Pokémon

SCARLATTO

e

VIOLETTO

SCARLATTO e VIOLETTO

recensione

recensione

Quando si ha fra le mani una formula di successo longeva, soprattutto nel campo dell’arte, è inevitabile tentare di volerne alterare la struttura per evitare che divenga stantia. Lo ha fatto The Legend of Zelda con Breath of the Wild, dopo anni di calo commerciale e mediatico che sono seguiti a Twilight Princess, reinterpretandosi come open world fatto di silenzi e risorse estremamente limitate; lo hanno fatto i Metallica con l’album Load, approdando a sonorità Hard Rock dopo anni di scuola Thrash Metal, e purtroppo non è andata bene come al paladino di Hyrule.
La serialità richiede anche sperimentazione, e questo Pokémon lo sa bene. Volgendo lo sguardo agli ultimi dieci anni del franchise, infatti, possiamo assistere a continui cambi della proposta ludica, non sempre evoluzione coerente di ciò che li precedeva. Nel 2013 abbiamo l’arrivo del 3D con Pokémon X e Y, espanso nel 2016 con Sole e Luna, poi però è arrivato il 2018 dei Let’s GO, che hanno tentato di sposare meccaniche da mobile game, per poi tornare nel 2019 a più tradizionali Spada e Scudo che hanno accennato una telecamera libera e una piena trdimensionalità. Dopo, il caos, la crisi di mezz’età, la paura dei trent’anni che colpisce sia Cilurzo che i Mostriciattoli Tascabili: Diamante Lucente e Perla Splendente, dei remake che tornano alla visuale classica dall’alto e ripropongono una struttura RPG figlia del 2006, Leggende Pokémon Arceus, un open map con un gameplay completamente diverso rispetto alla serie principale ma comunque non considerato spin-off, infine Pokémon Scarlatto e Violetto, che ignorano quanto accaduto ad Hisui e promettono un’avventura open world e priva di percorsi predeterminati.

Di quest’ultimo sforzo produttivo si è parlato tanto negli scorsi mesi, e la communis opinio sembra indicare un prodotto con una direzione inedita e innovativa per il brand, le cui ali sono state tarpate da problemi di prestazioni e bug. Niente di più lontano dalla mia opinione, che vede nelle compenetrazioni di Koraidon la sola punta dell’iceberg.
Pokémon Scarlatto e Violetto sono in primis dei titoli confusi, che cercano di realizzare obiettivi diversi con idee dal contenuto e risultato incostante; rapportandoli agli ultimi passi del brand di riferimento, risulta chiaro quanto essi siano figli di una crisi d’identità che va avanti e si inasprisce da tempo. Game Freak ha tentato di lanciare nel calderone tante proposte innovative, e l’esito di questa rianimazione artistica è eterogeneo tanto quanto le vie intraprese per ottenerla. Alcune delle novità di nona generazione sono quantomeno coraggiose, talvolta convincenti, e mi auguro di ritrovarle nel futuro della serie. Altre, ahimè, ricordano che la sperimentazione è un percorso graduale da vivere con criterio.

Lasciatevi raccontare la mia Paldea. 

La penisola iberica Pokémon

La natura di Paldea si compone dei consueti biomi variegati, ai quali sono associati i Pokémon dei più disparati tipi: tra i tanti, l’arido Deserto di Alasar ad ovest, dimora di Sandile e Larvesta, le miniere dell’Area 3 Est, presiedute dai rocciosi Rolycoly, e l’autunnale Bosco Torrado, casa per gli Heracross e per gli Amoonguss.In evoluzione con quanto visto nella mappa della Landa Innevata della Corona di Pokémon Spada e Scudo, le zone naturali di nona generazione presentano mappe aperte con telecamera regolabile a piacimento, prive di caricamenti eccetto che per rare zone istanziate, e con una verticalità che pesca direttamente dalla cugina Hisui di Leggende Pokémon Arceus.
Come da tradizione, gli obiettivi in queste aree sono raccogliere gli oggetti più utili, sfidare gli Allenatori per accaparrarsi Punti Esperienza, e catturare i Pokémon più rari e ambiti; rispetto al passato, però, il level design e posizionamento delle varie attività in mappa ha cambiato sapore, tentando di unire la formula di Satoshi Tajiri al genere open world.

L’espansione del mondo di gioco ha comportato in primis una necessità di reinterpretazione della geografia delle mappe, con percorsi che non sono più rettilinei con svicoli multipli ma luoghi estesi con un’alternanza di zone pianeggianti e soprelevate. Il giocatore, piuttosto che capire quale sentiero porti all’uscita e quale invece a un vicolo cieco, deve comprendere attraverso l’osservazione quale possa essere il punto d’accesso per raggiungere la vetta di un monte o il retro di una staccionata, e se egli sia o meno in possesso degli strumenti esplorativi adeguati per farlo.
Questa formula, chiaramente, funziona nel momento in cui il design delle varie aree viene studiato meticolosamente, e arricchito con enigmi ambientali da risolvere: un risultato che la Paldea di Game Freak raggiunge solo in alcuni casi, presentando di fatto ambienti dalla qualità incostante.

Come visto nei tanti trailer dedicati a Scarlatto e Violetto, i Pokémon Leggendari Koraidon e Miraidon sono dotati di vari poteri quali “Planata” e “Scalata”,  e solo ottenendoli tutti è possibile visitare in toto le aree offerte da Paldea.
Il giocatore dunque viene invitato ad arrestare l’esplorazione a più riprese, a segnarsi quali punti d’interesse non sia riuscito a raggiungere, e la curiosità di comprendere cosa sia l’oggetto luminoso che scorge in cima a una vetta ingenera la voglia di proseguire nel titolo, ottenendo nuovi poteri per la proprio cavalcatura proprio come accadeva in Leggende Pokémon Arceus; una formula che nelle aree curate funziona, e la cui potenza viene purtroppo mitigata da una mini-mappa non funzionale, che inspiegabilmente non permette più di apporvi segnalini e che costringe ad annotare su quaderni o file di testo l’iter esplorativo.
Inoltre, in linea con quanto vissuto ad Hisui, il senso di aumento del pericolo è stato scardinato dalla semplice numerazione del percorso, ed è ora ancorato al raggiungimento di aree soprelevate e remote di una specifica zona. Il mondo di fantasia rinforza quindi la sua credibilità, poiché i Pokémon potenti si mischiano a quelli deboli: un Pokémon al livello 50, anziché trovarsi a cento chilometri da quello debole, è solo più in alto di lui, su una vetta che né i cuccioli né gli Allenatori inesperti possono dominare.
In ultimo, ma non meno importante, grotte come il Passo Mescadia, o aree avanzatissime sulle quali non scendo nel dettaglio, presentano una moderata espansione del concetto di “Dungeon”, che finalmente abbandona lo scheletro proprio delle due dimensioni fatto di vicoli ciechi e abbraccia un level design più lucido nel quale entrate e uscite si intersecano a spirale, scorciatoie nascoste collegano punti distanti, e le ricompense più preziose vengono nascoste da ostacoli ambientali che presentano piccoli passaggi segreti. 

