Il ritorno di Cart Life e di
Richard Hofmeier

Circa dieci anni fa, per la precisione la sera del 27 marzo 2013, Richard Hofmeier salì per tre volte sul palco dell’Independent Games Festival, a ritirare il premio per la narrazione, quello per l’innovazione e il gran premio. Quel giorno vennero premiate pietre miliari della scena indie come FTL: Faster Than Light, Little Inferno e Kentucky Route Zero e fra i giochi in competizione rimasti a bocca asciutta spiccava robetta del calibro di Hotline Miami, Guacamelee!, Super Hexagon, Year Walk, Gone Home e Lovers in a Dangerous Spacetime. Eppure, la cerimonia venne dominata dal gioco di Hofmeier.

Io ero seduto lì a osservare, affascinato e divertito come sempre da quel miscuglio di emozioni e spettacolo, immerso nel tradizionale stupore del trovarmi davanti a giochi fuori di testa, poco conosciuti, in certi casi ancora non in vendita e quindi lontani dal conquistare la fama con cui oggi li identifichiamo. Ma anche lì in mezzo, Cart Life, col suo look così sbilenco, spiccava in una maniera tutta storta. Ancora di più, però, spiccava l’atteggiamento di Hofmeier, che non mi parve stare divertendosi molto nel ritrovarsi sbattuto sotto i riflettori.

Sì, in quel momento non ero a mio agio,” mi ha raccontato quando l'ho incontrato alla Game Developers Conference 2023 e gli ho chiesto di quella sera. “È difficile da descrivere. Il potere di tutta quell’emozione, intrecciato col fatto che il mio è un gioco estremamente sincero… È una combinazione di tutte le mie speranze più tenere e dei miei sogni, è un tentativo di condividere il mio cuore col mondo, con degli sconosciuti, e ricevere quel genere di risposta così positiva... è stato devastante per tutti i miei dubbi e il mio cinismo, anche pensando a tutte le persone che rispetto che mi dicevano di non sviluppare videogiochi, di fare altro della mia vita. All’improvviso, stava cambiando tutto. E a subire quel genere di trasformazione in pubblico mi sono sentito nudo, perché era un momento fortissimo sul piano emotivo. Ma era una cosa positiva, una fra le cose più positive che mi siano mai capitate.” Cart Life simula le drammatiche, normali, tese giornate qualunque di persone qualunque. Si gioca nei panni di tre venditori di strada che faticano ad arrivare a fine mese, seguendo le loro attività quotidiane, lottando costantemente coi dubbi generati dai pochi soldi in tasca.

Ogni azione che a noi può sembrare banale assume un’importanza, un costo, un peso enorme, per altro all’interno di un sistema di gioco che non prevede pause, non prevede salvataggi. Un gioco simile, nel 2023, continua a non essere qualcosa che si vede tutti i giorni ma è un genere di progetto che non stupisce veder saltare fuori dalla scena indie. Dieci anni fa, quando il fenomeno dello sviluppo indipendente era appena esploso o quasi e questo genere di sperimentazioni, pur esistente, non godeva dello stesso genere di palcoscenico, fu una sorta di fulmine a ciel sereno. E non a caso viene citato come fonte d’ispirazione da diversi sviluppatori di successo, a cominciare da quel Lucas Pope che solo un anno dopo si sarebbe portato a casa il gran premio dell’IGF con il suo Papers, Please. Secondo la formula tradizionale, a consegnarglielo fu proprio Richard Hofmeier, che si disse felicissimo di essere “sostituito” in quella posizione. E poi scomparve.

Vita vera

“Non ho mai deciso di diventare, che so, un musicista, un atleta, un attore o roba del genere, francamente ho una faccia buona al massimo per la radio" mi ha raccontato Hofmeier, sempre parlando di quella sera del 2013. "Sono uno sviluppatore di videogiochi: voglio avere un controllo ossessivo su quello che faccio, farlo in solitudine, poi condividerlo quando è perfetto."

"Ricevere quel genere di attenzione focalizzata su di me… No no no, guardate il gioco, non guardate me. Giocateci. Io posso dare solo una esperienza, mentre il gioco dipende da te, da chi ci gioca, dalle sue scelte, dai personaggi. Io sono una persona, in Cart Life, un cliente. Ma c’è una città intera popolata da persone, e se avessi potuto avrei portato tutta la città sul palco con me. Ma non potevo portarmeli tutti alla GDC."

