Passeggiata spaziale con Obsidian entertainment

The Outer Worlds 2 raccontato da Leonard Boyarsky

Chiunque sia cresciuto durante l’età dell’oro dei CRPG sa bene quanto Interplay sia stata una sorta di “alma mater” per molti dei più grandi nomi del panorama di genere, in seguito divenuti la forza trainante di studi e saghe con un ruolo di spicco nell’evoluzione del genere. Fa certamente parte di questa “aristocrazia creativa” anche Leonard Boyarsky, uno dei padri di Fallout nonché autore di cult videoludici del calibro di Arcanum e Vampire: The Masquerade – Bloodlines. Dopo un decennio in Blizzard, nel 2016 Boyarsky si era unito a Obsidian per realizzare assieme a Tim Cain, un altro “vate” dei gdr, quello che al tempo lo sviluppatore definì comeil gioco dei sogni. Parliamo ovviamente di The Outer Worlds, un progetto che al netto dei suoi limiti mostrava chiaramente la sua nobile discendenza, un retaggio che il sequel punta a valorizzare ulteriormente.  

Ecco, oltre a suscitare nel sottoscritto una discreta dose di trepida riverenza, proprio Leonard Boyarsky ha reso chiaro come The Outer Worlds 2 abbia tratto grande beneficio dall’esperienza accumulata col capitolo d’esordio: un rodaggio difficile ma essenziale per consolidare le fondamenta della serie. “Alle spalle del progetto c’era un team completamente nuovo, nettamente più grande di quelli che avevo diretto prima di allora – racconta il creative director – e in più dovevamo capire come adattare l’engine alle esigenze del titolo che, per come l’avevamo concepito, doveva raccogliere l’eredità degli gdr classici. Avevamo dei fantastici narrative designer, ma nessuno che avesse già realizzato ‘hardcore rpg’ come quelli che io e Tim (Cain, ndr) avevamo sviluppato in passato. Strada facendo abbiamo accolto alcuni membri del team di Pillars of Eternity ma ben presto, considerando il tempo e le risorse a nostra disposizione, abbiamo capito che avremmo dovuto ridimensionare le nostre ambizioni, concentrandoci su alcuni specifici temi e riducendo la portata di alcune dinamiche. D’altronde, nella cornice di una campagna da 20 ore circa, non puoi permettere che le scelte degli utenti precludano l’accesso a un buon 10% dei contenuti”. 

In buona sostanza, pare che le sfide affrontate durante la gestazione del primo The Outer Worlds abbiano reso molto più agevole la produzione del sequel, che di fatto punta a recuperare ed evolvere la visione creativa originale. “È un po’ quello che è successo con Fallout 2 – prosegue Boyarsky – che riprendeva ogni aspetto del precedessore e lo approfondiva. Un discorso che non riguarda esclusivamente le meccaniche ludiche, ma anche la caratterizzazione del mondo di gioco”.  

A questo proposito, la nuova ambientazione è stata modellata col preciso intento di mettere in risalto i tratti del peculiare universo sci-fi di Obsidian, sia ponendo l’accento sulle influenze provenienti dall’Art Nouveau, sia rimarcando il carattere “analogico” della tecnologie al centro dell’ucronia distopica di The Outer Worlds 2. “Con Daniel Alpert, il direttore artistico, abbiamo parlato molto di come plasmare al meglio la colonia di Arcadia – ricorda Boyarski – Volevamo che i giocatori lo percepissero come un mondo mosso da ingranaggi e motori a combustione, tenuto insieme da una rete di tubazioni e condutture. Se il primo The Outer Worlds già mostrava scenari futuristici basati su una tecnologica perlopiù ‘analogica’, nel sequel questo aspetto è ancora più prominente, nonché integrato in ogni tassello dell’art design, architetture incluse”. Come anticipato, il lavoro di rifinitura sul versante estetico fa parte di un concerto di interventi tesi a rinsaldare e tornire l’identità dell’opera, un processo che ovviamente ha coinvolto le radici tematiche della saga e l’impronta satirica della sua scrittura, col chiaro obiettivo di aggiungere spessore e coesione all’offerta. 

