Giochi zozzi e censura finanziaria

A proposito di lobbysmo, videogiochi strumentalizzati e corporation censorie

Nel caso siate frequentatori più o meno abituali di Steam, avrete certamente notato come negli ultimi anni la piattaforma abbia accolto fra le maglie del suo ecosistema una quantità titanica di giochi per soli adulti, spesso ai primi posti nell’elenco delle novità più popolari. L’apertura a produzioni di questo tipo risale al 2018, quando la visual novel Negligee: Love Stories generò un certo scalpore ottenendo una visibilità ampiamente immeritata, cui seguì il divieto di vendita in 28 dei paesi raggiunti dall’ecosistema di Valve. Nulla di strano: per distribuire un prodotto, la compagnia deve sottostare alle norme vigenti nei paesi dei possibili acquirenti, onde evitare procedimenti legali e misure sanzionatorie.  

Dopo il caso in questione, preso atto dei generosissimi margini di guadagno nel segmento NSFW, la compagnia di Gabe Newell rese via via più agevole la pubblicazione di questi titoli, continuando a utilizzare come metro di giudizio la legalità dei contenuti proposti, nella cornice di un sistema di autoregolamentazione talvolta vago e interpretabile. 

Su queste note, prima di continuare, urge fare un paio di precisazioni. 

Partiamo col dire che abbondano i casi in cui la legittimità di un gioco si muove su un brutta china, balzellando malamente fra ambiguità e zone grigie, ad esempio mettendo in scena una plateale dissonanza fra l’età dichiarata dei personaggi e il loro aspetto, modellato per assecondare determinate parafilie. Arriviamo quindi al secondo punto: la quasi totalità del catalogo di genere è composta da un coacervo di spazzatura senza appello, roba messa assieme alla bell’e meglio con l’idea di monetizzare qualche manovella. Capiamoci: lungi da me stigmatizzare il caro vecchio “cinque contro uno, millantare vuoti moralismi o impelagarmi in discussioni – comunque stimolanti – sulla pornificazione come fenomeno culturale. Mi basta stabilire come parametro il fatto che in linea di massima parliamo di robaccia fatta in serie, per la gran parte priva di valore (estetico, ludico, concettuale, narrativo, ecc.) e largamente basata su fantasie di oggettificazione banalissime. Il classico porno, insomma. Come chiaro, il discorso in sé non è granché avvincente, ma di recente è successo qualcosa che – per vie traverse – rende la questione molto più meritevole di dibattito.  

Lo scorso aprile l’organizzazione australiana Collective Shout, che si autodefinisce “un movimento dal basso contro l'oggettificazione delle donne e la sessualizzazione delle bambine”, ha lanciato una petizione con la quale ha ottenuto il ritiro dal mercato di No Mercy, un titolo accusato di promuovere lo stupro e l’incesto. Poco dopo il medesimo collettivo ha avviato una campagna orchestrata per fare pressione sulle aziende dietro ai principali sistemi di elaborazione dei pagamenti, come Visa e Mastercard, cui veniva richiesto di ostacolare attivamente la distribuzione dei prodotti ritenuti affini, contenutisticamente parlando, al succitato No Mercy. Il passaggio successivo di questa catena di eventi è stato il ritiro in massa di centinaia e centinaia di giochi per adulti dalle pagine di Steam e itch.io, che nei propri comunicati hanno dichiarato di aver agito poiché incalzate dalle istituzioni finanziarie legate a Visa e Mastercard. 

Dal conto loro le multinazionali in questione, entrate nel mirino della furia internettiana, si sono date maldestramente alla pratica dello scaricabarile, affermando di non aver mai interagito direttamente con Valve. Al netto delle responsabilità dirette e indirette, la faccenda ha ovviamente assecondato uno dei meccanismi più consolidati in tema di confronto digitale: una totale polarizzazione densa di fallacie logiche, etica cangiante e bieco benaltrismo. A seconda dell’interlocutore, il conflitto fra le parti ha assunto i tratti di una fiera lotta alla censura, o di uno scontro fra un’organizzazione per la difesa dei diritti civili e una schiera di presunti pervertiti

Manco a dirlo, entrambe le posizioni paiono drammaticamente vacue.