Facendo ricerche per questo articolo, sono capitato su un'intervista rilasciata proprio alla GDC 2013 e se da un lato emerge in maniera netta quanto sia interessante il suo punto di vista, il suo modo di affrontare le cose, quanto abbia da dare allo sviluppo di videogiochi, dall'altro è difficile osservare come Richard muove gli occhi, le mani, parla, l'intero "linguaggio del corpo", e non vederci il disagio di cui mi parla dieci anni dopo, esprimendo tra l'altro ancora a tratti quegli sguardi, quelle insicurezze. Ma del resto, come detto, dopo il 2014, Hofmeier sparì sostanzialmente dalla scena. Non solo: decise anche di ritirare Cart Life da Steam, perché, parole sue, non riteneva corretto continuare a ricevere soldi dalle persone per un gioco pieno di problemi e di bug che non sarebbero mai stati risolti, perché non stava lavorando per farlo.

Nei quasi dieci anni successivi, Cart Life è rimasto disponibile come download gratuito open source e Richard non ha abbandonato necessariamente lo sviluppo di videogiochi ma si è tenuto lontano dalla scena. "Ho fatto altre cose," mi ha raccontato, "ma non le ho davvero pubblicizzate. Ho sviluppato un typing game (Type Dreams, reso disponibile su itch.io nel 2020), un paio di giochi di cucina, un gioco sui robot… cose piccole, che non ho mai spinto particolarmente. Cart Life rimane il mio gioco più concreto e grosso, nonostante sia pieno di bug."

Ma soprattutto, nei dieci anni scarsi che separano la sua uscita di scena e il suo ritorno, ha voluto fare altro, allontanarsi dal settore. "Temevo di finire per adagiarmi, restando focalizzato sui videogiochi. Qualsiasi genere di lavoro creativo richiede una prospettiva ampia sulla vita. E temevo di finire a passare troppo tempo davanti a un computer, che fosse a casa o in un ufficio, e perdermi troppo di quel che la vita là fuori ha da offrire, al di fuori del software. Solo che nell’esplorare “il mondo reale”, ho iniziato a pensare che forse non c’era un posto per me nel settore dei videogiochi, che forse il mio momento era passato. Anche per questo, parlare con Pierre Shorette e altre persone di AdHoc è stata un’esperienza lusinghiera, che mi ha restituito fiducia."

Una chiamata dal nulla

Un paio di settimane prima della GDC 2023, in mezzo alla pioggia di proposte per appuntamenti, ce n'era una per un titolo segreto, AdHoc Studios al lavoro sul recupero di un gioco "misterioso" che tanti anni prima aveva vinto premi all'IGF. Quando la persona con cui mi stavo organizzando mi ha confessato "off the record" che si trattava di Cart Life, mi si sono drizzate le antenne. I dettagli però sono rimasti vaghi e non sapevo bene cosa aspettarmi dall'appuntamento, immaginavo una demo da provare, un incontro con Nick Herman, COO dello studio. E invece mi sono ritrovato lì con Herman, Richard Hofmeier e il suo collaboratore Lucas Steele, a provare il gioco su Steam Deck ma costantemente distratto dall'occasione di poter chiacchierare con tre persone una più interessante dell'altra.

Ma prima ancora di mettermi a giocare, m'è venuto spontaneo chiedere a Nick come fosse nato il progetto. "Dieci anni fa," mi ha spiegato, "ero qui alla GDC per conto di Telltale Games, a parlare di The Walking Dead, nello stesso anno in cui Richard era qui per Cart Life. E fu un anno importante per entrambi. Ricordo di averlo visto salire tre volte sul palco dell’Independent Games Festival e aver pensato che sia lui che il gioco fossero interessanti. Catturarono la mia attenzione e quella di molte persone in Telltale, Cart Life divenne un po’ il simbolo del nostro viaggio a quella GDC. Dieci anni dopo, ci siamo ritrovati a parlare del gioco e di come continui ad essere rilevante in quello che facciamo. Io ho lasciato Telltale e aperto il mio studio attuale, AdHoc, e facciamo ancora narrazione interattiva. Uno dei nostri fondatori voleva far provare Cart Life alla sua compagna, che si era appassionata a Papers, Please, ma non riusciva a trovarlo. Non è più su Steam, non si trova da nessuna parte. Per questo abbiamo deciso di contattare Richard, fosse anche solo per chiedergli di farci avere una copia del gioco."

