GLASSHOUSE

Democrazia e conflitto

È difficile calcolare l’influenza che Disco Elysium – videogioco GDR originariamente pubblicato nel 2019, poi arricchito con nuovi contenuti nell’edizione Final Cut – ha avuto sugli sviluppatori di videogiochi in questi anni. Nel caso di Giacomo Montagnoli, direttore creativo del collettivo FLAT28 è stato addirittura la ragione per cui ha voluto iniziare a produrre videogiochi. Me lo racconta mentre chiacchieriamo su un divano nell’area business dell’Indie Arena Booth di gamescom, dove il gioco a cui sta lavorando insieme al resto del team, Glasshouse, è stato selezionato per l’iniziativa Games for Democracy. “Ho giocato Disco Elysium per la prima volta nella versione Final Cut [che uscì nel marzo 2021, N.d.A.]”, racconta Montagnoli. “Mio fratello Tommaso me ne parlava da tanto tempo: mi diceva ‘è il gioco più bello del mondo, devi giocarlo ora'. Ma la versione base era uscita soltanto per PC, e personalmente vivo il PC come una postazione di lavoro, non di gioco. Nel momento in cui è uscito su PlayStation mi sono innamorato”. È il caso di dire che è stato amore a prima vista. “Sono incredibilmente emotivo”, spiega sorridendo. “Già all’inizio, con quello schermo nero e le voci che rimbombano nella testa del protagonista, mi sono commosso. È una cosa molto rara per me con i videogiochi: di solito mi emoziono di più con libri e film. Ma Disco Elysium mi parlava in maniera incredibilmente personale e diretta in un momento di depressione causato da una forte insoddisfazione artistica. Mi sembrava di lavorare soltanto per pagare l’affitto. Ma io vivo per creare”.

Così, Giacomo Montagnoli ha capito che ci sarebbe stato un primo e un dopo. Mentre giocava Disco Elysium: The Final Cut, ha capito che voleva trascorrere il resto della sua vita a realizzare videogiochi. “Mi ero trasferito a Milano da un anno. Sentivo di aver perso la scintilla creativa. Disco Elysium è arrivato e mi ha detto chiaro e tondo che esistevano spazi nuovi da esplorare nei videogiochi. E lo ha fatto con una classe immacolata”. Lo stesso anno, nel 2021, inizia il processo creativo che ha portato allo sviluppo di Glasshouse. “L’idea era quella di creare un GDR”, racconta. “E subito ho iniziato a cercare altre persone per formare un collettivo. Dopo aver preparato il primissimo prototipo, siamo andati su Discord, Reddit e su vari gruppi Facebook per cercare altri potenziali sviluppatori interessati a unirsi a noi”. Era il periodo del Covid e dei relativi lockdown, che hanno avuto un impatto molto concreto sul progetto. “Glasshouse è ambientato nel corso di un lockdown”, spiega Montagnoli. “Tutti guardano la televisione, proprio come noi ai tempi del Covid, e si formano delle opinioni politiche, poi litigano tra di loro. Tutto questo è connesso ai nostri ricordi del periodo del Covid. Mi ero appena trasferito a Milano, in piena zona rossa: guardavamo il telegiornale e non facevamo che litigare davanti al televisore tra coinquilini per passare il tempo. Così nasce questa dialettica tra i coinquilini, un conflitto mostrato anche nella box art di Glasshouse”. 

Il disegno a cui Giacomo Montagnoli fa riferimento è stato realizzato dall’artista romano Giancarlo “Gianco” Scazzeri. Sembra quasi fatto su vetro: si vedono delle crepe, e poi cinque uomini che discutono animatamente fra loro, sormontati da una figura con un cappello verde. Il logo di Glasshouse è stato realizzato dal nostro Marco Mottura. L’inquadratura è claustrofobica: alcuni dei volti sono tagliati, e l’impressione è di una situazione caotica, di aperto conflitto. Chiedo a Montagnoli da dove viene questo nome, Glasshouse [traducibile in italiano come “casa di vetro”, N.d.A.]. “Nasce dalla mia canzone preferita dei Radiohead, Life in a Glasshouse. È un brano che parla della difficoltà di parlare di politica in famiglia – come se la relazione familiare fosse fragile come il vetro”. La fragilità del vetro è un tema che ricorre anche nelle interfacce del gioco. “L’interfaccia utente sfrutta questa idea di fragilità per parlare della delicatezza e dell’instabilità delle relazioni interpersonali”, spiega. “Il dissenso e il conflitto sono parte fondante di Glasshouse, e anche nei giochi di ruolo in generale. Glasshouse è una continua battle royale oratoria. Per questo abbiamo costruito dei sistemi di crescita del personaggio basati prevalentemente sull’attitudine oratoria, e non sulla forza fisica”.

