LA CADUTA DEI FULL MOTION VIDEO
E la loro successiva rinascita
Il cestone delle occasioni è una delle mete più ambite di ogni persona appassionata di videogiochi. Che ci si trovi in un punto vendita (luogo ormai sempre più raro) oppure nello store digitale di Steam, l’obiettivo è sempre quello di provare a mettere le mani su qualche gioco scontato e magari riesumare qualche polverosa perla nascosta da riscoprire e aggiungere al proprio curriculum da videogiocatori, così da poter impressionare gli amici.
“Ehi, ma tu l’hai mai giocato quel videogioco polacco minimalista dello sviluppatore morto suicida giovanissimo?”
È molto comune, per quelli che annaspano nella polvere per cercare dei titoli poco noti, imbattersi in giochi in Full Motion Video, o FMV per gli amici.
Si tratta di videogiochi che sembrano abitare proprio nel solo spazio cosmico del cestone, soprattutto se parliamo dei titoli risalenti agli anni ‘90, periodo in cui i FMV hanno cominciato a prendere piede riuscendo a riscuotere un certo successo e a suscitare molta curiosità. Un modo di intendere il videogioco che venne lentamente messo da parte ma che, altrettanto lentamente e silenziosamente, negli ultimi tempi sta riuscendo a ritagliarsi un nuovo spazio nel mercato videoludico, grazie a dei titoli che hanno riscosso un certo insperato successo.
Ma proseguiamo con ordine e, come di consueto, diamo qualche definizione: Che cosa sono i giochi in FMV?
È importante chiarire subito che non stiamo parlando di un genere, ma di un vero e proprio stile grafico che si basa sulla riproduzione di video pre registrati, che possono essere inseriti al posto delle cutscene oppure impiegati per tutta la durata del gioco. È facile che si pensi agli FMV come prodotti che coinvolgono attori in carne e ossa, ma non tutti sanno che uno dei primi titoli ad aver utilizzato questa tecnica è uno storico videogioco arcade, Dragon’s Lair (1983), distribuito nelle sale giochi e in formato LaserDisc, le cui sequenze in Full Motion Video erano animate e furono realizzate da Don Bluth, il papà di film importantissimi come Charlie – Anche i Cani vanno in Paradiso (piangi!), Fievel sbarca in America e Anastasia.
La trama di Dragon’s Lair è estremamente semplice: il cavaliere Dirk deve salvare la principessa Daphne (rappresentata in un modo leggerissimamente ammiccante) e, per portare a termine la sua missione, dovrà contrarsi con una lunga serie di mostri. Il gioco è piuttosto limitato e limitante per il giocatore, in quanto è necessario compiere delle azioni specifiche in momenti precisi e, in caso di errore, bisogna necessariamente ripartire da capo. Si tratta di una versione preistorica dei quick time event, che vennero canonizzati molti anni dopo da Shenmue su Dreamcast. Le sequenze animate delle varie morti di Dirk sono sempre coerenti con l’ostacolo o il mostro che sta affrontando, il che comporta un caricamento massiccio di immagini e filmati.
Dragon’s Lair era, anzi è, un titolo tanto eccezionale quanto frustrante. Era molto facile sbagliare ed era necessario avere una buona memoria per ricordare a memoria tutti i passaggi del gioco. Inoltre, ai tempi, era uno dei giochi più costosi delle sale arcade, poiché servivano $ 0,50 invece dei soliti $ 0,25 per poter fare una partita. Se consideriamo i mille tentativi necessari per portarlo a termine, possiamo ipotizzare che la paghetta settimanale dei giocatori più giovani venisse prosciugata molto rapidamente da quel cabinato così strambo. Nonostante tutto, il gioco ebbe un successo più che discreto e molti cercarono di prendere esempio, come Bega’s Battle (1983), che utilizzava, grazie al supporto LaserDisc, le sequenze dell’anime Harmagedon – La Guerra contro Genma come sfondo delle schermate.