Quel fondatore era Pierre Shorette, un altro veterano del settore che all'epoca lavorava in Telltale Games e che arriva anche da un paio d'anni come narrative director in Ubisoft. È stato proprio Pierre, un paio d'anni fa, a decidere di contattare Richard Hofmeier, così, dal nulla. "Io lavoravo in una fabbrica di pillole," mi ha raccontato Richard. Faceva il turnista notturno, l'ultima tappa di un viaggio che l'aveva visto, fra le altre cose, lavorare come insegnante, occuparsi di incendi boschivi e per qualche tempo anche ritrovarsi senza una casa. E poi "ho ricevuto questo DM su Twitter, da Pierre Shorette di AdHoc, che mi dava il suo numero di telefono. E mi è piaciuto, mi è sembrato un bel segnale, anche se un po’ bizzarro. Allora ho deciso di alzare il tasso di stranezza chiamandolo alle quattro del mattino… Non ha risposto ma mi ha richiamato subito e abbiamo parlato fino all’alba. In passato avevo avuto conversazioni con publisher su cose che si sarebbero potute fare con Cart Life ma con Pierre, soprattutto dopo aver capito che era il Pierre Shorette che aveva lavorato ad altri videogiochi basati sulla narrazione e che avrebbero partecipato anche Michael Choung e Nick Herman, non potevo dire di no. Sono persone che ho sempre ammirato molto. E c’è sempre stata una specie di strana sincronia, fra di noi, fra le cose che hanno fatto loro e quelle che ho provato a fare io per raccontare storie tramite i videogiochi. Che è una cosa complicata da fare bene. Pochi lo sanno fare e l’opportunità di lavorare con queste persone, imparare da loro, fare cose assieme… non potevo dire di no."

Insomma, il vincitore di tre premi dell'Independent Games Festival ha quindi deciso di lasciare il suo posto di lavoro, un contesto in cui i colleghi lo conoscevano solo come Richard e non avevano idea che fosse uno sviluppatore di videogiochi, per tornare sul luogo del delitto e provare a regalare a Cart Life quella perfezione che dieci anni fa non riuscì a dargli. In questo, il ruolo di Nick Herman e di AdHoc voleva essere di puro supporto. L'idea era di offrire a Richard i mezzi per riportare in vita un gioco importante, facendolo arrivare su più piattaforme possibile, cercando di mettersi in mezzo il meno possibile.

Questo aspetto in particolare è molto importante per Herman: "Personalmente mi vedo soprattutto come un “consumatore” di Cart Life. Non è un mio gioco. Sono molto attento a come parlo della nostra collaborazione perché ho paura dei miei pregiudizi. Ho lavorato su giochi più mainstream, ho lavorato in Ubisoft… Non voglio che le mie idee vadano in contrapposizione con lo spirito del gioco e dell’esperienza originale. E lo spirito di Cart Life è di incalzarti in maniere diverse da come lo fanno gli altri videogiochi, magari perché non vengono dalle stesse fonti d’ispirazione di Richard o perché hanno paura di che effetto potrebbero avere sui videogiocatori. Per esempio mette frizione, ostacoli, in punti che un altro gioco tenderebbe invece ad alleggerire. Quindi, insomma, offro le mie opinioni ma poi lascio che sia lui a decidere cosa abbia senso. Anche perché l’obiettivo non è di vendere un milione di copie o farlo diventare un fenomeno. Vogliamo che sia un gioco unico. Perché sì, ci sono giochi usciti successivamente che hanno tratto ispirazione da Cart Life ma non esiste un altro Cart Life."

Assieme a Richard lavora Lucas Steele, il più giovane del trio che ho incontrato alla GDC. Lucas collabora con Richard anche da prima che partisse questo progetto, essendosi occupato delle animazioni di Type Dreams, un gioco che fece parlare un po' di sé, fosse anche solo in quanto ritorno del creatore di Cart Life, quattro anni fa. Ma soprattutto, anche Lucas scoprì il gioco dieci anni fa, quando era appena tredicenne, e per lui, collaborare con Richard e lavorare su Cart Life genera un'emozione particolarmente forte.

"Abbiamo tutti una gran paura di metterci mano," mi spiega mentre mi aiuta a provare la demo. "È un gioco della mia infanzia, ho l’occasione di lavorare sulla riedizione, di certo non voglio rovinarlo." Quanto l'occasione sia importante e sentita per Lucas mi risulta evidente fin da subito. Dei tre con cui parlo, è quello che rimane più in disparte, ma del resto ammetto anche di essere io per primo a cercare meno di coinvolgerlo, essendo lui comunque il meno "veterano" dei tre. Mi è però impossibile non far caso all'emozione nella sua voce quando prende la parola, al modo in cui il suo corpo trasmette una certa tensione, quanto tenga al progetto e quanto magari sia anche poco abituato a fare da portavoce per promuoverlo. Questo è tra l'altro un tema su cui molti sviluppatori di videogiochi vanno in difficoltà, perché vorrebbero che fosse solo il gioco, l'opera, a parlare e non amano mettersi in primo piano. Ma, d'altro canto, mostrare gli esseri umani che lavorano dietro le quinte è un buon modo per vendere il gioco.

