FFX(IV) TRICKY

La vita di Naoki Yoshida tra doveri genitoriali e snowboard

Naoki Yoshida è una persona semplice. A lui piacciono sostanzialmente due cose: sviluppare videogiochi e andare sullo snowboard. «Il mio sogno», mi ha detto in un’intervista in esclusiva in occasione della sua partecipazione al Japan Expo di Parigi, «è quello di poter andare in giro tutto l’anno per le diverse montagne del mondo, fare snowboard la mattina, lavorare un po’ il pomeriggio, e la sera salire di nuovo sulla tavola da snowboard. Se riuscissi a farlo potrei lavorare sui miei giochi fino a cent’anni!». Da questo punto di vista ci troviamo davanti a una situazione che vede tutti vincitori: da una parte Yoshida potrebbe fare la vita che vuole sulle sue amate montagne, dall’altra gli utenti di Final Fantasy XIV avrebbero la garanzia che Eorzea, il mondo nel quale sono ambientate le avventure dei Guerrieri della Luce, sarebbe gestita ancora per decenni da chi è riuscito prima a salvarla e poi a renderla grande.

Final Fantasy XIV è infatti quel progetto nato molto male nel 2010 ma poi salvato con pazienza e dedizione proprio da Naoki Yoshida, che ha fatto una cosa abbastanza rivoluzionaria per la Square Enix dell’epoca: si è messo a dialogare con i giocatori. Il suo più grande merito infatti è quello di essere stato in grado di instaurare un reale rapporto con gli utenti, di averli ascoltati, capiti, e infine aver trasformato quel dialogo in un gioco memorabile, che dopo 11 anni continua ad attrarre milioni di giocatori ed è arrivato ormai alla sua quinta espansione, che poi è anche il gancio che ci ha permesso di poter fare questa chiacchiera.

Il successo di Dawntrail (mai così tanti giocatori contemporanei), che è l’ultima espansione a essere uscita, era prevedibile ma non scontato: intanto è la prima espansione ad avere un arco narrativo differente rispetto a quello visto fino ad ora, conclusosi con l’espansione Endwalker. Per la prima volta dopo 11 anni il ruolo del giocatore non è tanto quello dell’eroe che salva l’universo ma quello del mentore, e in generale il tono è più leggero e il ritmo più rilassato, dovendo un po’ ripartire da zero.

«Endwalker è stato il punto di arrivo di una storia lunga dieci anni», ha detto Yoshida, «e già avevamo anticipato che questo [si riferisce a Dawntrail] sarebbe stato l’inizio di un’altra storia lunga altrettanto». Quando un gioco a servizio continuo si trova in una situazione come questa solitamente può fare una sola cosa: ricominciare con un nuovo arco narrativo sperando che sia buono, se non migliore, del precedente. È un’operazione tutto sommato naturale, che però fa una cosa che solitamente ai videogiocatori (o quantomeno alla loro minoranza reazionaria e rumorosa) piace davvero poco: li costringe a cambiare. Cambiare area di gioco, personaggi, ritmo, rapporti di forza e abitudini. «L’esperienza dei giocatori a cui piace giocarsi la storia tutto d’un fiato», dice Yoshida, «non è stata così memorabile. Ma abbiamo preso nota di cosa per loro non ha funzionato e proveremo d’ora in avanti a trovare un equilibrio che accontenti tutti».

Essere diventato il punto di riferimento dell’intera community, che conta tra l’altro diversi milioni di persone, vuol dire però scontentare sempre qualcuno: «in quanto autori di opere di intrattenimento penso che il nostro obiettivo sia sempre migliorare e cercare di ascoltare ciò che le persone dicono, non fermandoci semplicemente al fatto che ci sono persone soddisfatte e persone non soddisfatte. Non è quello il nostro obiettivo: vogliamo raggiungere il maggior numero possibile di persone, e per questo ogni forma di feedback è estremamente apprezzata». Poi oh, pure Breaking Bad inizia piano per costruire mondo e personaggi eh? Naoki Yoshida si è appassionato ai videogiochi quando ancora bambino ha visto a casa di un «ricco bambino viziato» Mario Bros. Non furono tanto le meccaniche di gioco a colpirlo, quanto il realizzare che con i videogiochi la televisione guadagnava una dimensione di interattività che prima era semplicemente impossibile da realizzare. Il tempo passa, la passione cresce e cresce la preferenza per un genere, quello dei giochi di ruolo, che può raccontare storie complesse ma soprattutto dare a un giocatore un senso di progressione che lo fa essere più affezionato al personaggio che sta utilizzando.