Lobbysmo e strumentalizzazioni

Il primo passo sulla strada verso il bandolo della matassa è identificare quelle che sono le parti in causa. Partiamo da Collective Shout, che di base si configura come una lobby contro la pornografia: termine che in questo caso si presta a un’ampia gamma di interpretazioni. Vi basti pensare che qualche hanno fa l’organizzazione tentò di far rimuovere Detroit: Become Human dagli scaffali australiani, con l’accusa di aver trasformato scene di violenza familiare in intrattenimento per le masse. Si tratta ovviamente di un’imputazione platealmente pretestuosa, dato che il gioco di Quantic Dream manifesta con chiarezza l’esecrabilità del personaggio di Todd Williams (il primo proprietario di Kara), e spinge il giocatore a contrastarne gli abusi.

Al di là di quelli che sono gli obiettivi formali del movimento, insomma, Collective Shout si è sempre configurato come una cassa di risonanza per le convinzioni della cofondatrice Melinda Tankard Reist, un’attivista politica conservatrice, antiabortista, con posizioni vicine al fondamentalismo cristiano e che più volte si è schierata contro la comunità LGBTGQ+. Per quanto sostenibile sia dunque la causa della lotta all'oggettificazione delle donne e alla sessualizzazione delle bambine – e ci mancherebbe – è quantomeno ragionevole ritenere che tutto questo ambaradan sia l’ennesima manovra diversiva di stampo reazionario, che dietro una facciata fatta di buone intenzioni nasconde mire ben più opache e discutibili. 

Non è certo un caso se fra i giochi messi all’indice ci siano anche produzioni come VILE: Exhumed, un horror pensato per invitare alla riflessione sui temi della misoginia dell’abuso, assieme a centinaia di altri titoli con ambizioni divulgative similari. La causa di Collective Shout fa acqua da tutte le parti, insomma.

L’altro lato della barricata è insolitamente eterogeneo, composto da fazioni spesso agli antipodi e fomentate da motivazioni estremamente disuguali. Da una parte ci sono sviluppatori indipendenti, organizzazioni di categoria, movimenti per la tutela dei diritti e tantissimi giocatori giustamente preoccupati circa la possibili implicazioni di quest’ondata censoria, mentre dall’altra c’è il marasma del post Gamergate, con gruppi d’odio che – stando alle dichiarazioni di Collective Shout - hanno già iniziato a seminare minacce e molestie ai danni dei membri del collettivo. Va da sé che l’argomentazione “It’s just a game, bro” fa sanguinare il cervello, specialmente quando viene utilizzata per giustificare la profonda ipocrisia di chi abitualmente sposa le idee della destra oltranzista, salvo poi cambiare intendimento quando si sente preso in causa. Come spesso accade in questi casi, le discussioni in corso sono un po’ la fiera della dissonanza cognitiva, ed è davvero difficile farsi strada fra la melma per raggiungere il nucleo del dibattito. 

Data l’intrinseca complessità di ogni controversia che, in un modo o nell’altro, va a toccare la libertà d’espressione e il concetto di pluralismo, ritengo che sia del tutto futile intestardisti nello stilare un bilancio delle ragioni e dei torti a carico delle varie “fazioni”, mentre sarebbe opportuno che le istituzioni internazionali lavorassero per rettificare le mancanze di sistemi normativi che, in moltissimi casi, inquadrano le regole del mondo digitale con eccessiva vaghezza, lasciando troppo spazio all’interpretazione. Lo stesso discorso vale anche per piattaforme come Steam e itch.io, i cui regolamenti sono tarati per offrire spazi di manovra che, a seconda della convenienza, cambiano assetto per proteggere gli interessi di compagnie e parti interessate, vincolando i consumatori all’ultimo anello della catena alimentare.

Cosa resta?

Oltre la cortina fumogena di questo gran tumulto, a mio avviso c’è un unico punto davvero incontrovertibile, che dovrebbe rappresentare la chiave di volta tanto delle proteste, quanto delle iniziative del popolo del web: soggetti corporativi come Visa, Mastercard, Paypal e Discovery non dovrebbero avere il potere di sostituirsi agli enti regolatori nel definire l’effettiva legittimità di un prodotto. Parliamo del fenomeno della censura finanziaria, un’odiosa pratica con la quale le suddette aziende sono solite forzare la mano per bloccare prodotti e servizi considerati “pericolosi”, e questo non necessariamente in relazione ai quadri normativi vigenti. La discrezionalità concessa da tali sistemi, infatti, permette alle compagnia di esercitare il potere censorio sulla base delle proprie politiche interne, plasmate con un unico, reale diktat: il contenimento dei rischi d’impresa. Programmi come il Mastercard’s Business Risk Assessment and Mitigation (GRAM) o il Visa Integrity Risk Program (VERP) non sono strutturati per proteggere l’utenza, ma per imporre su scala globale un’etica posticcia e autoreferenziale, perlopiù plastica e soggetta agli effetti di estemporanei focolari di panico morale, o peggio agli interessi di specifici gruppi di pressione.