La comunicazione e la gestione dei conflitti sono terreno di uno dei temi principali di Glasshouse: quello della democrazia. Tanto che Glasshouse è stato selezionato per l’iniziativa Games for Democracy, volta a porre l’accento, nel corso di gamescom, su videogiochi che mostrano come il medium possa promuovere un dibattito su temi politici. “Games for Democracy è finanziata dal governo tedesco”, racconta Giacomo Montagnoli. “Viviamo in un periodo in cui la democrazia vacilla: da dieci, quindici anni in Europa, e non solo, l’estrema destra sta salendo al potere in numerosi Paesi. Games for Democracy nasce per dare spazio ai giochi che riescono a valorizzare la democrazia. Ovviamente bisogna sempre chiedersi: quale democrazia? È una domanda necessaria. In ogni caso, i giochi selezionati sono qui perché riescono ad alzare la barra della discussione, rendendo la democrazia parte del gameplay, portandola alla ribalta come oggetto di discussione”. Tra i videogiochi selezionati, oltre a Glasshouse, troviamo l’eccellente The Darkest Files (mi raccomando, recuperatelo se non avete ancora avuto l’occasione di provarlo) e Compensation Not Guaranteed, una sorta di Papers, Please ambientato in una versione di fantasia di un ufficio pubblico del sud-est asiatico. I titoli supportati da Games for Democracy hanno potuto partecipare a gamescom grazie ad apposite postazioni messe a disposizione dall’iniziativa. Un risultato importante per Glasshouse, certo, ma non l’unico ottenuto a Colonia. “Durante la Opening Night Live, c’è stato uno spazio dedicato a Games for Democracy, ed è stato mostrato anche un trailer di Glasshouse”, racconta Montagnoli, ancora visibilmente emozionato. Gli chiedo cosa ha provato in quel momento. “È stata una situazione incredibile. Fino ad adesso, ci siamo mossi per piccoli numeri, in maniera del tutto underground, senza budget per marketing e pubblicità. A dirla tutta, è stata un po’ una sorpresa: non sapevamo in che forma si sarebbe parlato del gioco, e nemmeno se saremmo stati mostrati nello show principale, nel corso della Opening Night Live vera e propria. In quel momento, mi trovavo al ristorante e guardavo lo show dallo smartphone. Quando è successo mi si è fermato il cuore e ho pianto. Vederci sullo schermo e leggere il numero di persone online, e poi tutte quelle reazioni in diretta... Incredibile. In quel momento Glasshouse, in un certo senso, ha iniziato a esistere davvero”.

La demo che ho avuto occasione di provare sullo show floor della Koelnmesse costituiva uno spaccato perfetto delle meccaniche di gioco, con numerosi indizi su quella che sarà la storia raccontata nel gioco finale. Glasshouse è un CRPG con combattimenti a turni e inquadratura isometrica: a livello di impostazione visiva, risulta subito familiare agli appassionati del genere. 

Nei combattimenti non si menano soltanto le mani: c’è sempre l’opzione di parlare con il proprio avversario. La dialettica è parte del DNA di Glasshouse. “Il nostro obiettivo è scatenare domande, non fornire risposte”, dice Giacomo Montagnoli. “Glasshouse parla di potere, della relazione del protagonista e del giocatore con il potere, di divergenze di opinioni e dell’importanza di prendere una posizione e non restare neutrali, lottando per le proprie idee. Vogliamo creare una storia che possa far riflettere, una storia che sia frutto della realtà contemporanea, di questo preciso momento storico, che parli della situazione attuale delle nostre società democratiche. Una storia che possa interrogare i giocatori su una domanda che trovo fondamentale: può esistere qualcosa dopo il capitalismo?”. Nel corso della demo, raccolgo numerosi ritagli di giornale e libri, e ascolto la radio per mantenermi aggiornata sulle novità politiche di questo 2028 di fantasia. Si intuisce la cura che Giacomo Montagnoli e Riccardo Reina, che stanno curando insieme la parte di scrittura, ripongono nella creazione di una struttura robusta per questo mondo di gioco complesso. “Quello di Glasshouse è un mondo iper-decentralizzato, de-globalizzato e de-nazionalizzato, diviso in repubbliche feudali. Sono come piccoli satelliti che comunicano fra di loro, composti da poche persone. È un’idea che nasce principalmente dal manifesto di Abdullah Öcalan, politico curdo e ideologo del Confederalismo Democratico”, spiega. Leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Öcalan ha sviluppato le teorie del filosofo socialista libertario Murray Bookchin in un’ottica operativa di amministrazione politica non statale – in sostanza, una democrazia, sì, ma senza Stato. È il modello applicato dal 2012 nella regione autonoma de facto del Rojava, nel nord-est della Siria. “L’idea è quella di avere un mondo con una struttura quasi municipale, formato da tanti piccoli Comuni che collaborano tra di loro, ma senza un governo e un Presidente che possa rappresentare tante persone: siamo in troppi per poter essere rappresentati da un manipolo”, prosegue Montagnoli. “Questa è la base di Glasshouse. Nel mondo fittizio del gioco, nel 1828 [quindi duecento anni prima degli eventi di Glasshouse, ambientato nel 2028, N.d.A.] è avvenuta la Rivolta dei Fucili, in cui per la prima volta gli eserciti si sono ribellati ai propri governi, e hanno avviato una serie di colpi di Stato simultanei nei Paesi dell’Est del mondo, con la destituzione dei rispettivi governi e l’elezione di piccoli concili feudali in piccoli distretti territoriali, a elezione diretta. Una sorta di utopia socialista, potremmo dire. Ma nel 2028 tira un’aria di cambiamento, con un movimento rivoluzionario formato da 52 piccoli feudi che si sono uniti per creare un unico Stato, chiamato CoFoPo. I suoi confini sono sfumati: è come se l’utopia socialista di Glasshouse fosse minacciata da uno spettro liberale”.