La storia di The Outer Worlds era imperniata sulla minaccia rappresentata delle megacorporazioni – spiega il creative director – intese come l’incarnazione di un potere vessatorio e corrotto. È un leitmotiv presente in diverse forme nella gran parte dei giochi a cui ho lavorato, come ad esempio Fallout, Vampire e Arcanum. Per quanto sia fiero del lavoro che abbiamo svolto sul tema del potere e del capitalismo estremo in The Outer Worlds, credo che alcuni elementi risultassero nel complesso un po’ monotoni, che il mondo di Halcyon non avesse lo spessore che inizialmente avremmo voluto dargli. Il sistema di Arcadia è in qualche modo agli antipodi rispetto a quello di Halcyon: è una colonia molto ricca che sulla carta ha tutto ciò di cui ha bisogno, ma dietro a questa apparente prosperità c’è un regime autoritario che punisce l’individualismo e non concede alcuna autonomia alla popolazione. L’invasione da parte della più potente fra le corporazioni interplanetarie, con valori del tutto opposti rispetto al Protettorato di Arcadia, dà vita a una contrapposizione che arricchisce l’avventura di sfaccettature tematiche, offrendo ai giocatori un più ampio ventaglio di punti di vista sui concetti di potere, libertà e benessere sociale. Tutti aspetti che abbiamo esplorato cercando di avvalorare le scelte compiute dagli utenti, nonché il taglio satirico della sceneggiatura”.

A proposito dello stile dissacrante tipico di The Outer Worlds, sin dal primo incontro col sequel ho avuto l’impressione che la nuova avventura di Obsidian fosse sostenuta da una scrittura più equilibrata e ricca di sfumature tonali, con una tendenza al nonsense fortemente ridimensionata. Sensazioni in linea con la rotta tracciata dal team, come ha confermato lo stesso Boyarsky: “Mi è davvero piaciuto quello che abbiamo fatto con il primo gioco, ma credo che questa volta siamo riusciti a fare di meglio. È più facile quando si crea un sequel, perché con il primo The Outer Worlds io e Tim avevamo una visione molto specifica di ciò che volevamo realizzare, ma è una cosa parlarne, un’altra è mettere tutto in pratica, specialmente quando si lavora con un team nuovo e piuttosto ampio. Nei miei lavori precedenti, come Arcanum o Vampire, c’erano pochissime persone a scrivere, e non era difficile mantenere un certo tono, che è fondamentalmente quello tipico dei nostri giochi. Col sequel avevamo un punto di partenza molto chiaro, e tutti i nostri narrative designer erano fan del primo gioco, quindi non solo capivano la direzione da seguire, ma erano entusiasti di lavorare a quel mondo ricco di personaggi e situazioni stravaganti. La scrittura doveva essere umoristica, ma anche diversificata in termini di registro, andando a includere ad esempio arcaismi e varie sfumature formali. Tutto questo nel quadro di un’esperienza molto reattiva, in cui i dialoghi possono essere influenzati da svariati fattori, come le abilità, i vantaggi e i difetti dei protagonisti o la presenza di precisi compagni. È stato soprattutto un processo iterativo, che ci ha portato a rifinire e modificare le nostre idee iniziali, fino a raggiungere il risultato che cercavamo. Visto che ho contribuito a creare questo mondo, per me è un istinto naturale: so quando qualcosa funziona e quando no, anche se si tratta di un elemento diverso da quanto visto nel primo The Outer Worlds. Non è stato un percorso facile, ma avevamo degli scrittori fantastici che hanno saputo prendere le nostre indicazioni e svilupparle nel migliore dei modi”.  