La Mappa di Paldea, la nuova regione di Scarlatto e Violetto

Se tutta Paldea fosse strutturata come le zone che ho appena descritto, con grande piacere vi starei parlando di una netta evoluzione della geografia di una regione Pokémon, in termini ludici ed estetici; purtroppo, però, quanto detto è solo una parte del tutto, fatto anche e soprattutto di scelte discutibili. Molte altre mappe, infatti, hanno un level design decisamente abbozzato, che riduce vertiginosamente verticalità, sentieri spiraleggianti e alternanza di luoghi visitabili e inaccessibili descritti in precedenza.
Il Deserto di Alasar è solo un enorme distesa pianeggiante senza svincoli o segreti, con qualche micro montagna da scalare che non porterà a null’altro che a oggetti secondari; la Sierra Napada, di gran lunga il punto più basso di Paldea e forse di ventisei anni di esplorazioni Pokémon, ha direttamente un solo e singolo sentiero, contornato da alture dalla bassa mole poligonale talmente frastagliate da far spesso cadere nel vuoto sia il giocatore sia i Pokémon che vi si trovano sopra, lasciando costantemente il dubbio di non essere state create per essere realmente esplorabili. E se contiamo che la suddetta mappa ricopre il 50% del nord di Paldea, si comincia a realizzare l’entità del problema.
I difetti descritti, peraltro, si inaspriscono a causa di uno scarso livello di dettaglio delle aree, che premetto non concernere solo la qualità tecnica delle texture a schermo: la totalità della regione di Paldea presenta concept geografici basilari, che livellano le zone esplorabili a continue ripetizioni dello stesso schema, sufficiente sì a distinguere una macro area dall’altra ma incapace di differenziarle al loro interno.
Al di là di estetica e level design, in ogni caso, i percorsi Pokémon sono sempre stati caratterizzati dal loro contenuto, e la nona generazione non fa certo eccezione. Anche in questo caso, però, non tutti gli esperimenti di Game Freak funzionano a dovere. Partiamo da qualcosa che mi ha sorpreso in positivo sin dall’anteprima di Londra ad ottobre, ovvero il nuovo ruolo che gli Allenatori ricoprono nel contesto overworld. Non più incontri obbligatori, niente “incroci di sguardi” come ricordano scherzosamente alcuni NPC: adesso i maestri di Pokémon, posizionati in punti più o meno nascosti della mappa, vengono sfidati volontariamente dal giocatore che interagisce con loro, fungono da ricompensa per l’esplorazione del mondo di gioco e garantiscono ricompense al Centro Pokémon qualora siano stati sconfitti in gran numero.
Benché mantengano la loro centralità come strumento principale di ottenimento dell’esperienza per il proprio party, con tanto di Allenatori dalla textbox nera che utilizzano Pokémon più potenti della norma, il giocatore percepisce questi NPC non tanto come un ostacolo, ma come uno dei cardini che scandiscono l’esplorazione: trovare un Allenatore da sfidare significa comprendere che non si è ancora visitato una determinata area, mentre passare accanto a un uomo che non vuole lottare denota che probabilmente abbiamo già imboccato quella via in precedenza.
Attraverso queste lotte, insomma, si riesce a recuperare un minimo del senso d’orientamento sottratto dagli altri elementi descritti, si ottengono informazioni su nuovi Pokémon mai visti e si è spinti alla loro ricerca, talvolta grazie ai loro dialoghi si scopre persino qualcosa in più sulla storia passata e presente di Paldea; l’unica pecca, sicuramente trascurabile, è che le classi Allenatore non sono moltissime e si finisce quasi sempre per scontrarsi con studenti con la nostra stessa identica casacca. 

Sugli oggetti, altro contenuto delle aree, il discorso da fare invece è un po’ più complesso. Nel passato della serie Pokémon gli Strumenti erano inseriti nel level design come rara ricompensa per aver imboccato una strada opzionale, spesso ben nascosta e senza via d’uscita; a Paldea però, come già puntualizzato, questo ruolo spetta agli Allenatori, quindi coerentemente anche gli oggetti cambiano forma. In nona generazione Pozioni, Pokéball e Revitalizzanti, che appaiono come fasci di luce visibili da lontano, sono quasi sempre in bella vista, e la loro densità per percorso è elevatissima. Essi hanno persino un timer di respawn, che è relativamente basso, e ricoprono di fatto la funzione degli strumenti di crafting di Leggende Pokémon Arceus; la scelta di Game Freak è sensata, poiché il giocatore in una mappa più vasta è poco propenso a tornare a curarsi nei Centri Pokémon o a fare compere al PokéMarket. Io stesso, più volte, mi sono trovato a curarmi con gli Strumenti o a usare una Pokéball trovata per terra, anziché costringermi a scomodi teletrasporti che avrebbero diluito la mia esplorazione.
Il problema che ho riscontrato riguardo la nuova distribuzione degli strumenti, purtroppo, non è dovuto al significato intrinseco che hanno nello scheletro di game design del gioco, ma alla sinergia negativa che viene a crearsi con i difetti già citati: perdendo il loro ruolo di bussola, essendo gettati alla rinfusa in ogni area, e risultando numericamente spropositati, gli Strumenti contribuiscono a generare un "inquinamento visivo" che aumenta il senso di disorientamento del giocatore.
In mappe che non hanno punti di riferimento, che tendono a essere geograficamente troppo anonime, e che non possono essere cartografate con segnalini, sono state numerose le volte in cui ho raccolto lo stesso oggetto ricomparso in mappa per la decima volta, solo per poi rendermi conto che si trattava di una sezione di giocato già vissuta; MT e oggetti rari come ricompensa per il ritrovamento di un luogo segreto ci sono, ma sono davvero rari, e in netta inferiorità numerica rispetto alla moltitudine di Strumenti semplicemente gettati all’aria aperta, come se qualcuno avesse svuotato un sacco in mezzo alla natura. Non credo dunque che Game Freak abbia fallito nel ricontestualizzare gli oggetti in chiave open world, ma solo che non potesse permettersi l’ennesimo elemento casuale in aree che necessitavano di qualche binario fermo in più; a riprova di ciò i materiali di Leggende Pokémon Arceus, distribuiti allo stesso modo ad Hisui, non mi hanno mai dato la sensazione di volermi confondere e farmi smarrire.

