GDC 2024

VENBA

Storia di un successo improbabile

Alla Game Developers Conference 2024, Visai Games è salita sul palco più volte per raccontare l'esperienza di sviluppo di uno fra i successi indie dell'anno scorso, Venba. Il progetto è nato quando Abhi (designer, programmatore, scrittore), durante una visita a casa dei suoi genitori nel 2020 in cui ha ascoltato sua madre chiacchierare costantemente di cibo, si è trovato a riflettere su quanto l’alimentazione sia importante nella cultura sudasiatica e per le madri di quei territori. Ma un altro spunto importante è arrivato dalla sensazione che la produzione culturale post-diaspora tenda a concentrarsi su personaggi di seconda generazione, quelli “assimilati”, e molto meno sui loro genitori, persone che hanno stravolto la propria vita quando erano appena diventate adulte e che hanno storie molto interessanti da raccontare. E invece finiscono per essere sempre rappresentate come macchiette. Da queste riflessioni, Abhi ha quindi tratto l’idea di incentrare un gioco su una madre che sacrifica molto per la sua famiglia e comunica col figlio attraverso il cibo, filtrando il tutto attraverso il cibo del proprio paese.  

Abhi e il suo amico Sam Elkana (art director) all’epoca lavoravano per degli studi che si occupavano di giochi mobile e iniziarono a occuparsi del progetto nel tempo libero. L’idea era di dare le dimissioni e dedicarsi al gioco a tempo pieno, ma per farlo servivano dei finanziamenti. La prima mossa fu di pubblicare su Twitter qualche gif animata, qualche elemento concettuale, cosa che generò reazioni confortanti, facendo capire che il gioco poteva avere qualcosa di speciale, poteva interessare a qualcuno là fuori. Il passo successivo fu di mettere assieme una “vertical slice” da proporre ai publisher nella speranza di ottenere finanziamenti e diventare sviluppatori a tempo pieno.

Nonostante richiedessero un budget modesto, i due trascorsero sei mesi vedendosi rifiutato il pitch da dozzine di publisher. Chi si degnava di dare una motivazione puntava sul timore che fosse un gioco con poche prospettive di vendita: del resto, quando mai si era vista una visual novel con elementi da gioco di cucina? Non c’erano altri giochi del genere, men che meno di successo, a cui si poteva puntare per dire che la formula aveva funzionato in passato e quindi il progetto veniva visto come rischioso. E qualcuno si mostrò anche preoccupato da possibili reazioni razziste. Fu una grossa delusione e Abhi iniziò a temere che la sua idea non fosse poi così buona.

Verso la fine del 2020 vennero però contattati dalla neonata Wholesome Games, che chiese loro di poter mostrare Venba durante il suo evento pre-natalizio. Improvvisamente avevano tre settimane per mettere assieme un trailer, ma non avevano abbastanza gameplay per farlo. D’altro canto era chiaramente l’ultima chance, quindi si misero sotto, lavorarono come matti e assemblarono un trailer finto: “Quasi tutto quello che si vede in quel trailer non è nel gioco e quello che è nel gioco è molto diverso.”

Ne era valsa la pena: il giorno in cui venne mostrato il trailer, ci fu una risposta dalle dimensioni inattese e Venba divenne virale. Siti come Gamestop e Kotaku lo inserirono nei loro elenchi dei giochi più attesi e una settimana dopo Abhi e Sam vennero contattati dai tre platform holder, che volevano Venba sulle proprie console. Non solo: improvvisamente anche i publisher erano interessati. Solo che gli sviluppatori di Venba non erano più interessati ai publisher: tra i fondi ottenuti dai produttori delle tre console e i finanziamenti governativi canadesi, potevano permettersi di non appoggiarsi a un publisher. Nel giro di relativamente poco tempo, erano passati dall’essere un progetto che nessuno voleva finanziare ad essere un progetto che non aveva bisogno di publisher ed era già rientrato dei costi ben prima dell’uscita. 

Ed è questo il potere della percezione e di come un semplice trailer può stravolgerla, dimostrando che c’è un pubblico interessato e riducendo quindi la rischiosità del progetto. “Col senno di poi è ovvio,” ha detto Abhi dal palco della GDC, “ma all’epoca non l’avevo ancora capito: i publisher sono finanziatori, non creatori. Finanziano cose che hanno già funzionato in passato e vedono come rischiosa qualsiasi cosa sia nuova o diversa. Quindi bisogna evitare di interiorizzare troppo il giudizio dei publisher: se pensano che il mercato non sia pronto per il tuo gioco, non significa necessariamente che il mercato non sia pronto per il tuo gioco. Se passi il tuo tempo a inseguire i trend di mercato, arriverai sempre tardi.

