- GUNPEI -

La stanza dei giochi di Dario Moccia

- Episodio 1 -

SONIC SPINBALL

SEGA Mega Drive è stata la mia prima console, e per me è importante partire da qui nel lanciare questo spazio dedicato al retrogaming, e più in generale ai videogame che mi hanno reso il giocatore che sono. È vero che la rubrica deve il nome a Gunpei Yokoi, una personalità che ha gravitato in tutt’altri lidi, contribuendo a rendere Nintendo quell’inesauribile fucina di idee, tecnologie e immaginari che è ancora oggi. Ma al netto dell’omaggio che mi sento di fare a uno dei più grandi creativi di sempre, voglio che questa rubrica contenga anche le mie origini.

E quindi SEGA Mega Drive. O, come si chiamava in America, SEGA Genesis... un nome forse ancora più adatto a sottolineare una nuova partenza.

Cominciare da qui, dicevo, è importante per tanti motivi diversi. Innanzitutto perché mi permette di rivivere una parte speciale della mia adolescenza e della mia infanzia e condividerla con voi lettori. E poi perché mi è sempre piaciuto provare a raccontare il passato, con le sue storie e le sue curiosità, per osservare il presente da un’altra prospettiva. La mia non è semplice nostalgia: voglio pensare ai videogiochi come fotografie segnatempo, che possano dirci chi siamo diventati, dove eravamo quando li abbiamo visti per la prima volta, cosa abbiamo provato.

SEGA Mega Drive, tornando al nostro hardware, è stata prodotta da SEGA tra il 1988 e il 1998. Inaugurò l’epoca delle console dotate di un microprocessore a 16 bit (proprio come l’Amiga). Distribuita in Italia da Giochi Preziosi, ebbe a livello globale un successo fuori scala, così grande che SEGA non è mai più riuscita a ottenere gli stessi numeri. Le stime delle vendite non sono precise, ma l’analisi considerata più affidabile parla di circa 42/47 milioni di unità. In pratica più il doppio di quanto vendette SEGA Master System, e una cifra che riuscì in qualche maniera a ridurre il grande divario con Nintendo, storico rivale che nel corso della generazione a 16 Bit vendette “solamente” 49 milioni di unità. Per farvi capire quale fu il tracollo economico e creativo che poi portò SEGA ad abbandonare il mercato console, sappiate che né SEGA SaturnDreamcast, i due hardware lanciati per presidiare la quarta e la quinta generazione, riuscirono a superare i 10 milioni di pezzi.

Il primo gioco che comprai, in ogni caso – fu Superman: The Man of Steel. La sua cover mi ammaliava, ed è tutt’ora una delle migliori cover art della storia del Mega Drive. Ma non riuscendo a giocarci per la sua eccessiva difficoltà (un aspetto che venne ripreso anche dalla critica videoludica dell’epoca) tornai in negozio e, per sostituirlo, decisi di prendere Sonic Spinball. Sonic mi aveva sempre incuriosito per le sue dinamiche e il suo design; mi piaceva il modo che aveva di richiedere al giocatore una grande precisione. In molti si focalizzano sulla velocità, elemento di certo distintivo di Sonic, e ampiamente sottolineato da tutte le campagne di comunicazione che interessavano i titoli della saga. Eppure il risvolto che mi affascinava è che la velocità imponeva un grande rigore e una prontezza di riflessi impressionanti. Per superare gli ostacoli dovevi “percepire” l’istante giusto in cui schiacciare il tasto del salto, pennellando una traiettoria perfetta. Se fallivi dovevi fermarti, pensare, riconsiderare tutti i possibili approcci da cui partire.

Un altro aspetto fondamentale è che Sonic the Hedgehog è sempre stato come un labirinto: gli stage hanno raramente proposto una sola strada, ma una serie di percorsi, dislivelli, cunicoli che chiedevano di essere scoperti anche la terza o quarta volta che rigiocavi un livello. E – fidatevi – all’epoca i videogame non si giocavano una volta sola, ma si riprendevano per mesi, restavano con te molto più di quanto non succeda oggi. Forse è per questo che ti restavano dentro un po’ di più.

