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ASSASSIN'S CREED: TUTTO È LECITO

Montreal, 2004. Su un grande schermo TV all’interno di una gremita sala riunioni, un paio di personaggi vestiti di bianco si muovono sullo sfondo di un’antica città orientale, svelando incredibili capacità acrobatiche e di combattimento. Alla fine dello spettacolare video, compare una grande scritta: Prince of Persia Assassins. Quello che i partecipanti alla riunione stanno guardando si chiama in gergo “fake footage”, ossia una finta sequenza di gameplay, in realtà non giocabile, creata da un team di sviluppo per mostrare internamente le caratteristiche di una nuova produzione. Quello che non sanno è che i lavori su Prince of Persia Assassins, di fatto, non cominceranno mai, e il gioco non vedrà la luce. All’insaputa di tutti, il ventiseienne a capo del progetto ha deciso che la sua libertà creativa è molto più preziosa di qualunque mandato aziendale, e che la conquisterà ad ogni costo.Ma questa storia, in realtà, è cominciata nel 1997, con una piccola figurina Playmobil appoggiata su una scrivania di fronte a un giovane di nome Patrice Desilets. Andiamo con ordine.

Ad avergli messo davanti quel piccolo giocattolo raffigurante un cavaliere medievale è il producer Alain Tascan, al termine dell’ultimo colloquio decisivo per l’assunzione di Patrice come game designer nei nuovi studi di Ubisoft Montreal.Dopo aver esaurito le sue domande, Alain tira fuori da un cassetto il piccolo cavaliere Playmobil, lo appoggia di fronte a Patrice e indicandolo gli dice: “Puoi rilassarti, sei assunto. Comincia a pensare a un gioco”.

All’epoca Patrice ha solo 23 anni, e zero esperienze nell’industria del videogioco. La sua determinazione e i suoi studi in campo cinematografico, tuttavia, lo portano a chiudere con successo i primi due piccoli progetti che gli vengono assegnati, entrambi platform su licenza.

In quei primi anni emergono già alcuni tratti distintivi della figura di Patrice: è ambizioso ma sa adattarsi, ha un innato senso per il game design e una naturale comprensione del ritmo necessario ai giochi platform, eppure non è un buon manager di persone, e tende a soffrire molto il non poter decidere a cosa dedicarsi in libertà. Dopo qualche anno sfortunato, in cui Patrice sembra non riuscire a trovare la chiave di volta della sua carriera, sarà lui stesso a chiedere di lavorare alla più recente acquisizione di Ubisoft, il brand Prince of Persia. Quello che sarà poi conosciuto come Le Sabbie del Tempo è appena entrato in produzione, e al team manca proprio un game designer. A conferma delle sue doti fuori dal comune, già in uno dei primi meeting Patrice porta un’idea geniale, che finirà per plasmare l’intera esperienza di gioco.

Prince of Persia è sempre stato un gioco dove si muore spesso. Perché non diamo ai giocatori la possibilità di riavvolgere il tempo?"

Più facile a dirsi che a farsi con la tecnologia dell'epoca. Patrice ancora non può saperlo, ma le stringenti limitazioni tecniche che gli impediranno di realizzare subito la sua visione, diventeranno la principale propulsione di molte delle caratteristiche che andrà successivamente a inserire in Assassin’s Creed.Le Sabbie del Tempo esce a fine 2003 salutato da un buon successo di critica, e i numeri di vendita crescono velocemente dopo un tiepido inizio. Patrice, decisamente rafforzato dall'esperienza, sa che Ubisoft ha ora in lui piena fiducia. Mentre una parte del team si mette all’opera su un sequel del gioco, a inizio 2004 viene chiamato in una sala riunioni dove si trova di fronte a una sfida inaspettata.

“Vogliamo che crei un nuovo team e cominci a lavorare sul futuro della saga di Prince of Persia, con un gioco pensato per la prossima generazione di console. Il tuo obiettivo è rivoluzionare il genere degli action adventure, ambientando il tutto in un contesto rigorosamente storico.”