"È buffo perché siamo qui per quel motivo," mi dice Richard, "ma il gioco non è ancora pronto, è incompleto. E da tutte queste conversazioni abbiamo tratto informazioni interessanti, che ci aiuteranno a migliorare ancora quello che stiamo facendo. Siamo in qualche modo di mezzo, fra l’imparare cose, promuovere il gioco, completarlo, metterlo effettivamente in vendita… Ma stiamo bene lì in mezzo, siamo AdHoc Studios, improvvisiamo, siamo molto nel momento presente, ed è anche per questo che mi sento a mio agio. Non voglio che questa cosa che ho fatto esista solo nel mio passato. Certo, è un gioco che esisteva dieci anni fa, ma era relativamente diffuso. E quello che stiamo facendo oggi è una cosa diversa, migliore. È separata, perché sviluppata in collaborazione. Ed è bello lavorare su questo progetto con un paio di produttori, poterlo condividere. All’epoca lo sviluppai da solo, ero una specie di outsider, ed ero orgoglioso di esserlo, di non essere qualificato. Ma oggi sono felice di mettermi alle spalle quegli aspetti per condividere il progetto con altri. E penso davvero che questo lavoro di gruppo l’abbia reso un gioco migliore, anche grazie a idee che non potrei aver avuto da solo."

E insomma, nel 2023 Cart Life tornerà alla ribalta, sicuramente su PC, auspicabilmente anche su più console possibile. Io l'ho provato su Steam Deck e su quello schermo lo stile grafico così particolare, davvero ben rimesso a nuovo dall'aumento di risoluzione, risplende davvero. Certo, non mi sfugge la dissonanza di giocare a qualcosa che mi racconta di gente che fatica a guadagnarsi da vivere su un dispositivo che costa centinaia di dollari, magari mentre me ne sto sull'autobus circondato proprio da persone in quelle condizioni. "Sì," mi dice Richard, "capisco quello che vuoi dire, nel gioco sei una persona che fatica a racimolare qualche centinaio di dollari, soldi che possono fare la differenza fra la vita e la morte. E il dispositivo su cui ci stai giocando è un lusso che costa quel genere di cifra. Crea una dissonanza. È una sensazione che provo anch’io, per esempio usando gli strumenti con cui lo stiamo sviluppando. Utilizziamo tecnologia allo stato dell’arte per creare un gioco che parla di gente comune che fatica a guadagnare pochi soldi. È surreale. Stabilisce una sorta di distanza."

Ma in fondo questa cosa è parte del fascino di Cart Life, un gioco che a livello tematico rimane attualissimo, anzi, forse ancora più attuale e importante rispetto a dieci anni fa. Può però avere lo stesso impatto, lo stesso effetto sovversivo e di sorpresa che ebbe all'epoca, quando eravamo meno abituati alla sperimentazione della scena indipendente? Chiaramente, il trio non può avere una risposta netta e non va molto oltre il "Vedremo". Quel che dice Herman, però, è abbastanza vero. Sì, certi spunti del gioco di Hofmeier hanno fatto scuola, sì, Lucas Pope ha ammesso di averne tratto ispirazione diretta e sì, abbiamo visto altri giochi che affrontano di petto temi sociali ma è difficile pensare a qualcosa che faccia esattamente quello che faceva Cart Life e che lo faccia così bene, nonostante tutti i problemi tecnici che lo appesantivano dieci anni fa. Richard ammette che per certi versi il gioco potrebbe risultare "vecchio", anche se il lavoro fatto per dargli nuova vita sul piano estetico e modernizzare il sistema di controllo lo rende sicuramente più fresco.

Ora Cart Life si manifesta a risoluzione e frame rate più elevati, in 16:9, senza tearing, con un parallasse più fluido e tanti elementi estetici ridisegnati, animazioni aggiunte, dettagli inediti.

E in ogni caso lo stile grafico non è strettamente retrò. Come dice Lucas Steele, "è senza tempo, perché è in bianco e nero… Viene da un’epoca che non è mai realmente esistita."D'altro canto, mi dice Richard, l'utilizzo di questo stile grafico "non è esattamente una questione di nostalgia ma è qualcosa di molto simile. Quando ho sviluppato questo gioco, volevo creare un qualcosa che, se fosse esistito quando ero piccolo, sarebbe stato perfetto per il me bambino. E chiaramente non puoi tornare indietro nel tempo, ma penso davvero che se avessi scoperto questo gioco da bambino sul mio Nintendo, o il mio Atari, sarei una persona migliore. Voglio creare qualcosa del genere."

Pubblicato il: 20/04/2023

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8 commenti

A sorpresa ho letto il nome di Giopep in fondo a questo articolo. Nome che i vecchi come me conosco bene. Ti faccio i complimenti per un bellissimo articolo, dalla qualità di scrittura enorme

Complimenti per l'articolo! Sono felice di vedere qualcuno di nuovo qui su Final Round.

Bellissimo articolo, non conoscevo minimamente il gioco.

Tanta roba Cart Life.

Ricordo anche SPENT (https://playspent.org/) uscito un paio di anni prima, sicuramente molto più "sobrio" ma comunque ben fatto ad in grado di creare sensazioni simili.

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