Oggi non parliamo però di un capitolo regolare di Sonic, ma di uno spin-off. Anzi, a voler essere precisi, non è del tutto corretto definirlo spin-off, quindi capitolo collaterale della serie principale. Sonic Spinball adottava infatti un approccio unico, sicuramente peculiare per l’epoca, che lo vedeva inserito nella continuity narrativa delle serie animate di Sonic, Adventures of Sonic the Hedgehog e la Sonic the Hedgehog Animated Series. Forse potremmo considerarlo uno strano ibrido fra spin-off e tie-in (con quest’ultimo termine si indicano i giochi che sono legati alla promozione di un prodotto esterno al mondo videoludico).

L'ANOMALIA SEGA TECHNICAL INSTITUTE

Il gioco uscì alla fine del 1993. Il mondo era cambiato, attraversato da una vibrazione di rinnovamento. Innescata forse dai grandi cambiamenti storici, come il muro di Berlino abbattuto quattro anni prima. Gli anni ‘90, a differenza del decennio precedente, non sono mai stati troppo consapevoli: non hanno mai ragionato sui modi e sulle mode che si stavano imponendo, ma hanno preferito guardare avanti. Gli anni ‘90 erano la promessa dell’arrivo, inesorabile, degli anni Duemila. Erano una fucina di tecnologie pervasive che si muovevano ad una velocità frenetica. Sonic Spinball è figlio di questo tempo, di questa fretta, di questa necessità di assaltare il mercato.

Come molti giochi dell'epoca, Sonic Spinball è stato realizzato con estrema fatica. Non c’erano le stesse risorse che ci sono oggi, e portare a termine un’idea così diversa, a tratti quasi innovativa, non era immediato. Bisognava sperimentare, studiare nuove soluzioni, cercare il giusto linguaggio di programmazione… e immaginare, raccogliere, ritornare indietro; provare, cancellare, migliorare. Era un ciclo quasi infinito, tortuoso: un’avventura, più che un semplice lavoro creativo. Nel 1993, in ogni caso, il team principale di Sonic, tutto giapponese, era completamente concentrato sullo sviluppo del terzo capitolo del franchise e di Sonic & Knuckles. La lavorazione di Sonic Spinball venne affidata ad un altro staff: quello americano del SEGA Technical Institute.

Pubblicità di Sonic 2, sviluppato da STI assieme a SEGA AM8 (poi diventato Sonic Team)

SEGA Technical Institute fu una delle più grandi “anomalie” della storia dei videogiochi. Nacque nel 1990 come il tentativo di SEGA di unire le professionalità americane e giapponesi, e fu considerato originariamente come una sorta di “dream team” dello sviluppo. L’idea – in nome di quell’urgenza tecnologica di cui dicevo prima e che si legge anche nel nome del team – era quella di risultare più competitivi, grazie alla commistione di idee, di vedute, di esperienze. La sede centrale era a Palo Alto, in California, e il nome del fondatore sarà ben noto anche a tanti giocatori che non hanno vissuto quell’epoca: si tratta infatti di Mark Cerny, che già all’epoca si era distinto per le sue grandi competenze. Cerny, per chi proprio non lo dovesse conoscere, è il lead architect di PlayStation 4 e PlayStation 5, ma soprattutto è la persona che di lì a qualche anno avrebbe scoperto Naughty Dog e Insomniac Games, e li avrebbe convinti a “puntare sulle mascotte”, inventando di fatto Crash Bandicoot e Spyro the Dragon. Non proprio una cosa da poco.

Mark Cerny, a Sonic Spinball, non ci ha mai lavorato. Il primo titolo che fu commissionato a SEGA Technical Institute fu infatti Sonic 2, con sviluppo congiunto fra staff americano e giapponese. Le cose andarono talmente male che Cerny lasciò la compagnia e Yuji Naka, il creatore di Sonic in persona, si rifiutò categoricamente di tornare a lavorare assieme agli americani: da quel momento in avanti SEGA Technical Institute avrebbe sviluppato da sola. Questo non toglie nulla dell’eccezionalità di quella situazione, anzi forse la amplifica: negli anni, soprattutto con il boom delle console, i legami tra Occidente e Oriente sono sicuramente aumentati, ma all’epoca affidare un personaggio e un brand come quello di Sonic a un gruppo di sviluppatori americani, senza nessuna relazione con la sede centrale, era una grande scommessa. Per vedere “normalizzato” un comportamento del genere si sarebbero dovute aspettare altre tre generazioni, visto che questa prassi si è diffusa soprattutto in epoca PS3/Xbox360.

