Game Over, E3
Ovvero, di quanto può fare dannatamente male un tramonto californiano, forse telefonato, o forse no.
Ammetto che ci avevo creduto.
Sì, persino io, che sono di natura estremamente pessimista e che di base vedo (e vesto!) sempre tutto nero, stavolta mi sono lasciato ingannare. Intendiamoci, non che fosse una questione di mero romanticismo, o peggio ancora, di un ottuso rimanere a tutti i costi aggrappati al passato e alle cose belle. Quello no: la vita prima o poi va avanti, tutto scorre e, inevitabilmente, cambia.
Non era insomma il ragazzino che alle medie sognava di vedere di persona quel paese dei balocchi elettronici ad aver creduto in un rilancio concreto dell’E3, e neppure l’adulto che per una dozzina di volte quel miraggio effettivamente l’ha accarezzato eccome, con una gioia nel cuore impossibile da descrivere – basti dire che ho a lungo sognato di vedere le mie ceneri sparse nelle aiuole del Convention Center di LA, tanto per sottolineare il mio legame con qualcosa che non era e non è mai stato solo un semplice show.
A prescindere dai miei desideri personali e da cameratesche trasferte sulla West Coast che ormai in ogni caso si faranno comunque (e col senno di poi grazie Geoff per aver dato un senso alla cosa!), il punto è che il settore aveva eccome manifestato – sia in maniera esplicita che, fidatevi, a microfoni spenti – la voglia di ritrovarsi, di tornare agli antichi fasti del mondo pre-pandemia e più in generale di riprovarci per davvero.
Perché l’idea di avere tutti lì, riuniti vicini vicini sotto lo stesso tetto, non era poi una prospettiva così necessariamente superata, in barba a Direct, State of Play e a una comunicazione che nel tempo si è fatta più diretta, più pervasiva e possibilmente più spalmata nel corso dei dodici mesi, per far contenti pubblico e publisher. Anzi, tutt’altro. A maggior ragione se a fare da garante e a metterci la faccia, l’expertise e soprattutto i soldi doveva essere un colosso dell’entertainment fieristico come Reedpop, ovvero la realtà accorsa in soccorso dell’ESA lo scorso autunno e accolta da tutti come la chiave di volta da cui finalmente ripartire (dopo due tentativi a vuoto tanto grossolani quanto fallimentari).
È stato proprio il coinvolgimento diretto degli organizzatori di eventi come il Comic Con di New York, la Star Wars Celebration, i vari PAX e l'EGX non soltanto a rassicurare tutti, ma a mandare un messaggio forte e chiaro: l'E3 era tornato. Un E3 diverso, nuovo, ripensato per andare incontro a esigenze maturate nel corso degli anni e pronto, proprio in virtù del pedigree di Reedpop, addirittura ad accogliere con una certa naturalezza quel grande pubblico a cui aveva già fatto qualche timida concessione. Una sfida tutt'altro che scontata, sia chiaro – anche per questioni logistiche legate agli spazi del polo fieristico di Los Angeles, città con cui era in essere un accordo pluriennale – eppure all'apparenza non così titanicamente insormontabile. Ma il passato raramente torna glorioso com'era (o forse come ci piace ricordarlo?), e le minestre riscaldate quasi sempre finiscono per rivelarsi più indigeste della roba che sta lì a marcire nel mio frigorifero.
A distanza di mesi, forse è stato proprio quel rilancio così convinto, per lo meno nelle intenzioni e nel marketing, ad avermi illuso e fregato alla grandissima. I comunicati stampa, i tweet, persino la risolutezza nel voler aprire gli accrediti stampa con sette/otto mesi di anticipo per prepararsi a dovere, quasi a mandare un messaggio inequivocabile a tutta l'industria. Cazzo, in fin dei conti l'E3 era tornato e la cosa andava urlata a gran voce. Lui, con quel suo logo brutto giallo e rosso che fa ottusamente il giro e diventa bello. Con le pubblicità sull'hotel Figueroa, con la città che si veste di videogiochi e l'hype per le conferenze seguite nel Vecchio Continente a orari improponibili. Finché è durato, è stato sinceramente delizioso crederci: sognare un ritorno alle origini, a un testa a testa brutalmente ad armi pari tra i colossi del settore. Immaginarsi le corse all'impazzata tra una hall e l'altra – stavolta addirittura solo e soltanto in due, ma con una voglia di mangiarci il mondo intero. Ah, che avventura sarebbe stata! E quante ne avremmo avute da raccontare, anche stavolta, per gli anni a venire.
