日本の歴史

NIHON NO REKISHI

LA STORIA DEL GIAPPONE ATTRAVERSO I VIDEOGIOCHI



Un lupo bianco dal pelo lucente come il sole corre per le ordinatissime strade di una città invasa da un male misterioso. È accompagnato da un samurai alto quanto un pollice. Sono Amaterasu e Issun, protagonisti di Ōkami, e si muovono veloci sul selciato di Seian-kyō, capitale del Giappone di fantasia creato da Clover Studio nel 2006. Fantasia, certo, ma fino a un certo punto: Ōkami è uno dei tanti videogiochi che ci permettono di approfondire la lunga e articolata storia del Giappone giocando, senza aprire i libri, stimolando la nostra curiosità e precipitandoci all’interno di eventi storici, spazi e racconti mitici che rievocano tempi e culture passate. Nel caso dell’avventura della Dea del Sole Amaterasu, incarnatasi sulla Terra in forma di lupo, assistiamo a un mix riuscitissimo tra miti e storie vere: non mancano personaggi leggendari, come Momotarō, protagonista dell’omonima fiaba, Urashima Tarō, pescatore generoso che soccorre una tartaruga maltrattata sulla spiaggia (per poi vivere un’avventura bella e straziante insieme), Yamata no Orochi, mostro appartenente alla tradizione shintoista, e poi ambientazioni ed eventi che guardano al Periodo Heian (794-1185 d.C.) e non solo. È il caso di Seian-kyō, nient’altro che un gioco di parole basato su Heian-kyō, l’odierna Kyōto, capitale del Giappone dal 794 al 1869, anno dello spostamento di tutte le organizzazioni governative e amministrative a Tōkyō. Sono riconoscibilissime, all’interno del videogioco, le strade perfettamente ortogonali della città, inserite in una struttura quadrata e simmetrica. È anche visibile quella forte impronta buddhista che ha da sempre contraddistinto Kyōto rispetto ad altre zone, anche prima che la città avesse questo nome. Ōkami ben rappresenta la robusta influenza cinese sull’arcipelago, a partire dal VI secolo d.C., veicolata, tra l’altro, tramite la diffusione del buddhismo, portato dalla Cina alla Corea, e da qui in Giappone. Anche il titolo imperiale tutt’ora presente nella famiglia reale del Giappone è frutto di influenze cinesi. Amaterasu, protagonista di Ōkami, è anche antenata dell’ex imperatore Takara e dell’attuale imperatrice Himiko, in quanto si riteneva che la famiglia reale nipponica discendesse direttamente dalla potentissima Dea del Sole. Fino all’emendamento alla Costituzione effettuato nel 1946, che ha ufficialmente spogliato l’imperatore della sua natura divina, fissando il suo ruolo come quello di “simbolo dello Stato e dell’unità della nazione”.

Negli ultimi anni, difficilissimi, della Seconda Guerra Mondiale, quando mancavano le materie prime per costruire aeroplani degni di questo nome per combattere le forze aeree statunitensi, sempre più aggressive, alcuni capi militari fecero appello al coraggio di tanti giovani giapponesi per compiere missioni suicide contro le portaerei americane. Viaggiavano su aeroplanini di legno, tanto sgangherati da inabissarsi spesso tra le onde prima di aver raggiunto il bersaglio. I piloti tokkōtai sono oggi ricordati con l’epiteto di kamikaze, “vento divino”, un riferimento diretto alla storia del Giappone nel Periodo Kamakura (1185-1333 d.C.). Si tratta di eventi raccontati nel recente Ghost of Tsushima, videogioco a mondo aperto ispirato alla prima invasione dell’arcipelago da parte dei Mongoli, avvenuta nel 1274. È proprio in questo anno che inizia l’avventura di Jin Sakai, uno degli ultimi samurai rimasti sull’isola di Tsushima, luogo in cui sbarcano le armate di Khotun Khan, cugino di Kublai Khan. Nella realtà storica, si trattava di circa 23.000 unità provenienti dalla Mongolia, dalla Cina e dalla penisola coreana, armate di tutto punto con catapulte, archi e proiettili combustibili, oltre che dotate di un impressionante reparto di cavalleria. 