A causa degli elevati costi, sia di produzione dei giochi sia della realizzazione di console adatte allo scopo, non fu più possibile realizzare dei titoli di tale portata, anche perché all’orizzonte si stava avvicinando la prima, devastante crisi del settore videoludico, esplosa proprio tra il 1983 e il 1985.
La prima fase della storia dei giochi in FMV si concluse così. Con il passaggio dai floppy disk al supporto dei CD-ROM la musica però cambia e gli sviluppatori di tutto il mondo cominciano a fare a gara per riempire i 650 MB di memoria disponibile (uno spazio minuscolo se paragonato ai giorni nostri) di fantastici contenuti.
Ma cosa si poteva trovare sugli scaffali durante questa nuova ondata di ispirazione? C’erano titoli in cui era necessario, come in Dragon’s Lair, avere buona memoria e riflessi pronti, come nel caso di Ground Zero: Texas (1993), in cui si avevano a disposizione delle telecamere che dovevano essere selezionate al momento giusto per poter sorprendere ed eliminare i nemici a schermo. Considerato che i pattern erano sempre gli stessi, si andava a tentativi, cercando di memorizzare i movimenti dei personaggi per coglierli al momento giusto. In questo preciso momento storico vide la luce anche Gabriel Knight, una serie di avventure grafiche a tema mystery che ancora oggi riescono a regalare emozioni e brividi. Il primo capitolo risale al 1993, e come i suoi seguiti è stato scritto da Jane Jensen. La storia ruota attorno al libraio e scrittore Gabriel, che decide di investigare su un inquietante ondata di omicidi che sembrano essere collegati a una setta misteriosa. Fu uno dei primi titoli in cui il giocatore poteva determinare il destino finale del protagonista, diviso tra amore e dovere, cosa che all’epoca stuzzicò molto i videogiocatori.
Una piccola menzione speciale va al doppiaggio italiano, di cui abbiamo già parlato in questo articolo.
È però arrivato il momento di parlare della grande Roberta Williams, di Sierra Entertainment e, ovviamente, di Phantasmagoria (1995).
Sierra Entertainment, poi Sierra On-Line, è un’azienda nota per lo più per le sue avventure testuali punta e clicca. Per capirci, è la mamma di King’s Quest (se non avete giocato almeno un capitolo, peste vi colga!) e ha anche ideato e prodotto l’ambizioso Phantasmagoria, sfruttando proprio le opportunità offerte dai Full Motion Video. Scritto da Roberta Williams, il gioco racconta la storia di Adrienne e Don Gordon che decidono di acquistare una villa per niente inquietante, appartenuta al mago Zoltan “Carno” Carnovash. Questo dà il via ad una serie di avvenimenti terribili, costellati di budella sparpagliate ovunque e vere e proprie fontane di sangue.
Il gioco venne realizzato con l’uso di attori in carne e ossa e di un bluescreen, dove poi sarebbero stati renderizzati i fondali, forse ad oggi un po’ pezzotti, ma pieni di cura e amore. Si tratta di una classica avventura punta e clicca, in cui dovremo aiutare Adrienne a indagare sulle cose terribili che stanno accadendo nella casa e che coinvolgeranno anche suo marito Don. Lo stile FMV contribuiva ad aumentare l’inquietudine e il disagio, regalando dei momenti squisitamente in bilico fra l’uncanny valley e lo splatter più esplicito, che in varie occasioni fa un po’ il verso al regista Herschell Gordon Lewis (il personaggio di Carno sembra uscito da The Wizard of Gore). Inoltre, cosa per niente scontata, era interamente doppiato e tradotto in italiano e in questo caso la bravura dei doppiatori, in particolare quella di Marina Thovez, andava a riequilibrare lo scarso talento di alcuni attori.
Non è assolutamente un titolo perfetto: ci sono molte cose da fare, forse troppe, quindi basta cliccare sul punto “sbagliato” per sorbirsi una lunga sequenza di almeno due minuti in cui Adrienne compie azioni totalmente inutili. Ricordo ancora quando mi azzardai a cliccare sulla specchiera in cerca di indizi, per poi sorbirmi una lunga e inutile scena in cui la bionda protagonista che si spazzolava vezzosamente i capelli. Sto ancora aspettando che mi ridiano indietro quei quaranta secondi. Phantasmagoria fece parlare di sé non tanto per la sua qualità, comunque piuttosto alta per l’epoca, ma per le scene estremamente gore e per un particolare momento in cui Adrienne subisce una violenza sessuale piuttosto esplicita per l’epoca.