L’ultimo elemento che decora le aree della Spagna di Game Freak, e che come da tradizione rappresenta il nucleo dell’esperienza esplorativa, sono ovviamente i Pokémon selvatici. D’istinto, e con un piacere che rimane invariato dall’inizio alla fine dell’avventura, si è spinti a imboccare percorsi e sentieri in direzione delle nuove creature selvatiche che appaiono dinanzi agli occhi, catturando quelle non possedute ed eliminando quelle indesiderate (azione ora semplificata dalla nuova funzione “Let’s GO” che permette ai propri Pokémon di combattere passivamente e ottenere materiali per la creazione di MT). Rispetto al passato la varietà di Pokémon reperibili in una singola area è aumentata, probabilmente per lasciar vivere la grandezza dei biomi offerti anche attraverso una ricca fauna. Un altro dato interessante, che contribuisce a valorizzare il lato collezionistico dei giochi, è che i medesimi Pokémon possono apparire in aree di Paldea molto diverse e molto lontane fra loro. Questo da una parte riduce il senso di novità percepito all’approdo in una nuova zona, certo, ma dall’altra garantisce un bilanciamento del gioco riguardo l’ottenimento di specifiche creature in un dato momento di gioco: che si parta da est o da ovest, è probabile che il giocatore incontri per primi Pokémon come Pawmi o Cyclizar, e per ultimi i mostri sacri che occupano le posizioni finali del Pokédex.

I tre starter dell'ultima generazione disegnati da James Turner, art director di Pokémon che ha lasciato di recente il suo ruolo per dedicarsi allo sviluppo di The Plucky Squire. 

Ai pregi descritti, e ormai mi rendo conto di sembrare un disco rotto, fanno ahimè da contrappeso diverse scelte che fatico a comprendere. La prima, la più importante e che mio malgrado contribuisce alla sinergia negativa dei difetti del titolo, è che i Pokémon non sono distribuiti in mappa armoniosamente, dividendosi in piccole famiglie come quelle di Hisui, ma al contrario sono gettati all’aria aperta alla rinfusa, concentrandosi in pochi spawn point comicamente sovraffollati. 
Aggiungiamoci che i Pokémon spariscono per sempre dopo pochi metri dall’allontanamento del giocatore, al contrario di Hisui che manteneva memoria dell’intera mappa di spawn ovunque il giocatore fosse, e che le interazioni fra selvatici promesse da alcuni trailer sono ancora meno presenti di quanto (poco) ci si potesse aspettare, e il quadro delle scelte che inficiano la godibilità dell’esperienza si completa. Esplorare Paldea è un’attività che tenta di essere sostenuta dalla forza e bellezza dei Pokémon, dal posizionamento degli Allenatori e dei “paletti misteriosi”, ma un level design incostante, una geografia confusa e il piazzamento casuale di diversi punti di interesse la rendono talvolta un’esperienza dimenticabile e a tratti noiosa. Non aiuta infine il fatto che le musiche tradizionalmente associate ai percorsi, e quasi sempre azzeccate, siano state ora appiattite a quattro tracce che rappresentano i punti cardinali di Paldea e che vengono unicamente riorchestrate al variare dell’area: capisco l’obiettivo di voler sottolineare anche musicalmente la continuità della regione, ma il risultato raggiunto è solo quello di aver creato un sottofondo ripetitivo a corollario di esplorazioni confuse. I difetti della natura di Scarlatto e Violetto, purtroppo, si alimentano vicendevolmente, dipingendo un quadro di luci e ombre che difficilmente non fa sollevare qualche sopracciglio. E la valutazione degli interni, quando dai colli ci si sposta in città… non va incontro a un destino tanto diverso.

Barricati in Accademia! 

Proprio come ogni altro titolo della serie, anche Pokémon Scarlatto e Violetto presentano un’alternanza di aree naturali e zone antropizzate. A eccezion fatta di Mesapoli, però, l’entrata e l’uscita da una città di Paldea avviene senza caricamenti di sorta, in quanto una delle caratteristiche tipiche degli open world è permettere un’esplorazione priva di soluzione di continuità.
Questa scelta non solo permette al giocatore di ridurre i tempi morti che affliggevano Spada e Scudo ad ogni spostamento, ma è anche capace di donare alla serie l’inedito piacere dell’aspettativa. In passato, pur trovandosi a due passi da una grande città, il giocatore era costretto a entrarvi dentro per scoprire le sue architetture: adesso invece da una delle Torri di Vedetta Est è possibile scorgere le luci di Leudapoli e le sue pompose pubblicità, il che suscita curiosità e desiderio di visita del centro urbano di turno all’orizzonte. Purtroppo, però, la forza del colpo d’occhio funziona solamente per alcune città di Paldea, a causa della consueta mancanza di concept architettonici di spessore. Diverse città di minor importanza, come la piccola Moldulcia, sono a dir poco approssimate. La loro struttura, più simile a quella di un modellino di plastica che a un reale centro urbano, rompe talvolta l’immersione.
Scomodando di nuovo la crisi di mezz’età di Pokémon, ho la sensazione che la software house di Tokyo abbia cercato di costruire un gioco open world sperando che la buona volontà, senza studio degli effettivi estremi del genere, bastasse per rendere il desiderio realtà. Ma non funziona così, serve studio, e per lo studio serve tempo, che il carrozzone di The Pokémon Company sembra non volersi concedere da circa un decennio. Benché questo influenzi l’intero progetto di nona generazione, credo che gli interni di Paldea diano modo di toccare concretamente il dislivello di esperienza che Game Freak presenta riguardo le diverse sezioni che compongono Scarlatto e Violetto. Al loro interno, non esagero, ho avuto contemporaneamente i momenti migliori e peggiori del mio giocato in nona generazione Pokémon. 