Fu la natura, non l’esercito, a salvare il Giappone dalla catastrofe: un tremendo tifone distrusse le navi del Khan, che tentò una nuova invasione nel 1281, ma venne accolto dallo stesso vento infuriato che aveva causato il fallimento della prima spedizione. Restò impressa nella memoria collettiva del popolo giapponese l’immagine del vento come forza incontrollabile e selvaggia, capace di salvare il loro arcipelago nel momento del bisogno. Non fu così nel caso dei giovanissimi kamikaze della Seconda Guerra Mondiale. In un volume memorabile per profondità di studio e per vastità delle fonti dirette raccolte dal titolo “Kamikaze, Cherry Blossoms and Nationalisms. The Militarization of Aesthetics in Japanese History” (The University of Chicago Press, 2002), l’antropologa Emiko Ohnuki-Tierney ripercorre il ruolo del simbolismo e dell’estetica nelle ideologie totalitarie che avevano convinto tanti ragazzi dell’opportunità di morire “come bellissimi petali di ciliegio che cadono dal ramo” in difesa dell’imperatore del Giappone e del suolo della madrepatria. Dietro l’immagine di folli nazionalisti, però, si celano diari che dimostrano la tragedia insensata di vite spezzate troppo presto, a causa della pressione del gruppo, del senso del dovere fortemente sentito nella società giapponese, del timore di un’invasione di terra da parte delle forze statunitensi.










Un padiglione ricoperto di foglia d’oro si riflette nel laghetto sottostante, popolato da aironi cinerini che cercano di godersi la frescura di quella splendida zona boscata di Kyōto. Quando l’ho visto di persona, nell’estate del 2023, il padiglione era già morto e risorto per tre volte: due nel corso del XV secolo, e una il 2 luglio 1950. Come racconta Yukio Mishima nel suo più grande capolavoro, “Il Padiglione d’Oro”, romanzo pubblicato a puntate a partire dal gennaio all’ottobre del 1956, un monaco dà fuoco al magnifico Kinkaku-ji con l’intento di uccidersi, solo per riscoprire un’improvvisa vitalità e abbandonare la struttura prima dell’inevitabile crollo. Mishima lo immagina ispirato nel suo agire dalla filosofia del buddhismo zen e da un impulso nichilista.

Se incontri il Buddha, uccidilo
Se incontri i tuoi antenati, uccidili
Se incontri un venerabile asceta, uccidilo
Se incontri tuo padre o tua madre, uccidili
Se incontri i tuoi parenti, uccidili:
Soltanto così potrai ottenere la liberazione
Soltanto così sfuggirai all'intrico della materia e t'affrancherai



Il Kinkaku-ji era stato costruito da Yoshimitsu, terzo shōgun della famiglia Ashikaga, tra le fautrici di un’organizzazione feudale ben precisa con cui articolare il governo sulle province dell’arcipelago. Il culmine dello shogunato si ebbe proprio con Yoshimitsu, giunto al potere all’età di dieci anni, nel 1368, nel pieno della fioritura del Periodo Muromachi (1336-1573 d.C.), conclusosi con la cacciata da Kyōto della famiglia Ashikaga. L’immenso potere di Yoshimitsu è stato celebrato anche nel mondo dei videogiochi: nelle serie Tekken e Soulcalibur, entrambe targate Namco, compaiono tre personaggi dal nome di Yoshimitsu. Si tratta della denominazione assunta dai capi del Clan Manji, dotati di una omonima spada demoniaca. La prima apparizione di Yoshimitsu risale al 1994 nel cabinato di Tekken: sembra che lo spettro del grande shōgun sia ben lontano dall’abbandonare questa Terra, nonostante i tanti incedi che hanno avviluppato la sua splendida villa. Il suo gusto raffinato si riverbera ancora oggi sull’estetica giapponese, e continua a conferire valore a tutto ciò che è naturale, irregolare, semplice, essenziale: una manciata di boccioli disposti su un piano di legno; gli strumenti della cerimonia del tè; la struttura dei giardini zen.

