Magie e maledizioni, inganno e gentilezza:

LA RISCRITTURA DEI MITI NORRENI IN GOD OF WAR

  

 

“Dal greco mỳthos (‘parola, racconto’), una narrazione di particolari gesta compiute da dei, semidei, eroi e mostri. Il mito può offrire una spiegazione di fenomeni naturali, legittimare pratiche rituali o istituzioni sociali e, più genericamente, rispondere alle grandi domande che gli uomini si pongono. Caratteristica essenziale del mito è che esso si sia diffuso oralmente prima di essere scritto, e che si perpetui nella tradizione di un popolo”

 “Mito” da Enciclopedia Treccani

  

In una conferenza rimasta famosa e significativamente chiamata The Vitality of Myth, lo storico delle religioni Joseph Campbell parlava dei miti come “public dreams” in contrapposizione ai sogni, da lui definiti “private dreams”. Miti risalenti a centinaia, se non migliaia di anni fa continuano a dialogare con la coscienza dell’uomo contemporaneo: si va dalla storia di Medea, protagonista dell’omonima tragedia di Euripide e trasfusa su pellicola cinematografica da Pier Paolo Pasolini nel 1969, passando per gli yōkai giapponesi, creature di un’epoca in cui non esisteva la corrente elettrica e le ombre potevano trasformarsi in bestie favolose – così la pensava uno dei massimi fumettisti e studiosi del folclore nipponico, Mizuki Shigeru – fino alla mitologia norrena, riletta da Santa Monica Studio nella saga bipartita dei God of War di nuovo corso

Sin dal 2002 questa serie porta i miti all’interno degli spazi videoludici. In un primo tempo – fino al 2018 – l’ambientazione era quella dell’Antica Grecia, scelta pure (con risultati felicissimi) da Supergiant Games per il suo Hades, che senz’altro trova spazio nel novero dei titoli più brillanti degli ultimi anni: Orfeo, Euridice, Achille, Patroclo, Ade e molti altri vengono trasformati in figure familiari, autenticamente vicine al giocatore, che può facilmente provare nei loro confronti empatia e vicinanza.

Sono epici e drammatici, invece, i toni scelti da Santa Monica per i suoi God of War, salvo alcuni personaggi nati per stemperare il quadro spesso duro in cui lo studio ha inserito i suoi protagonisti. Ecco, quindi, lo sboccato nano Brok, che con un lieve tintinnio del suo martello è capace di migliorare armi e armature, e lo scoiattolo Ratatoskr, nei miti portatore degli insulti scambiati sull’Yggrdasill tra l’aquila senza nome che siede tra i rami più alti e il serpente Nidhoggr, “laceratore di cadaveri”, feroce belva che dimora nel bel mezzo delle radici dell’albero cosmico. Entrambi gli esempi sono tratti dal ciclo norreno delle avventure di Kratos, ora affiancato dal figlio Atreus: è sui due God of War ambientati nei Nove Regni nordici che concentreremo la nostra analisi, precisando che – per ovvie ragioni – saranno presenti molte rivelazioni sulla trama di God of War (2018) e God of War Ragnarök (2022).

Forma primaria di trasmissione di miti e leggende è la tradizione orale: per questa ragione, molte storie vengono perse nella nebbia dei secoli. Si trovano tracce di una religione naturalistica nelle regioni scandinave in epoca neolitica, con rappresentazioni di animali che sembrano ricoprire valenza totemiche e simboliche; con il passaggio a un sistema prevalentemente orientato all’agricoltura, si registra un’evoluzione che porta all’emergere di culti legati alla fecondità. I culti pagani prosperano e permangono anche in seguito all’arrivo del cristianesimo nell’area nordica, databile intorno all’anno mille, e le opere scritte più importanti per la conservazione dei miti germanici risalgono a un’epoca successiva a quella dell’avvento della religione cristiana: si tratta, delle Gesta Danorum, scritte da Saxo Grammaticus nel XII secolo, dell’Edda in prosa di Snorri Sturluson e dell’Edda poetica, queste ultime entrambe risalenti al XIII secolo.

Gesta Danorum, edizione a stampa del 1514

Edda di Snorri, manoscritto islandese del XVIII secolo

Non dobbiamo pensare che il cristianesimo sia riuscito a cancellare le credenze pagane con un colpo di spugna: la filologa e esperta di mitologia nordica Gianna Chiesa Isnardi ha parlato, al riguardo, di “onda lunga del paganesimo nordico”, le cui leggende e tradizioni riuscirono a protrarsi fino all’epoca immediatamente successiva allo scisma protestante, scatenato da Martin Lutero nel 1517. 

