MÉLANCOLIE DU CLAIR-OBSCUR

la beauté après la fin du monde

Cutscene: Stoccolma, ottobre 2025

László Krasznahorkai ha vinto il Nobel per la Letteratura 2025. Secondo la motivazione ufficiale dell’Accademia Reale di Svezia, Krasznahorkai è stato investito del Premio Nobel «per la sua lingua ininterrotta e ipnotica, che attraverso la ripetizione e la spirale tenta di trattenere il mondo nel suo collasso». Una motivazione che suona come un messaggio d’errore su schermo, come la scritta verde pixellata “Hideo” su uno schermo nero: “System instability detected. Continue anyway?” 

Krasznahorkai ha vinto per aver scritto la letteratura del crash, la letteratura della crisi, la letteratura del più completo sbriciolarsi. Non è un inno romantico al “rovinismo”, in cui si bea di descrivere la fine del mondo: László Krasznahorkai lo fa per mantenere operativo il suo disfacimento. Le sue frasi non raccontano: girano in background, come un virus che si sedimenta in un sistema operativo. Ogni subordinata è un processo che tenta di evitare l’arresto di quel programma che noi per brevità, o paura, chiamiamo realtà. 

E mentre a Stoccolma si consegna il Nobel, noi videogiocatrici e videogiocatori di tutto il mondo parliamo ancora di Clair Obscur : Expedition 33 — un videogioco che funziona come lo specchio interattivo di quella stessa intuizione dello scrittore ungherese: un universo in cui la bellezza non salva, cancella, cristallizza, blocca la vita, sospende la morte.

Crash lento

László Krasznahorkai scrive come se il linguaggio fosse l’ultima infrastruttura ancora accesa dopo la catastrofe, l’ultima luce di una civiltà scomparsa e noi, come piccoli esploratori dello spazio che nulla sappiamo, osserviamo stupiti. La sua lingua non progredisce — resiste. È un flusso che si ripiega su sé stesso, un oceano chiuso. Leggere Sátántangó o Melancolia della resistenza è come attraversare una zona contaminata, uno Stalker verbale in cui la realtà è già stata corrotta. L’arte della corruzione è un’arte antica, raffinata, che solo se si è grandi scrittori la si può maneggiare con naturalezza. 

In un altro linguaggio, Expedition 33 fa più o meno la stessa cosa. Ogni anno, un’artista — la Pittrice — dipinge un numero. Chi ha quell’età scompare. Non è castigo né metafora morale: è un gesto estetico assoluto.

L’arte non salva il mondo, lo condanna a uno stillicidio, a una fine progressiva. Un mondo che si rifinisce cancellandosi, come se ogni pennellata fosse una riga di codice che riscrive la realtà. Ecco che ritorna il bug del sistema.

Sul fondale si sente la voce della canzone Lumière dell’OST, con la sua litania in francese deformato, ritrascritto, contaminato:«Dim dam talé lam vacarme / S’en va dans Lumi éternam / Et Gustave dôme guardéam…» 

Una preghiera luminosa che accompagna la dissolvenza nella notte del mondo.

Il mondo come engine

Krasznahorkai, dicevamo, costruisce romanzi come engine narrativi: frasi che non terminano, personaggi che orbitano come NPC smarriti. Ogni subordinata apre un nuovo livello, ogni pausa è un checkpoint provvisorio. Il lettore non legge una storia: gioca un mondo. 

È la stessa architettura mentale di Expedition 33 — corridoi, cicli, spirali di tempo e di luce. La trama non è solo ciò che accade a schermo, ma il modo in cui il mondo resiste a sé stesso

Esattamente come in Tarkovskij, il tempo è materia; come in Piranesi, lo spazio è una prigione infinita, per quanto sublime; come in Dark Souls, il senso emerge solo dall’attraversamento. László Krasznahorkai e la Pittrice progettano la stessa esperienza: il sentire il collasso come condizione estetica

L’arte ci condannerà tutti.

La Pittrice e l’autore

La Pittrice dipinge, Krasznahorkai scrive. Due gesti paritetici: mantenere il mondo dentro una forma, anche a costo di distruggerlo. Una gabbia dorata, un periodo perfetto, eppure prigioni da cui neppure noi siamo tanto sicuri di poterne uscire. 