A ben vedere, la messa al bando dei videogiochi per adulti è solo l’ultima voce di un elenco che nel corso degli anni si è fatto sempre più nutrito e vario. Il catalogo delle scomuniche spazia da casi eclatanti come il blocco dei finanziamenti dal basso a Wikileaks, fino all’isolamento – con annessa chiusura – di piattaforme come Pounced.org, un sito di incontri per la comunità furry. Qualche anno fa anche portali come Pornhub e OnlyFans furono costretti a riscrivere le proprie politiche interne, arrivando a estromettere contenuti che, al netto di valutazioni morali più o meno emaciate, erano di fatto perfettamente legali. Di nuovo, nella realtà dei fatti, la cosa ha davvero poco a che fare con discorsi di stampo morale, con ciò che ci piace e con quello che personalmente riteniamo offensivo: banalmente, chi gestisce i sistemi di pagamento non dovrebbe essere in grado di negare i propri servizi a nessuno, ovviamente entro limiti sanciti dalla legge in modo chiaro e preciso. L’alternativa è un mondo in cui una manciata di corporazioni senza volto può assecondare alla bisogna le bizze di questa o quella lobby, con criteri che cambiano in base alla convenienza

Ok, va bene, ma cosa possiamo fare? Tanto per cominciare essere consapevoli di quelli che, al di là dell’occasionale partitismo, sono i veri problemi del mondo digitale; secondo poi sostenere e sospingere le iniziative di entità come l’EFF (Electronic Frontier Foundation) o la nostrana CILD (Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili), cercando di coinvolgere nel dibattito le forze politiche. Inneggiare contro la censura sui social è un po’ un esercizio di vociante futilità

Possiamo fare di meglio.

Pubblicato il: 14/08/2025

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14 commenti

Che bello leggere Bruni qui 🫶🏻

Ottima riflessione e pezzo molto ben scritto. Non hai perso lo smalto Alessandro, complimenti.

Non commento mai, se non qualche rara eccezione. E questa lo è. Gran pezzo ed è molto bello leggerti di nuovo Ale, super interessante (ricordo che Pornhub oggi è profondamente diverso da quello che era qualche anno fa, e tutt'ora se non sbaglio n …Altro... Non commento mai, se non qualche rara eccezione. E questa lo è. Gran pezzo ed è molto bello leggerti di nuovo Ale, super interessante (ricordo che Pornhub oggi è profondamente diverso da quello che era qualche anno fa, e tutt'ora se non sbaglio non si può usare Visa o Mastercard sul sito).
E il problema di queste "associazioni" è che partono a testa bassa, senza mezza verifica o altro, ma fanno tanto rumore e questo basta per fermare/rovinare cose anche totalmente innocue o legali.

Se va beh Ale su Final Round che spettacolo!

Forza Ale! Ben tornato e grazie del bel pezzo! Fanculo alla merda (chi deve capire capisca).

Benvenuto Ale! Bella sorpresa leggerti finalmente sul round finale!

Felice di leggerti di nuovo, stavolta in questo ambiente accogliente e di qualità.

Detto questo, avere consapevolezza delle problematiche del web, e ciò che ne consegue sulle lobby citate e la loro sostituzione ad entità pubbliche che dovrebber …Altro...
Felice di leggerti di nuovo, stavolta in questo ambiente accogliente e di qualità.

Detto questo, avere consapevolezza delle problematiche del web, e ciò che ne consegue sulle lobby citate e la loro sostituzione ad entità pubbliche che dovrebbero svolgere quel lavoro, è alla base di tutto e penso che questo articolo efficacemente fa riflettere su queste tematiche.

Aspetto con piacere il prossimo articolo, in bocca al lupo!

ma che bella sorpresa! Benvenuto Ale!

Che bello leggere anche ale qui! Veder ricomposto pian piano il nucleo che fu in questa veste molto piu libera e "indie" è davvero un piacere!

Grande Aleee! Davvero felice di poterti leggere su final round! 💜

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