L'Accademia che campeggia su Mesapoli

Partiamo con la grande sorpresa che probabilmente nessuno, anche il più ottimista dei fan della serie, si sarebbe potuto aspettare. L’Accademia di Mesapoli, una scuola di formazione per Allenatori in erba, ha rappresentato per me uno dei fiori all’occhiello dei titoli, e al suo interno ho trascorso talmente tante ore di piacere che ho cominciato a desiderare di rimanerci chiuso dentro per il resto della campagna.
Si tratta di un’area istanziata proprio come la città nella quale sorge, e benché a livello esplorativo non sia generosa, dato che consta di piccole mappe unite da un sistema di teletrasporto, in quanto ad attività è forse il luogo più ricco di Paldea.
In primis, è possibile dedicarsi alla lettura di numerosi libri, alcuni dei quali sono ricchi di contesto sul world building di Paldea e accessibili sin dalla prima visita. Un deciso passo in avanti rispetto alla famigerata Biblioteca di Canalipoli, che forniva preziosi retroscena sulla mitologia di Sinnoh solo in coda all’avventura principale di Diamante e Perla. I Libri Scarlatto e Violetto, in particolare, ricoprono un ruolo simile all’incontro anticipato di Zacian e Zamazenta nell’apertura di Pokémon Spada e Scudo: attraverso loro il giocatore apprende dell’esistenza di un mistero che affligge i paldeiani da migliaia di anni, sviluppa il desiderio di risolverlo, e trova un motivo consistente per affrontare le esplorazioni che lo attendono. L’incipit della lettura, che voglio anticipare davvero poco per non rovinare la sorpresa a chi ancora non ha vissuto i titoli, è che sul fondo della voragine che si trova al centro di Paldea pare esserci un tesoro inestimabile, che in tanti, troppi uomini hanno provato a cercare senza successo e senza ritorno in superficie. Si tratta di un racconto che nell’incedere perde piacevolmente i connotati tipicamente fiabeschi di Pokémon, e assume sfumature economiche, politiche, fantasy e persino emotive; proprio come in tutti gli altri elementi di Scarlatto e Violetto, Game Freak ha cercato di sperimentare, e dove ha già sedimentato esperienza l’allontanarsi dai binari consueti è stato sicuramente premiante.
Anche la peggiore delle esplorazioni, anche la più desolata delle Sierra Napada è stata affrontata con il desiderio di conoscere qualcosa in più sul grande enigma di Paldea, e talvolta la mia pazienza è stata persino premiata. Per quanto la narrazione non sia certo capace di sobbarcarsi il peso dei tanti inciampi compiuti altrove, è impossibile non notare quanto sia migliorata rispetto a tutti gli altri capitoli 3D della serie principale: al netto di un finale poco chiaro, l’unione di libri di lore e dialoghi è stata vincente e ha rappresentato per me il principale motivo d’entusiasmo nel vivere la nona generazione dall’inizio ai titoli di coda. Non sono solo letture passive, però, le attività offerte dall’Accademia di Mesapoli. Al suo interno troviamo anche un sistema di lezioni scolastiche, in tutto e per tutto ispirato alle sezioni “Slice of Life” di Persona, che si mostra come intelligente strumento multidirezionale capace di raggiungere svariati obiettivi. Grazie a questi insegnamenti, che riguardano ben sette materie da sei lezioni l’una, si forniscono in primis tutorial di gioco agli Allenatori novizi, ben più interessanti e interattivi dei soliti e semplici “spiegoni” da libretto d’istruzioni. Se le prime lezioni risulteranno ovvie e scontate per i più esperti, benché mai noiose poiché sempre esposte con arguti legami con il mondo di gioco, quelle più avanzate conterranno informazioni poco note persino ai fan più incalliti.
I chiarimenti sulle meccaniche del gioco, comunque, sono solo la punta dell’iceberg. Grazie alle lezioni Game Freak ci racconta anche del mondo di gioco, diffonde piccole nozioni di cultura generale per i più piccoli, chiarisce punti ciechi della storia di Paldea o della biologia moderna, e in ultimo ma non meno importante racconta i professori stessi che le presiedono. Eccetto che per le lezioni di Lingua, tutti gli appuntamenti in cattedra sono stati memorabili e il mio interesse nei loro confronti è cresciuto di sessione in sessione, coronato peraltro da esami orali nei quali il giocatore viene davvero messo alla prova con domande a trabocchetto, e deve dimostrare sia di aver appreso quanto insegnato che di aver approfondito gli argomenti sul campo per conto proprio. 
Più volte, mettendo a paragone l’impasto ludico dell’Accademia rispetto al resto del titolo, mi sono sentito spaesato da quanto fossero distanti fra loro. E il bello è che non è finita qui. In ultimo ma non meno importante, a scuola è possibile stringere amicizia con i Professori anche fuori dall’orario di lezione, accedendo a dialoghi opzionali che ancora una volta ricalcano Persona e i suoi Social Link. A differenza di altri giochi Pokémon, in cui i personaggi principali adulti sono macchiette che hanno le luci puntate addosso per il solo tempo di una lotta o due, Pokémon Scarlatto e Violetto concedono il piacere di conoscere a fondo i loro personaggi, alcuni dei quali presentano retroscena sorprendenti con i quali è difficile non empatizzare. Badate bene, si tratta di parentesi narrative che mantengono un tono fiabesco e mai totalmente drammatico, ma è in fondo coerente con il brand d’appartenenza: a Pokémon non si chiede di tornare ai tempi di Takeshi Shudo, adorati tanto quanto lontani dall’identità del franchise, ma di raccontare storie con il proprio personale stile. E l’Accademia, in ogni sua forma, centra questo punto con una precisione quasi disarmante, visto il contesto ludico traballante nel quale sorge. 

I due stemmi dell'Accademia - Arancia e Uva - diversi a seconda della versione scelta

