu, colore preziosissimo nei secoli passati perché ottenuto tritando il lapislazzuli, pietra che a lungo ha avuto un costo paragonabile a quello dell’oro. Magistrale anche il lavoro fatto su Frey, che mantiene ai piedi le sneakers cui è affezionata, ma indossa collane e mantelli dalla foggia elegante in grado di potenziare le sue abilità e di manifestare la sua nuova appartenenza a un mondo diverso, da cui inizialmente vorrebbe staccarsi, ma che pian piano la assorbirà sempre di più. Il contrasto tra la regalità di un capo raffinato per eccellenza – il mantello – e le scarpe moderne, bianche ma lise da un lungo utilizzo, è di quelli che si fanno ricordare. Ottima pure l’idea di rafforzare le magie di Frey con diverse tipologie di smalto per unghie, dato che gli incantesimi provengono proprio dalle sue mani.

Quelle sneakers sudicie hanno molta strada da fare, e la rapidità negli spostamenti è assicurata da una meccanica interessante e funzionale: il parkour magico. Man mano che sconfigge i boss principali del gioco, la protagonista guadagna sempre più abilità capaci di sbloccare nuove opzioni per attraversare le immense distese di Athia. Se è vero che raramente si sentirà la necessità di fermarsi a guardare il paesaggio – Forspoken non è certo una delle meraviglie tecniche della nuova generazione di console – è pur vero che l’esplorazione guadagna così un senso di libertà e di velocità travolgente che riesce a intrattenere e a far avvertire i sentimenti di Frey, da un lato preoccupata per essere stata catapultata in un mondo conosciuto, dall’alto finalmente libera dalla sua fedina penale, da un appartamento squallido, da una vita che non le aveva mai dato ciò che desiderava. È forse anche per questo che si avvertono con violenza, come un fastidio, le frequenti interruzioni di queste traversate con spiegoni ingombranti e fuori posto: Mímir e Kratos hanno mostrato come è possibile gestire enormi moli di dialoghi e racconti in maniera dinamica, senza interrompere il flusso dell’azione. Certo, Cuff chiacchiera in continuazione durante l’esplorazione di Athia, ma spesso ci costringe a fermarci per porgli delle domande specifiche, senza contare che questo approccio “on the road” è adottato solo con lui e non con altri personaggi non giocanti dell’avventura. Insomma, la lezione di God of War non è stata accolta da Square Enix, e in un particolare momento del gioco – verso la fine dell’avventura principale – mi sono trovata a trascorrere un tempo interminabile per inseguire visioni simili a simulacri di cristallo, ancora più immobili e freddi dei criticati ologrammi di Horizon Zero Dawn. Il fatto che ciò avvenga in un’occasione nodale di rivelazione della natura di Frey non aiuta a costruire empatia e interesse nei confronti del destino del personaggio, presto catapultato verso un finale disastroso, con una “sorpresa” dopo i titoli di coda che mi ha fatta seriamente interrogare su come siano state prese certe decisioni nel team narrativo di Square Enix, e che configura, a tutti gli effetti, una delle scelte narrative più incomprensibili che io ricordi in un videogioco.

Nel piattume generale di un mondo tanto gigantesco quanto monotono brillano i poteri magici di Frey, divisi in diverse “scuole”, ben implementati e differenziati fra loro, capaci di garantire sessioni di combattimento divertenti, dinamiche, godibili, improntate alla velocità, cifra stilistica che, l’abbiamo già visto, contraddistingue anche l’esplorazione di Athia. Si avverte l’emozione di una newyorkese che piano piano ci prende gusto, anche se le architetture di Athia non creano mai situazioni tali da rendere necessario un utilizzo creativo dei poteri magici: tutto si riduce al cercare il tipo di incantesimi cui il nemico di turno è debole – e ciò è molto semplice, dato che c’è una precisa codificazione per colori – e avviare la mattanza, utilizzando le abilità di parkour di Frey per schivare, allontanarsi o avvicinarsi a seconda delle circostanze. Non male le boss fight, a esclusione dell’ultima, contraddistinta da un design dell’avversario banale e tutt’altro che unica nelle sue meccaniche. In estrema sintesi, Athia non si apre mai all’inaspettato, ed è questa la ragione per cui Frey non riesce a raggiungere l’obiettivo per lei segnato da Square Enix: diventare una nuova Alice nel Paese delle Meraviglie.

Pubblicato il: 10/02/2023

Provato su: PlayStation 5

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10 commenti

Agitprop femminista e gioco indegno a tutto tondo, Flopspoken è un prodotto chiaramente per le "nuove generazioni" di non-gamers, quindi adolescenti "Gen Z" e pubblico femminile. Eppure sembra che nemmeno loro l'abbiano apprezzato granché, forse os …Altro... Agitprop femminista e gioco indegno a tutto tondo, Flopspoken è un prodotto chiaramente per le "nuove generazioni" di non-gamers, quindi adolescenti "Gen Z" e pubblico femminile. Eppure sembra che nemmeno loro l'abbiano apprezzato granché, forse oscurato anche da altre uscite concomitanti - ed altrettanto spazzatura - come il demake di Dead Space e il gioco di Harry Potter. Incredibile vedere quanto sia caduto in basso il medium videoludico in meno di un decennio.

Diciamo che se prima delle recensione Forspoken nella mia testa si collocava nella fascia "39,99 euro in offerta su Amazon" adesso si posiziona comodamente nell'opzione "se lo danno nel PS plus di questo mese magari lo scarico"! Ottima recensione co …Altro... Diciamo che se prima delle recensione Forspoken nella mia testa si collocava nella fascia "39,99 euro in offerta su Amazon" adesso si posiziona comodamente nell'opzione "se lo danno nel PS plus di questo mese magari lo scarico"! Ottima recensione comunque e spettacolare l'impaginazione, così il Fossa ci va un po' in brodo di giuggiole!

Complimenti per la recensione e l'impaginazione!

Sono qui solo per i piedini delle modelle.

Riuscite a stupire anche me con le impaginazioni. assurdo

Bellissimo articolo, forspoken mi è sembrato esageratamente arcade, un bel gioco ma non eccezionale.

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