Agli inizi del XVI secolo, non sembrava esserci un’unità nazionale in vista per il territorio giapponese. I capi feudali (chiamati daimyō) possedevano zone di dimensione variabile, e non accettavano di confederarsi per dare vita a un governo centrale. Al contrario, l’avvento delle armi da fuoco nella seconda metà del ‘500 portò a un’accelerazione nei processi di espansione e conquista dei confini contesi tra i signori locali. Un uomo emerse sopra gli altri: si trattava di Oda Nobunaga, inizialmente un daimyō minore della provincia di Owari, che arrivò a impadronirsi della capitale Kyōto nel 1568, cacciando la famiglia Ashikaga dalla città. Impossibile ignorare la sua potenza militare e la sua capacità strategica, tutt’oggi proverbiali. Fu così che molti daimyō del Giappone centrale lo riconobbero come signore supremo, così permettendogli di abolire le barriere di pedaggio e le restrizioni sui mercati dei territori sotto il suo controllo. La cacciata degli Ashikaga aprì il breve Periodo Azuchi-Momoyama (1573-1603 d.C.), durante il quale operarono i tre unificatori del Regno del Giappone. Il primo fu proprio Oda Nobunaga, la cui carriera fu bruscamente interrotta nel 1582 per mano di un vassallo traditore che lo assassinò. Ma il suo generale più capace, Toyotomi Hideyoshi, continuò la sua opera, conquistando le regioni orientali e settentrionali del Paese. Fu seguito da Tokugawa Ieyasu, già alleato di Nobunaga, che riuscì ad assicurarsi il dominio del Giappone nella battaglia di Sekigahara nel 1600, e assunse la carica di shōgun nel 1603. Il suo grande maestro, Nobunaga, continua a essere presente nella cultura popolare, e anche nel mondo dei videogiochi: in Nioh torna dal mondo dei morti per combattere all’arma bianca contro William, e fa ritorno nell’aldilà convinto che i suoi successori, Hideyoshi e Ieyasu, sapranno rendere onore alla sua memoria, proseguendo nella missione unificatrice da lui intrapresa.








Il rapporto tra Giappone e Paesi occidentali è da sempre complesso. Nel momento in cui il Paese chiuse l’accesso agli europei, nella prima metà del XVII secolo, si trovava allo stesso livello di sviluppo tecnologico rispetto all’Occidente. La situazione cambiò radicalmente nel corso dell’800, secolo del grande balzo in avanti dato dalla Rivoluzione industriale. Gli interessi economici portarono gli statunitensi a interessarsi all’arcipelago giapponese: le loro baleniere battevano i mari intorno alle coste del Giappone, e si auspicava una apertura dei porti per poter rifornire le navi nella lunga traversata oceanica tra la costa ovest degli Stati Uniti d’America e la Cina. Dopo l’insuccesso di alcune spedizioni amichevoli, si decise di ricorrere alla forza. Nel luglio del 1853, una massiccia squadra navale agli ordini del commodoro Matthew C. Perry entrò nella baia di Tōkyō per consegnare ai giapponesi una lettera del Presidente degli Stati Uniti. La lettera invitava a intraprendere rapporti commerciali. Perry si fermò a Okinawa per alcuni mesi, avvertendo che sarebbe tornato all’inizio dell’anno seguente per raccogliere la risposta delle autorità nipponiche. Sotto la minaccia dei cannoni americani, l’imperatore e le autorità di Edo (allora il nome di Tōkyō) decisero di aprire le porte all’Occidente. Matthew C. Perry è il primo boss di Rise of the Ronin: chiamati a infiltrarsi su una delle minacciose “navi nere” della flotta statunitense, le Lame Velate hanno l’obiettivo di assassinare il commodoro e rubare la lettera da lui portata. La missione finisce in un insuccesso, e Rise of the Ronin percorre il difficile periodo che portò alla Restaurazione Meiji nel 1868, con la fine dello shogunato e una costante crescita dell’influenza occidentale sul Paese. Si concluse così il dominio della dinastia Tokugawa, durato ben 265, dal 1603 al 1868, anni noti con il nome di Periodo Edo. Alla pace e alla tranquillità di quei secoli si sostituirono agitazione e perdita di credibilità per il governo di Edo, considerato dalla popolazione come incapace di difendere il Paese dagli stranieri. Venne esposta la natura del tutto anacronista dello shogunato Tokugawa, ormai non più al passo con i tempi e con il progresso tecnologico avvenuto in Occidente: il crollo fu improvviso, ma venne preservata la capitale, rinominata Tōkyō. Era l’inizio di un periodo di grandi cambiamenti sociali, politici e legislativi, e di un’apertura verso l’esterno che prese forme anche aggressive, ad esempio nel primo conflitto sino-giapponese (1894-18959 e nella guerra russo-giapponese (1904-1905).