Se ogni generazione Pokémon finisce per presentare un elemento che non deve (o meglio: non dovrebbe!) mai più abbandonare il franchise, questa volta tale menzione va di diritto dell’Accademia. Mi auguro davvero che i prossimi giochi generazionali presentino un simile hub centrale, in cui si sviluppino attività opzionali, approfondimenti di world building, e sezioni narrative dedicate ai personaggi che non possono raccontarsi solo durante le sfide che li vedono protagonisti. Il difetto delle lezioni, ahimè, è che finiscono. E una volta finite, ci abbandonano al resto degli interni di Paldea, che hanno ben più problemi di quelli descritti inerenti all’architettura.
Le città di Pokémon Scarlatto e Violetto, in una inspiegabile involuzione rispetto a uno dei cardini della serie principale sin dalla sua nascita su Game Boy, sono vuote. Marginali. Inconsistenti narrativamente e lucidamente. Scordate i minigiochi negli hotel, easter egg, dialoghi rilevanti con NPC o qualsivoglia buffa parentesi narrativa sulla consegna di un oggetto raro. Le “metropoli” di Paldea presentano unicamente negozi di strumenti o indumenti, quasi tutti uguali fra loro, e privi di interni realizzati in 3D: tolto il parrucchiere, che è comunque un interno copiato e incollato da Pokémon Spada e Scudo, tutti gli altri negozi sono menù statici con uno sfondo anonimo e senza neanche una musica identificativa.
Inevitabile, dato il confronto con l’Accademia di Mesapoli, chiedersi perché il world building di Paldea sia contemporaneamente il più curato della serie e il più disastroso dai tempi degli Spearow che beccano Pikachu. È chiaro che Pokémon Scarlatto e Violetto ruotino attorno alla natura e all’Accademia centrale, dunque perché inserire altri centri urbani con così poco da fare e così malcurati sotto ogni punto di vista? La sensazione che ho avuto è che Game Freak volesse necessariamente inserire lo stilema delle città Pokémon dentro titoli che, vuoi per tempistiche ristrette, vuoi per direzione artistica, non avevano assolutamente spazio per loro. Laddove Leggende Pokémon Arceus sceglie di tagliarle nettamente, con la scusa di una regione preistorica che poteva contenere solo accampamenti di fortuna, Paldea si costringe ad avere città appena abbozzate che non possono che aprire il fianco alle più disparate critiche. Talvolta l'operazione creativa deve anche fare scelte coerenti con gli strumenti, il tempo e le conoscenze a disposizione. E il continuo ignorare questo assunto credo sia la fonte del fiume di problemi nei quali Pokémon Scarlatto e Violetto sono immersi. 

La libertà… è un’avventura che finisce

Al di là del contesto open world, è chiaro che il filo conduttore di questi titoli Pokémon sia la presenza di tre storyline da affrontare nella campagna principale: il Sentiero Leggendario di Pepe, il Viale della Polvere di Stelle di Cassiopea, e il Cammino dei Campioni di Nemi e Alisma.La struttura di queste tre sezioni è molto diversificata, e questo giova alla varietà di situazioni nelle quali il giocatore può trovarsi all’interno della medesima area esplorabile. Non è sbagliato, dunque, affermare che Pokémon Scarlatto e Violetto sono i titoli Pokémon con il più grande numero di attività diverse che il giocatore si trova a gestire contemporaneamente.Questo equilibrio tripartito, chiaramente identificativo della generazione e capace di scollarla con decisione dalle precedenti, vacilla una volta che si intraprendono i percorsi, che variano molto nella qualità dell’offerta ludica, sia in termini di game design che di difficoltà. Inoltre, purtroppo, l'incedere generale non è esente da poderose sviste di progettazione che forse rappresentano uno dei più grandi difetti della nona generazione assieme alle gestione delle sue metropoli.
Partendo da quello che ho desiderato completare per primo, analizziamo il Sentiero Leggendario. La sua struttura è abbastanza basilare: si tratta di cinque world boss, cinque Pokémon Dominanti giganteschi sparsi in giro per la regione che condividono con quelli di Alola nome e design delle battaglie.
Le lotte contro queste creature non sono né troppo complesse né troppo semplici, quantomeno se le si affrontano a parità di livello; talvolta però, inspiegabilmente, la difficoltà degli incontri viene sbilanciata in negativo dal compagno Pepe, che parteciperà alle battaglie e spesso è in grado di trainarle a favore del giocatore in autonomia.Al contrario di quanto immaginato in fase di campagna marketing, salvo una piacevole eccezione, non c’è poi alcuna fase di ricerca del Pokémon Dominante misterioso: nonostante narrativamente si parli di bestie avvistate poche volte nella regione di Paldea, questi giganteschi nemici passeggiano in bella vista davanti a tutti, la loro posizione è segnata in mappa con precisione, e il loro ritrovamento richiede non ironicamente una manciata di secondi.  Una mancanza che francamente non ho gradito, in contrasto con un world building di solito coerente con quanto dichiarato dai personaggi di gioco, e che sottolinea ancora di più la poca consistenza delle boss fight proposte. 

Il Sentiero dei Campioni, il più classico dei percorsi, rappresenta il gameplay loop di Pokémon per eccellenza. Otto Capipalestra, otto medaglie, otto squadre mono tipo da battere, ma con una simpatica eccezione: dato che Paldea è la terra della Teracristallizzazione, un potere attraverso il quale le creature possono cambiare Tipologia, ogni pezzo grosso di questi abili Allenatori è di un Tipo diverso rispetto alla medaglia di riferimento, e si omologa ai compagni solo attraverso l’uso di questa feature.
Proprio come per Dynamax a Galar, ho gradito la onnipresenza della Teracristallizzazione durante tutta la campagna principale, tra Palestre, Raid, e giocatore che la ha disposizione dopo la prima ora d’avventura. Metabolizzare la nuova meccanica del combat system in decine d’ore d’esperienza è il miglior biglietto d’ingresso da fornire a esperti e novizi per invogliarli a imboccare il lato multiplayer dei giochi, che è dove Pokémon sopravvive nei tre anni successivi ai suoi lanci: e al netto di una realizzazione estetica tutt’altro che gradevole, con dei buffi copricapi che compaiono sui Pokémon dopo la trasformazione, si può constatare con piacere come Game Freak abbia deciso di abbandonare il concetto di “Ultimate Move”, approdando a una decorazione del combat system più mitigata e meno centralizzante.
Benché le Palestre facciano un utilizzo della Teracristallizzazione piuttosto deludente, Teracristallizzando sempre l’ultimo Pokémon del party al primo turno d’ingresso in campo e quindi rendendo leggibile una strategia che si basa sull’imprevedibilità, è altrettanto vero che alcune trovate dei Capipalestra sono oltremodo didattiche, e verrano prese d'esempio dal giocatore per i suoi scontri futuri.Nessuna delle lotte del Cammino dei Campioni, come nel caso del Sentiero Leggendario, è particolarmente complessa se affrontata ad un livello simile a quello dei nemici, ma la scarsa difficoltà di queste boss fight non rappresenta il difetto chiave di questo segmento di giocato. Il vero dramma, Allenatori, è ciò che precede questi incontri. Gli Esami delle Palestre.Dopo il Giro delle Isole di Alola che aveva accarezzato l’idea di challenge prima degli incontri istituzionali, dopo le Prove delle Palestre di Galar che avevano timidamente evoluto questo concept, e con Leggende Pokémon Arceus che aveva concretamente costruito un universo sulle gare a tempo con le sue cavalcature, Game Freak preme sull’acceleratore a marcia indietro inserita e propone minigiochi obbligatori privi di contenuto, talmente confusi che a volte ho fatto persino fatica a comprendere cosa volessero raccontare o richiedere al giocatore. 
Il Viale della Polvere di Stelle, l’ultima punta del tridente di nona generazione, è un’avventura bipartita proprio come il Cammino dei Campioni, e proprio come lui presenta alti e bassi. Confermando la sensazione già espressa in occasione dell’hands-on di Londra, la prima parte delle invasioni delle Basi del Team Star, bulli antagonisti di questo arco narrativo, è basata su un inconcludente spam della funzione “Let’s GO”. La seconda parte, le boss battle contro i Capibanda e le loro Starmobili, rappresenta invece la parte apprezzabile del Viale della Polvere di Stelle, e forse le Lotte più interessanti della campagna principale da un punto di vista strategico e coreografico. Non solo le vetture giganti di questi boss sovrastano il giocatore in altezza, con un design decisamente più armonioso dei Dominanti che compenetrano il terreno, ma hanno delle Abilità uniche che sinergizzano con i team nemici e che orientano il gameplay verso lo scardinare una specifica strategia. Nel futuro di Pokémon, piuttosto che Capipalestra, vorrei vedere molte più boss fight con creature uniche che non esistono altrove, come queste, così da lasciare libertà al team di sviluppo per la selezione di Abilità e sinergie uniche senza doversi preoccupare del loro bilanciamento in multiplayer