La figura di Baldur, tra le prime con cui Kratos e Atreus si trovano a confrontarsi in God of War, si colloca proprio in questo contesto di scontro e confronto tra pantheon norreno e monoteismo cristiano; inoltre, si tratta forse del personaggio più rappresentativo dell’opera di riscrittura del mito operata dagli scrittori di Santa Monica Studio, e – a nostro avviso – anche del più efficace. Baldr, come è chiamato nell’Edda in prosa, figlio di Odino e di Frigg (da alcuni studiosi identificata con la figura di Freya) è trattato nel dettaglio da Snorri Sturluson, poeta e apologeta cristiano che, in un tempo in cui la sua Islanda era già dominata dal Cristianesimo, trattava con rispetto e riverenza il materiale mitologico nordico, considerato parte del bagaglio culturale e storico della sua regione. Dato il background di Snorri, è facile immaginare che nella sua opera possano essersi manifestate tendenze al sincretismo religioso: in un affascinante studio firmato da Jesse Engelkens, sono state confrontate le rappresentazioni di Baldr fatte nell’Edda poetica – considerata come corpus di miti norreni risalenti all’epoca pre-cristiana – e quelle presenti nell’Edda in prosa di Snorri, mettendole in relazione alla figura di Cristo. 

Snorri Sturluson è probabilmente la fonte dell’idea di Santa Monica Studio di traslare le avventura di Kratos nei Nove Regni della mitologia scandinava: Snorri, infatti, apre la sua Edda raccontando che gli dèi Aesir (gruppo di cui fanno parte Odino, Thor, e anche Loki, quantomeno nel corpus mitologico tradizionale) discendono dagli abitanti della città di Troia. Tra gli Aesir, Baldr è il più bello: il suo corpo è splendente, ed egli è dio della luce e di tutto ciò che è buono, magnanimo e benvoluto tra tutti gli abitanti dei Nove Regni. Soprannominato il Buono, è però tormentato da sogni angosciosi che presagiscono la sua morte imminente: la madre Freya/Frigg (come dicevamo, è dubbio se si tratti di due figure diverse o di un’unica divinità: per comodità di esposizione, d’ora in poi la chiameremo semplicemente Freya) si mise dunque in viaggio per chiedere a tutti gli abitanti dei Nove Regni di non fare mai del male a suo figlio. Giurarono tutti, uno dopo l’altro: le rocce, gli alberi, gli animali del cielo e della terra, i metalli, perfino i serpenti. A una sola piantina, piccolissima, insignificante, Freya non chiese di giurare: si trattava del vischio.

La Freya di God of War è una potentissima strega, tormentata dalla profezia della morte di suo figlio Baldur: decide così di proteggerlo con un incantesimo potentissimo, rendendolo immune al dolore e alle ferite. Non solo. Il sortilegio rende Baldur incapace di sentire odori, sapori, persino la temperatura di un ambiente. “Feasting... drinking... women. It's all gone. Gone!” grida Baldur, infuriato, in un tremendo incontro con sua madre. 

Balder, illustrazione di Old Norse stories, Sarah Powers Bradish, 1900

Frigga, illustrazione di Old Norse stories, Sarah Powers Bradish, 1900

Siamo lontani anni luce dalla figura tratteggiata da Snorri, secondo Elgelkens vicina ai tratti di Cristo, in particolare quanto alla sua valenza escatologica (ne discuteremo in relazione al Ragnarök): il Baldur incontrato da Kratos e Atreus è un essere violento e tormentato, dai tratti quasi barbarici, che si muove seminudo nelle distese innevate di Midgard ed è protagonista delle boss fight più memorabili del primo capitolo della saga norrena del dio spartano della guerra. Baldur è un provocatore, tutt’altro che buono e pio, incattivito com’è dal destino di apatia cui è stato condannato dalla premura di sua madre. 

La sua fine coinvolge una freccia di vischio tanto nei miti quanto nel videogioco di Santa Monica Studio. Snorri Sturluson parla delle numerose serate trascorse dagli Aesir con un curioso passatempo: lanciare contro Baldr qualsiasi cosa capitasse loro a tiro. Baldr, sorridente, poteva sopportare qualsiasi ingiuria senza provare dolore. Ecco però che un altro personaggio fondamentale nella nostra analisi, il dio dell’inganno Loki, riuscì a scoprire che il vischio era stato trascurato da Freya. Dopo aver staccato una piantina di vischio e averla consegnata al dio Hodr, altro figlio di Odino, privo della vista, Loki lo invitò a gettare il rametto contro Baldr: affilato come una freccia, il vischio trafisse Baldr e lo uccise sul colpo. Nella drammatica battaglia finale che vede contrapporsi Kratos e Atreus/Loki (quest’ultimo era il nome che sua madre Laufey avrebbe voluto per lui) a Baldur, quest’ultimo constata con sgomento la scomparsa della sua invulnerabilità – considerata alla stregua di una maledizione – dopo essere stato punto dal vischio portato da Atreus: “What is this? I can feel this... I can feel everything!” esclama sgomento, prima di essere ucciso da Kratos per proteggere Freya dall’ira del figlio.

