GDC 2024

SUPER MARIO BROS. WONDER

L'amore per le due dimensioni

Appena qualche ora dopo l'evento dedicato a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, sullo stesso palco della GDC 2024 sono saliti Takashi Tezuka, uno fra gli uomini chiave di Nintendo fin da quando si occupò della grafica dei Mario e Zelda per NES, e Shiro Mouri, che ha iniziato lavorando come programmatore su alcuni Zelda portatili e sui Mario per Wii U, prima di occupare un ruolo da director su Super Mario Bros. Wonder. Tezuka, che ha seguito l'ultimo Mario 2D come producer, ha esordito lanciando nel microfono un "Here We Go!" fra l'ilarità generale e si è poi messo a chiacchierare del suo amore per i mario bidimensionali, rispondendo fra l'altro in maniera diretta a una domanda tutto sommato lecita: come mai ci sono voluti undici anni per vedere un nuovo Mario 2D dopo New Super Mario Bros. U? E la risposta è che erano impegnati a lavorare su Super Mario Run e Super Mario Maker

Al di là delle battute, Tezuka ha voluto sottolineare come secondo lui i videogiochi di piattaforme tridimensionali non debbano sostituire quelli bidimensionali e i due filoni possano e debbano essere invece complementari. Anche perché, come detto, lui adora lavorare sui Mario 2D, così come ama farlo Shiro Mouri, che ha preseo il microfono per raccontare il suo approccio. Mori ha spiegato di lavorare sempre partendo dalla creazione del personaggio, della telecamera e della mappa: non importa se stia lavorando su un gioco 2D o 3D, il suo processo rimane quello. Una grossa differenza fra i due approcci, però, sta nella semplicità di gestione della telecamera, che in ambito 3D richiede tantissimo lavoro per gestirne il movimento in spazi pieni di ostacoli. Di contro, nel 2D la telecamera non costituisce un problema, cosa che permette di concentrarsi fin da subito sul cuore del gioco. Tant'è che, ha aggiunto Tezuka, fino a Super Mario 64 non si era mai trovato a dover ragionare sul posizionamento della telecamera.

Questa peana sulle meraviglie del videogioco bidimensionale è andato avanti con Tezuka che raccontava alcune opinioni espresse dal suo staff sulla bellezza del videogioco in due dimensioni. C'è per esempio chi ha detto che rende semplice dare vita a situazioni impossibili nel mondo reale e chi ha sottolineato come tante soluzioni strane siano orribili in 3D e perfettamente funzionali in 2D. Un esempio? Il cambio di direzione sul salto, istintivamente più credibile e accettabile in un contesto 2D. E ancora, un level designer del team di sviluppo ha detto che un ambiente di gioco bidimensionale rende più semplice incorporare le idee e ricostruire i livelli. 

Proprio il concetto della maggior semplicità di lavoro in ambito 2D era al centro di una conversazione che Tezuka ricorda di aver avuto con Shigeru Miyamoto riguardo all'idea che chiunque possa creare un gioco 2D, a patto di avere gli strumenti adatti e le idee giuste. Ed è su quell'idea che a suo tempo è stato costruito Super Mario Maker, un sistema per permettere alla gente di creare facilmente livelli e giocare, lavorando su condizioni di base uguali per tutti. Poi, certo, non ne sono nati solo livelli meritevoli, perché "grafica, controlli, game design sono importanti ma è il level design che dà vita al tutto". 

Secondo Tezuka, un aspetto fondamentale in un gioco di Mario, ma forse in qualsiasi videogioco, è quello del realismo percepito. Anche se si tratta di giochi non realistici, ha spiegato, il gameplay e gli elementi interattivi devono dare in qualche modo l'impressione di esserlo, a cominciare dai piccoli dettagli. E in questo senso, ha portato l'esempio di come si comportano i Koopa in Super Mario Bros. Wonder quando si incontrano camminando, mostrando una versione del gioco in cui questo avvenimento non generava nessuna conseguenza e poi la versione finale, che prevede un'animazione che li faccia scontrare l'uno contro l'altro. E chiaramente, nel momento in cui compi lo sforzo per ottenere questo livello di dettaglio, poi lo devi assecondare tramite il level design, creando livelli pensati per farli incontrare e generare questo tipo d'interazione. Altrimenti, ha spiegato Kondo, è un caso di "mottainai", che in giapponese significa più o meno "che spreco". Quello dell'evitare il mottainai è un principio alla base di buona parte del design di Super Mario Bros. Wonder e, per esempio, l'idea delle spille che donano abilità diverse a Mario sta lì per spingere i giocatori a giocare e rigiocare più e più volte sugli stessi livelli, sperimentando, pasticciando, divertendosi in modi diversi. È un sistema che in fondo rende più esplicito, schematico, letterale, il principio su cui si basa il level design dei Mario da ormai tanti anni a questa parte, ovvero quello di permettere al giocatore di crearsi autonomamente un proprio livello di difficoltà usando o meno determinate opzioni, abilità, funzioni all'interno dell'azione di gioco.