Restando in tema di diversificazione e ispessimento dell’esperienza ruolistica, un altro fattore chiave è l’arborescenza dell’impianto ludonarrativo, che già nelle primissime fasi del gioco sembra assecondare in maniera più convincente le azioni degli utenti. “Avere a disposizione più tempo e budget ci ha permesso, fra le altre cose, di dedicare molte più attenzioni al sistema dei dialoghi – spiega Boyarski – che peraltro tiene conto di una quota inedita di variabili. Capita ad esempio che un’attenta esplorazione permetta di accedere a linee di dialogo aggiuntive, ad esempio nel caso in cui i giocatori scovino documenti o oggetti rilevanti per una data conversazione. Lo stesso può capitare completando determinate quest o investendo punti in specifiche abilità. Seppur inaccessibili, queste opzioni supplementari saranno comunque visibili, in modo che gli utenti sappiano di poter affrontare ogni situazione in più modi. In realtà i primi prototipi di questo sistema erano ancora più articolati, ma ci siamo resi conto che tutte quelle possibilità potevano spingere gli utenti a cercare la ‘strada giusta’, distogliendo l’attenzione dal personaggio interpretato e fiaccando il coinvolgimento nella storia. Di fatto è l’opposto di quello che volevamo ottenere. Per noi è importante che i giocatori si sentano parte di un mondo reattivo, che percepiscano distintamente l’impatto delle scelte effettuate e i loro riverberi su quelle a venire. Puoi prendere una posizione nel conflitto in corso o ignorarlo completamente, schierarti con una fazione, con l’altra o semplicemente agire per convenienza”.

Fedele alla tradizione dei migliori esponenti del genere, The Outer Worlds 2 punta insomma a immergere i giocatori in un oceano di ambiguità morale, offrendo loro ampi margini di manovra nel plasmare tanto i loro alter ego quanto gli eventi che scandiscono l’avventura. Su queste note, fra una chiacchiera e l’altra è emerso con chiarezza come il collettivo abbia fatto il possibile perché il sistema di progressione, centrale nel bilancio dell’opera, fosse in grado di garantire una gamma inedita di opportunità, talvolta alterando in modo netto lo svolgimento delle missioni. Allo stesso modo, la prospettiva di avere accanto compagni con storie e personalità più stratificate ci stuzzica non poco, specie in relazione all’assetto deterministico della proposta, culminante in un epilogo nel quale dovrebbero confluire tutte le diramazioni createsi strada facendo. “Il finale cambia in modo consistente a seconda delle azioni compiute durante la campagna – racconta il Creative Director – Spalleggiare una gruppo o un altro, spingerli a collaborare, stringere i rapporti con i compagni o allontanarli: tutto contribuisce allo scenario che i giocatori si troveranno dinnanzi nelle sequenze conclusive, e a determinare le decisioni che dovranno prendere in quel contesto. Forse è dai tempi di Arcanum che non riuscivamo a creare qualcosa del genere”.  

Una pietra di paragone che pesa come un macigno, ma che pochi possono tirare in ballo con la consapevolezza di Leonard Boyarsky, coinvolto a tutti i livelli nello sviluppo del gioiello steampunk di Troika Games. 

In coda all’incontro mi è sembrato opportuno aggiungere alla conversazione una postilla “marzulliana”, chiedendo qual è stato il più grande rischio che il team ha corso durante lo sviluppo di The Outer Worlds 2, e perché ne è valsa assolutamente la pena. “È una bella domanda – ha ribattuto Boyarsky – Probabilmente già fare un gioco di questo tipo è un rischio che vale la pena correre. Forse non è neanche un vero rischio, perché credo che oggi ci siano ancora tante persone che apprezzano i gdr della ‘vecchia scuola’ come quelli di Obsidian, Interplay o Troika. In fondo Baldur’s Gate 3 ne è un chiaro esempio, eppure ci sono sempre meno giochi di questo genere, in cui tutto ruota attorno alle azioni compiute dagli utenti. Magari è un rischio presentarsi al pubblico con un gioco che non ha il taglio cinematografico di tanti tripla A di successo, ma ritengo che con The Outer Worlds 2 siamo riusciti ad alzare l’asticella su praticamente ogni fronte, e in particolar modo per quel che riguarda gli aspetti più importanti dell’offerta, ovvero la libertà di scelta e la reattività del mondo di gioco. Ripeto, non so se sia un rischio, ma personalmente sono più che disposto a sacrificare un bel momento cinematico in cambio di un enorme bagaglio di scelte. Questi sono i giochi che ho sempre fatto e credo che il pubblico sia ancora interessato a questo tipo di esperienze”. 

Sacrosanto.

Pubblicato il: 17/10/2025

Abbonati al Patreon di FinalRound

Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori

0 commenti

info@finalround.it

Privacy Policy
Cookie Policy

FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128