È proprio questo grande pregio del Viale della Polvere di Stelle, paradossalmente, a condurci verso il più grande difetto del titolo, ben sopra minigiochi filler e città desolate.
Il ritmo di Pokémon Scarlatto e Violetto è controverso, poiché prende scelte che tendono ad andare in contraddizione fra loro: pur non volendo adottare un sistema di level scaling, ovvero di adattamento del livello dei nemici a quello del giocatore, il titolo decide comunque di lasciare al giocatore la libertà di scegliere quale minaccia affrontare per prima.
Una feature della quale il team va fiero, e che ha reso persino slogan della propria campagna marketing. Ma che purtroppo, nel pratico, non riesce a esprimere appieno. La mappa di Paldea è infatti divisa in due semicerchi, Ovest ed Est, che sono parimenti affrontabili percorrendoli da Sud a Nord. Man mano che si sale la difficoltà cresce, e almeno finché si rimane all’interno del segmento affrontato per primo, si riesce a percepire il brivido della libertà: alcune boss fight sono di livello più elevato delle altre, e se i veterani decideranno di affrontarle non appena incontrate (e magari di scardinarle con qualche acuta tattica), altri giocatori preferiranno tirare dritto e tornare indietro una volta divenuti più forti.
Una volta completato il primo semicerchio, però, come potrete immaginare anche non avendo vissuto il gioco, il secondo diventa estremamente più semplice. La curva di crescita è la stessa identica della metà già affrontata, il che non solo neutralizza la già bassa difficoltà del titolo, ma fa incorrere il giocatore in scene al limite dell’imbarazzo: Capipalestra che dichiarano di essere incredibilmente capaci e che hanno Pokémon 40 livelli sotto quelli del giocatore, Titani pericolosissimi che vengono mandati K.O. con uno sputo, con un’apice raggiunto in una Lega Pokémon esteticamente sgradevole e che se affrontata tardivamente non è minimamente in grado di impensierire. Certo, facendo zig zag tra i due semicerchi si otterrebbe una progressione più regolare e graduale, e il gioco dà persino suggerimenti in tal senso con descrizioni e rari dialoghi dei Centri Pokémon, ma è altrettanto vero che si tratterebbe di un percorso estremamente innaturale e in contrasto con i molteplici inviti a vivere l’avventura in libertà che arrivano dai più disparati personaggi di Paldea. Proprio come per le città infilate in mezzo alla natura sperando che per magia le due metà si amalgamino, Pokémon Scarlatto e Violetto offrono diciotto sfide sorrette da un game design che le rende godibili solo in ordine fisso, e sperano poi che il solo invito a viverle liberamente le trasformi nello scheletro di un open world.
I tempi di Ethelo, dei Pokémon Alpha e dei Bidoof che reggono Zuffa sono lontani. 

Il potere dei sogni

È un peccato non potermi dilungare troppo sul versante narrativo di Pokémon Scarlatto e Violetto per ridurre al minimo gli “spoiler”, ma sarebbe un crimine non dedicare un commento a questo aspetto. Senza troppi giri di parole, in un mare di scelte poco comprensibili e talvolta in contrasto, il titolo presenta un comparto narrativo sorprendentemente solido, che gioca a tennis con i concetti di “storia” e “lore” per spostare continuamente il focus sul passato e sul presente della linea temporale.
Premesso che l’incipit è tra i più brillanti della serie principale, ciò che sorprende di più è la delicatezza con la quale vengono affrontati alcuni temi, soprattutto nelle storyline marginali e meno importanti. Il Viale della Polvere di Stelle, che in teoria dovrebbe essere una spicciola retorica sui bulli, è capace di raccontare il dilemma degli attriti scolastici, con alcune prese di posizione degli autori tutt’altro che scontate e che forniscono spunti di riflessione per i fan Pokémon più attempati. Il Sentiero Leggendario racconta una storia di dolore, il Cammino dei Campioni una piccola e comica favola shonen, e persino le micro sezioni dedicate ai professori dell’Accademia sfiorano parentesi interessanti: i danni del macismo, il peso delle responsabilità familiari, l’amarezza della rinuncia e la realizzazione che non è mai troppo tardi per cambiare la direzione della propria vita. Ammetto le mie colpe: il filo conduttore dell’intera storia, “trovare il proprio tesoro”, che mi era sembrata un banale claim in fase di campagna marketing, è in realtà forse il tema trattato più approfonditamente dalla nona generazione, ed è capace di fare da collante per ogni singolo dialogo senza mai risultare banale. >
Cosa significa davvero “trovare un tesoro”? È un tesoro materiale, come quello che potrebbe trovarsi sul fondo di Paldea, o spirituale, magari legato a un’emozione o una persona specifica? Il tesoro è ottenere qualcosa, o forse realizzare di averla persa? È vincere, o è forse venire sconfitti?
Ripensando a queste domande, e alle risposte che il titolo sceglie di dare, mi si stampa un sorriso in faccia, l’unico forse in grado di controbilanciare i tanti se e i tanti ma offerti dal resto degli elementi. 