Un’altra avventura punta e clicca in FMV, più riuscita di Phantasmagoria, è Harvester (1996). Racconta la storia di Steve Mason, che si sveglia senza memoria in una casa nel 1953, in un luogo che sembra ricalcare in modo macabro gli stereotipi del perfetto paesello statunitense, dove le donne sono impeccabili e sfornano manicaretti tutto il giorno mentre gli uomini dimostrano la loro virilità lavorando diligentemente. Ma c’è qualcosa che non va, anzi ci sono tante cose che non vanno. Si respira un'atmosfera che ricorda quella di Twin Peaks e in generale si capisce molto che all’autore, Gilbert P. Austin, è un grande fan di David Lynch.
Anche qui il sangue scorre a fiumi e la violenza mostrata a schermo è forse anche più gratuita rispetto al titolo di Roberta Williams (è presente anche una cruenta scena in cui due bambini si cibano del cadavere della loro madre, tanto per dire), ma gli enigmi e le indagini sono decisamente più intelligenti e la realizzazione può essere considerata meno “grezza”. Vi consiglio di recuperarlo, anche perché si trova molto facilmente su Steam e, nonostante sia vecchiotto, risulta ancora estremamente inquietante.
Parlando di scene disturbanti ci tocca anche citare quello che per alcuni di voi sarà l’elefante nella stanza: Night Trap (1992). Diciamolo da subito: è un videogioco orrendo. Ha lo stesso gameplay di Ground Zero: Texas, quindi telecamere da selezionare e trappole da azionare al momento giusto, una storia molto stupida e un pretesto narrativo che poteva essere anche interessante ma che è risultato in un nulla di fatto. La storia ruota attorno a un gruppo di agenti che sta indagando su una strana famiglia di vampiri con la bizzarra abitudine di adescare giovani donzelle grazie all’aiuto della loro figlia adolescente (al liceo io e lei saremmo diventate grandi amiche). Si gioca nei panni di un membro di questa squadra speciale, infatti il nostro compito sarà quello di controllare le telecamere e le trappole per proteggere l’agente infiltrata Kelly (Dana Plato) e le giovani pulzelle ignare del pericolo che stanno correndo. Volutamente (?) trash, talmente trash da fare il giro più volte e rimanere comunque insindacabilmente brutto.
Le ragazze sono braccate non solo dalla famiglia di vampiri, che entrerà veramente in scena solo verso il finale, ma anche da alcuni ridicoli tizi vestiti di nero che ricordano una versione leggermente distorta del nostrano Tafazzi. Questi omuncoli sono armati di un braccio meccanico che, avvolto attorno al collo della vittima, “succhia” il sangue del malcapitato per poi conservarlo nella cantina della famiglia. Nonostante la natura evidentemente ridicola del gioco, è stato preso estremamente sul serio, in particolare per la famigerata scena del bagno che vi consiglio di andare a vedere dopo aver letto quanto segue: a causa delle scene più violente del gioco, Night Trap fu, insieme a Mortal Kombat e Wolfenstein 3D, uno dei titoli che scatenarono il panico nella buoncostume americana e portarono alla creazione del metodo di classificazione Entertainment Software Rating Board (ESRB), il nostro PEGI.
Nonostante tutto, però, provo un fascino particolare nei confronti di questa schifezza allucinante e non nego di aver recuperato anche la versione “rivista” rilasciata in occasione del suo venticinquesimo anniversario, giocabile anche su Nintendo Switch.