Patrice accetta, seppure con sentimenti molto contrastanti. Da una parte, ha finalmente ottenuto il riconoscimento tanto desiderato. Dall’altra, lavorare nuovamente sul brand Prince of Persia è l’ultima cosa che desidera, senza contare che le caratteristiche della successiva generazione di console sono ancora un mistero. Per qualche tempo, si concentra quindi sul concept del nuovo gioco, e da subito si rende conto che un principe non è un protagonista adatto a un progetto destinato a lasciare il segno. Come ha in seguito affermato in diverse interviste: "Un principe non è un personaggio d'azione, è solamente qualcuno che aspetta che i genitori muoiano per ereditare il trono".

Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo

La verità è che Patrice vuole soprattutto conquistarsi la sua libertà creativa, e fa di tutto per piegare il concept ai suoi scopi. Inizialmente pensa di mettere il giocatore nei panni della guardia del corpo del principe, ma una nuova ispirazione lo porta ancora più lontano. Facendo ricerche sull’antica Persia, rispolvera alcuni libri dell’università e viene attirato da un volume dedicato alle società segrete. Qui, per la prima volta, trova menzione della figura storica di Hasan I Sabbah, il Vecchio della Montagna, e dell'ordine degli al-Hašīšiyyūn (letteralmente “fumatori di hashish”), ai quali si deve l'etimologia della parola "assassino". I membri dell’ordine venivano inviati da soli o in piccoli gruppi ad eliminare pubblicamente figure politiche e militari di spicco nella maniera più teatrale possibile, al fine di incutere terrore e esercitare pressioni. L'ordine monastico/militare lo affascina molto, e Patrice continua la sua ricerca scoprendo Alamut, un romanzo sloveno del 1938 con protagonista proprio Hasan I Sabbah.

Decide quindi di giocare un po’ sporco nei confronti del mandato aziendale, e mettere il giocatore nei panni del numero due della setta degli Assassini: dopotutto, un aspirante al trono di una setta può in un certo senso definirsi un principe, giusto? Nonostante il debolissimo legame alla saga di Prince of Persia, a metà 2004 Patrice e il nuovo team di circa 20 persone ricevono finalmente le prime indiscrezioni sulla successiva generazione di console, e scoprono di poter puntare molto in alto grazie alle nuove tecnologie. A quel punto, non resta loro che condensare tutte queste idee in un breve video e presentarlo ai piani alti di Ubisoft.

Concept art originale di Prince of Persia Assassins

E qui torniamo nel 2004, in quella sala riunioni piena di persone intente ad ammirare il fake footage. Il progetto riceve l’autorizzazione a proseguire, sebbene in pochi abbiano ancora chiaro come Patrice stia sostanzialmente sovvertendo la richiesta originale.Come risulta chiaro ancora oggi, ricucendo frammenti di interviste e making of, questo genera una grandissima confusione in Ubisoft. È chiaro come il progetto si sia ormai del tutto allontanato dalla licenza di Prince of Persia, eppure la dirigenza ha molta paura che lanciare una nuova proprietà intellettuale insieme alle console di ultima generazione rappresenti un enorme rischio. In assenza di decisioni nette, la produzione procede per molto tempo in una sorta di limbo. I nuovi arrivati nel team sono convinti di lavorare sul nuovo Prince of Persia, ma la realtà è ogni giorno più lontana.

Ottenute le approvazioni preliminari, nei 10 mesi successivi Patrice mette il team al lavoro sugli elementi de Le Sabbie del Tempo che non aveva potuto includere a causa delle limitazioni hardware, e le mette al centro di Assassins.

“Voglio che il giocatore possa saltare letteralmente da un tetto all’altro, e che sotto di lui ci siano costantemente folle di persone che popolano la città, nelle quali se lo desidera possa nascondersi”

Acrobazie tra i tetti e folle di persone. Questi due concetti, finalmente realizzabili con le nuove tecnologie, diventano il cuore pulsante dell’esperienza. Anche l’ambientazione, necessariamente, cambia, in questo caso seguendo da vicino il mandato di Ubisoft, che chiedeva un prodotto meno legato a canoni fantastici e più realistico, uscendo dai confini della Persia e andando a interessare ben tre città al centro degli avvenimenti del periodo della Terza Crociata, ossia Acri, Damasco e Gerusalemme.

