ANTEPRIMA

THE OUTER WORLDS 2

Approdato sugli scaffali nel 2019, a quasi un anno dall’affissione del vessillo verdecrociato negli studi diObsidian Entertainment, The Outer Worlds calava i giocatori fra le maglie di una scanzonata “spaceopera”, forte di un piglio satirico strettamente legato alle sue principali fonti d’ispirazione. Nel gdr delteam californiano confluivano i pungenti leitmotiv di opere cult come Firefly e Futurama, riversati fra imeccanismi di un gameplay memore degli orizzonti post apocalittici di Fallout. Quelli dei tempi d’oro diInterplay e Black Isle Studios, un’epoca benedetta per gli amanti dei crpg. D’altronde in testa allaproduzione c’erano Tim Cain e Leonard Boyarsky, due fra i padri fondatori del desolato universo natosotto l’egida di Interplay, alle prese con un’ucronia fantascientifica sviluppata col supporto dell’etichettaPrivate Division. A questo proposito, è facile supporre che i fondi a disposizione del progetto non fosseroparticolarmente generosi, come si evince dai limiti di un titolo sì brillante, ma con evidenti flessioniqualitative e asperità assortite, che culminava in una manciata di finali che suggerivano una gestazionealquanto sbrigativa. Non è dato sapere se già allora c’era l’idea di risparmiare le cartucce migliori in vistadel sequel targato Xbox Game Studios, ma l’hands-on in quel di Colonia delinea chiaramente quelli chesono gli obiettivi del secondo capitolo: The Outer Worlds 2 punta a migliorare l’offerta del predecessoresotto tutti i punti di vista. Sì, parliamo del diktat basale di ogni seguito che si rispetti, ma la breve demopresente alla Gamescom fa comunque ben sperare circa l’effettiva concretizzazione delle mire diObsidian.

UN NUOVO CAPITANO

The Outer Worlds 2 cala i giocatori nei panni di un veterano del Direttorato, un’organizzazione paragovernativa incaricata di vigilare sui rapporti fra la Terra e le sue colonie. Sebbene la propaganda interplanetaria sia solita aggiungere abbondanti sfumature di eroismo alle attività dell’agenzia, gli operativi del Direttorato non sono altro che il braccio armato dell’imperialismo terrestre, che in questo caso punta a identificare le cause delle anomalie spazio temporali apparse nel remoto sistema di Arcadia,epicentro della produzione di una tecnologia essenziale per il viaggio interstellare. La prima tappa del viaggio coincide - come da tradizione - con la creazione del proprio alter ego, per mezzo di un editor significativamente più ampio rispetto a quello del primo The Outer Worlds: sebbene la gamma delle opzioni di personalizzazione non sia certo soverchiante, tanto basta per offrire ai giocatori discreti margini di manovra, anche per ciò che concerne il background narrativo del personaggio.

Nella demo erano presenti sei possibili retroterra (ex galeotto, giocatore incallito, tutore della legge, professore, rinnegato, tuttofare), ciascuno atto a colorire il passato del protagonista e a giustificarne l’ingresso nel Direttorato. A seguire saremo chiamati a selezionare uno o due perk per aggiungere sfaccettature ruolistiche alla nostra creazione, tenendo a mente che la scelta del secondo obbligherà l’utente a impostare anche un tratto negativo, ovvero una tara psicofisica più o meno debilitante. In ambo i casi si tratta di elementi che promettono di avere un impatto consistente sul profilo dell’esperienza, sia in termini narrativi che ludici: tanto per pettinarmi l’ego, ho dato forma a un soldato brillante (bonus iniziale a un’abilità aggiuntiva) e nerboruto (in grado di abbattere i nemici con uno scatto o una scivolata), ma anche eccezionalmente malmostoso, e pertanto incapace di guadagnare il favore delle varie fazioni e ottenere i relativi vantaggi.

Va da sé che, vista e considerata la breve durata della prova (una mezz’ora circa), risulta quantomeno difficile soppesare preventivamente l’effettiva rilevanza delle peculiarità in dote al protagonista, sebbene già nei primi minuti siano presenti interazioni e intermezzi dialogici tarati per valorizzare tali caratteristiche, presumibilmente destinate a moltiplicarsi nel corso dell’avventura. Su queste note, ho notato la presenza di un numero di opzioni di dialogo tendenzialmente superiore rispetto al primo capitolo, poste a scandire una scrittura che pare allinearsi con i cospicui standard qualitativi di Obsidian, fra siparietti ridanciani, battute al vetriolo e incisi più sostenuti. A dirla tutta, mi è sembrato che questa volta lo studio abbia cercato di rendere più organico lo spettro tonale dei botta e risposta, limando un po’ gli strampalati eccessi visti nel primo The Outer Worlds.