Tutto questo viene visto attraverso gli occhi di Wealdmaer, protagonista del gioco: una persona del tutto ordinaria. “Wealdmaer è un riparatore di tubi nella Fabbrica numero 3 del distretto di Lundonstoch: insomma, un normalissimo cittadino e lavoratore”, spiega Montagnoli. “Tutt’altro che un rivoluzionario: è semplicemente un soggetto che subisce la rivoluzione in atto nel quadro di un complesso scenario geopolitico che porta il distretto al lockdown e all’attivazione della Corte Marziale a causa della rivolta in atto a Lundonstoch, il cui controllo è stato preso dalla CoFoPo proprio nell’anno in cui Glasshouse è ambientato”. 

La minaccia di una guerra mondiale è assolutamente concreta, ma all’ampiezza del contesto narrativo fa da contraltare un ambiente ristretto: quello del Dormitorio 73B, di cui Wealdmaer è vice capo-condominio. Scherzando, Giacomo Montagnoli dice che, invece di un videogioco a mondo aperto, l’intenzione del collettivo FLAT28 è stata quella di creare un videogioco a mondo chiuso. “Abbiamo sempre avuto chiaro che siamo degli sviluppatori indie, con mezzi decisamente limitati”, dice. “Quando parli di giochi di ruolo, la prima cosa che immagini è un mondo immenso, magari di stampo fantasy classico. Al contrario, noi abbiamo deciso di limitare lo spazio di gioco: per questo lavoriamo su un appartamento. E sulla quotidianità di un gruppo di coinquilini che guardano la televisione, ascoltano la radio, aprono la finestra e si rendono conto che la loro città è in fiamme. Nasce tutto dall’idea di un’ambientazione estremamente asfissiante da cui si può osservare questo gigantesco mondo, pieno di informazioni e di culture diverse, ma senza poterlo toccare con mano”. Come se si osservasse tutto da uno spioncino. Ancora una volta, lo spettro del Covid aleggia sulla nostra conversazione. “L’idea del lockdown nasce proprio per far sentire il giocatore deprivato della sua libertà d’azione e di movimento. Proprio come avveniva per tutti noi nel periodo della pandemia”. Quell’appartamento ha poi dato il nome al collettivo, un nome scelto quando i lavori sul gioco erano già avviati da un po’. “È successo in occasione della Milan Games Week del novembre 2022, quando abbiamo presentato il prototipo nell’Indie Dungeon della fiera”, racconta Montagnoli. “Abbiamo scelto sia il nome del gioco, sia quello del collettivo. Sono state le quattro pareti dell’appartamento numero ventotto a portarci insieme, come se fosse una sorta di studio virtuale. Ecco, allora, il nome FLAT28. Abbiamo curato molto l’architettura degli spazi e l’aspetto visivo dell’esperienza. E il design narrativo è stato induttivo: anche questo è partito dall’appartamento. Siamo partiti dal micro per arrivare al macro”.

La struttura scelta dagli sviluppatori di FLAT28 non è societaria: si tratta di un collettivo. “Oggi siamo in tutto ventitré persone”, racconta il direttore creativo. “Ci siamo allargati in base alle necessità. Il nostro obiettivo è arrivare a creare lavoro, un’apertura per tutti noi all’interno di questa industria così difficile. Non possiamo sbagliare: stiamo investendo in questo progetto tutto il nostro tempo libero da tre anni. È un collettivo che ha basi assolutamente democratiche: tutte le scelte che riguardano il collettivo – chi far entrare, la partecipazione a eventi, e così via – vengono assunte democraticamente, con un voto a testa, e vince la maggioranza”.