A questo punto, era il momento di mettersi a sviluppare il gioco e iniziarono le sfide vere. In particolare, per Abhi, fu difficile trovare un equilibrio mentale, evitando di analizzare troppo ogni singolo aspetto. La meccanica principale di Venba ruota attorno a un libro di ricette danneggiato, in cui mancano cose che il giocatore deve intuire e scoprire per riuscire a cucinare in maniera corretta. Ma, ha spiegato Abhi, i libri di ricette casalinghi indiani sono un macello illeggibile e lui voleva riprodurre l’esperienza di consultarne uno. Un primo passo fu quello di scrivere una ricetta in maniera molto precisa e dettagliata per poi cancellarne delle parti e ottenere così un enigma. Ma il risultato era incasinatissimo e poco divertente. Partire dalla realtà e cercare di riprodurla in maniera maniacale fu insomma il vero problema nelle prime fasi dello sviluppo, perché Abhi non voleva accettare alcun compromesso riguardo alla veridicità del gioco. Per esempio, nei prototipi iniziali, Venba prevedeva un piano di cottura e un piano di lavoro separati, fra cui bisognava alternarsi scrollando in maniera francamente scomoda. Certo, nella realtà si fa così e nessuno usa in casa il fornelletto portatile che si vede nel gioco. Ma nel gioco è sicuramente più comodo e sensato usarlo. 

Un altro problema era costituito dalla cucina che andava riprodotta, vale a dire quella dell’India meridionale. Abhi voleva mostrare le diversità e le sfumature fra le varie cucine regionali e si trovò ad agonizzare sulla selezione di cosa includere, incapace di capire se stesse selezionando le cose giuste per dare una rappresentazione corretta e completa. “Era come cercare di scegliere solo sette parole per riassumere la lingua inglese”. E ancora, Venba avrebbe parlato della cultura indiana e della vita da immigrati: l’avrebbe fatto bene, in maniera sufficientemente completa e approfondita? Insomma, c’era un livello enorme di pressione autoimposta, generata anche dalla popolarità di quel trailer e dalla consapevolezza che Venba avrebbe mostrato molte cose a molte persone che non ne sapevano nulla. 

A farlo uscire da questa impasse fu uno fra i suoi episodi preferiti di una serie TV che Abhi ama molto, Community. Quell’episodio mostra un creativo bloccato di fronte al tentativo di creare un’opera d’arte perfetta, che a un certo punto impara ad accettare dei compromessi e viene infine giudicato con la battuta “Better than good, good enough”. Se in Community quel dialogo serve per fare satira sui produttori televisivi, nella realtà Abhi lo fece suo come motto contro il perfezionismo. E iniziò a tagliare dal suo gioco tutto ciò che stava lì solo per inseguire il perfezionismo assoluto. Lo si vede per esempio in come è rappresentata la complessissima ricetta del biryani: invece di riprodurla per intero, Venba piazza il focus sulle parti principali, sottintendendo tramite il racconto tutta la parte di preparazione, per semplificare la procedura in una maniera comunque rispettosa della realtà.

E lo stesso principio è stato applicato anche alla rappresentazione culturale, abbandonando la ricerca di completezza in favore di una sintesi che estraesse gli aspetti più importanti e divertenti. Questo approccio liberatorio ha permesso poi di concentrarsi sul selezionare ricette che fossero adatte perché “giocose” già nella realtà o perché prevedevano utensili speciali divertenti da manipolare. Il risultato non è magari realistico al 100% ma conserva l’essenza di ciò che viene riprodotto e riesce nell’obiettivo di andare un po’ contro il fatto che la cucina indiana tende ad essere identificata con il cibo del nord. Il risultato è che molti giocatori hanno scoperto piatti, usanze, modi di cucinare dei quali non sapevano assolutamente nulla.