Balders død, Christoffer Vilhelm Eckersberg, olio su tela, 1817

Nella storia di Snorri è chiara la contrapposizione tra le forze del bene – rappresentate da Baldr, detto il Buono – e le forze del male, capitanate da Loki, serpe in seno agli stessi Aesir. Manca quell’ambiguità morale che viene invece introdotta dagli scrittori di God of War, capaci di una rilettura efficace e drammatica della storia di Baldur e del ruolo di Atreus, protagonista di un viaggio alla scoperta della sua natura divina e dei suoi poteri che culmina nel finale di God of War Ragnarök. Il Loki dei miti è una figura luciferina, idealmente contrapposta al Cristo pagano rappresentato da Baldr; la morte di quest’ultimo è portatrice – anche nel videogioco di Santa Monica – della fine dei tempi, avviando il Fimbulwinter, il rigido inverno che condurrà i Nove Regni al Ragnarök, conclusione del ciclo cosmico. Atreus ha una posizione ben più sfumata nei confronti degli dèi Aesir, gruppo di cui, nel mondo videoludico, non fa parte: incuriosito dalla conoscenza promessa da Odino, il giovane è tentato dal fascino di Asgard, e nel momento fatidico riuscirà a fare tesoro dei legami costruiti con Thrúd, figlia di Thor, e sua madre Sif per prevalere nella battaglia finale contro il Padre di Tutti. Una figura molto meno manichea di quella dipinta da Snorri e dall’Edda poetica, dunque, nonché emblema dei tormenti dell’adolescenza. Curiosamente, del padre di Loki sappiamo soltanto che si chiamava Fárbauti, “crudele attaccante”: un nome che starebbe bene anche a Kratos, padre dell’Atreus/Loki videoludico.

Accennavamo alla valenza escatologica di Baldur, la cui morte avvia gli eventi che conducono alla contrapposizione tra le forze del bene, capeggiate da Odino, e le forze del male. Tra i partecipanti alla lotta vi sono anche due figli di Loki: il lupo Fenrir e il serpente Midgardsormr, chiamato anche Jörmungandr. Anche Garmr, il segugio infernale, si unirà alla battaglia che porterà alla fine del mondo. In God of War Ragnarök, Fenrir e Garm (come è chiamato nel videogioco) vengono riuniti in un’unica figura: Atreus libera Garm, incatenato dagli Aesir, e per domare la sua natura distruttiva trasferisce in lui lo spirito di Fenrir, lupo da lui amatissimo, morto agli inizi degli eventi narrati nel secondo capitolo della saga norrena di Kratos. È una delicata rilettura del mito, secondo cui Loki e la gigantessa Angrboda (il cui nome significa “presagio di male”: in God of War, però, è una giovane gentile e amante della natura) sono genitori di tre esseri mostruosi: la dea dell’Oltretomba Hel, Fenrir e il Serpente del Mondo. È approcciata in maniera simile la “nascita” di Jörmungandr, serpente morente in cui Atreus e Angrboda infondono l’anima di un gigante: questo spiega il motivo per cui la serpe titanica sembra riconoscere Atreus nel primo God of War. Spedito nel passato durante il Ragnarök dalla potenza del martello Mjöllnir di Thor – una scena che possiamo vedere di sfuggita nelle drammatiche battute conclusive del secondo capitolo di God of War – Jörmungandr finisce nel Lago dei Nove, e lì incontra Kratos, Atreus e la testa di Mímir.

Fenrir ricondotto in catene, con la mano di Týr nelle fauci.

Thor e Hymir affrontano Jörmungandr, "pescandolo" dalle acque di un lago.