Qualcosa però piano piano si è guastato. Ben prima dell'inquietante rincorsa al chiamarsi fuori degli ultimi giorni e dell'accelerata dall'abbraccio mortifero che neanche il negromante di Diablo IV, dietro le quinte da un po' serpeggiava un malessere strano, come sussurrato a mezza bocca. L'E3 era quell'argomento che nessuno affrontava mai, come se fosse sempre troppo presto per parlarne sul serio: il tutto a dispetto di un calendario che inesorabile avanzava, di presunte buone intenzioni e della strombazzata volontà degli organizzatori di aprire delle prevendite di biglietti mai neppure vagamente definiti. Certo, quando Sony, Nintendo e Microsoft si sono chiamate fuori si è capito che qualcosa stava finendo pericolosamente fuori rotta, e che la portata dello show dovesse essere ritarata in maniera clamorosa verso il basso. La nave era in balia di correnti letali e di calcoli sbagliati, ma ancora non si scorgeva l'iceberg. O forse era tutto così oscenamente vicino che l'imminente disastro non potevamo né volevamo vederlo.
Eppure dai, non poteva essere sul serio tutto così fallimentare, così improvvisato, così maldestro. Non con Reedpop di mezzo, con la consapevolezza dell'importanza dell'E3 come licenza, col desiderio di ritornare a spiccare non solo metaforicamente il volo. Voglio svelare un retroscena: confesso di aver iniziato a vacillare per davvero quando, come si è soliti fare mentre dietro le quinte si provano a imbastire accordi, abbiamo iniziato a discutere della possibilità di una media partnership: una prospettiva che comunque ci aveva inorgoglito, ennesima testimonianza della solidità del lavoro svolto in questi mesi di nuove avventure. La surreale fumosità delle risposte arrivate da oltreoceano e la scellerata mancanza di comunicazione sia lato B2B che B2C mi avevano tuttavia fatto capire che qualcosa decisamente non quadrava. E che sì, forse bisognava abbassare ancora di più le aspettative e prepararsi a puntare tutto su quella Summer Game Fest che zitta zitta la scorsa estate qualcosina aveva portato a casa. Con voglia, con agilità e con merito, sotto la supervisione di un Keighley sempre più pigmalione e protagonista dell'intera baracca.
Niente ad ogni modo poteva davvero prepararci a una caduta così rovinosa, a una sorta di allucinazione collettiva dettata da una mala gestione che resterà negli annali dell'industry (e che a qualcuno legittimamente è già costata il posto). Da oggi l'E3 è ufficialmente morto e sepolto, un cadavere vilipeso che nessuno proverà più a rianimare – ammesso che, come si sussurrava in California dieci mesi fa, allo stesso Geoff non sia rimasto il vezzo di prendersene il nome, giusto per chiudere il cerchio e certificare la sua vittoria a tutto tondo in contemporanea al definitivo tracollo dell'ancien régime rappresentato dall'ESA. Comunque vada, l'Electronic Entertainment Expo, o per lo meno quell'Electronic Entertainment Expo, da adesso è ufficialmente parte del passato. Un ricordo destinato a vestirsi se possibile ancora più di mito, di nostalgia e di rimpianto, con la dolcezza amara delle cose che abbiamo amato alla follia ma che per cause di forza maggiore non potremo avere più.
E allora lunga vita al consueto rituale degli accrediti da ritirare, alle immancabili foto davanti agli ingressi, alla scalinata che ti portava verso il paradiso di ogni videogiocatore. Lunga vita alla suddivisione degli appuntamenti con i compagni di redazione, alle notti insonni, alla pizza di Domino's avanzata dalla sera prima trangugiata a colazione con l'avidità del Conte Ugolino. Lunga vita a quando riuscivi a imbucarti dove non dovevi, a quando scoprivi la sorpresa che proprio non ti saresti aspettato di vedere, ai preziosissimi incontri con le persone conosciute per caso sullo showfloor o a quando ti capitava di trovare Shigeru Miyamoto in bagno. Lunga vita all'opulenza senza senso degli stand all'americana, agli showcase super esclusivi a porte chiuse, alla sensazione di essere inequivocabilmente nel posto giusto al momento giusto, lì dove contava.
Lunga vita al fottuto e adorabile baraccone che per anni ha dato un senso alla mia di esistenza, e che adesso mi costringerà pure a trovarmi un altro posto dove farmi placidamente abbandonare quando non esisterò più. Quest'ultimo scherzetto non me lo dovevi fare dopo avermi illuso, impagabile amico di una vita intera.
Pubblicato il: 31/03/2023
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