Per quanto riguarda l’aspetto narrativo, ci si è concentrati su una storia famigliare semplice e sul raccontare una cultura attraverso il cibo. C’era un po’ il timore che i giocatori identificassero questa storia specifica con tutta la cultura indiana, ma a un certo punto, ha detto Abhi, la possibilità che il pubblico fraintenda non è un tuo problema. “Se crei un gioco che parla di tutto, finisci per non parlare di nulla. Deve essere una rappresentazione, non deve essere rappresentativo dell’intera popolazione indiana.” Abhi voleva raccontare una storia specifica importante per lui, nella quale la rappresentazione è semmai effetto collaterale di una storia raccontata bene, non l’obiettivo finale. 

Sul tema della rappresentazione si è tra l’altro focalizzato l’altro talk di Abhi alla GDC 2024, nel quale ha riflettuto su come raccontare storie dalle radici culturali forti. È sicuramente una sfida, ha detto, soprattutto se ti rivolgi a un pubblico internazionale che non ha familiarità coi mondi che vuoi rappresentare, e rischi di sentire un bisogno forte di contestualizzare e spiegare. Ma sarebbe un errore, perché ne viene fuori una narrazione di qualità peggiore. “Invece di provare ad educare, pensa a raccontare una storia”. E la soluzione a questo dilemma, secondo Abhi, sta nella “lore”. Quello che fa Venba è raccontare una cultura non attraverso la storia ma tramite l’ambientazione, il contesto, gli ambienti. E in questo senso, l’approccio non è particolarmente diverso da quello di un videogioco fantasy che ti fa esplorare luoghi e culture ignoti senza sentire il bisogno di spiegarli troppo. Si trovano lì, se vuoi li approfondisci. E perché non fare lo stesso quando l’ambientazione è reale ma esotica?

Un altro punto su cui Abhi ha battuto molto è il modo in cui più un’opera si concentra sul locale, sullo specifico, più diventa internazionale, perché esprime un senso di realismo e credibilità che rende più solido il racconto senza depotenziarne i temi universali. Per fare questo, è importante restare coerenti col punto di vista dei personaggi e non trattare quindi come ignoto e bizzarro ciò che per loro è familiare. Bisogna invece abbracciare la dissonanza e, quando si vuole spiegare qualcosa al giocatore, bisogna fare in modo che sia il personaggio ad avere bisogno di quella stessa spiegazione. Insomma, niente dialoghi impacciati con personaggi che si spiegano cose che sanno benissimo: non sono lì per servire il giocatore. 

Per fare un esempio, Abhi ha menzionato la fase di Venba in cui si cucinano svariati piatti uno dietro l’altro. Durante lo sviluppo, aveva pensato di inserire dei nomi in inglese per i vari piatti, ma non avrebbe avuto senso, perché il personaggio li conosce. Il punto è anche saper accettare che questo approccio ti porta a inserire un sacco di dettagli, di finezze, di sottotesto, che probabilmente sfuggiranno a molti ma allo stesso tempo contribuiscono a dare corpo al tutto. Senza contare che in alcuni casi spingi comunque il giocatore a informarsi con altri mezzi per scoprirne di più. “È importante lasciare dei buchi che sarà eventualmente il giocatore a riempire, in un modo o nell’altro.

Nel suo talk, Abhi ha menzionato molti esempi, a cominciare dalla scelta di scrivere i dialoghi in indiano per poi tradurli in inglese, generando quindi quella parlata un po’ stentata tipica degli immigrati di prima generazione. E ancora, sul calendario che chiude ogni livello ci sono dei proverbi che si chiamano venba, ma questa cosa nel gioco non viene spiegata. A più riprese si vedono foto di parenti ritagliate e infilate nelle cornici assieme ad altre foto, una cosa tipica per gli indiani di certe generazioni. La morte di un personaggio viene comunicata quando la famiglia mette la sua foto su un mobile, cosa che gli indiani tendono a fare solo in questi casi. Ci sono riferimenti e omaggi a classici del cinema indiano. Le animazioni cambiano a seconda di quanto il personaggio si sente sicuro nel cucinare. Gli ingredienti nella parte ambientata in India sono lievemente diversi, perché sono diverse le spezie o perché il clima differente fa sì che siano più liquidi. Tutte cose che, di nuovo, probabilmente molti non notano. O non si rendono conto di notare.