Purtroppo anche la narrazione non è esente dai difetti, che si arena su un finale dai tratti poco chiari, in contraddizione (voluta, questa volta) con alcuni assunti che lo precedono, in vista probabilmente di un DLC chiarificatore. Badate bene, il fatto che vi siano dei cerchi da chiudere, e che la prospettiva dei contenuti aggiuntivi sia ora legata a succosi dettagli di trama anziché a storie autoconclusive, è tutt’altro che negative. Non sono mai stato così curioso di continuare l’avventura principale oltre il gioco base, e grazie al tantissimo materiale offerto da dialoghi e letture le speculazioni tanto care agli appassionati fioccheranno come non mai.
Il problema è di forma, poiché la conclusione del gioco, anziché chiudere un capitolo e fornire l’apertura per il successivo, mantiene intatta la quasi totalità dei misteri posti all’attenzione del giocatore, e costringe lo studente di Paldea a comprare il DLC che seguirà per dare un significato alle sue scorribande vissute in precedenza. Una tecnica di marketing sicuramente funzionale, ma che non può che avere il sapore di contenuto tagliato ad hoc: un conto è espandere un finale a posteriori, un conto è privare il giocatore di una qualsivoglia chiusura e imprigionarla a doppia mandata in un contenuto scaricabile futuro. Ma a differenza di quanto statuito per tutti gli altri argomenti trattati in recensione, nei quali il peso degli errori è predominante, pensando al racconto di Pokémon Scarlatto e Violetto non riesco a non conservarne un ricordo positivo. 

Il Ronzio dei Coleotteri 

Il difetto più grande di Paldea, e forse quello più discusso dall'internet, è che si tratta di una regione che mostra regolarmente il fianco a qualche sbavatura, imprecisione o difetto di programmazione che non abbandona mai lo schermo del giocatore.
Come in una sorta di tortura cinese delle gocce d’acqua, non è il singolo bug spaccamascella a turbare il giocato ma il quadro d’insieme, fatto da un incessante susseguirsi di cose che non vanno e distraggono. Talvolta è il framerate, che in alcune aree crolla inspiegabilmente pur essendo prive di dettagli. Altre volte è il terreno che sparisce da sotto i piedi dei Pokémon, muri che mostrano il loro contenuto completamente vuoto, Allenatori e Pokémon che cadono nei baratri nei momenti più concitati della narrazione, musiche che si fermano o che non vengono riprodotte direttamente, crash inattesi dopo ore dall’ultimo salvataggio, fenomeni di stuttering di diversi secondi che fanno mancare qualche battito nel terrore che Nintendo Switch sia da buttare. Che sia il flickering di oggetti distanti o il bizzarro variare delle proporzioni del colle che si ha davanti, il giocatore, come un pover’uomo maledetto, non viene mai abbandonato dalla costante presenza di qualcosa che non va per il verso giusto. E dopo novanta ore di gioco, è certamente in grado di influenzare in negativo la propria esperienza, già minata dalle problematiche di cui sopra. 

A fare scalpore, probabilmente, non è solo il fatto che un gioco Pokémon, primo franchise al mondo, esca in condizioni così simili a un Early Access, ma che a farlo sia un titolo Nintendo. Al di là della forza delle proprie IP, la “Nintendo Difference” è sempre stata nella pulizia e nell’eleganza dei giochi distribuiti sul mercato: non tutte le ciambelle escono con il Super Smash Bros, ma anche i giochi meno brillanti della grande N sono solidi, presentano prestazioni accettabili, e un comparto tecnico quantomeno coerente con l’hardware di riferimento.
Pokémon Scarlatto e Violetto non si limitano a far sembrare l’ibrida Nintendo un Gamecube, come suo cugino Leggende Pokémon Arceus; i titoli si impegnano nel portare in casa Switch il pepe tipico della zona “greenlight” di Steam, con perle quali la bossfight di Pruna, peraltro una delle più studiate, che si rompe da sola poiché con il world weather attivo può piovere e al suo Torkoal viene disattivata l’Abilità. Come se a Godrick, in un universo parallelo, rimanessero le armi bloccate perché il muro della sua arena è troppo basso. 

Giunti alla fine...

Alla fine della nostra disamina, non rimane che tirare le somme. Cosa rappresenta la nuova generazione Pokémon per il panorama J-RPG, open world, e per la storia del franchise di riferimento?
Scarlatto e Violetto, non mentivo nell’introduzione, sono videogiochi confusi e figli di una sperimentazione che non sempre è avvenuta con le giuste premesse. Talvolta per mancanza d’esperienza, in altri casi per evidenti tempistiche ristrette, Game Freak sembra essersi posta degli obiettivi fin troppo ambiziosi, molti dei quali non vengono raggiunti con la dovuta lucidità e precisione.
In un contesto di sporcizia generale dell’opera che tanto ha fatto scalpore in tutto il mondo, i problemi più grandi di Pokémon Scarlatto e Violetto risiedono nel cuore del loro game design, che sembra voler raggiungere l’obiettivo di convertire Pokémon all’open world per partito preso, senza aver prima maturato know-how e idee precise per permettere alla serie di compiere un salto auspicabile, ma non necessario.
“Pokémon è buggato, ma almeno è open world”. Siamo davvero sicuri che sia questa la strada? Che sia necessario, per la salute della serie, aprire così tanto gli orizzonti?
Farò la voce fuori dal coro, compito arduo ma forse divertente per quanto ti faccia sembrare trasgressivo.Pokémon non ha bisogno di essere open world, ma di tornare a sviluppare idee concrete e divertenti, come fatto in Leggende Pokémon Arceus, coerenti con i mezzi a disposizione, i tempi di lavorazione e il talento di chi ci mette mano. Partire da solide strutture di game design, prima ancora che da pompose promesse di espansione degli orizzonti di una formula da rinnovare, mettendo bene a fuoco come operare i cambiamenti desiderati.
Ci avete insegnato cosa significhi cercare un tesoro. Tu, The Pokémon Company, hai scelto quale sia il tuo?  

Pubblicato il: 09/01/2023

Provato su: Nintendo Switch

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20 commenti

Bello


Ma che gioco di merda

cydo non è open world a prescindere dalla mount" lo notato esplorando il fuori mesapoli"
via di mezzo tra far di più è limiti di switch:" tpc a londra chiedeva una console più prestante"
la guida mi ha salvato da overleveling iniziale. il consi …Altro...
cydo non è open world a prescindere dalla mount" lo notato esplorando il fuori mesapoli"
via di mezzo tra far di più è limiti di switch:" tpc a londra chiedeva una console più prestante"
la guida mi ha salvato da overleveling iniziale. il consiglio arrivate al 5 è schippate tutti i allenatori fuori mesapoli sud

Dubito ahimè fortemente dell'obiettività di una recensione dei Pokèmon scritta da una persona sul libro paga di Nintendo come collaboratore esterno.