Mímir è certamente tra i personaggi più amati del ciclo nordico dello spartano, ed è centrale anche nei miti. Egli è membro della stirpe dei giganti, presenti fin dalle origini del mondo, e proprio per questo estremamente saggi. Il suo nome vuol dire “colui che ricorda”. Possiede una fonte capace di rendere onnisciente colui che ne beve l’acqua, e da essa trae ogni giorno nutrimento per la sua mente brillante. In cambio di un sorso, Odino fu disposto a cedere un occhio: diversamente accade al Padre di Tutti videoludico, che scopre una misteriosa frattura interdimensionale che lo chiama in maniera irresistibile; guardando al suo interno, viene privato dell’occhio destro. La maschera che vediamo in God of War Ragnarök è del tutto assente nei miti, ma il messaggio è uno solo: Odino è disposto a tutto pur di ottenere potere e conoscenza, due concetti strettamente collegati nella mitologia norrena (e non solo). Snorri racconta della decapitazione di Mímir a opera del dio, che in questo modo poté usufruire dei consigli del gigante ogni sera, fino alla fine dei tempi; in God of War è Kratos a spiccare la testa dal collo di Mímir, sempre con la finalità di avvalersi della conoscenza dell’essere più dotto di tutti i Nove Regni.

Mímir fa notare a Kratos quanto sia importante leggere le rune presenti nei luoghi attraversati dal terzetto: questo perché non si tratta di semplici segni alfabetici, ma di entità magiche vere e proprie. Le rune contengono i segreti dell’esistenza; chi le padroneggia è capace di domare il mondo e i suoi abitanti. È il caso di Freya, la strega più potente dei Nove Regni, compagna di Odino pur essendo esponente degli dèi Vanir, gruppo contrapposto a quello degli Aesir. Nel corpus mitologico norreno, Freya è responsabile della trasmissione delle conoscenze magiche dei Vanir a Odino, e quindi agli Aesir nel loro complesso; al contrario, in God of War la donna narra del suo categorico rifiuto opposto al marito, cui non insegnò i sortilegi da lui tanto bramati. Una storia di conoscenza negata, dunque, e di un potere espresso tramite le parole che Freya – quasi una figura materna per Atreus, orfano di Laufey – insegna al figlio di Kratos. Parole che animano le frecce di Atreus e le rendono singolarmente potenti, capaci di superare gli ostacoli e di aiutarlo a completare la scalata verso Asgard. 

Mimir, rappresentato nel suo supplizio in God of War (2018)

Abbiamo accennato più volte alla figura di Odino, spregiudicato, imprevedibile, innamorato di una conoscenza fine a sé stessa, da lui anteposta ai legami familiari nel corso della sua vita e anche nel drammatico epilogo di God of War Ragnarök. Il Padre di Tutti è a capo del pantheon norreno, e non a caso – dicevamo del legame tra parola e potere – ha molti nomi: tra questi, Aldafadir, “padre degli uomini”, Allfadir, “padre di tutti”, Itrekr, “principe eccellente”, Bragi, “principe”, Sanngentall, “colui che intuisce il vero”, e molti altri ancora. Sono questi nomi a fungere da vera maschera del dio, celando la sua identità multiforme. Snorri Sturluson dice di lui che parlava sempre in versi poetici, dimostrando così una perfetta padronanza del carattere magico delle rune e delle parole. Non è meno ambiguo del dio Loki, ed è al contempo divinità dei vivi e dei morti, capace di trasformarsi in qualsiasi essere egli desideri. Sfrutta alla perfezione questa capacità per ingannare Kratos, Atreus e i loro alleati, facendo credere che siano riusciti a liberare il dio della guerra Týr: si tratta, in realtà, di Odino sotto mentite spoglie.

Nei miti non si trova traccia della rivalità videoludica tra Týr e Odino, così come abbiamo visto che la Freya mitologica fu ben più morbida di quella di Santa Monica Studio davanti alle richieste del Padre di Tutti. Gli sviluppatori hanno restituito a Týr una centralità ben maggiore di quella riconosciutagli dal canone, in cui è presente in maniera significativa soltanto nella storia dell’imprigionamento di Fenrir (accostato a Garm in God of War). Si tratta di una vicenda interessante, in cui Týr svolge la funzione di garante: unico dio a osare avvicinarsi all’orrendo mostro, Týr pone la mano destra tra le fauci del lupo per rassicurarlo e ingannarlo. Nel frattempo, infatti, Fenrir veniva legato con la corda Gleipnir, creata dai nani nel reame sotterraneo di Nidavellir con sei elementi surreali: barba di donna, respiro di pesce, tendini d’orso, radici di una montagna, saliva di uccello e calpestio di gatto. Scoperto l’inganno, Fenrir mozza la mano di Týr, che condivide quindi con Odino una forma di mutilazione corporale e di sacrificio dal forte valore simbolico: questo aspetto viene perso in God of War Ragnarök, in cui – en passant, come se non fosse importante – Mímir spiega a Kratos che Týr ha sfruttato i suoi poteri divini per farsi ricrescere il braccio. 