L’autoritarismo e l’impeto militaristico che condussero il Giappone alla Triplice Alleanza con Italia fascista e Germania nazista e al disastro della Seconda Guerra Mondiale avevano radici molto profonde. Sette secoli di feudalesimo avevano reso il governo dei militari un fatto naturale, e non un’anomalia, come accadeva invece in molte altre parti del mondo dell’epoca. Inoltre, la costrizione all’apertura del Giappone all’Occidente con l’arrivo delle “navi nere” del commodoro Perry aveva provocato una forte reazione nazionalista, opportunamente cavalcata da politici privi di scrupoli. Tra questi, il criminale di guerra Tōjō Hideki, primo ministro del Giappone tra il 1941 e il 1944, fautore dell’ingresso del Paese nel secondo conflitto mondiale con l’attacco a sorpresa a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Nonostante la sua carriera militare, Tōjō non era abile con la pistola, e il suo goffo tentativo di suicidio con una pallottola nel cuore si concluse in fallimento, anche grazie al pronto intervento di un team di soldati statunitensi. Processato dal Tribunale militare internazionale per lʼEstremo Oriente – corrispettivo del Processo di Norimberga – fu condannato a morte e impiccato il 23 dicembre 1948. 

Decisiva per la sconfitta giapponese fu la battaglia delle Midway, ricreata nel videogioco strategico per Apple II e Dos dal titolo Midway: The Battle that Doomed Japan, del 1989. La mappa di gioco comprendeva il tratto di mare che dalla costa giapponese si estende fino a Pearl Harbor, e permetteva di controllare tutte le navi della marina statunitense impiegate nell’attacco. I giapponesi non sapevano che i loro vulnerabilissimi codici cifrati erano stati violati dall’esercito americano, e ciò consentì all’armata dell’ammiraglio Nimitz di cogliere di sorpresa gli avversari a Midway, causando la prima, clamorosa sconfitta dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto. Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki furono solo l’accelerazione di una lenta agonia e di una inevitabile sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. Tutt’oggi ci si interroga sulla giustificazione etica dell’utilizzo di quei due ordigni nucleari, chiamati Little Boy e Fat Man, ricoperti di frasi ingiuriose scritta dai soldati americani e rivolte al popolo giapponese: si trattò di un eccidio di massa privo di precedenti. Oggi il Museo della Pace di Hiroshima è una tappa obbligata per chi vuole osservare quel baratro d’orrore e ricordare i bambini, le donne e gli uomini che persero la vita in quei giorni d’agosto e, a causa delle radiazioni, anche nei decenni seguenti. Se siete fortunati, potete incontrare alcuni anziani, allora bambini, che si recano nel museo e nel memoriale annesso per portare avanti discussioni e ricerche su quegli anni difficili: hanno il viso rugoso come cartapesta, ma sono pronti al sorriso e al racconto, se parlate un po’ di giapponese.