Quanto alla filosofia produttiva del progetto, l’ispirazione arriva dal regista John Cassavetes, protagonista del cinema indipendente fin dai primi anni Sessanta e vero e proprio rivoluzionario dell’arte cinematografica. Cassavetes credeva fermamente nell’arte dell’improvvisazione, e invitava gli attori a contribuire con dettagli e battute non inclusi nel copione, senza dare direttive stringenti su come girare una scena. Inoltre, stringeva forti rapporti umani con gli attori dei suoi film, conversando per lunghe ore sul soggetto e sui personaggi. Lottò con le unghie e con i denti per tutta la vita per finanziare i suoi progetti, dotati di scarso richiamo commerciale. Montagnoli ha portato questa filosofia all’interno dei metodi produttivi di FLAT28, e non è l’unica influenza proveniente dal mondo del cinema e del teatro: Glasshouse è narrato da una figura chiamata Regista, e le voci interiori di Wealdmaer sono rappresentate dal Coro, proprio come in una tragedia greca. “La nostra struttura è assolutamente elastica. Accogliamo l’improvvisazione”, spiega Montagnoli, tornando sull’influenza di John Cassavetes. “Io sono direttore creativo di Glasshouse, ma penso che le migliori idee di game design vengano dall’interazione tra i vari membri del collettivo, e non soltanto dai game designer. Il nostro canale Discord è completamente aperto: per esempio, un animatore può tranquillamente intervenire e dire la sua su aspetti relativi alla trama, alla modellazione dei personaggi... Valorizziamo il melting pot di persone e idee. Il tuo ruolo non importa: se un’idea è buona, è semplicemente buona, indipendentemente da quello che fai. Credo che questo sia ciò che ci ha consentito di rimanere a galla come collettivo in questi anni: lavoriamo per un progetto comune, per un obiettivo comune, in cui tutti hanno gli stessi diritti”. E si tratta di un collettivo internazionale. “Siamo per il 70% italiani”, precisa Montagnoli. “Il resto dei membri vengono da diverse parti del mondo”. Naturalmente, una struttura di questo tipo contempla la presenza di conflitti. “Cerchiamo di padroneggiare l’arte del conflitto artistico: combattiamo i problemi, non le persone. Per questo, dalle nostre discussioni non si esce mai offesi se un’idea non viene accolta; si adotta un atteggiamento estremamente pragmatico. Non si alza mai la voce, ed è estremamente facile perché tutti vengono ascoltati. Se non si lascia spazio all’ego all’interno della conversazione, tutto diventa più semplice”, spiega sorridendo. 

Tornando a Disco Elysium – un videogioco che torna a fare capolino più volte nel corso della nostra conversazione, come un amico comune in quel momento non presente di persona – parliamo di una coincidenza curiosa: nel corso della stessa Opening Night Live in cui è stato mostrato il trailer di Glasshouse, ZA/UM (lo studio di sviluppo di Disco Elysium) ha rivelato il nome del suo nuovo progetto, Zero Parades, di cui si sono intravisti anche alcuni secondi di gameplay. “Molte persone del team originale non lavorano più all’interno di ZA/UM, certo”, dice Giacomo Montagnoli. “Ma vedere Glasshouse lì sul palco, accostato a una fondamentale fonte d’ispirazione per il gioco, è stato indescrivibile. Non me lo sarei mai aspettato nella vita”. Si può dire che questa gamescom sia stata un momento davvero importante per Glasshouse? “Certo. E posso anche dire che questo è il periodo più bello della mia vita”, risponde Montagnoli, sorridendo. “Non c’è niente che mi abbia dato più soddisfazione di questo progetto, anche se è lontanissimo dal completamento. Non abbiamo ancora un publisher, e posso soltanto sperare che tutto questo sforzo, anche qui a Colonia, sia abbastanza per ottenerne uno”. Gli domando cosa rappresenta per lui Glasshouse. Montagnoli fa una breve pausa prima di rispondere. “Per me Glasshouse è una manifestazione di esistenza. Non mi interessa di essere fisicamente nel mondo; mi interessa creare una storia. Tipicamente faccio da regista o scrittore: sto dietro una videocamera o un foglio di carta. Preferisco scomparire. Vorrei essere invisibile. Quando scrivo una storia, voglio che chi legge, guarda o gioca si lasci trascinare dall’ambientazione, dimenticando a un certo punto che è stata scritta da qualcuno. E per quel tempo in cui i suoi occhi sono dentro lo schermo, lui o lei crede che quel mondo sia effettivamente vero. E non c’è nient’altro al di fuori”.

Pubblicato il: 16/09/2025

Provato su: PC Windows

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