Parallelamente alla produzione del concept e a centinaia di pagine di documentazione pronta per lo sviluppo del gioco, il primo anno serve al team per sperimentare sui processi produttivi e sulle tecnologie necessarie a realizzare l’ambizioso progetto. Ancora privi di un engine dedicato, l’animatore Alex Drouin e il programmatore Richard Dumas utilizzano la tecnologia alla base di Le Sabbie del Tempo per creare un sistema di scalata che permetta al giocatore di raggiungere i tetti della città in pochi istanti, e tornare al livello della strada altrettanto velocemente. Quello che desiderano è un qualcosa di credibile ma non necessariamente realistico:

“Non vogliamo rendere il protagonista palesemente sovrumano. Deve essere uno scalatore professionista, conoscere perfettamente le mosse base del parkour e sostanzialmente avere una resistenza infinita”

I primi modelli sperimentali creati da Dumas funzionano molto bene, e colpiscono chiunque li provi per la loro fluidità, ma serviranno letteralmente anni di lavoro per affinare le animazioni e limare le imperfezioni. Non è un caso che la scalata, ancora a distanza di molto tempo, continui a rappresentare uno dei momenti magici di Assassin’s Creed, e a regalare ancora oggi immense soddisfazioni a milioni di giocatori.Il concetto di “credibile, non realistico” diventa una sorta di mantra per l’intera produzione, e va ad interessare molti altri aspetti della storia e del gameplay, come il famoso “salto della fede”. La possibilità per i giocatori di tornare immediatamente al livello del suolo era assolutamente necessaria, e per quanto sfidi ogni legge del realismo, è risultata talmente convincente da diventare uno dei tratti più distintivi dell’intera saga.

Il salto della fede è entrato nell'immaginario comune anche dei non videogiocatori

Mentre programmatori e animatori lavorano sui primi modelli sperimentali, Desilets spende molto tempo nel delineare i tratti del protagonista, e senza saperlo va a determinare uno dei problemi che quasi all’unanimità verrà rilevato da pubblico e critica all’uscita del gioco. Fedele alla sua intenzione di farne in qualche modo un principe, Patrice pone il protagonista quasi al vertice della setta degli Assassini. Questa scelta avrà delle conseguenze notevoli sull’esperienza di gioco, e persino sul sequel: trovandosi a controllare un Assassino esperto e all’apice delle proprie potenzialità, una buona parte del pubblico sentirà la mancanza di un avvicinamento più progressivo alla storia e alle abilità del personaggio, un qualcosa che verrà tenuto molto in conto anni dopo, quando Ubisoft si approccerà allo sviluppo di Assassin’s Creed 2.

Anche il look e il nome del protagonista richiedono diverso tempo per emergere, e sono legati a doppio filo. L’abito bianco, i dettagli rossi e il cappuccio arrivano quasi subito, ma a quel punto l’Assassino sembra più un monaco che un minaccioso killer. Lavorando parallelamente sul nome, il team ne trova uno apparentemente perfetto: Altair, di origine araba, significa letteralmente uccello rapace. Con questa ispirazione, l’artist Khai Nguyen trova finalmente la chiave giusta, e rivede la foggia del costume bianco, accorciandolo e dandogli una forma che ricorda la piuma di un’aquila. Appollaiato sui tetti in attesa della sua prossima vittima, Altair ora sembra davvero un predatore pronto ad attaccare.