Il primo impiego nel settore è stato quello in Hudson Soft, lo sviluppatore che tra il 1980 e il 2002 ha creato diverse serie di successo, tra cui la più importante è certamente Bomberman. In Hudson Soft Yoshida ci è entrato dopo un programma di formazione organizzato dallo stesso editore, che lo ha portato a un impiego part-time.

Più passava il tempo nel settore, più cresceva il suo entusiasmo e la voglia di fare sempre meglio e sempre di più, che lo ha portato a diventare uno degli sviluppatori più importanti di Bomberman 64: The Second Attack.  

Nonostante la grande fiducia nei propri mezzi però il confronto con la realtà è a volte impietoso, soprattutto se ti piacciono i giochi di ruolo e vivi in un’epoca nella quale Hironobu Sakaguchi (Final Fantasy) e Yasumi Matsuno (Ogre Battle, Final Fantasy Tactics) avevano quasi carta bianca. «Guardare Tactics Ogre», ha detto Yoshida in un’intervista di qualche tempo fa a Game Informer, «ha fatto crollare fiducia in me stesso. Come ha fatto qualcuno a creare qualcosa di così intelligente? E io dovrei competere con queste persone? Superarle?».

Molti degli elementi chiave dei giochi di Mitsuno sono poi arrivati in Final Fantasy XIV, come il nutrito cast di comprimari o il fatto che molte delle storie narrate non sono necessariamente legate alla salvezza dell’universo, ma sono vicende perlopiù umane in cui si combatte per qualcosa in cui si crede o per salvare i propri cari.

Dal suo periodo in Hudson Soft Yoshida si porta dietro soprattutto la grande dimestichezza guadagnata con il mondo PC, che ha sempre frequentato e che tornerà con una certa forza a sentirsi anche più avanti. Negli anni in cui lavora per Rocket Studio a un gioco per Enix (mai uscito perché nel frattempo Enix si è fusa con Square e le cose sono diventate complicate) Yoshida si imbatte nella più classica delle sliding doors: incontra qualcuno che sarà importante per la sua futura carriera: Yosuke Saito. Saito, che sarebbe diventato insieme a Yoko Taro il producer e director della serie NieR, prima lavora con lui a quel gioco mai nato (che già però aveva in se diversi elementi comuni ai MMORPG), e poi lo convince a entrare in Square nel 2004, dove inizia a lavorare con lui a Dragon Quest X

Avanti veloce fino al 2024. 

Naoki Yoshida è da qualche anno un producer di successo. Ha salvato Final Fantasy XIV (e in una certa misura anche Square Enix), quando fa gli eventi pubblici è trattato da rockstar, è il responsabile di uno degli studi interni di Square (il Creative Studio III) e ha diretto Final Fantasy XVI. «Se potessi prendermi delle vacanze, non sarei qui!» dice in un momento di estrema sincerità e consapevolezza, «come responsabile principale del progetto devo sempre ascoltare tutti i feedback dei giocatori, così che le future versioni del gioco possano essere migliori. Mollare tutto e prendermi una pausa non è qualcosa che posso proprio permettermi. Se non sbaglio, in agenda nei prossimi mesi ho ancora le Fan Fest in Cina e in Corea, poi la Gamescom in Germania e infine il PAX in Australia. E in tutto questo dovrei anche sviluppare il gioco».

La posizione e il rispetto che Yoshida è riuscito a ritagliarsi sono frutto della sua cultura del lavoro, di un approccio non convenzionale al suo ruolo, basato su un costante scambio di informazioni con il pubblico, e dell’esperienza maturata nell’ambiente PC nei primi anni della sua carriera. Se per alcuni la fama e il riconoscimento sono arrivati dopo un gioco che ne ha messo in  mostra il talento, per Yoshida ci è voluto più tempo. La sua mano è meno appariscente, il suo talento più nascosto, ma non per questo meno importante o di impatto. E a un certo punto, sono arrivati anche i riconoscimenti dei mostri sacri.