Recensione degna di questo nome, per quanto mi riguarda l'avventura a Paldea ha divertito, ma allo stesso tempo ha portato con sé quell'interrogativo del: "e se questo fosse stato sviluppato come si deve?".
Aspettando l'evoluzione del titolo, ci go …Altro...
Recensione degna di questo nome, per quanto mi riguarda l'avventura a Paldea ha divertito, ma allo stesso tempo ha portato con sé quell'interrogativo del: "e se questo fosse stato sviluppato come si deve?".
Aspettando l'evoluzione del titolo, ci godiamo la recensione chad.

Bellissima recensione che riesce a far a “sintetizzare” l’avventura vissuta in quel di palesa con i suoi molto difetti e i pochi spunti brillanti.
È stato faticoso giocare a questo titolo ed è ancora più faticoso apprezzarlo in quello che …Altro...
Bellissima recensione che riesce a far a “sintetizzare” l’avventura vissuta in quel di palesa con i suoi molto difetti e i pochi spunti brillanti.
È stato faticoso giocare a questo titolo ed è ancora più faticoso apprezzarlo in quello che ha dj buono ma speriamo che game freak capisca quale sia la direzione giusta per pokemon e si prenda i suoi tempi per regalare a noi appassionati dei mostriciattoli tascabili qualcosa di rifinito e piacevole

Bello il titolo dell'articolo con i colori sbiaditi

Come per ogni nuova uscita di titoli mainline (e non) ci ritroviamo sempre qui a pregare che ai piani alti qualcuno prenda decisioni più coraggiose a livello produttivo. Game Freak si dimostra essere per l'ennesima volta una (forse LA...) casa produ …Altro... Come per ogni nuova uscita di titoli mainline (e non) ci ritroviamo sempre qui a pregare che ai piani alti qualcuno prenda decisioni più coraggiose a livello produttivo. Game Freak si dimostra essere per l'ennesima volta una (forse LA...) casa produttrice che più trova difficoltà nel rimanere al passo coi tempi, sia a livello tecnico che di game design. E mi fermo qua.
Per me qui c'è un bivio: si ritorna sui propri passi ammettendo l'incompetenza per quanto riguarda il 3D in toto, oppure li cediamo questi diritti ad un altro team di sviluppo?

non concordo nel voler continuare fare associazioni a zelda, come ad esempio il fatto che bisogna evolversi. falso c'è chi ha odiato l'ultimo zelda proprio perchè non offre più nulla di quello che zelda era, vedi ad esempio i dungeon.
o ad esempi …Altro...
non concordo nel voler continuare fare associazioni a zelda, come ad esempio il fatto che bisogna evolversi. falso c'è chi ha odiato l'ultimo zelda proprio perchè non offre più nulla di quello che zelda era, vedi ad esempio i dungeon.
o ad esempio il fatto che se livelli troppo diventi troppo forte, prendendo la tua esperienza di 100 e passa ora come la via canonica. ma se vai su how long to beat potrai notare che la media normalmente è di 30/40 ore 70 proprio se vuoi completare tutto. io ad esempio l'ho finito in una quarantina di ore e non l'ho trovato difficile ma alla fine sono arrivato con pokemon sotto livellati e gli ho dovuti potenziare per proseguire.
anche ad esempio quello che dici di un repentino cambio tra zone naturali e città, non riesco a capirlo, prendendo sempre come esempio zelda e le muraglie che circondano la città.
tu dove vivi ha una muraglia che impedisce agli animali di entrare? non so te ma la mia casa si affaccia su un capo, niente vaste muraglia che mi salvano dalle tremende creature che popolano il mondo.
in alcuni giochi tipo leggende arceus ci stanno perchè i pokemon vengono visti come pericolosi, ma non ricordo un singolo dialogo detto in questa regione al riguardo.
per il resto concordo abbastanza pokemon scarlatto e violetto hanno le potenzialità per essere la migliore generazione da quando con x e y si è passati al 3d.
ma falliscono nel creare un mondo curato, creando mappe vuote e senza eventi a parte quelli finali, e le lezioni scolastiche. che portano inevitabilmente ad un prodotto insufficiente, nonostante sotto molti punti di vista meriterebbe di più perchè è un titolo divertente a differenza di un spada e scudo, x e y, o peggio ancora sole e luna

I primi titoli Pokémon che non compro e che non comprerò. E mi spiace davvero, perché ormai un anno fa Arceus mi ha ricordato perché mi piacciano così tanto i Pokémon, ma purtroppo Scarlatto e Violetto non ce l'hanno fatta a convincermi. Ho seg …Altro... I primi titoli Pokémon che non compro e che non comprerò. E mi spiace davvero, perché ormai un anno fa Arceus mi ha ricordato perché mi piacciano così tanto i Pokémon, ma purtroppo Scarlatto e Violetto non ce l'hanno fatta a convincermi. Ho seguito tutta la campagna marketing nell'attesa e nella speranza di trovare quella cosa che mi avrebbe convinto a chiudere gli occhi su grafica e bug e a buttarmi. Non solo quella cosa non l'ho trovata, ma seguendo il gameplay live su Twitch con Cydonia e Chiara, per la prima volta, sono stato contento di non aver acquistato il gioco. Ho fatto bene, ho pensato.

E quindi a presto, caro Pokémon, ci rivediamo quando saprai guardarti negli occhi, riconoscere i tuoi problemi, tirare il freno a mano e sistemarli per bene. Ma purtroppo credo di sapere quando questo accadrà: mai. E credo che sia ora per tutti i fan Pokémon di cominciare a fare i conti con questa triste realtà.

Da gamer che si è avvicinato alle console per giocare a Pokémon giallo vedere lo stato attuale del ip è una vera sofferenza. Una saga che sembra lottare fra la voglia e la capacità di innovarsi e l’incapacità degli sviluppatori e la volontà d …Altro... Da gamer che si è avvicinato alle console per giocare a Pokémon giallo vedere lo stato attuale del ip è una vera sofferenza. Una saga che sembra lottare fra la voglia e la capacità di innovarsi e l’incapacità degli sviluppatori e la volontà del publisher di mungere proverbiale la mucca. Vedendo poi il successo commerciale è inutile sperare in un inversione di tendenza, duole però vedere che le tante cose buone sono sommerse dai difetti che io personalmente ho trovato insuperabili. Dopo il già debole spada e scudo non mi avvicinerò ad un titolo Pokémon per molto tempo in futuro

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