Concept art originale di Altair disegnata da Nguyen

Con un concept che ha ormai preso forma, Patrice deve solo trovare un collante che tenga insieme la trama, della quale si sta occupando il lead writer Corey May: pur traendo costante ispirazione dal romanzo Alamut, decide di lavorare sulla credibilità della storia facendo in modo che le missioni di assassinio nel gioco corrispondano sempre a personaggi storici morti in circostanze misteriose. Anche la famosa Mela dell’Eden, ossia l’artefatto al quale ambiscono i nemici Templari, trae ispirazione dal globus cruciger, un simbolo di potere ricorrente nei dipinti medievali.Ma l’intuizione più importante gli arriva per puro caso e quando meno se l’aspetta. Inizialmente, l’intenzione di Patrice era narrare l’intera storia di Assassins come un flashback, sotto forma del racconto del protagonista, ormai anziano. Si tratta tuttavia di un espediente narrativo più che abusato, e l’idea finisce per non convincere Corey May.

Una sera come tante Patrice si porta del lavoro a casa, e a tarda notte è ancora in sala, circondato da libri e fogli di game design. Di sottofondo in TV passa un documentario sulla memoria genetica, una tesi in realtà piuttosto diffusa ma mai scientificamente provata, che sostiene che le memorie possano trasmettersi biologicamente di generazione in generazione. Ed ecco che Patrice ha finalmente trovato la chiave di volta della sua storia, perfetta per giustificare elementi di gioco come l’interfaccia, la possibilità di ricominciare dopo la morte del personaggio, e soprattutto una possibile futura serialità della saga. Nasce così l’Animus, la macchina che permette di rivivere le memorie dei propri antenati. Senza ancora saperlo, Patrice ha appena donato alla saga l’elemento chiave per la sua futura serialità.

Concept art dell'animus di Assassin's Creed Brotherhood

Con il procedere dei lavori, Ubisoft recluta nuovi talenti e punta sempre molto in alto, rendendo ben presto necessario trovare qualcuno che tenga unite più di cento persone impegnate su uno scopo comune. Patrice è un vulcano di idee, e il suo entusiasmo trascina tutti, ma non è sempre la persona giusta per motivare e mantenere coeso l’enorme team, ai cui vertici ci sono alcuni dei migliori talenti dell’industria, tanto abili quanto spesso difficili da gestire.La scelta ricade dunque su Jade Raymond, al tempo una delle poche donne impiegata ad alti livelli nell’industria del videogioco, con già un ottimo curriculum alle spalle. Nel ruolo di producer, sarà lei a ottimizzare i processi produttivi, ad esempio decidendo che ad ogni animatore sarà sempre affiancato un programmatore visti gli ottimi risultati ottenuti dalla coppia Drouin/Dumas.

A quel punto, nel corso del 2005, la fase di pre-produzione può dirsi conclusa, e il marketing di Ubisoft si è progressivamente abituato all’idea che il gioco si sia staccato dal brand Prince of Persia, anche grazie alla continua opera di convincimento da parte di Patrice. E’ proprio durante una di queste complesse riunioni che uno dei marketing manager si sofferma su una citazione del romanzo Alamut, trovandola perfetta per promuovere il gioco. “Nulla è reale, tutto è lecito”. Il credo degli Assassini. Assassin’s Creed.E così, un team da ormai oltre 100 persone si imbarca in un’impresa mastodontica. Ed è proprio allora che cominciano i problemi.

Il talento e la libertà sono armi a doppio taglio, affilate quanto una lama ben assicurata al polso di un assassino. Jade Raymond e Patrice Desilets imparano questa lezione velocemente già nei primi mesi di sviluppo. Le risorse umane ed economiche a disposizione di Assassin’s Creed crescono con una velocità impressionante, e a pochi mesi dall’avvio della produzione vera e propria la squadra sfiora ormai le 150 persone. L’engine, ribattezzato Scimitar, prende lentamente forma, ma le sfide più grandi sono inizialmente affrontate dai level designer. Partendo dal materiale fotografico delle città di riferimento e dalle ricostruzioni storiche, l’obiettivo diventa riempire ogni singola superficie di appigli e percorsi naturali, senza che questo vada a compromettere l’architettura e il realismo. Il procedimento pensato da David Chateneuf, lead level designer, prevede osservare la mappa dall’alto, individuare il punto d’origine e d’arrivo di ogni missione, e successivamente arricchire maggiormente i percorsi più probabili.