Hironobu Sakaguchi, che Final Fantasy lo ha creato, è ormai un po’ di tempo che in quasi ogni intervista ci tiene a ricordare che lui praticamente dentro Final Fantasy XIV ci vive. E gli piace così tanto che come sviluppatore non ci vuole avere niente a che fare. «Prima di partire per la Francia [dove abbiamo avuto questa intervista], ero a cena proprio con lui e gli ho chiesto scherzando se non volesse fare qualcosa con me, anche solo scrivere una quest. Lui però è  stato categorico: se avesse iniziato a lavorare a Final Fantasy XIV non sarebbe più stato in grado di goderselo». Riuscire a trovare un punto di equilibrio non deve essere in effetti facile e vale per lo sviluppo dei videogiochi esattamente come per qualsiasi altro lavoro: quando una passione diventa anche il tuo lavoro, continuare a farsela piacere è estremamente più difficile. Io stesso nel mio piccolo ogni tanto mi rendo conto che mi pesa giocare a qualcosa perché devo, e stiamo comunque parlando di una cosa che per me è un passatempo. Figuriamoci se fosse il lavoro che mi paga il mutuo. «Sono ancora un giocatore molto appassionato» mi risponde Yoshida quando gli chiedo se riesce a trovare del tempo per essere un semplice utente di Final Fantasy XIV e non solo il suo producer, «ma ne sono anche il produttore e direttore. Ci gioco mentre viene sviluppato così che possa controllare tutti i suoi contenuti, provando diversi job [i ruoli che si impersonano nei combattimenti, come Warrior o White Mage] per valutarne il bilanciamento. La storia principale l’ho finita due volte prima che uscisse, per cui quando l’espansione è uscita lo scorso 2 luglio ho pensato di fare anche il terzo giro, ma poi ci ho francamente rinunciato. Era troppo anche per me».

Certo, un secondo dopo mi ha indicato una stanza di servizio vicino a quella dove eravamo nella quale c’era un pc loggato con il suo personaggio perché «tra due settimane esce il raid, non posso farmi trovare impreparato», ma credo che anche questo faccia parte della sua già citata etica del lavoro. «Essendo un MMO, Final Fantasy XIV è un po' diverso dai normali giochi perché è a servizio continuo. Penso che sia importante per noi comprendere l'esperienza del giocatore, e questo significa che anche noi sviluppatori dobbiamo giocare il gioco come fanno tutti gli altri. Credo che circa l'80% del nostro team di sviluppo giochi regolarmente e di questo ne sono molto felice. Sono convinti che una parte fondamentale del nostro lavoro sia proprio capire cosa stanno vivendo i giocatori, cosa pensano sia valido e cosa invece non lo sia, e che anche noi lo si debba sperimentare in prima persona». 

Questo è un aspetto centrale del modo in cui Yoshida si pone nei confronti del suo lavoro e in un certo modo anche delle sue stesse ambizioni. Mi ha infatti molto colpito che quando gli ho chiesto cosa gli piacerebbe fare in futuro: potendo scegliere tra sviluppare un nuovo capitolo di una qualsiasi serie o una cosa nuova da zero, mi ha detto che dovrebbe prima sapere quali sono i piani dell’azienda per cui lavora o cosa desidera la community di riferimento. Questo tipo di approccio è di per sé più interessante della risposta stessa (se vi interessa a lui piacerebbe fare un JRPG bidimensionale super classico con grafica che richiama l’epoca del Super Nintendo) perché sembra creare una sorta di corto circuito tra il game designer e l’executive: «da responsabile del Creative Studio III e membro del consiglio di amministrazione ho la responsabilità di tutto ciò che la compagnia fa. E sto cercando anche di migliorare la qualità dei titoli che stiamo pubblicando così che possano piacere sempre di più a chi li compra». L’idea che mi sono fatto è che Naoki Yoshida sia ancora molto attaccato a Final Fantasy XIV, e che senta che ha ancora molto da dire in quell’ambito per potersi realmente dedicare con anima e corpo a qualcos’altro. Dopo Final Fantasy XVI, ben accolto ma non acclamato dalla critica, in qualche intervista aveva detto di voler lavorare ancora su almeno un grande progetto, lasciando intendere in una certa misura che forse vedeva la fine del suo percorso professionale là in lontananza. Con il passare del tempo però quelle dichiarazioni sono cambiate, e forse è subentrata la voglia di fare qualcosa di diverso. Il modo in cui parla di Final Fantasy XIV e del rapporto che ha con il gioco e con i suoi utenti mi ha ricordato molto quello che un genitore ha con i suoi figli, dove il senso di responsabilità spesso schiaccia e appiattisce l’ambizione personale. Avere dei bambini vuol dire solitamente entrare in una strana condizione nella quale quando si è con loro si ci si vorrebbe allontanare per respirare un attimo e tornare a essere se stessi oltre che genitori, ma non appena questo succede si vuole immediatamente tornare da loro per essere semplicemente i loro genitori.

Ecco, talvolta ho l’impressione che Yoshida sia più un genitore che uno sviluppatore.