Staremo a vedere se queste impressioni preliminari si riveleranno corrette, al pari di quelle sull’arborescenza ludonarrativa di un’offerta che pare concedere ai giocatori una maggiore discrezionalità nel tracciare la propria rotta nella cornice del gameplay. Al di là della presenza di un “macro bivio” posto a metà della demo, che permetteva di optare per un approccio più surrettizio in vece di un classico assalto frontale, in più di un occasione ho chiaramente percepito la presenza diversioni innescate dalla condotta del personaggio, sia in relazione alle abilità a sua disposizione, sia sulla base di un manipolo di variabili situazionali. Il fortuito ritrovamento di un badge di sicurezza, a braccetto con una buona parlantina, mi ha ad esempio consentito di saltare a pié pari lo scontro con una schiera di droni da battaglia, e successivamente di raggiungere la parte conclusiva della prova aggirando una seconda contesa in punta di proiettile. Il tutto guadagnandomi il – titubante - supporto di uno degli impiegati del massiccio complesso industriale che fa da sfondo all’incarico inaugurale di The Outer Worlds 2. A margine dell’hands-on, uno degli sviluppatori ha poi confermato che già questa prima parte può essere completata seguendo otto “strade alternative”, e la cosa lascia bensperare circa lo spessore complessivo della campagna.

CHIACCHIERE E PALLOTTOLE

Se aspetti come il sistema di progressione e di equipaggiamento, la caratterizzazione dei personaggi e la reale svariatezza del quest design sono ancora tutti da sondare, la build di Colonia manifestava in modo incontrovertibile i passi avanti compiuti da Obsidian sul versante dello shooting, una delle componenti meno efficaci del primo The Outer Worlds. Capiamoci: per sua stessa natura, il sequel non punta a ritagliarsi uno spazio nell’olimpo del godimento balistico multigenere, ma è evidente l’impegno profuso dal team nello sgrossare questo tassello del mosaico ludico. In The Outer Worlds 2 le sparatorie risultano più dinamiche e appaganti, grazie a un miglior connubio fra sistema di movimento e gunplay, spalleggiato da un’accresciuta maneggevolezza delle armi e da un feedback audiovisivo più convincente. Il sistema di combattimento trae inoltre beneficio da una “fisicità” più accentuata (niente di eccezionale, badate) e da alcune stuzzicanti aggiunte, come le granate – finalmente – incluse nell’armamentario che, volendo, possono essere centrate al volo utilizzando l’ormai rodata “Dilatazione Temporale Tattica”, con effetti dirompenti sull’integrità anatomica degli ostili.

Per quanto basilari, anche le dinamiche stealth mi sono parse più rifinite rispetto al passato, sebbene nella versione testata le esecuzioni silenziose non fossero accompagnate da animazioni dedicate, da sempre un gradevole incentivo a seguire la via delle ombre. Intutta onestà, tanto in questo frangente quanto durante gli scontri a viso aperto, ho registrato diverse scabrosità a carico del combattimento corpo a corpo, vistosamente meno efficace rispetto alla controparte a distanza, nonché qualche fluttuazione di rilievo nelle routine comportamentali dei nemici, specialmente durante i tentativi di infiltrazione. Va comunque detto che, in media, gli avversari appaiono più reattivi e avveduti rispetto a quelli affrontati nel sistema di Alcione, soprattutto in relazione all’utilizzo situazionale di barriere et similia. Restando in tema di migliorie, la più eclatante è ovviamente legata all’adozione dell’Unreal Engine 5: un salto generazionale che segna un netto balzo in avanti per il comparto grafico della produzione, come sempre sostenuto da un’identità stilistica riconoscibile e suggestiva che mescola art nouveau, retrofuturismo, innesti dieselpunk e rimandi all’iconografia delle riviste pulp della primametà del secolo scorso. 

Al netto dei notevoli miglioramenti apportati al comparto tecnico su praticamente tutti i fronti, dall’illuminazione alla modellazione degli ambienti, le animazioni facciali continuano a mostrare carenze significative, e anche quelle corporee palesano una certa rigidità, in particolar modo durante gli intermezzi dialogici. In questo senso, sarebbe stato bello assistere a un più deciso cambio di marcia rispetto ai trascorsi curricolari di Obsidian, ma si stratta di un problema tutto sommato relativo, che spero venga consegnato all’oblio dai pregi di un’avventura ruolistica di grande caratura, all’altezza delle rosee prospettive delineate dal collettivo di Irvine.

Pubblicato il: 27/08/2025

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1 commento

Credo che ci sia qualche problema nell'articolo perchè il testo è pieno di parole attaccate tra loro

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