E non sfruttarlo sarebbe mottainai.

Più in generale, Super Mario Bros. Wonder è un gioco così folle e per certi versi di rottura perché sviluppato inseguendo il desiderio di ritrovare quel senso di mistero che caratterizzava il primo Super Mario Bros. All'epoca, i funghi che ti trasformavano, i passaggi segreti, i tubi... erano tutti elementi segreti o misteriosi. Quarant'anni dopo, sono diventati norma, maniera, qualcosa che da Mario ci si aspetta. E quindi bisognava trovare qualcosa di nuovo, ma di veramente nuovo, non solo variazioni sul tema, come sarebbe potuta essere l'idea, proposta sulle prime da un membro del team, di un oggetto che ti teletrasporta altrove. E allora si è deciso di "buttarla per aria" con le idee folli, fra tubi che ballano e piante che cantano, coinvolgendo tutto lo staff, a prescindere dal titolo o dalla posizione all'interno di Nintendo. Non è una decisione necessariamente semplice, anche perché, come ha detto Tezuka, all'epoca del NES i giochi venivano sviluppati da una manciata da persone, ma oggi i team sono enormi ed è fondamentale saperli gestire trovando unità d'intenti e senza sprechi. Ma d'altro canto, questo concetto dell'aprire il design a tutti non è certamente una novità in casa Nintendo.

Il racconto di Tezuka su come sono state raccolte le idee per Super Mario Bros. Wonder, infatti, è molto simile a quello che sappiamo sulla concezione del primissimo Wario Ware: campo libero, spazio per chiunque voglia contribuire, idee a valanga raccolte su foglietti adesivi, senza condizioni, senza limiti. Alla fine, i foglietti accumulati per Super Mario Bros. Wonder erano circa duemila e c'era veramente di tutto. Come fare ordine? Innanzitutto, ragionando sull'idea che i fiori meraviglia dovessero permettere di fare cose altrimenti impossibili e sul fatto che bisognava poter spiegare ciascuno dei vari poteri usando una sola parola. Un principio molto chiaro che è stato usato è quello di avere una qualche forma di connessione fra quanto avviene prima di cogliere un fiore meraviglia e cosa avviene subito dopo. Per esempio, se vediamo Mario trasformarsi all'improvviso in un pallone può risultare strano, ma se avviene poco dopo che abbiamo incontrato dei nemici che fanno la stessa cosa, risulta più naturale, perché sei stato preparato all'idea.

Chiaramente si è iniziato a lavorare su prototipi semplici, con suoni e grafica temporanei, ed è stato un processo molto utile, che ha permesso al team di fare esperienza divertendosi, aumentando la motivazione e consolidando lo spirito di gruppo. Poco importa se metà dei prototipi costruiti è stata cestinata. Tezuka ha anche mostrato i prototipi di due effetti meraviglia poi rimasti nel gioco, quello che fa inclinare il terreno e quello del quiz. Ora, al di là dell’averci fatto scoprire che nei prototipi, quando si raccoglieva il fiore, si sentiva una voce urlare "WONDAAAAAAA", l'esempio particolarmente significativo è il secondo, perché Tezuka ha spiegato di apprezzare molto l'idea del quiz, in quanto ben integrata col mondo di gioco e per il modo in cui ti spinge a rigiocare per scoprire tutte le domande. E in più, ha detto, è un'idea che a lui non sarebbe mai venuta in mente. 

Ma l'evento della GDC ha costituito anche un'occasione per gettare uno sguardo su un paio di prototipi non utilizzati. C'era per esempio un'idea del sound director Koji Kondo: personaggi e fondali vengono sostituiti da fotografie digitalizzate e Mario usa la sua voce per canticchiare la musica ed eseguire gli effetti sonori. Ecco, quest'idea è stata scartata perché non aderiva al concetto di fiore meraviglia che cambia davvero il gioco e si appoggia su un legame forte fra prima e dopo, ma chi ha completato Super Mario Bros. Wonder al 100% sa che, per schivare il mottainai, è stata comunque utilizzata in altro modo (coi suoni registrati da Kondo stesso). E ancora, c'era l'idea di trasformare Mario in una versione gigante di se stesso composta da blocchi, che avrebbe dovuto evitare di farsi mangiare dai nemici. L'idea era interessante, ma risultava in una situazione di gioco completamente priva di strategia, in cui bisognava solo correre fortissimo. E quindi è stata scartata.