E’ un procedimento lento e metodico, e cercare di anticipare le mosse del giocatore in un ambiente ancora non definitivo è tutt’altro che semplice. Peraltro, in Assassin’s Creed il giocatore si muove quasi sempre in ambientazioni affollate da personaggi non giocanti, le famose “folle” volute da Patrice. E proprio queste ultime presentano sfide non indifferenti: diversi team si avvicendano per renderle credibili, lavorando sul pathfinding, sul comportamento, sull’editor, quest’ultimo fondamentale per assicurare una varietà sufficiente di modelli differenti. Una generazione totalmente procedurale è ancora impensabile in quegli anni, e quindi i team dedicati alle folle arrivano ad un sistema ibrido, una sorta di enorme libreria di “pezzi”, come quelli di piccoli personaggi Lego, che possono essere mischiati dall’engine partendo da alcune istruzioni di base, ad esempio popolando le zone più benestanti delle città con persone vestite riccamente, e viceversa.

Ancora prima di approcciarsi al design delle missioni, o al sistema di combattimento, gli ostacoli di fronte ai quali i diversi team si trovano di continuo li portano ogni volta ad un passo dal gettare la spugna, ma in qualche modo gli straordinari talenti al vertice riescono sempre a trovare nuove idee geniali per rimettere in pista il progetto.

E’ proprio in questi momenti difficili che Patrice ha un’altra intuizione, che oggi possiamo considerare come l’elemento di gameplay scaturito da Assassin’s Creed nel bene e nel male più influente sull’intera industria del videogioco: nel tentativo di valorizzare il più possibile la scalata, decide infatti di utilizzare le molte torri e minareti presenti nelle città rendendo necessario scalarle fino in cima per “sincronizzare” il proprio DNA all’Animus, ottenendo in cambio una visione più chiara della mappa sottostante e degli obiettivi disponibili. Ancora oggi, questa stessa dinamica si ritrova nella maggior parte dei videogame ad ambientazione open world, e non solo targati Ubisoft, sebbene nel tempo abbia perso la sua efficacia, diventando spesso e volentieri più un riempitivo che una meccanica ben integrata.

Nonostante le sue idee geniali, lo stesso Patrice dovrà venire a patti con il fatto che la sua leadership creativa, per quanto assolutamente non in discussione, non è più sufficiente date le complessità del progetto. A 2006 inoltrato risulta evidente come le ambientazioni aperte stiano creando enormi problemi nel disegnare al loro interno attività e missioni per intrattenere i giocatori, e Maxime Beland entra nel team Assassin’s Creed con il ruolo di lead game designer, fornendo al team una necessaria guida per non perdersi nei meandri dell’open world. Grazie alla sua guida, il team dedicato al gameplay crea delle rudimentali simulazioni in Adobe Flash per previsualizzare il flow delle missioni, e solo successivamente le trasla nell’engine di gioco, riuscendo così a superare lo smarrimento. A Maxime si deve, sostanzialmente, buona parte di ciò che Assassin’s Creed offre seguendo la trama principale, dal posizionamento degli obiettivi a quello dei nemici.

In mezzo a mille difficoltà, molte delle persone coinvolte ricordano ancora oggi lo sviluppo di Assassin’s Creed come un folle mix di ostacoli quasi insuperabili e momenti di enorme divertimento. Tra review interne accompagnate da shot di vodka, risse in ufficio, combattimenti con pistole Nerf e sessioni di motion capture in cui Alex Drouin era noto per mettere in pratica la sua conoscenza del kung fu menando fendenti con una spada di polistirolo, il team Assassin’s viene ancora oggi ricordato come uno dei mix più incredibili di talento e follia che si siano mai visti in Ubisoft, irriducibile e a tratti letteralmente esplosivo.