Odino, insieme ai lupi Geri e Freki e i corvi Huginn e Muninn. Illustrazione del libro "Walhall" di Felix e Therese Dahn, 1888.

Tyr, con la mano destra mozzata, che annienta un nemico. Illustrazione del libro "Le grandi leggende norrene, celtiche e teutoniche", Wilhelm Wägner, 1882.

Il rapporto tra il dio della guerra norreno e i lupi non si ferma qui: durante il Ragnarök, Týr ingaggerà un duello mortale contro il segugio infernale Garmr. Fenrir, invece, sarà il responsabile della morte di Odino; nella versione videoludica del mito, il Padre di Tutti può incolpare solo sé stesso della propria morte, dovuta alla sua inesauribile sete di conoscenza e di potere. Talmente forte da portarlo a uccidere il figlio Thor, dopo che quest’ultimo si ribella al padre padrone. Thor è una figura cui, come avvenuto pure per Baldur, gli scrittori di Santa Monica attribuiscono una affascinante ambiguità morale: guerriero valoroso e nemico leale per Kratos – che punisce per la morte dei suoi figli Magni e Modi, senza però accanirsi sullo spartano – è tormentato dal rapporto difficile con suo padre, contro cui la moglie Sif lo mette ripetutamente in guardia. Amante del bere, ha una figlia, Thrúd, che vorrebbe diventare valchiria: lo spunto arriva dalla presenza tra le valchirie di una figura omonima, ma non è chiaro se, all’interno del corpus mitologico nordico, vi sia coincidenza tra questa e la progenie del dio del tuono. In ogni caso, God of War Ragnarök opera una svolta al femminile: se per Snorri il Mjöllnir viene ereditato da Magni e Modi in seguito all’uccisione di Thor a opera dell’acerrimo nemico Jörmungandr, nel videogioco assistiamo alla presa in carico dell’arma divina da parte di Thrúd, decisa più che mai a seguire le orme di suo padre.

In questo quadro variegato e pieno di attori e attrici – forse più adatto a una trilogia che a una trattazione in soli due capitoli – spicca senz’altro la figura di Atreus, protagonista indiscusso degli eventi del Ragnarök e finalmente padrone della sua capacità di trasformarsi in animale (orso o lupo), simbolo del suo profondo contatto con la natura e del suo immenso potere. La sua forza più grande, però, è tutta invenzione di Santa Monica: si tratta della sua gentilezza. Da dio dell’inganno, Atreus/Loki compie un lungo percorso di accettazione delle proprie responsabilità e di apertura del cuore alle ragioni dell’altro. È questo che lo porterà a ottenere la fiducia di Thrúd, Sif e molti altri, radunando un gruppo nutrito, variegato ma compatto, e nelle ultime battute dell’avventura ispirando la presa di consapevolezza di Thor circa l’egoismo del Padre di Tutti. È un’opera di riscrittura fine e sorprendente, forse minata dalla sovrabbondanza di eventi e situazioni di God of War Ragnarök, con il risultato che alcune linee narrative – quelle di Angrboda e Laufey innanzitutto – sembrano a tratti perdersi e non ottengono la chance di essere approfondite adeguatamente. 

Resta però la dimostrazione di quella vitalità del mito sostenuta da Joseph Campbell: i miti norreni, e non solo, continuano a offrire fertilissimo materiale di riflessione e di confronto per l’uomo contemporaneo e, nel caso di God of War, per i videogiocatori in particolare. Il tutto al di là di recensioni, voti e giudizi nei confronti della saga dello spartano.

Pubblicato il: 14/12/2022

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19 commenti

Si percepisce molto il lavoro di ricerca che c'è dietro questo articolo, e apprezzo molto come l'attenzione sia puntata sulle tematiche storiche dietro God of War anzichè su argomenti già ampiamente trattati. Complimenti davvero!
TheItalianNerd

OTTIMO ARTICOLO COME SEMPRE !

Bellissimo articolo, complimenti per l'approfondimento

Complimenti Giulia, bellissimo articolo

Messo in evidenza da RoundTwo

Altro... Da amante della mitologia ho trovato questo articolo veramente interessante, molto fluido e piacevole da leggere. È sempre figo quando il videogioco diventa un mezzo per parlare di altro e approfondire i temi più disparati. Complimenti Giulia, un’ottima penna!

Sempre brava Giulia.

un approfondimento davvero niente male e molto interessante da leggere

Da amante della mitologia norrena, i miei complimenti, articolo veramente bellissimo.

Lo leggerò appena finisco il gioco, trovo sempre molto interessanti questo tipo di approfondimenti.

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