Negli anni successivi, i giochi in FMV hanno toccato più bassi che alti e hanno spesso ospitato attori di successo, come nel caso di Wing Commander III: Heart of the Tiger che ha nel cast addirittura Mark Hamill e Malcom McDowell, ingaggiati nella speranza di attirare qualche videogiocatore, ma diedero asilo anche a interpreti in rovina come la stessa Dana Plato in Night Trap.Durante le mie ricerche per la stesura di quest'articolo ho registrato che le critiche principali rivolte agli FMV dell’epoca sono legate al fatto che fossero principalmente opere scadenti e che, di base, venissero considerati principalmente dei film solo lievemente interattivi. Nonostante già in quegli anni molti fossero alla ricerca del realismo più puro nei videogiochi e potessero avvicinarcisi grazie alla tecnica del Full Motion Video, molti lamentavano la mancanza di un vero e proprio gameplay con cui interagire.
Qual è, però, la situazione attuale?
Per quanto inaspettato che sia, è insospettabilmente positiva. Pare che negli ultimi decenni, infatti, i giochi in Full Motion Video abbiano vissuto una vera e propria rinascita, che però è avvenuta sottovoce e senza troppi fronzoli. I titoli contemporanei sono realizzati con molta più cura di un tempo, soprattutto per quanto riguarda il lato narrativo, e sembrano aver ritrovato la loro strada nei cosiddetti “film interattivi”. Molti giochi sono basati su scelte di dialogo e di azioni che plasmano il corso della storia o sull’analisi di alcuni file video, come Her Story (2015) o Telling Lies (2019) del maestro Sam Barlow, che attualmente è fra coloro che più di tutti hanno saputo fare un ottimo uso di questo stile, in passato associato solamente al trash a causa di produzioni scadenti e trasandate. Il suo ultimo capolavoro, Immortality (2022), merita di essere recuperato da tutti.
Rimane comunque uno stile un po’ di nicchia, ma ad oggi gli FMV sembrano splendere più di prima ed è anche possibile realizzarli con budget più corposi di un tempo. Se prima l’horror era uno dei generi preferiti di chi decideva di cimentarsi con questo genere di tecnica, ad oggi si trovano moltissimi thriller o comunque titoli basati sul portare avanti delle indagini. Molti di questi richiedono spesso di dover ascoltare con attenzione i dialoghi e tenere a mente dettagli apparentemente insignificanti per pensare alla risposta più adatta. Come succede nelle migliori avventure grafiche, mettere insieme i pezzi è spesso fondamentale ed è necessario tenere l’attenzione molto alta. Segnalo anche Late Shift (2017), scritto da Tobias Weber, in cui si impersona uno studente che lavora in un parcheggio e che viene catapultato nella criminalità inglese e costretto a lavorare con dei criminali.
Il mistero piace a tutti, insomma, ma si trovano anche delle chicche che affrontano temi molto più leggeri, come ad esempio Five Dates (2020) e il suo seguito Ten Dates (2023), in cui si vestono i panni di persone alla ricerca della propria anima gemella tramite una dating app. Cosa dire e cosa no sarà fondamentale per riuscire a conquistare il cuore (seh, il cuore) della persona che avremo davanti, e sarà necessario ascoltare e ricordare le informazioni che ci ha fornito per poter fare colpo su di lei.
La mia deformazione professionale mi porta peraltro a segnalare che i dialoghi di Her Story, Five Dates, Ten Dates e Immortality non sono purtroppo localizzati in italiano, ad eccezione dell’interfaccia di Immortality, mentre Late Shift e Telling Lies sono sottotitolati. Escludendo quelli già segnalati, fra i titoli del passato l’interfaccia di Dragon’s Lair è in italiano, mentre Night Trap, Harvester, Wing Commander III: Heart of the Tiger e Ground Zero: Texas sono totalmente in inglese.
Nel bene e nel male, i videogiochi in Full Motion Video sono stati e sono attualmente uno dei modi più immersivi e, ovviamente, realistici di vivere i videogiochi. L’olezzo di trash aleggia ancora nell’aria, ma come sempre la soluzione migliore è guardare oltre e dare la possibilità sia a titoli contemporanei, ma anche a perle (e cozze) del passato. Chissà che non scopriate che il vostro gioco preferito è proprio Plumbers Don’t Wear Ties.
Pubblicato il: 11/08/2025
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