Purtroppo, gli ultimi mesi di sviluppo non rientrano tra i ricordi migliori di chi negli anni successivi ha raccontato tutta la storia. Con l’engine Scimitar ultimato in enorme ritardo, l’intero team è impegnato a trasferire gli asset e a rifinire le nove missioni principali della storia. Dal canto suo, Patrice desidera mettersi al lavoro sulle attività secondarie, per le quali ha già alcune idee interessanti, tra cui la possibilità per il giocatore di cacciare della fauna fuori dalle mura delle città principali e diverse missioni aggiuntive collegate alla trama. Tuttavia, dopo quasi quattro anni di sviluppo, il management di Ubisoft non ha più intenzione di rimandare: la data di uscita viene fissata al 13 novembre 2007, e Patrice vede man mano sfumare ogni speranza di completare il gioco. D’altra parte, le prime prove ufficiali della stampa di settore sono un successo: i giornalisti provano solamente delle frazioni del gioco, e non possono ancora avere idea di quanto povera sarà effettivamente l’offerta di gameplay. All’uscita delle anteprime, Assassin’s Creed diventa il gioco più atteso dell’anno, ma per la squadra di Patrice c’è un’ultima spiacevole sorpresa in arrivo.

Assassin's Creed (2007)

A pochi giorni dall’invio della build finale, il team riceve per vie traverse e ufficiose una notizia sconcertante: pare che il figlio del CEO abbia provato Assassin’s Creed, e l’abbia trovato noioso e privo di sufficienti attività (ancora oggi, non è chiaro se si parlasse del primogenito di Yves Guillemot, amministratore di Ubisoft, o di Yannis Mallet, guida degli studi di Montreal). Il panico che segue costringe un piccolo gruppo di sviluppatori a chiudersi in una sala conferenze con un obiettivo assurdo: aggiungere contenuti in soli cinque giorni, e senza alcun bug, dato che la nuova versione del gioco andrà direttamente nei negozi.Tuttora, giocando ad Assassin’s Creed, la raccolta delle bandiere e gli assassini dei Templari risultano palesemente come aggiunte dell’ultimo minuto, ma quanto questo fosse letterale è emerso solo recentemente grazie alla testimonianza dell’AI Designer Charles Randall.

Nonostante i pesanti tagli e l’assurdo rush finale, alla sua uscita Assassin’s Creed raccoglie un buon successo, ottenendo l’ambita prima posizione in classifica in UK e arrivando a vendere oltre otto milioni di copie in due anni. Le critiche colpiscono, come ampiamente previsto, l’offerta molto scarna di attività da completare, il sistema di combattimento mai del tutto ottimizzato e la totale assenza di un senso di sfida. D’altra parte, proprio quegli elementi sui quali Patrice si è concentrato per anni, ossia la scalata, la dinamica delle folle, la riproduzione certosina delle città e l’ambientazione storica rappresentano invece una scintilla destinata ad ardere molto a lungo. In questo senso, Assassin’s Creed è un prodotto unico nel panorama del videogioco moderno, nato sotto tutt’altra stella e poi trasformatosi solo a causa della fame di libertà creativa di un’unica persona, uscito sul mercato privo di alcuni elementi fondamentali, eppure in grado di elevarsi immediatamente a icona grazie alla pura forza delle idee e ad una direzione artistica indimenticabile.

Paradossalmente, nel tentativo di colmare tutte le lacune del primo capitolo, Assassin’s Creed 2 finirà per includere una quantità di attività secondarie quasi invasiva. Sebbene sia considerato all’unanimità come il miglior prodotto dell’intera saga, e proponga anche un approccio al personaggio principale molto più misurato, è anche vero che ha in un certo senso spianato la strada all’open world moderno, che sacrifica quasi completamente il senso di libertà e scoperta che un mondo aperto dovrebbe garantire, riempiendo invece la mappa di decine e decine di attività secondarie, guardando spesso più alla quantità che alla qualità. Non è un caso che, nel tempo, l’originale Assassin’s Creed abbia mantenuto una nutrita schiera di sostenitori, che sono d’accordo con Patrice Desilets nell’affermare che, al netto delle sue enormi mancanze, fosse comunque un open world puro e libero da decine di indicatori sulla mappa, missioni di raccolta, collezionabili e altri riempitivi.