Naka e il suo team, in ogni caso, si misero a lavorare al terzo capitolo, come dicevo, ma si accorsero di non riuscire a finirlo in tempo per il Natale del 1993. A quell’epoca il Natale era un periodo strategico per le vendite, un po’ come oggi è il Black Friday, e non si poteva perdere l’occasione di essere presenti sul mercato con un episodio di una saga famosa come quella di Sonic. Considerazioni di questo tipo erano fatte da tantissimi publisher, che non si facevano scrupoli ad… affrettare i processi di sviluppo pur di avere per le mani una grande hit natalizia. Un esempio fu Resident Evil 3, “rushatissimo” per non cannare la deadline fissata a novembre del 1999. SEGA utilizzò un approccio diverso, e assegnò lo sviluppo di Spinball per “coprire” l’assenza di un capitolo regolare di Sonic, che sarebbe arrivato solo l’anno dopo. SEGA Technical Institute dovette lavorare in fretta, e addirittura cambiare linguaggio di programmazione per velocizzare i tempi: scelsero di passare dall’Assembly al C, contravvenendo a un’abitudine d’uso che per il Mega Drive è stata raramente messa in discussione. Vedete, quanto era importante, all’epoca, tutto il ragionamento sulla tecnologia?

LE SERIE ANIMATE DI SONIC

Ma veniamo al gioco. Dicevo che Spinball è collocato nell’universo narrativo delle serie animate di Sonic. Questo legame viene messo in risalto dai tanti contenuti extra che sono racchiusi nei livelli bonus. Più volte Sonic è chiamato a liberare personaggi, come quelli contenuti nelle provette del primo livello bonus, o a sconfiggere nemici, come Scratch nel terzo stage, che hanno lo stesso design di quello della serie animata, e più volte, all’interno di dettagli o determinati passaggi, sono stati inseriti riferimenti e citazioni.

Anche nella copertina americana del gioco c’è un Dr. Eggman che arriva direttamente dalla serie del 1993 (la stessa copertina, tra parentesi, venne utilizzata anche per il Master System, la console a 8 bit di SEGA). In Europa, per evitare qualunque tipo di fraintendimento, è stato inserito un Eggman più vicino allo stile e al design del videogioco. In Giappone, invece, il Sonic protagonista viene disegnato nello stile concepito anche per i capitoli principali della saga: ne esce una cover art minimale, con sovrapposizioni di piani monocromatici infarciti di elementi grafici in linea con l’estetica pubblicitaria anni ’90 giapponese. Scelta fatta probabilmente per uniformare questo strambo capitolo agli altri sviluppati dallo studio originale.

Da sx: Cover per Sega Genesis (USA), Master System, Mega Drive (EU) e Mega Drive (JAP)

È quindi importante, a questo punto, aprire una piccola parentesi su quello che sono state le serie animate. Come ho già detto, sono entrambe del 1993. Sono state entrambe prodotte da DiC Entertainment, SEGA e addirittura da Reteitalia, società di produzione del gruppo Fininvest, e sono andate in onda, negli Stati Uniti, tra settembre e dicembre dello stesso anno. Se vi stupisce leggere il nome di Fininvest legato alla produzione di questa serie, sappiate che in verità l’investimento dell’azienda nostrana ha tutto il senso del mondo. SEGA Mega Drive (e di conseguenza la sua mascotte) ebbe infatti un grande successo nel nostro Paese, grazie anche a una massiccia campagna pubblicitaria sostenuta da Fininvest stessa e animata da un testimonial molto vicino al gruppo milanese: sto ovviamente parlando di Jerry Calà e del suo “ocio però, sono Giochi Preziosi”, che monopolizzava le fasce pomeridiane e i momenti focali di Bim Bum Bam.

"Ocio però, sono giochi preziosi!"

La prima era composta da episodi autoconclusivi pieni di gag basate sulla comicità slapstick e canovacci assai prevedibili, la seconda aveva una trama orizzontale con tanto di colpi di scena e cliffhanger. Dal punto di vista delle animazioni non erano né ricercate né innovative. Tratto molto spesso, movimenti plastici, e un Sonic più tozzo. I robot sono tutti simili tra loro, poco caratterizzati, gli sfondi minimali ed essenziali, che richiamavano quelli delle serie TV americane low-budget degli anni ‘50. Queste serie riprendevano un filone preciso, diffuso soprattutto sulle emittenti syndication degli USA: storie tutte abbastanza simili ed elementari, senza un vero approfondimento sui protagonisti. Lo stesso doppiaggio si è contraddistinto per alcune scelte piuttosto inusuali. La voce di Eggman, negli anni più recenti, è diventata un vero e proprio meme su Internet.