Entrambi incarnano la figura dell’artista-demiurgo, una divinità laica che non crea dal nulla ma dalla saturazione. Bosch lo avrebbe capito benissimo: la creazione e la catastrofe sono lo stesso quadro. E Deleuze l’avrebbe forse chiamato piano di consistenza: la superficie infinita su cui le cose insistono per non svanire. 

Ogni pennellata della Pittrice è una decisione ontologica. Ogni frase di László Krasznahorkai è una legge del cosmo. Non raccontano il mondo: lo amministrano.
È l’arte come governo — un potere che non impone, armonizza.

Siamo noi a creare il party, a bilanciare le sinergie, ad armonizzare gli attacchi. È un JRPG dell’anima, prima ancora che dei pollici.

Nella colonna sonora torna la voce di Lune: 
«Dans le silence et la nuit / Magie et poésie prennent vie / Lueur taciturne / Muse des âmes nocturnes…»

Il dominio estetico

Nel XXI secolo il potere non passa più dai decreti, ma dai formati, dai format che tutto decidono, che tutto regolano, che tutto determinano. Dalle interfacce, dai feed, dagli algoritmi che ci addestrano a un certo ritmo. Krasznahorkai lo aveva intuito prima dell’era degli schermi: la vera coercizione non è politica, è percettiva. È dal 1985, o giù di lì, che è così. 

La frase interminabile è un atto di dominio sulla mente. La durata diventa disciplina, la complessità diventa filtro d’ingresso. Non è gatekeeping, è dare senso magico al gusto estetico. 

Expedition 33 traduce tutto questo nel linguaggio visivo del gioco. La Pittrice decide chi vive e chi muore non per odio, ma per équilibre chromatique. È l’algoritmo cromatico che ottimizza, il design che seleziona, l’ispirazione che cristallizza. 

È l’arte che diventa governance. Il suo pennello è il nostro feed: corregge, bilancia, cancella gli eccessi. Krasznahorkai ne scrive la versione a parole: la bellezza come forma di controllo.

L’arte come patch del mondo

László Krasznahorkai e Expedition 33 hanno in comune una certezza: il mondo non si salverà con le idee, ma con la manutenzione estetica. La catastrofe non è di per sé un evento, è un’interfaccia che si aggiorna. 

Ogni opera è una patch, un tentativo di tenere in vita il sistema. È l’eredità di Deleuze e Tarkovskij, di chi vedeva nell’arte una forza vitale, non contemplativa. 

Creare non serve più a spiegare il mondo, ma a prolungarne il tempo di esecuzione
Krasznahorkai lo fa con le parole; la Pittrice, con i colori.

Entrambi rispondono alla stessa domanda: 
Combien de temps le monde peut-il encore durer si on continue à le raconter ?

La cultura come uptime

Il premio di Stoccolma e le recensioni di Expedition 33 celebrano la stessa intuizione: non cerchiamo più storie che ci salvino, ma sistemi che continuino a funzionare mentre tutto collassa

Un nuovo Sublime romantico della fine, la melanconia dei mondi perduti e ritrovati digitalmente. László Krasznahorkai tiene acceso il linguaggio, la Pittrice tiene acceso il mondo.  

Vi ricordate di Cioran quando affermava «Ceux qui écrivent vivent pour tromper la mort»? (Coloro che scrivono vivono per ingannare la morte).

Epilogo — Continuer à t’aimer

Il 2025 sarà ricordato come l’anno in cui un romanzo e un videogioco hanno detto la stessa cosa: che il mondo è già finito, ma il suo motore grafico gira ancora. 

Se lo chiamate anima, voglia di vivere o amore è una vostra scelta — nel dubbio, non vi sbagliate. 
Scrivere, dipingere, giocare: tutto serve solo a evitare il crash definitivo. 

E da qualche parte, in un’ultima eco, una voce canta: 

«Continuer à t'aimer 
Continuer de peindre 
Tendre la main et t'implorer 
Reviens…
» 

Come una melanconia della bellezza un attimo prima della fine del mondo.

A cura di
Mattia Nesto

Pubblicato il: 14/10/2025

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