Sono decisamente più giovani i protagonisti della serie Yakuza, che ci conduce verso il Giappone contemporaneo e le luci al neon del distretto di Kamurochō, liberamente ispirato a Kabukichō, quartiere a luci rosse della tentacolare Tōkyō. È un ottimo luogo per apprezzare l’integrazione di influenze straniere e di cultura giapponese che costituisce il cuore pulsante del Giappone di oggi. Poco lontano dalla gigantesca testa di Godzilla che occhieggia dal Cinema Toho e sputa fumo a ogni ora, si può trovare il santuario shintoista di Hanazono, con il suo vialetto punteggiato di alberi di ciliegio in fiore ogni primavera e i torii (caratteristici portali rossi) che conducono verso un piccolo altare dedicato a Inari, kami della fertilità e dell’agricoltura, spesso rappresentato in forma di volpe. Curiosamente, Kabukichō prende il nome dal piano di costruire nel quartiere un grande teatro kabuki nel secondo dopoguerra, piano che però non fu mai attuato. Negli ultimi anni, la presa della yakuza (la mafia giapponese) sull’area si è leggermente allentata, e nei locali a luci rosse è diventata sempre meno comune la pratica del bottakuri: si tratta dell’inserimento di costi nascosti nel conto presentato al cliente, attirato da un prezzo apparentemente basso, poi gonfiato a dismisura dai gestori. Nel 2015 si verificarono più di 1.000 casi di bottakuri nei primi quattro mesi dell’anno, ma un’applicazione più severa delle normative a tutela dei consumatori e contro la mafia portò a una drastica decrescita del fenomeno: un forte intervento della polizia portò alla registrazione di soli 45 casi nel mese di luglio dello stesso anno. Passeggiare per Kabukichō è un’esperienza a suo modo particolare: sonnacchiosa e quieta di giorno, diventa chiassosa e piena di gente di notte. Non perdetevi i popcorn del Cinema Toho: sono i più buoni al mondo!

Qualsiasi cosa abbia in serbo la Storia per il futuro del Giappone, una cosa è certa: i videogiochi saranno lì per raccontare questo Paese straordinario e i suoi abitanti.

Pubblicato il: 27/03/2024

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30 commenti

Prima che uscisse pensavo proprio quanto potesse essere desiderato un articolo del genere. Inutile dire che l'annuncio è arrivato poco dopo e ha ampiamente soddisfatto noi lettori.
Giulia, brava e grazie!

Davvero bel articolo per chi come me e te ama il Giappone , spero lavorerai su un articolo simile, ma legato al folklore giapponese e agli spiriti che lo caratterizzano

Pezzo scritto magnificamente dalla meravigliosa e bravissima Giulia. Super interessante che non solo mi ha fatto venire voglia di recuperare i giochi citati ma di informarmi di più sulla storia e la mitologia del Giappone.

Giappone e Videogiochi in un articolo? Cosa posso chiedere di più?

Un magnifico pezzo che insieme alla diretta con Yuri di qualche giorno fa mi ha esaltato sulla storia giapponese

Ottimo articolo, complimenti Giulia!

Ciao amici! Vi piacciono le novità? <3

Dovrò leggere a più riprese... Ogni periodo mi accende un irresistibile desiderio di approfondimento che mi porta a immergermi in ricerche sulla storia del Giappone. Bellissimo.... Quanto vorrei averlo cartaceo stampato su una bellissima carta opac …Altro... Dovrò leggere a più riprese... Ogni periodo mi accende un irresistibile desiderio di approfondimento che mi porta a immergermi in ricerche sulla storia del Giappone. Bellissimo.... Quanto vorrei averlo cartaceo stampato su una bellissima carta opaca............. ;) sbav... :P

Fin troppo corto per i miei gusti. Ne avrei letto volentieri un articolo grosso il doppio o il triplo.

Articolo meraviglioso, compilmenti!

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