Questo era il (modesto) materiale di partenza con cui doveva confrontarsi Sonic Spinball. Inizialmente alla produzione venne data una deadline di circa un anno. 365 giorni a disposizione significa avere poche possibilità di sbagliare, di sperimentare e di provare – ne parlavo prima: fare un videogioco, a volte, è come comporre una melodia bellissima, e le note, a volte, non vengono né spontaneamente né naturalmente. Viste le tante difficoltà riscontrate questo periodo non solo venne prolungato, ma una parte della squadra originale di sviluppatori fu costretta a trasferirsi momentaneamente negli Stati Uniti per dare una mano, in parte contravvenendo alle richieste di Yuji Naka di cui dicevo sopra. È un evento interessante: dopo Sonic 2, anche questo capitolo secondario torna ad essere un ponte tra due paesi, incarnandone quasi la sintesi.

LA VELOCITÁ DI UN FLIPPER

I designer originali di Sonic Spinball furono Peter Morawiec e Hoyt Ng. Mentre il primo aveva già lavorato a Sonic con il secondo capitolo, Ng aveva sviluppato Kid Chameleon, un altro platform targato SEGA che aveva ottenuto un moderato successo anche perché si era conquistato il titolo del gioco più lungo e difficile pubblicato su Mega Drive.Per Spinball, Morawiec decise di inspirarsi alla Casino Night Zone, uno dei livelli più amati dalla fanbase di Sonic, e a Pinball Dreams, un gioco del 1992 creato per Amiga, e di riprenderne, almeno in parte, le meccaniche. Sonic, in questo modo, venne trasformato in una vera e propria pallina da flipper, e buona parte del gameplay si fonda su questa idea.

La trama alla base di Sonic Spinball è piuttosto semplice. L’obiettivo di Sonic è quello di fermare il Dr. Eggman, che ha costruito un castello sulla cima di un vulcano, per sfruttarne l’energia, e che vuole trasformare tutti gli animali del pianeta Mobius in schiavi robot. Sonic e il suo amico Tails (Scheggia nell’adattamento italiano della serie animata) provano ad assaltare il castello dall’alto, per raccogliere tutti i Chaos Emeralds e ristabilire così la pace. Durante l’assalto Sonic cade e finisce però in acqua, vicino alla costa. È costretto a ripartire da qui, dalla base del vulcano, per raggiungere Eggman. È davvero stravagante, l’approccio di Spinball, un flipper che vuole essere anche una grande avventura. Abbiamo tutti gli elementi classici di un videogioco in cui l’eroe non solo viene messo in una posizione di difficoltà, come se non avesse già dimostrato tutto il suo talento e i suoi poteri, ma in cui deve anche a imparare a conoscere il nuovo ambiente in cui si trova. Fondamentale, poi, la trovata per spostare Sonic all’interno di un enorme flipper: le pareti del vulcano sono superfici perfette da quello che viene chiamato Pinball Defense System. Insomma, la struttura “a biliardino” delle difese di Eggman è un elemento diegetico, integrato nel racconto. Era un’idea davvero brillante.

Se c’è un aspetto, tuttavia, che rende Sonic Spinball ancora più distante da tutti gli altri capitoli di Sonic, è quello legato alle sue atmosfere. Provate a osservarle con attenzione. È molto più cupo, molto più teso.

La frenesia della pallina-Sonic non basta per rendere tutto leggero e dinamico; c’è una pressione incredibile.Gli ultimi tre livelli sposano completamente questa visione, e forse solo il primo, dove Sonic deve ancora inoltrarsi nei meandri del vulcano, conserva una colorazione e un clima più disteso. Ovunque possiamo trovare lava, robot, esoscheletri, fabbriche orrende e tubature contorte. C’è una tensione specifica, voluta, che accompagna ogni colpo e ogni tentativo del videogiocatore. Sonic Spinball è un enorme flipper anche dal punto di vista estetico e concettuale: rispecchia la cultura e la visione dell’epoca, profondamente “weird”, profondamente turbata. E non prova in nessun modo ad alleggerire il carico del protagonista. In un certo senso, anzi, lo rende quasi ingestibile.

Queste differenze sono ancora più tangibili quando si confrontano i bozzetti dei personaggi e delle ambientazioni originali, e quelli di questo capitolo così atipico. Resta inteso che se Sonic Spinball è un titolo riuscito, questo dipese anche dalla fluidità e dall’immediatezza di risposta dei comandi, incredibili per l’epoca, capaci di mettere alla prova lo stesso SEGA Mega Drive.