A questo punto, il discorso si è spostato su uno sguardo rivolto alla storia della serie. Nel primo Super Mario Bros., il focus era sulla sopravvivenza, sull'arrivare in fondo. Se non riuscivi a finire un livello, incassavi la sconfitta e ripartivi dall'inizio. Non c'erano salvataggi, il punto era giocare e rigiocare, migliorando ogni volta e trovando soddisfazione in questo, secondo una mentalità e un'esperienza ancora molto legate al contesto della sala giochi. In Super Mario Bros. 3 venne implementata una mappa in stile boardgame, conservando però un design dei livelli lineare e comprensibile, tracciando un percorso che è stato bene o male seguito da tutti i Mario bidimensionali successivi. Con Super Mario Bros. Wonder, però, si voleva far evolvere il design seguendo il modo in cui si è evoluto il gusto dei giocatori, andando contro la tradizione dei Mario 2D, che tipicamente hanno offerto pochi margini di scelta e un numero ridotto di percorsi, confinando i margini discrezionali del giocatore alla possibilità di saltare alcuni livelli. E certo, ci sono sempre state le trasformazioni, ma sono anche sempre state specifiche per i vari livelli. Per questo Super Mario Bros. Wonder ha introdotto la mappa libera, in cui muoversi senza troppe barriere, decidendo quali livelli affrontare e quali evitare in base alla difficoltà, o magari semplicemente a seconda di quali piacciano e quali no. E a questo primo strato si aggiunge, certo, la possibilità di finire tutti i livelli e trovare i segreti, ma soprattutto la libertà nell'utilizzo delle spille, poteri non più legati a livelli specifici ma completamente liberi nell'utilizzo.

Insomma, a Takashi Tezuka piace proprio l'idea di lasciare che la gente giochi come vuole.

E Shiro Mouri? Cosa si immaginava come scenario ideale per Super Mario Bros. Wonder? Lui, ha spiegato, aveva in mente l'immagine di una famiglia che giocava ridendo in cooperativa locale e di un multiplayer online che generasse situazioni in cui ti trovi a ringraziare dei perfetti sconosciuti. Come pianificare un online che non tradisca i principi di un Mario? Se metti il pvp, la gente perde la partita e abbandona. Se metti una co-op classica, i giocatori meno bravi rallentano gli altri. E come schivare il problema della gente maleducata? Bisognava seguire i principi promossi dal compianto Satoru Iwata, favorire un ambiente amichevole in cui i bambini potessero divertirsi assieme invece di competere. E da lì nascono un po' tutte le idee relative all'online che si trovano in Super Mario Bros. Wonder: le icone pensate per una comunicazione gioiosa; i giocatori visualizzati in trasparenza per rendere immediatamente chiaro che non possono davvero interagire; la possibilità di resuscitarsi a vicenda; le sagome da piazzare per permettere ad altri giocatori di resuscitare o per mostrare loro segreti. Tutto concorre all'idea di un mondo gentile e accogliente, privo di molestie e bullismo, adatto ai bambini, in cui collaborare e non competere. 

In chiusura, Takashi Tezuka ha detto che ovviamente non esiste un solo modo per sviluppare un gioco e il loro modello non è per forza universale. Però, lavorando in questo modo, hanno testato e sperimentato talmente tanto da trovare tutto ciò di cui avevano bisogno, gli ingredienti necessari per il gioco. E da tutto quel caos è nato anche un nuovo personaggio, il fiore parlante, unico in Super Mario Bros. Wonder a godere di doppiaggio integrale, che in fondo va anche lui a contribuire all'atmosfera accogliente del gioco, con quest'idea di festeggiarti e farti i complimenti quando ottieni un buon risultato. Oltretutto, il fiore parlante non è altro che un'evoluzione ed estremizzazione di elementi apparsi mano a mano nel corso della serie, dalla fanfara al termine di un livello agli applausi sulla raccolta di tutti i gettoni.

Shiro Mouri ha aggiunto che portare il proprio contributo a una serie che esiste da quasi quarant'anni non è semplice, anzi, inventare qualcosa di nuovo e provare a far evolvere il gioco di piattaforme bidimensionale è una bella sfida. E sì, ci possono essere tanti modi diversi per sviluppare un gioco ma è importante focalizzarsi sul cuore del progetto, individuare la chiave del divertimento prima di focalizzarsi su grafica e rifinitura. In questo senso, sviluppare giochi di Mario 2D è più facile, perché nonostante i tempi finiscano per essere bene o male simili a quelli dei giochi 3D, la struttura è più semplice e questo snellisce molto il processo tramite cui verificare che le cose funzionino e dedicarsi poi a perfezionare i dettagli.  

Infine, Tezuka ha detto che se Super Mario Bros. Wonder è riuscito a far tornare alla gente la voglia di giocare in 2D, lui ne sarà molto felice

"E creare gameplay è divertentissimo."

Pubblicato il: 17/04/2024

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4 commenti

Ci sta

"Infine, Tezuka ha detto che se Super Mario Bros. Wonder è riuscito a far tornare alla gente la voglia di giocare in 2D, lui ne sarà molto felice. "

Per quanto mi riguarda ci è riuscito appieno.

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