 E la cosa ha perfettamente senso perché Final Fantasy XIV non è un gioco come un altro ma un MMORPG, uno di quei giochi che per la loro stessa natura sono vissuti spesso come una seconda casa virtuale, come un posto dove creare nuove relazioni e in generale come un posto dove i ricordi che si creano sono più duraturi, per il semplice fatto che il luogo dove si costruiscono queste memorie è sempre lì pronto ad accoglierti. «I nostri utenti non sono solo giocatori», dice Yoshida, «con loro si è creato questo legame speciale tra sviluppatore e utente che talvolta va oltre l’ordinario [...] Ieri abbiamo avuto un incontro a Parigi con alcuni di loro: una persona mi ha detto che ha incontrato nel gioco quello che sarebbe diventato suo marito. Un'altra di aver dovuto affrontare una fase di depressione che è riuscita a superare anche grazie al gioco. Quando ricevo questo genere di testimonianze è davvero facile dimenticare tutte le difficoltà che abbiamo affrontato nello sviluppo del gioco e ricordare che ne vale sempre la pena perché così facendo rendiamo non solo felici gli altri, ma anche noi stessi».  

Anche se non ero presente all’incontro a cui fa riferimento Yoshida, non fatico a crederlo nemmeno un secondo: anche io, alla fine, sono una di quelle persone. Ho iniziato a giocare con continuità ai MMORPG con Final Fantasy XI nel 2003, per poi passare a Final Fantasy XIV. Sono più di vent’anni. Vent’anni nei quali ho stretto amicizie e creato relazioni che a volte hanno funzionato, a volte meno, ma che hanno in ogni caso fatto parte della mia vita. Uno dei miei testimoni di nozze l’ho conosciuto in quel contesto, così come una fidanzata (spoiler: non è andata bene) e diverse amicizie. Ho fatto con le persone che ho conosciuto viaggi, cene, avventure: gli screenshot delle imprese in-game hanno nella mia galleria di foto del telefono la stessa dignità degli altri ricordi. Però questo è il punto di vista del giocatore. Uno sviluppatore come Yoshida, sapendo quanto è profondo il legame che gli utenti sviluppano con il gioco, come gestisce gli eventuali cambiamenti che deve fare? 

«Non voglio parlare a nome di tutti gli sviluppatori di MMO», dice Yoshida dopo avermi ringraziato per essere un giocatore così fedele e aver probabilmente fatto un conto mentale di quanti soldi in abbonamento devo aver dato alla sua azienda dal 2004 ad oggi, «ma la mia idea è che quando hai luoghi nel gioco che hanno un così profondo legame emotivo con i giocatori, questi vanno preservati. Altrimenti vorrebbe dire cancellare i ricordi di tante persone ed è una cosa che davvero non mi posso permettere di fare. Da giocatore invece mi piace sapere che nonostante tutto quello che mi possa succedere quel posto è sempre lì, e continua ad accogliere le persone e a farle essere felici anche se io non ci sono».

I giochi però non sono solo il prodotto del talento e delle buone intenzioni degli sviluppatori ma sono anche, a volte soprattutto, dei prodotti commerciali che devono innanzitutto essere sostenibili per l’azienda che li produce. Sapere in che modo il gioco genererà dei guadagni è per Yoshida ormai una parte fondamentale del suo lavoro, ma non deve essere l’unica a guidare le sue scelte «la cosa più importante è creare un’esperienza degna di essere vissuta, creare un mondo che possa durare nel tempo e che sia in futuro anche in grado di evolversi, anche se questo potrebbe portare a decisioni drastiche. Ma prendere queste decisioni non mi spaventa perché alla fine il mio obiettivo è quello di creare il migliore dei mondi virtuali possibile». 

Forse è il fatto che sono anche un padre, ma a me sembra che questo sia proprio il comportamento di un genitore responsabile.

 «Poi, alla fine, siamo tutti degli esseri umani e come tali facciamo errori. A volte proviamo a fare qualcosa che poi non si rivela sufficientemente buona, e a volte quello che facciamo ci torna indietro sotto forma di cattive recensioni e commenti arrabbiati, e ovviamente non è una cosa piacevole. Ma alla fine tutte queste esperienze ci aiutano a crescere, e soprattutto, a metterci sempre in gioco». 

E quindi sì, è esattamente come essere un genitore.

Pubblicato il: 24/07/2024

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3 commenti

Ho veramente apprezzato questo articolo da cui trasparisce tutta la passione di zampa, ma soprattutto di yoshida. Bella lettura

Non ho mai approcciato FFXIV ma ogni volta che ne sento parlare non posso fare a meno di notare l'amore che i giocatori provano nei confronti del gioco e dopo questa intervista posso capire il perché, non ho mai visto nessuno aprirsi al pubblico, as …Altro... Non ho mai approcciato FFXIV ma ogni volta che ne sento parlare non posso fare a meno di notare l'amore che i giocatori provano nei confronti del gioco e dopo questa intervista posso capire il perché, non ho mai visto nessuno aprirsi al pubblico, ascoltarlo e instaurare un certo tipo di rapporto come Yoshida ha fatto.

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