Concept art originale di STI

Ed è anche per questo motivo che oggi ho deciso di parlarne: sono le sfide, alla fine, a rendere così interessante quello che facciamo. La difficoltà – forse la tensione – di una sfida sovrumana, il dolore della fatica, la soddisfazione della vittoria. Sonic ammicca direttamente al videogiocatore con un sorriso beffardo; quando muore, ogni volta che perde una vita, si sente un rumore assurdo, straziante, che simula delle urla sofferenti. Ma quando invece Sonic vola, lo fa senza paura. Arrogantemente. Come se fosse la cosa più normale del mondo.

I nemici si trasformano in orride bestie cibernetiche, i boss sono rappresentazioni mostruose di Eggman stesso, tra scorpioni giganti sputa-acido e teste fluttuanti in un enorme acquario di lava che vomitano appena vengono colpite dal porcospino. L’ambiente è incastonato in un’astronave semidistrutta, sventrata, travolta dal magma e dalle esplosioni. E poi ci sono le musiche. Con l’elettronica e una base di percussioni, sembrano quasi anticipare un’epoca che sarebbe venuta di lì a poco.Sono convinto che siano tutte scelte consapevoli. Con Sonic Spinball gli sviluppatori non hanno sottovalutato il loro pubblico nemmeno per un istante; hanno raccontato in maniera intelligente la sfida alla macchina e alla tecnologia (la stessa che stavano vivendo loro in prima persona) e con lungimiranza – accompagnati da un sorriso beffardo – hanno previsto di poter sopravvivere alla prova del tempo. Hanno avuto il coraggio di unire il divertimento alla paura – paura di perdere, di morire; paura di dover tornare indietro – e hanno fatto centro. Non hanno semplicemente creato un gioco: hanno fotografato un mondo, il loro mondo, e si sono affacciati, prima di tanti altri loro contemporanei, in un’altra epoca.

A cura di
Dario Moccia

Pubblicato il: 25/04/2023

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16 commenti

È la prima cosa che leggo di Dario, ed è stata molto interessante. Complimenti!

Ottimo articolo, complimenti, aspetto con curiosità i prossimi

Nonostante non abbia giocato il titolo, questo articolo mi ha fatto sentire nella mia cameretta mentre giocavo, con occhi stupefatti, ai miei primi videogiochi. Articolo che esalta la creatività di quei anni, scritto da chi della creatività ne fa u …Altro... Nonostante non abbia giocato il titolo, questo articolo mi ha fatto sentire nella mia cameretta mentre giocavo, con occhi stupefatti, ai miei primi videogiochi. Articolo che esalta la creatività di quei anni, scritto da chi della creatività ne fa uso ogni giorno. Il tutto, esaltato dell'impaginazione di Sorichetti, che ci sta abituando fin troppo bene.

Messo in evidenza da Andrea Sorichetti

Me li ricordo tutti...da Ayrton Senna a Zenga e poì Calà...dopo praticamente 30 anni ora capisco il motivo per cui Sonic replicava le movenze del ex gatto di vicolo miracoli, mamma mia, questo articolo è come vedere un archeologo che ti mostra i r …Altro... Me li ricordo tutti...da Ayrton Senna a Zenga e poì Calà...dopo praticamente 30 anni ora capisco il motivo per cui Sonic replicava le movenze del ex gatto di vicolo miracoli, mamma mia, questo articolo è come vedere un archeologo che ti mostra i resti di qualcosa che è stato e minuziosamente esamina i dettagli più significativi con il carbonio 14, lieto di leggere queste righe così nostalgiche ma molto rappresentative.

Grande Dario, bell’articolo!
Queste rubriche sul retrogaming sono oro colato, è interessante scoprire un’epoca che non ho potuto vivere tramite questi dettagli minuziosi.
Personalmente sono rimasto ammaliato dalla copertina del Mega Drive (JAP …Altro...
Grande Dario, bell’articolo!
Queste rubriche sul retrogaming sono oro colato, è interessante scoprire un’epoca che non ho potuto vivere tramite questi dettagli minuziosi.
Personalmente sono rimasto ammaliato dalla copertina del Mega Drive (JAP), un’estetica del genere potrebbe funzionare anche oggi.

Veramente un bell’articolo, Dario!

Davvero un bellissimo articolo. Grazie Dario, grazie Finalround!

ottimo articolo Dario.

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