Assassin's Creed II (2009)

Con 12 capitoli principali all’attivo, diversi spin off, oltre 10 giochi mobile, una collana di romanzi dedicata, un film al cinema e diversi progetti in collaborazione con Netflix, Assassin’s Creed rimane tra le proprietà intellettuali del videogioco nate nel nuovo millennio più vaste e di successo in assoluto, con incassi complessivi di oltre 5 miliardi di dollari. Patrice Desilets è rimasto alla guida del progetto per tutto Assassin’s Creed 2 e per una parte dei lavori sul terzo capitolo, Brotherhood, ma circa 5 mesi prima della data d’uscita ha deciso di lasciare il progetto e l’azienda. I motivi dietro a questa decisione sono molti e complessi, e ancora oggi non tutti noti, ma sono da ricondursi sia alla necessità di una pausa dopo lunghi anni di intenso lavoro, sia a profonde differenze creative tra Ubisoft e Patrice, che aveva piani molto diversi per Assassin’s Creed, tra i quali una conclusione con il terzo capitolo e una maggiore enfasi sulle sequenze ambientate ai giorni nostri. Paradossalmente, dopo aver accettato il ruolo di creative director in THQ e in seguito al fallimento di quest’ultima, Patrice si è trovato nuovamente acquisito da Ubisoft nel 2013, sebbene sia stato immediatamente licenziato e abbia temporaneamente perso i diritti sulla produzione alla quale stava lavorando, Amsterdam 1666. Dopo averli recuperati, ha fondato nel 2014 lo studio indipendente Panache Game Digital, con il quale ha sviluppato Ancestors: The Humankind Odissey, accolto molto tiepidamente dalla critica ma in grado nondimeno di totalizzare numeri di vendita incoraggianti.

Patrice Désilets ai tempi del lancio di Assassin's Creed II

Oggi Patrice si dice ovviamente contento della grande fama acquistata con Assassin’s Creed, e ammette candidamente che i suoi giochi ne conservano sempre, e inevitabilmente, qualche elemento. Il frutto della sua lotta per ottenere la totale libertà creativa è diventato, di fatto, la proprietà intellettuale moderna del videogioco più influente in assoluto, e un’icona di stile, in grado di appassionare un pubblico ben più grande dei soli videogiocatori assidui. Allo stesso tempo, Assassin’s Creed rappresenta soprattutto una splendida lezione su quanto caotico, imprevedibile, titanico ma anche meraviglioso possa rivelarsi lo sviluppo di un videogame, soprattutto quando si tratta di esplorare nuovi territori, dove, letteralmente, “tutto è lecito”.

Ascolta questa storia raccontata dalla voce di Andrea, direttamente su Spotify!

A cura di
Andrea Porta

Pubblicato il: 16/05/2023

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5 commenti

Il primo AC per me rimane ad oggi il miglior capitolo della serie. Si non era perfetto, ma quel che c’era era ottimamente bilanciato. Io sono fra quelli che innamoratosi col primo ha pian pian perso interesse nella saga

Da iniettare in vena questa rubrica! Bellissima!

Letto tutto d'un fiato. È veramente bello ed emozionante conoscere queste storie, e il modo in cui vengono raccontate da Andrea mi permette di entrarci completamente dentro, quasi come se fossi insieme agli sviluppatori. Complimenti ancora una volta …Altro... Letto tutto d'un fiato. È veramente bello ed emozionante conoscere queste storie, e il modo in cui vengono raccontate da Andrea mi permette di entrarci completamente dentro, quasi come se fossi insieme agli sviluppatori. Complimenti ancora una volta, spero di trovarti sempre più spesso da queste parti.

Impaginazione regolare al servizio del testo.
Comprensibile la scelta di accompagnare il racconto con poche immagini, ma significative nella loro semplicità.
Si poteva osare di più ma la funzionalità spesso sovrasta l'eleganza e l'appagamento vi …Altro...
Impaginazione regolare al servizio del testo.
Comprensibile la scelta di accompagnare il racconto con poche immagini, ma significative nella loro semplicità.
Si poteva osare di più ma la funzionalità spesso sovrasta l'eleganza e l'appagamento visivo.
Voto 7/10

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