E in questo senso è molto importante anche il lavoro fatto sulla componente sonora, di cui ha parlato Neha Patel in un intervento dedicato. Neha si è proposta di collaborare al gioco dopo averne visto una foto su Twitter durante quell’esplosione di popolarità iniziale ed essersi innamorata di un’idea che ha sentito come molto vicina, in quanto figlia di una madre immigrata. È così entrata a far parte di un team internazionale, che ha lavorato in remoto diviso fra Canada, USA, India e Indonesia. Immediatamente si è trovata a ragionare sulla difficoltà di incentrare un gioco sulla cucina indiana, che da molti viene considerata come un monolite unico ma è in realtà estremamente diversificata. “Parlare di cucina indiana è come parlare di cucina europea, non ha molto senso”. Per sottolineare ulteriormente quanto possa essere diversificata l’India, ha sottolineato che la sua famiglia proviene da ovest, mentre Abhi arriva dal sud. Ebbene, non parlano nemmeno la stessa lingua e Neha comprende più facilmente l’arabo rispetto al tamil di Abhi. E ovviamente questa diversità si riflette nel cibo.

L’obiettivo, per lei, era di creare un accompagnamento sonoro autentico, legato quindi alla cucina tamil che il gioco voleva riprodurre. Per fortuna il team riteneva fondamentale la parte sonora e le ha lasciato tutto il tempo per fare ricerca, tra l’altro in pieno periodo di pandemia. Neha ha però anche lavorato sui suoni della nostalgia, sui suoi ricordi da bambina dei rumori che arrivavano dalla cucina e che riguardano, certo, le pentole, lo sfrigolio delle spezie nelle padelle (suoni diversi per spezie diverse), ma anche il cozzare dei bracciali che indossano le madri. Ha trascorso un sacco di tempo a registrare i suoni della cucina, delle varie fasi di preparazioni dei piatti, dei diversi rumori prodotti dagli strumenti, utilizzando una strumentazione anche abbastanza arrangiata: un microfono, un laptop, una soundboard... una crema per le ustioni… e ne è nato un tappeto sonoro che va a inserirsi proprio in quell’approccio sottolineato e ribadito da Abhi, nel dare un livello di dettaglio e di realismo che non necessariamente tutti saranno in grado di apprezzare consciamente ma che darà a tutti sensazioni più forti e concrete. 

Venba, ha sottolineato Abhi nel suo talk, non è una guida turistica, è una storia. Potresti essere tentato dal desiderio di accontentare chi è magari più interessato al contesto, alla cucina, e sarebbe comprensibile, ma bisogna sempre servire il racconto. E, certo, rischi anche di perderci sul piano commerciale, perché “Ti insegniamo a cucinare indiano” potrebbe essere un selling point, ma bisogna accettare questa cosa. Dopodiché, ammette, a lui piace molto la cucina della sua terra e gli piace parlarne, quindi ha cercato di fare in modo che Venba ne parlasse e la spiegasse un po’, sempre in maniera coerente con lo sviluppo narrativo. Inoltre, “gli sviluppatori indie non amano gli achievement ma a me piacciono, perché ci ho infilato un po’ di riferimenti a cui tenevo”.

Il 31 giugno 2023, Venba è uscito ed è stato accolto benissimo, con recensioni ottime e vendite solidissime, che si sono aggiunte al fatto che, come detto, il gioco era già profittevole in partenza. E la maggior soddisfazione è arrivata dalle reazioni dei giocatori, che si sono sentiti toccati, emozionati, e ancora oggi continuano a contattare il team mandando foto per dimostrare di aver pianto, raccontando di aver chiamato la propria madre dopo tanto tempo, aver comprato un biglietto aereo per andare a trovarla, aver deciso di giocare a Venba assieme a lei. “E nessuno si è lamentato del fornelletto portatile.” 

Io stesso posso parlare per la mia esperienza personale, e l’ho anche fatto andando a ringraziare di persona Abhi al termine del suo talk, dicendogli di quanto Venba mi ha colpito, di come per me sia stato emozionante giocarci assieme a mia figlia e perfino stare seduto lì alla GDC ad ascoltarlo parlare. Perché fra le cose che più mi mancano di mia madre c’è la sua cucina, e in fondo dandogli conferma (l’ennesima, sicuramente) delle sue idee sull’universalità della specificità, perché negli atteggiamenti, nei manierismi, nelle particolarità di quella madre tamil ci ho trovato tanto di una madre abruzzese. E no, neanche io mi sono lamentato del fornelletto portatile.

Pubblicato il: 01/07/2024

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2 commenti

"Fra le cose che più mi mancano di mia madre c’è la sua cucina"
Questa frase, da un anno a questa parte, per me è diventata purtroppo verissima.
Articolo molto bello che mi ha fatto venir voglia di provare il gioco.

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